Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 27-03-2019) 09-07-2019, n. 18383

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2799-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5434/19/2017 della COMMISSIONE TRIBTUARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 15/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 27/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Svolgimento del processo
Che:

Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti della sentenza della Commissione Tributarla Regionale della Campania, indicata in epigrafe, che aveva accolto l’appello di R.L. contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n. 8064/2015, la quale aveva respinto il ricorso proposto avverso l’avviso con cui era stato comunicato al contribuente che dai controlli delle dichiarazioni fiscali relative al 2011 era emerso il mancato pagamento di somme riportate nella dichiarazione con conseguente invito a regolarizzare la sua posizione fiscale mediante il versamento della relativa somma.

Il contribuente è rimasto intimato.

Motivi della decisione
Che:

1.1. va disatteso il primo motivo di ricorso, con cui l’Agenzia lamenta violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. d), n. 3 e art. 100 c.p.c.) per avere la CTR ritenuto atto autonomamente impugnabile la comunicazione di irregolarità, non rappresentando, invece, l’atto, secondo la ricorrente, alcuna pretesa impositiva;

1.2. è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, in “Tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ha natura tassativa, ma, in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., ogni atto adottato dall’ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al Giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa, con la conseguenza che è immediatamente impugnabile dal contribuente anche la comunicazione d’irregolarità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, comma 3, (cd. avviso bonario) (cfr. Cass. nn. 13963/2017, 3315/2016, 15957/2015);

2.1. va parimenti disatteso il secondo motivo di ricorso con cui Si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 56, per essersi l’appellante limitato a “contestare specificamente solo il profilo di inammissibilità pronunciato dalla CTP di Napoli (ndr. circa l’affermata inimpugnabilità della comunicazione in oggetto) e riportandosi, per il resto, genericamente alle eccezioni sollevate in primo grado, senza dssegnèLe correlate conclusioni”;

2.2. va richiamato l’orientamento di questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui l’appellante che impugni la sentenza con la quale il Giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato su una domanda dallo stesso formulata (nella specie, mancata prova circa la delega di firma in capo al funzionario che aveva emesso l’atto), avendola ritenuta assorbita dalla decisione su una questione pregiudiziale di rito (nella specie, rilievo dell’atto come non autonomamente impugnabile), non ha l’onere di formulare uno specifico motivo di gravame sul merito della domanda medesima ma soltanto quello di riproporla nel rispetto dell’art. 346 c.p.c. (cfr. Cass. nn. 13768/2018, 17749/2017);

3.1. con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonchè della L. n. 241 del 1990, artt. 21 septies, 21 octies e 21 nonies, per aver affermato la nullità dell’atto impugnato per carenza di “un valido potere in capo a colui che aveva sottoscritto l’atto per delega del Direttore dell’Ufficio”, non essendo stata prodotta la delega di firma “onde riscontrare l’effettività del potere di sottoscrizione in capo al firmatario del provvedimento”;

3.2. La censura è fondata atteso che, rispetto all’impugnazione d avviso di accertamento, in diversi contesti fiscali – quali ad esempio la cartella esattoriale (cfr. Cass. n. 13461/2012), il diniego di condono (cfr. Cass. nn. 220/2014, 11458/2012), l’avviso di mora (cfr. Cass. n. 4283/2010), l’attribuzione di rendita (cfr. Cass. n. 8248/2006) – e in mancanza di una sanzione espressa, opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato (cfr., in materia di lavoro e previdenza, Cass. n. 13375/2009, ordinanza ingiunzione, e n. 4310/2001, atto amministrativo), mentre, per i tributi locali, è valida anche la mera firma stampata, ex L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 87 (cfr. Cass. n. 9627/2012);

3.3. nella specie, la CTR non ha fatto dunque buon governo dei suddetti principi, in quanto anche con riguardo alla comunicazione di irregolarità di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, la suddetta sanzione di nullità non può trovare applicazione per difetto di una disposizione espressa;

4. all’accoglimento del terzo motivo di ricorso consegue l’assorbimento del quarto motivo, formulato in via subordinata al rigetto della suddetta censura;

5. in conclusione, va accolto il terzo motivo, assorbito il quarto e respinti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, affinchè decida il merito della vicenda.

P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso, assorbito il quarto e respinti gli altri; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione Sesta Sezione, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 16-04-2019) 04-07-2019, n. 17970

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Annamaria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2018/2014 R.G. proposto da:

S.M., elett.te domiciliato in Roma, alla P.zza Adriana n. 5, presso lo studio dell’avv. Roberto Masiani, unitamente all’avv. Riccardo Vianello, dai quali è rapp.to e difeso come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/8/13 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, depositata il 20/5/2013, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2019 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.

