REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. REALE Pasquale – Presidente –
Dott. PROTO Vincenzo – Consigliere –
Dott. CICALA Mario – Consigliere –
Dott. MILANI Laura – Consigliere –
Dott. SOTGIU Simonetta – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AMMINISTRAZIONE DELLE POSTE E DELLE TELECOMUNICAZIONI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
GI.AN. Snc in liquidazione, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA A. GRAMSCI 14, presso l’avvocato GIAMPIERO DINACCI, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
MILANO ASSICURAZIONI S.p.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2230/95 della Corte d’Appello di ROMA, depositata il 26/06/95;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/10/97 dal Consigliere Dott. Simonetta SOTGIU;
udito per il resistente, l’Avvocato Dinacci, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto 10/11 maggio 1989 la GI.AN s.n.c. convenne avanti al Tribunale di Roma il Ministero delle PP.TT. e il Lloyd Internazionale (poi Milano Assicurazioni) denunciando la riduzione da parte del Ministero del corrispettivo pattuito per la pulizia giornaliera di 38 carrozze postali, in relazione al mancato servizio su alcune carrozze, e la risoluzione del contratto operata unilateralmente dal Ministero stesso per inadempimento di scarsa entità, nonché l’incameramento ad opera dello stesso Ministero, del deposito cauzionale prestato mediante polizza fideiussoria emessa dalla Compagnia Lloyd, la quale avanzava pretesa di rivalsa nei confronti dell’attrice; quest’ultima chiedeva pertanto che, accertato il sostanziale adempimento da parte sua del contratto in questione, il Ministero fosse condannato al pagamento di tutte le somme dovutele, e che si accertasse che nulla la Gi.an doveva alla Lloyd.
Con sentenza 18 ottobre/9 novembre 1991, il Tribunale adito accolse in parte la domanda della Gi.an, condannando il Ministero pagamento della parte del compenso (Lire 60.387.784 oltre accessori) trattenuto per mancata pulizia di alcune carrozze, avendo ritenuto tale fatto imputabile allo stesso committente.
Avverso la sentenza, notificata il 18 maggio 1992 ad istanza del difensore della Gi.an., propose appello il Ministero, notificandolo nel termine di trenta giorni alla Compagnia Milano Assicurazioni, che si era costituita in prime cure, chiedendo che fosse accertato che essa nulla doveva al Ministero e che fosse stabilito che la Gi.an. avrebbe dovuto comunque tenerla indenne; l’appello stesso non venne invece nello stesso termine notificato alla Gi.an, essendosi il procuratore costituito trasferito in diverso domicilio, per cui la notificazione veniva rinnovata il 1 dicembre 1992.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 28 aprile/26 giugno 1995 ha rigettato il gravame del Ministero nei confronti della Gi.an. Non avendo infatti l’appellante Ministero proposto domande riferibili alla Milano Assicurazioni, il cui rapporto fideiussorio nei confronti della Gi.an integrava la fattispecie della garanzia impropria, la posizione delle appellate non poteva ritenere né inscindibile, né dipendente, essendo stata meramente processuale, nella economia del giudizio, la presenza della Compagnia Assicuratrice, collegata soltanto alla posizione della Gi.an.; mentre, non essendo in alcun modo il difensore tenuto a comunicare la propria variazione di domicilio, era onere dell’appellante accertare la variazione dell’indirizzo del domiciliatario.
Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni sulla base di due motivi.
La Gi.an in liquidazione resiste con controricorso. Le parti hanno prodotto memorie.
Motivi della decisione
Col primo motivo di ricorso, adducendo la violazione dell’art. 331 c.p.c., il ricorrente contesta la scindibilità, ritenuta dalla Corte d’Appello, della causa dell’assicuratore rispetto a quella del garantito, sostenendo che dalla decisione sulla ritualità dell’adempimento da parte della Gi.an discendeva la legittimità o meno dell’incameramento del deposito cauzionale prestato dalla società.
Essendo ancora in contestazione il debito del convenuto verso l’attrice, persisteva in appello la interdipendenza delle causa.
Col secondo motivo di ricorso, deducendo la violazione degli artt. 88, 170, 324, 325, 326, 327, 330 c.p.c. e 43, 44 e 47 c.c., nonché vizio di motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente sostiene la ritualità della notifica operata al domicilio eletto presso il difensore della Gi.an, prevalendo l’indicazione del luogo, rispetto a quella della persona, e non potendosi riscontrare alcuna negligenza nell’attività di notifica posta in essere dal ricorrente, per non avere il difensore della Gi.an indicato in alcun atto processuale il proprio cambio di domicilio; mentre l’elezione di domicilio conserva la sua validità in ogni stato e grado del processo, essendo l’onere della parte comunicarne il mutamento.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
La Compagnia Assicuratrice è stata infatti evocata in giudizio dalla GI.AN sulla base della polizza fideiussoria stipulata dalla stessa GI.AN, costituente titolo distinto e indipendente, rispetto al contratto d’appalto oggetto delle domande formulate nei confronti dell’Amministrazione; la quale peraltro, come ha rilevato la Corte territoriale, non ha mai avanzato pretese nei riguardi della Milano Assicurazioni.