Svolgimento del processo
che:

1. con sentenza n. 52/8/13, depositata il 20 maggio 2013, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto rigettava l’appello proposto dal ricorrente, avverso la sentenza n. 190/13/11 della Commissione Tributaria Provinciale di Venezia e compensava le spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento, notificata il 29 novembre 2010, con cui veniva intimato a S.M. il pagamento dell’importo complessivo di Euro 80.397,54 a titolo di Iva, Irpef e Irap, oltre sanzioni, interessi e accessori, sulla base di due avvisi di accertamento, relativi alle annualità 2006 e 2007, notificati in data 18 aprile 2010; il contribuente ne eccepiva l’illegittimità derivata per la mancata notifica degli atti presupposti;

3. la CTR aveva rigettato l’appello, e confermato la decisione della CTP, ritenendo che gli avvisi di accertamento fossero stati ritualmente notificati ai sensi dell’art. 140 c.p.c.; secondo i giudici del gravame era irrilevante che la raccomandata informativa fosse stata restituita al mittente con la dicitura “sconosciuto” in quanto, dovendosi presumere la mancanza di elementi idonei a dimostrare che all’indirizzo indicato vi fosse la effettiva residenza del contribuente, l’omessa conoscenza dell’atto presupposto era una conseguenza della sua scelta di non indicare il proprio nominativo all’esterno dell’abitazione;

4. avverso la sentenza di appello, S.M. ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 7 gennaio 2014, affidato a due motivi, a cui l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
che:

1. con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 140 e 143 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, censurando l’impugnata sentenza per aver ritenuto sufficiente, ai fini del perfezionamento della notifica ex art. 140 c.p.c., la mera spedizione della raccomandata informativa, pacificamente non ricevuta, per non avergli consentito di far valere in giudizio il solo vizio di notifica dell’atto presupposto e per aver erroneamente applicato i criteri di verifica di legittimità della notifica cui all’art. 143 c.p.c.;

2. con il secondo motivo lamenta la contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto se il destinatario fosse stato effettivamente sconosciuto non doveva ritenersi corretta la notifica ex art. 140 c.p.c..

Osserva che:

1. preliminarmente va ritenuta la tempestività del ricorso, consegnato per la notifica il 7-1-2014, e quindi respinta l’eccezione di inammissibilità formulata nel controricorso, in quanto il termine per l’impugnazione scadeva di domenica (5-1-2014) ed il giorno successivo era un festivo (6-1-2014).

2. Il primo motivo di ricorso merita accoglimento.

2.1 Sul tema, costituisce ius receptum di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 6788 del 2017 e Cass. n. 7523 e n. 19152 del 2016) il principio per cui “La notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, nel sistema delineato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 c.p.c., quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perché questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile, mentre va effettuata secondo la disciplina di cui all’art. 60 cit., lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perché risulta trasferito in luogo sconosciuto, accertamento, questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel comune dov’è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune” (Vedi anche Cass. n. 25436, n. 22796 e n. 23332 del 2015, n. 24260 del 2014 e n. 1440 del 2013).

2.2 Nella specie, risulta pacifico che il messo notificatore ha proceduto ai sensi dell’art. 140 c.p.c., presso la corretta residenza anagrafica del contribuente e, riscontratane la temporanea assenza, effettuato gli adempimenti previsti per le ipotesi di cd irreperibilità relativa.

Dall’avviso di ricevimento della raccomandata informativa, regolarmente esibito in giudizio, si evince tuttavia che tale raccomandata non è stata consegnata in quanto l’addetto postale ha ritenuto che a quell’indirizzo il destinatario fosse sconosciuto.

2.3 Occorre a questo punto verificare quali siano le conseguenze di una provata mancata consegna della raccomandata informativa.

Con riferimento alla raccomandata informativa di cui all’art. 140 c.p.c., è stato più volte affermato che “In tema di notificazione dell’accertamento tributario, qualora la notificazione sia stata effettuata nelle forme prescritte dall’art. 140 c.p.c., ai fini della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, è necessaria la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata atteso che il messo notificatore, avvalendosi del servizio postale ex art. 140 c.p.c., può dare atto di aver consegnato all’ufficio postale l’avviso informativo ma non attestare anche l’effettivo inoltro dell’avviso da parte dell’Ufficio postale, trattandosi di operazioni non eseguite alla sua presenza e non assistite dal carattere fidefacente della relata di notifica. (vedi Cass. n. 21132 del 2009 e n. Cass. n. 25985 del 2014, ove ampi riferimenti alla giurisprudenza formatasi sia prima che dopo l’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, e la precisazione che gli elementi perfezionativi del procedimento notificatorio ex art. 140 c.p.c. non si atteggiano in diverso modo nel caso in cui oggetto della notifica sia un atto giudiziario o un provvedimento amministrativo (nella specie un atto impositivo), atteso che la maggiore garanzia voluta dal Legislatore, prescrivendo che la notifica degli atti tributari avvenga nelle forme previste dal codice di rito per notifica degli atti giudiziari, implica in assenza di deroghe espresse – l’applicazione del procedimento di notifica conforme al modello legale dell’art. 140 c.p.c. richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1).

Si è ritenuto ancora che “In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inesistente la notifica della cartella di pagamento, atteso che la raccomandata informativa non era pervenuta nella sfera di conoscenza del contribuente ed era stata restituita al mittente, avendo l’ufficiale giudiziario erroneamente apposto la dicitura “trasferito” sulla relata, nonostante fosse rimasta invariata la residenza del destinatario). (vedi Cass. n. 25079 del 2014; conformi Cass. n. 27825 e n. 9782 del 2018), mentre l’esibizione dell’avviso di ricevimento costituisce il presupposto per la verifica richiesta da Cass. n. 2683 del 2019 secondo cui, in tema di adempimenti prescritti dall’art. 140 c.p.c. nei casi di irreperibilità relativa, ai fini del perfezionamento del procedimento notificatorio, è necessario che l’avviso di ricevimento, relativo alla raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, rechi l’annotazione da parte dell’agente postale dell’accesso presso il domicilio del destinatario e delle ragioni della mancata consegna, senza che sia sufficiente la sola indicazione del deposito del plico presso l’ufficio postale.