Per la giurisprudenza costante di questa Corte (Cass. 2302/85; 7795/86; 534/89; 10398/91; 4443/97) la chiamata in causa di un terzo in base ad un titolo diverso da quello posto a fondamento della domanda principale, quale la garanzia assicurativa relativa ad una delle parti in causa, introduce una causa scindibile e indipendente che si sottrae, in sede di impugnazione, al disposto dell’art. 331 c.p.c. in tema di integrazione del contraddittorio. Non sussiste infatti né il litisconsorzio processuale, né tanto meno quello necessario, fra due domande che non siano collegate da un rapporto di antecedenza logica l’una rispetto all’altra di modo che ne sia necessaria la trattazione unitaria in tutte le fasi processuali, al fine di evitare giudizi contraddittori. Né, per quanto può evincersi dalle conclusioni formulate in sede d’appello dalla Compagnia assicuratrice, riprodotte nella sentenza impugnata, ricorre nella specie l’ipotesi secondo la quale il chiamato che non si limiti a resistere alla domanda del chiamante, ma contesti anche l’esistenza e la validità dell’obbligazione di quest’ultimo verso l’attore, si pone come parte accessoria della causa principale, con conseguente necessità di integrazione del contraddittorio (Cass. 2867/90). La Milano Assicurazioni si è infatti limitata con la propria difesa a resistere alle domande della chiamante GI.AN, chiedendo di essere dichiarata indenne dalle richieste avanzate da quest’ultima contro di lei.
Ma anche a voler ipotizzare, sulla scia di un indirizzo giurisprudenziale minoritario (Cass. 2867/90) la possibilità di un vincolo di dipendenza fra la causa principale e la causa di garanzia, fino a quando sia in discussione il fondamento della domanda principale, integrante il presupposto della domanda di rivalsa, così come sostenuto dal ricorrente, tale vincolo non potrebbe comunque nella specie ravvisarsi, non riguardando il gravame del Ministero il terzo chiamato in manleva, il quale a sua volta ha svolto le sue difese nell’ambito del solo rapporto di garanzia (Cass. 4443/97) senza inserirsi nel contraddittorio relativo al “petitum” della domanda principale.
Il primo motivo di ricorso deve essere dunque rigettato, analogamente al secondo motivo, attinente la possibile sanatoria della notifica tardiva, sanatoria non attuata col provvedimento del G.I. che ha autorizzato il rinnovo della notifica dell’atto di appello non al sensi dell’art. 331 C.P.C., ma nell’ambito dell’attività istruttoria di cui all’art. 350 c.p.c., che non pregiudica la successiva dichiarazione di inammissibilità dell’appello da parte del Collegio.
Per quanto si riferisce, in particolare, alla notifica dell’atto d’appello presso il procuratore domiciliatario, questa Corte ha già avuto modo di affermare con sentenza n. 9473 del 1993, la quale rappresenta lo sviluppo e la sintesi di posizioni giurisprudenziali risalenti (Cass. 149/87 e 5417/89), che la notifica presso il domicilio dichiarato nel giudizio “a quo”, che abbia avuto esito negativo perché il procuratore si sia successivamente trasferito altrove, non ha alcun effetto giuridico, dovendo essere effettuata al domicilio reale del procuratore (quale risulta dall’Albo: Cass. 4746/97, ovvero dagli atti processuali, come nel caso di timbro apposto su comparsa conclusionale di primo grado: Cass. 5417/89), anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento della controparte, atteso che il dato di riferimento personale prevale su quello topografico (Cass. 149/87) e che non sussiste un onere del procuratore di provvedere alla comunicazione del cambio di indirizzo; tale onere è infatti previsto per il domicilio eletto autonomamente, mentre l’elezione operata dalla parte ha solo la funzione di indicare la sede dello studio del procuratore, sicché costituisce onere del notificante l’effettuazione di apposite ricerche atte ad individuare il luogo di notificazione (Cass. 7920/92).
Tali principi risultano puntualmente applicabili alla fattispecie, avendo il procuratore della GI.AN applicato il timbro recante l’indicazione del trasferimento di studio sul frontespizio della comparsa conclusionale di I grado (v. Controricorso Pag. 4), previa comunicazione della variazione di indirizzo al Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Roma (v. memoria pag. 3), così adempiendo alle formalità richieste dalla giurisprudenza citata.
Consegue l’integrale rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, oltre a Lire 3 milioni per onorari.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente nelle spese, che si liquidano in complessive L. 150.000 oltre a L. tre milioni per onorari.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 1997.
Depositato in Cancelleria il 13 marzo 1998