In ordine poi al regime applicabile a tale raccomandata, al fine di verificare la regolarità della sua ricezione, si è già ritenuto che ” In tema d’imposte del reddito, la nullità della notificazione dell’atto impositivo, eseguita ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 140 c.p.c., che consegue alla mancata affissione dell’avviso di deposito presso la casa comunale, è sanata, per raggiungimento dello scopo, dal ricevimento della raccomandata con la quale viene data notizia del deposito, la quale, avendo finalità informativa e non tenendo luogo dell’atto da notificare, non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazione a mezzo posta ma solo al regolamento postale, sicché è sufficiente che il relativo avviso di ricevimento sia sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale, non dovendo risultare da esso la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario” (vedi Cass. n. 27479 del 2016); ed ancora che “In tema di notificazioni a mezzo posta, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 14, l’avviso di accertamento o liquidazione senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla legge citata attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 c.p.c. Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato nella impossibilità senza sua colpa di prenderne cognizione.(Cass. n. 14501 del 2016); e da ultimo che “In tema di notificazione della cartella esattoriale relativa a contributi previdenziali, eseguita ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 140 c.p.c., la raccomandata con la quale viene data notizia del deposito nella casa comunale, avendo finalità informativa e non tenendo luogo dell’atto da notificare, non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazione a mezzo posta ma solo alle disposizioni relative alla raccomandata ordinaria disciplinate dal regolamento postale; pertanto, fatta salva querela di falso, non sussiste alcun profilo di nullità ove essa venga consegnata nel domicilio del destinatario e l’avviso di ricevimento venga sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale senza che risulti da esso la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario, con superabilità della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. solo se il destinatario provi di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prendere cognizione del plico.” (Vedi Cass. n. 24780 del 2018).

2.4 In applicazione di tale principi, va dunque ribadito che il perfezionamento della notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., necessita del compimento di tutti gli adempimenti stabiliti da tale norma, con la conseguenza che, in caso di omissione di uno di essi la notificazione è da considerarsi nulla.

La notificazione è, invece, inesistente quando essa manchi del tutto ovvero sia stata effettuata in modo assolutamente non previsto dalla legge, come, ad es., nel caso sia avvenuta in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano attinenza alcuna (o che non presentino alcun…. riferimento o collegamento) con il destinatario della notificazione stessa, risultando a costui del tutto estranea.

2.5 Nella specie la notifica va necessariamente ritenuta nulla in quanto non può ritenersi che siano stati effettuati tutti gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c. per il perfezionamento del procedimento notificatorio, né tale omissione è imputabile al destinatario.

La raccomandata, contenente la notizia del deposito presso la casa comunale dell’atto impositivo – atto che come risulta dalla relata non è stato consegnato al contribuente per una sua irreperibilità c.d. relativa – a causa di un errore o negligenza dell’ufficiale postale, che ha apposto sull’avviso di ricevimento la dicitura “sconosciuto” riferita al destinatario, pur essendone rimasta invariata la residenza, come già attestato dal messo notificatore che ne aveva constatato la temporanea assenza affiggendo anche l’avviso alla porta dell’abitazione, non è pervenuta senza sua colpa nella sua sfera di conoscibilità.

Come già affermato da questa Corte, infatti, non sussiste per legge alcun obbligo per i soggetti giuridici, di affiggere il proprio nominativo sui citofoni o sulla cassetta postale del luogo di abitazione (Vedi in Cass. n. 11183 del 2003 e Cass. n. 9798 del 2013), inoltre nella specie sussiste la prova che tale omissione non aveva impedito al messo notificatore di individuare in quel luogo la residenza del contribuente.

Poiché tale avviso è stato a sua volta restituito al mittente, e quindi sussiste la prova del mancato recapito, non possono neanche trovare applicazione i principi in tema di presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c.; neppure sussiste la prova dell’imputabilità al contribuente della mancata consegna, risultando al contrario attestato da un pubblico ufficiale che egli fosse reperibile presso quell’indirizzo e non ivi sconosciuto.

Né tanto meno, a fronte di una ipotesi di nullità della notifica, può ritenersi che tale vizio sia stato sanato per raggiungimento dello scopo, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui il medesimo, in sede di ricorso giurisdizionale contro l’atto, ne abbia diffusamente contestato il contenuto dimostrando di averne avuto in ogni caso conoscenza (da ultimo vedi Cass. n. 11043 e n. 11051 del 2018 e n. 265 del 2019), contestazioni che in questo caso non risultano articolate.

3. Quanto alle conseguenze della nullità della notifica degli avvisi di accertamento, si ricorda che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, consente al contribuente di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria; spetterà quindi al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta, con la conseguenza che, nel primo caso dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale, con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda della decorrenza dei termini di decadenza, mentre nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza o meno di tale pretesa (Sez. U, n. 5791/2008, Botta, Rv. 602254-01, conforme Sez. T, n. 1144/2018, Tricorni L., Rv. 646699-01).

Poiché il contribuente ha optato per la sola impugnazione dell’atto conseguenziale, ne va dichiarata l’illegittimità per la mancata notifica degli atti presupposti.

4. Da quanto esposto, accolto il primo motivo, assorbito il secondo, segue la cassazione della sentenza impugnata, e con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, l’accoglimento del ricorso introduttivo.

5. In considerazione dell’esito finale della lite, tenuto conto che la questione giuridica ha trovato soluzione alla luce di interventi legislativi e giurisprudenziali complessi e, per giunta, in parte sopravvenuti in corso di causa, va disposta la compensazione delle spese processuali dei gradi di merito; alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente;

compensa le spese dei giudizi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare al contribuente le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 4.100,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019


Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 19-03-2019) 27-06-2019, n. 17346

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14327-2018 proposto da:

B.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI, 123, presso lo studio dell’avvocato MAIORANA ROBERTO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente-

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 818/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 04/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TERRUSI FRANCESCO.

Svolgimento del processo
Che:

B.I. ricorre per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello di Perugia che, decidendo sul gravame nei confronti dell’ordinanza che aveva negato la protezione internazionale e quella umanitaria, ha dichiarato estinto il processo d’impugnazione per omessa osservanza dell’ordine di rinnovazione della notifica della citazione all’avvocatura dello Stato;

la corte d’appello ha sottolineato che, constatata la mancata notifica all’avvocatura dello Stato, l’appellante aveva chiesto un termine per rinnovarla; dopodichè, però, non aveva provveduto al rinnovo affermando di ritenere valida la notifica precedentemente effettuata ai sensi del R.D. n. 1611 del 1910, art. 11;

il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 291 c.p.c. e del citato R.D. n. 1611 del 1910, art. 11;

il Ministero dell’interno non ha svolto difese.

Motivi della decisione
Che:

il ricorso è inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c., n. 3);

secondo l’impugnata sentenza la notifica era stata fatta ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis;

la L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, prevede che “la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”;

l’impugnata sentenza riferisce che l’appellante aveva fatto la notificazione utilizzando un indirizzo “non risultante dai predetti elenchi”;

il ricorrente ha censurato la decisione in base a un ragionamento astratto: egli – come d’altronde espressamente riferito a pag. 6 del ricorso – si è limitato “a esporre una serie di pronunce e orientamenti” a suo dire finalizzati a “chiarire la questione”; orientamenti incentrati sull’affermazione che la notifica sarebbe da considerare valida “anche se il registro indicato fosse il registro Ipa”, ovvero sul rilievo che anche l’indice cd. Ini-Pec è un pubblico elenco, ovvero ancora sulla considerazione che la modalità di perfezionamento della notificazione telematica postula “che la notificazione provenga da un indirizzo Pec (..) a un altro indirizzo Pec, sempre risultante da pubblici elenchi” e che “giunga a compimento il meccanismo telematico che assicura la certezza della procedura di recapito”;

tutte queste considerazioni a niente servono, dal momento che nel ricorso non è specificato come sia stata in concreto eseguita la notificazione a fronte di quanto puntualmente affermato in ordine all’effettuazione “a un indirizzo non risultante dai predetti elenchi”; non deve farsi applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 27-03-2019) 26-06-2019, n. 17198

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9460-2018 R.G. proposto da:

P.F.A.L., rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Giorgio SAGLIOCCO, presso il cui studio legale, sito in Caserta, alla via Roma, n. 96, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 611/18/2017 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, Sezione staccata di CATANIA, depositata il 22/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/03/2019 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue:

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo di maggiori imposte risultanti da avvisi di accertamento emessi con riferimento agli anni d’imposta 2004, 2005 e 2006, rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sul rilievo che gli atti impostivi prodromici alla cartella di pagamento erano divenuti definitivi per essere stati regolarmente notificati al domicilio fiscale del medesimo, risultante dalle dichiarazioni fiscali presentate.

2. Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Il primo motivo di ricorso, incentrato sulla nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente è infondato e va rigettato in quanto la CTR nella sentenza impugnata non ha fatto alcun acritico rinvio al deliberato di primo grado ma ha espresso una ben identificabile ratio decidendi, là dove ha sostanzialmente ritenuto regolare la notifica degli avvisi di accertamento in quanto “effettuate al domicilio fiscale del contribuente risultante dalle sue comunicazioni fiscali e, quindi, dall’anagrafe tributaria”; non si rileva, pertanto, l’imperscrutabilità della ratio che rende nulla la sentenza per apparenza motivazionale (Cass. SU 22232/2016 Rv. 641526).

4. Anche il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce la nullità della sentenza per motivazione contraddittoria, è infondato e va rigettato. Invero, le due enunciazioni cui ha fatto riferimento il ricorrente non sono per nulla in contrasto tra loro, in quanto è ben evidente che la CTR, nell’individuazione del domicilio fiscale del contribuente, intendesse riferirsi a quello dal medesimo indicato nell’ultima dichiarazione presentata, ferma restando l’omessa presentazione delle successive, come peraltro emerge chiaramente dall’affermazione dei giudici di appello secondo cui “Restano, quindi, validi i dati fino ad allora forniti all’Amministrazione”. In ogni caso difetta il requisito della “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” (ex multis, Cass. n. 23940 del 2017) che solo giustificherebbe la dichiarazione di nullità del deliberato.

5. Con il terzo motivo, incentrato sulla questione della regolarità della notifica effettuata presso il domicilio fiscale risultane dall’ultima dichiarazione presentata, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 47 c.c., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 nonché vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che aveva errato la CTR ad applicare le disposizioni censurate e omesso di esaminare la documentazione anagrafica prodotta in giudizio.

5.1. Il motivo è inammissibile perché con lo stesso il ricorrente prospetta un pluralità di censure, tra loro inestricabilmente connesse, in violazione del principio di chiarezza e specificità dei motivi di ricorso (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18021 del 14/09/2016). In ogni caso il motivo è infondato alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui “In tema di accertamento delle imposte dei redditi, in caso di originaria difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 4, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento” (Cass. n. 15258 del 2015; coni. Cass. n. 25680 del 2016).

6. Pertanto, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 14-05-2019) 25-06-2019, n. 16956

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. RG. 2535/2017, proposto da:

Equitalia Servizi Riscossione S.p.A., (già Equitalia Sud S.p.A.), in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa dall’Avv.to Mario Signore, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini n. 114/B, presso lo studio dell’Avv.to Coletta, giusta procura in calce al ricorso.

– ricorrente –

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’avvocatura generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12. – controricorrente adesivo –

I.C.;

– intimato-

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 3947/39/16 del 28/04/2016 non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2019 dal Consigliere Dott.ssa D’Angiolella Rosita;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore della Repubblica Dott.ssa Tassone Kate, che ha così concluso: “fondato il secondo motivo, assorbito il terzo”. Udito l’Avv.to Giancarlo Caselli, per l’avvocatura Generale dello Stato.

Svolgimento del processo
I fatti che hanno originato la presente controversia riguardano il ricorso proposto da I.C., avverso tre avvisi di intimazione di pagamento, per l’anno 2009, emessi da Equitalia Sud, relativi a cartelle esattoriali non notificate al contribuente.

La Commissione Tributaria Provinciale di Latina (di seguito, CTP), accoglieva il ricorso ritenendo l’invalidità del procedimento notificatorio.

La sentenza della CTP veniva impugnata da Equitalia innanzi alla CTR del Lazio la quale, con la sentenza in epigrafe, confermava la sentenza dei primi giudici, ritenendo l’irregolarità del procedimento di notifica al contribuente “posto che è stato effettuato il deposito alla casa comunale ma senza farlo precedere dall’affissione alla porta di casa dell’avviso nè è stato seguito dalla prescritta raccomandata. Va a tal proposito ricordato che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che in tema di notifica di cartella di pagamento nei casi di irreperibilità relativa del destinatario… va applicato l’art. 140 c.p.c…”.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 30752, depositata in data 23/11/2018 – pronunciata sul primo motivo di ricorso proposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, da Equitalia Servizi Riscossione S.p.A. (di seguito, per brevità, Equitalia) contro I.C., avverso la sentenza di cui in epigrafe, n. 3947 del 17/06/2016 della Commissione Tributaria Centrale del Lazio (di seguito, per brevità, CTR) – hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento alla cartella di pagamento relativa a contributi previdenziali, trattandosi di credito non avente ad oggetto tributi, ed hanno, conseguentemente, rimesso a questa sezione tributaria la decisione sugli ulteriori motivi di ricorso proposti da Equitalia, in quanto riguardanti crediti di natura tributaria.

Questa Corte è dunque chiamata a decidere sui restanti due motivi di ricorso proposti da Equitalia, cui ha aderito con controricorso adesivo l’Agenzia delle Entrate, rimanendo il contribuente, I.C., intimato.

Il ricorso è stato chiamato all’odierna udienza pubblica a seguito di avviso notificato a mezzo PEC con invio telematico perfezionatosi in data 05/04/2019.

Motivi della decisione
1. Come esposto in narrativa, il ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a tre motivi. Poiché il primo motivo è stato già accolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 23/11/2018 n. 30752, che ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento alla cartella di pagamento, relativa a contributi previdenziali, (cartella n. (OMISSIS) e intimazione n. (OMISSIS)), l’oggetto della presente decisione riguarda i restanti due motivi di gravame.

2. Con il secondo motivo di ricorso (sub b)) l’Agenzia delle entrate deduce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per deficit strutturale della decisione sulla notifica della cartella n. (OMISSIS) (intimazione n. (OMISSIS)) e della cartella n. (OMISSIS) (intimazione n. (OMISSIS)), per aver la CTR dichiarato l’invalidità della notifica delle cartelle di pagamento, sottese alle intimazioni di pagamento, senza operare alcun distinguo in relazione alle diverse di modalità notificatorie degli atti in questione e per aver erroneamente applicato le regole riguardanti la cd. irreperibilità relativa e non, invece, quelle della irreperibilità assoluta.

3. Con il motivo terzo motivo (sub c)) deduce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, per l’omessa rilevazione dell’assenza di vizi propri delle tre intimazioni facenti capo alle tre cartelle, e quindi, per aver rigettato l’eccezione d’inammissibilità del ricorso introduttivo atteso che, essendo avvenuta rettamente la notifica delle cartelle, ogni contestazione avverso il merito del credito, sollevata averso le successive intimazioni, era da considerarsi inammissibile in quanto proposta oltre i termini perentori di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21. Tale motivo (sub c)), a seguito della pronuncia sulla giurisdizione, è limitato alle intimazioni n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS).

4. Il secondo motivo è fondato nei limiti qui di seguito esposti.

5. Va premesso, in fatto, che l’impugnazione del contribuente, per vizio di notifica delle cartelle e delle relative intimazioni, è stata accolta dai giudici di merito, sul rilievo che il procedimento di notifica era irregolare, in quanto era stato effettuato il deposito alla casa comunale, senza essere preceduto dall’affissione alla porta di casa dell’avviso, nè essere seguito dalla prescritta raccomandata. I giudici di merito, ritenendo sussistente un’ipotesi d’irreperibilità relativa, hanno dichiarato l’inesistenza della notifica della cartella, all’uopo richiamando la giurisprudenza di legittimità, con la pronuncia del 26/11/2014 n. 25079, Rv. 634229-01, come consolidatasi a seguito della pronuncia del 22/11/2012 n. 258 della Corte Costituzionale, evidenziando che la notifica della cartella di pagamento, per poter essere valida, va effettuata con tutte le formalità previste dall’art. 140 c.p.c., in combinato disposto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, u.c., e art. 60, comma 1 alinea, e quindi incluso l’inoltro e l’effettiva ricezione del destinatario della raccomandata informativa del deposito presso la casa comunale.

6. Dagli atti allegati al ricorso risulta che:

– la cartella numero (OMISSIS) (intimazione n. (OMISSIS)) è stata notificata, a mezzo del servizio postale, con raccomandata indirizzata presso la sede/domicilio fiscale della società Autotrasporti I. s.n.c. di V.L., (OMISSIS), sottoscritta per ricevuta in data 8 giugno 2011 da soggetto qualificatosi destinatario ( V.L.), soggetto risultante, dalla visura camerale allegata, socia della società;

– la cartella n. 057200915158175 (intimazione n. (OMISSIS)), risulta, invece, notificata a mezzo di messo notificatore: dalla relata di notifica risulta che “oggi 24/06/2010 (OMISSIS) la società autotrasporti il I. snc non risulta” e che l’ufficiale notificatore ha depositato l’atto in Comune con affissione all’albo dell’avviso di deposito, in data 7/7/2010.

6. Orbene, con riguardo alla doglianza riguardante la verifica della regolarità del procedimento notificatorio, non v’è dubbio che, come assume la ricorrente, i secondi giudici hanno errato a non verificare la sussistenza dei presupposti di legge richiesti per la validità del procedimento notificatorio afferente a ciascuna cartella, dichiarando, cumulativamente, l’inesistenza di tutte le notifiche in quanto effettuate in violazione dall’art. 140 c.p.c..

6.1. Ciò che i secondi giudici non hanno considerato è che la notifica di una cartella esattoriale può legittimamente avvenire secondo le forme ordinarie o con messo notificatore, ovvero mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento (v. D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, anche nella formulazione vigente al tempo della notifica delle cartelle di cui trattasi e cioè nella formulazione in vigore dal 31/05/2010 a seguito delle modifiche intervenute con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 38), sicché è rispetto alla procedura notificatoria azionata che va riscontrato la validità e, quindi, il perfezionamento della notifica.

6.2. Quanto alla notifica avvenuta mediante invio, da parte dell’esattore, di una raccomandata con avviso di ricevimento, è ius receptum che la notifica si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza che sia necessario redigere un’apposita relata di notifica, in quanto il citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, prescrive solo l’onere per l’esattore di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con l’avviso di ricevimento. A conferma della regolarità di tale sistema notificatorio, è stato soggiunto che la consegna del plico al domicilio del destinatario perfeziona la notifica senza altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale, se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente, e ciò in quanto “l’avvenuta effettuazione della notificazione, su istanza del soggetto legittimato, e la relazione tra la persona cui è stato consegnato l’atto ed il destinatario della medesima costituiscono oggetto di una attestazione dell’agente postale assistita dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c.”. (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4275 del 21/02/2018, Rv. 647134-01; cfr. Cass. n. 16949 del 2014, Rv. 632505-01).

6.3. La giurisprudenza di questa Corte ha, altresì, precisato che qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. 20 novembre 1982, n. 890 e che, quindi, secondo le regole che riguardano la ricezione degli atti per posta ordinaria, l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. (cfr. Sez. 6-5, Ordinanza n. 12083 del 13/06/2016, Rv. 64002501; Sez. 5, Sentenza n. 15315 del 04/07/2014, Rv. 63155101; Sez. 5, Sentenza n. 16528 del 22/06/2018, Rv. 64922702).

6.4. E’ opinione comune, che tale interpretazione poggia sulla finalità di rilievo costituzionale riguarda la funzione pubblicistica della pronta riscossione del credito fiscale posto a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato, finalità che, dunque, ha ispirato sia le decisioni di questa Corte che quella dei giudici delle leggi. (cfr. Sez. 5, n. 28872 del 12/11/2018, Rv. 651834-01; da ultimo, cfr. Corte Costituzionale 26/04/2019 n. 104, che sulla scia dei suoi precedenti pronunciati ribadito nei precedenti pronunciati della stessa Corte Costituzionale, nn. 175 e 90 del 2018 e n. 281 del 2011, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14 e della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 161, nella parte in cui consentono la notificazione diretta degli atti impositivi e dei ruoli a mezzo di servizio postale di raccomandata con ricevuta di ritorno).

7. Va da sé, dunque, che nel caso in cui la notifica venga effettuata nelle forme ordinarie, si pongono tutte le questioni che afferiscono al comune procedimento notificatorio.

7.1. In particolare è orientamento ormai consolidato quello secondo cui in caso di cd. “irreperibilità relativa” del destinatario – vale a dire, nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c., come recita il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, – tenuto conto degli esiti della sentenza della corte Cost. 22 novembre 2012, n. 258, va applicato l’art. 140 c.p.c. in virtù del combinato disposto del citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, alinea e, sicchè è necessario ai fini del suo perfezionamento che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario dell’effettiva ricezione della raccomandata/informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9782 del 19/04/2018, Rv. 647736 – 01).

7.2. Viceversa, in caso d’irreperibilità assoluta – ipotesi in cui non v’è alcun luogo conosciuto nell’ambito di quel comune in base all’ordinaria attività che deve essere svolta dal messo notificatore – è applicabile soltanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), a mente del quale il messo notificatore o l’ufficiale giudiziario, devono svolgere ricerche volte a verificare che ricorra l’irreperibilità assoluta del contribuente, ossia che quest’ultimo non abbia più nè l’abitazione, nè l’ufficio o l’azienda, nel Comune nel quale aveva il domicilio fiscale (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 6765 del 08/03/2019, Rv. 653075-01; n. 2877 del 2018, Rv. 647109-01, n. 9279 del 1998, Rv. 518986-01, n. 24260 del 2014).

8. Orbene, è evidente che la decisione dei secondi giudici è inadeguata strutturalmente, proprio perché ha dichiarato la nullità di tutte le cartelle e degli atti conseguenziali, per vizio del procedimento notifica di cui all’art. 140 c.p.c., senza alcuna verifica, né argomentazione che spiegasse le ragioni della ritenuta inesistenza e omettendo del tutto di considerare che la notifica della cartella di pagamento può ben avvenire, oltre che a mezzo messo notificatore, anche mediante invio di una raccomandata con avviso di ricevimento, che in questo caso la notifica si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario legittimato a riceverla; anche per la notifica a mezzo messo, ha omesso del tutto di verificare se trattavasi di irreperibilità assoluta o irreperibilità relativa, se il messo notificatore avesse svolto ricerche circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto e se fossero stati effettuati tutti gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c. per il perfezionamento del procedimento- notificatorio.

9. In definitiva, la motivazione della sentenza qui impugnata appare molto al di sotto del cd. minimo costituzionale, in quanto ha compiuto, in maniera del tutto inadeguata la disamina logica e giuridica degli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento, rinviando genericamente e acriticamente alla normativa ritenuta applicabile senza sussunzione alcuna della fattispecie concreta al precetto generale, con conseguente nullità della sentenza (sui parametri minimi di motivazione, cfr. Cass., Sez. U., 07/04/2014 n. 8053 e 03/11/2016 n. 22232; cfr., altresì, per il vizio di motivazione collegato alla funzione dell’appello, Cass., 10/01/2003 n. 196).

10. Il terzo motivo di ricorso (sub c)), rimane assorbito dall’accoglimento del secondo.

11. Il ricorso va pertanto accolto in relazione al secondo motivo, l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, perché proceda ad un nuovo esame della controversia, sulla base dei principi esposti, nonchè perchè provveda sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2019


Comm. trib. regionale Piemonte Torino Sez. III, Sent., 11-06-2019, n. 757

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI PIEMONTE
TERZA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:
GIUSTA MAURIZIA – Presidente e Relatore
BUCARELLI ENZO – Giudice
CAPUTO ANTONIO – Giudice
ha emesso la seguente
SENTENZA
– sull’appello n. 1188/2018
depositato il 03/12/2018
– avverso la pronuncia sentenza n. 444/2018 Sez:6 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di TORINO
contro:
(…)
difeso da:
(…)
e da
(…)
proposto dall’appellante:
AGENZIA ENTRATE DIREZIONE REGIONALE PIEMONTE
Atti impugnati:
AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRES-ALTRO 2012
AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IVA-ALIQUOTE 2012
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate -Direzione Regionale del Piemonte- operava una verifica fiscale per gli anni d’imposta 2012 e 2013 nei confronti della società (…) che si concludeva con processo verbale di constatazione in data 12.9.2016.
All’esito della verifica fiscale l’Ufficio emetteva e notificava in data 24.7.2017 l’avviso di accertamento n.(…) per l’anno di imposta 2012, formulando le seguenti contestazioni;
-IRES interessi attivi al tasso legale ai sensi dell’art.89, c. 5 D.P.R. n. 917 del 1986 -maggiore imponibile euro 1.042.707,99;
-IRES interessi attivi su capitale sociale in violazione dell’art. 89, c. 5 D.P.R. n. 917 del 1986 -maggiore imponibile euro 750.000,00;
-IVA errata applicazione dell’Iva in violazione dell’art.21 D.P.R. n. 633 del 1972; maggiore imposta euro 63.085,00;
-IVA indebita detrazione in violazione dell’art. 19 D.P.R. n. 633 del 1972; maggiore imposta euro 186.554, 55.
Con ricorso presentato alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino la società (…) impugnava l’avviso di accertamento e irrogazione di sanzioni deducendo, quali motivi di annullamento, le seguenti circostanze:
-giuridica inesistenza della notifica dell’atto impoesattivo e quindi giuridica inesistenza dell’atto stesso trattandosi di atto recettizio che non si perfeziona se non in quanto notificato;
-violazione dell’art.42 D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56 D.P.R. n. 633 del 1972;
– illegittimità dell’atto per violazione del principio del contraddittorio;
– nel merito, infondatezza dei rilievi relativi a interessi attivi da prefinanziamento; interessi attivi da presunto finanziamento ai soci; Iva e conseguente asserita errata fatturazione al 10% delle somme corrisposte a titolo di premi di accelerazione; insussistenza dell’indebita detrazione dell’Iva ad aliquota ordinaria, applicata sulle fatture della (…) ricevute da (…) e inerenti alla Direzione dei lavori;
-violazione dell’art.7 e degli artt. 4 e 5 D.Lgs. n. 472 del 1997 nonché dell’art. 7 D.L. n. 269 del 2003 illegittimità dell’applicazione della sanzione per mancata valutazione delle cause di non punibilità, mancata individuazione del trasgressore e della sussistenza dell’elemento soggettivo integrante l’illecito.
L’Agenzia delle Entrate svolgeva controdeduzioni eccependo l’infondatezza delle doglianze della ricorrente.
La Commissione Tributaria Provinciale di Torino con sentenza n. 444/06/18, pronunciata in data 10.4.2018 accoglieva il ricorso e disponeva la compensazione delle spese di lite.
Argomentava la Commissione Tributaria Provinciale di Torino che costituiva “profilo assorbente” l’eccezione proposta dalla ricorrente di violazione dell’art. 2 del CAD D.Lgs. n. 82 del 2005, nonché di violazione dell’art. 23 D.Lgs. n. 82 del 2005, ritenendo pacifico tra le parti il fatto che l’atto impugnato sia stato sottoscritto in forma digitale e notificato nelle forme ordinarie, dando atto della conformità della copia cartacea notificata all’originale archiviato presso l’Ufficio.
Per la riforma di tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate -Direzione Regionale del Piemonte per i seguenti motivi:
-nullità della sentenza per travisamento dei fatti in quanto l’avviso di accertamento era sottoscritto in forma autografa e non in forma digitale;
-vizio di ultrapetizione in ragione della mancata proposizione dell’eccezione di violazione dell’art. 2 del CAD e dell’art. 23 D.Lgs. n. 82 del 2005 da parte della società ricorrente, facendo rilevare che la sentenza impugnata aveva accolto un’eccezione in realtà mai formulata dalla parte ricorrente;
-legittimità e fondatezza dei singoli rilievi, analiticamente esaminati e illustrati;
-legittimità dell’irrogazione delle sanzioni.
La parte appellante chiedeva pertanto l’accoglimento delle conclusioni sopra riportate.
La società (…) si costituiva nel giudizio di appello con memoria di controdeduzioni e appello incidentale; dichiarava di aderire alla contestazione svolta dall’Ufficio con il primo motivo di appello relativo alla nullità della sentenza per travisamento dei fatti e vizio di ultrapetizione assumendo che la sentenza appellata aveva accolto un’eccezione di violazione dell’art. 2 del CAD e dell’art. 23 D.Lgs. n. 82 del 2005 in realtà mai formulata dalla parte ricorrente e insussistente sul piano fattuale; chiedeva pertanto la riforma della sentenza di primo grado, riproponendo tutti i motivi del ricorso introduttivo, ritualmente dedotti e non esaminati; deduceva, in via preliminare l’inammissibilità dell’appello in quanto sottoscritto da soggetto non legittimato.
Entrambe le partì depositavano successivamente memorie illustrative.
All’esito della pubblica udienza del 27.5.2019 la Commissione decideva come da dispositivo in calce alla presente sentenza.
Motivi della decisione
Osserva preliminarmente la Commissione che la sentenza appellata deve essere annullata per travisamento dei fatti e vizio di ultrapetizione, in accoglimento del primo motivo di appello formulato dall’appellante, cui ha dichiarato di aderire la parte appellata; la conclusione discende dal rilievo che la sentenza impugnata ha accolto un’eccezione di violazione dell’art. 2 del CAD e dell’art. 23 D.Lgs. n. 82 del 2005 in realtà mai formulata dalla parte ricorrente.
Passando all’esame dell’eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello in quanto sottoscritto da soggetto non legittimato, osserva il Collegio che la parte appellata ha evidenziato che l’atto di appello reca la sottoscrizione del Dott. (…) non quale soggetto autonomamente legittimato ma quale soggetto legittimato per delega del Direttore generale Dott. (…) senza peraltro allegare copia di tale atto di delega e senza indicarne gli estremi.
L’assunto non è accoglibile in quanto superato dalla considerazione che dalla delega di firma prodotta dall’Agenzia delle Entrate quale allegato alla memoria illustrativa risulta che il Direttore generale Dott. (…) conferiva delega al Dott. (…) (Dirigente Ufficio legale e riscossione) per varie attribuzioni, tra cui -per quanto qui rileva- la trattazione di controversie in cui è parte la Direzione Regionale, ivi comprese quelle relative ad atti emessi dall’Ufficio Grandi contribuenti, con tutte le inerenti attività di rappresentanza in giudizio, sottoscrizione di atti processuali e conciliazione giudiziale.
L’appello va pertanto dichiarato ammissibile e deve essere esaminato il motivo pregiudiziale svolto dalla società (…) con il primo motivo di ricorso e in questa sede riproposto nella forma di appello incidentale.
Al riguardo, la società appellata ha affermato la giuridica inesistenza della notifica dell’atto impoesattivo e dell’atto stesso trattandosi di atto recettizio che non si perfeziona se non in quanto notificato.
Secondo l’assunto dell’appellata l’atto impoesattivo cumula in sé, in modo indissolubile, le tre funzioni di accertamento, titolo esecutivo e precetto e trova la sua specifica disciplina nell’art. 29 del D.L. n. 78 del 2010, conv. in L. n. 122 del 2010.
Osserva la Commissione che la tesi di parte appellata, sul punto, trova riscontro nel dettato normativo, secondo l’interpretazione che appare preferibile.
La disciplina dell’azione impositiva realizzata con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ispirata a ragioni di economicità e funzionalità operativa, ha inteso eliminare la tradizionale separazione tra il momento impositivo del prelievo e il momento esattivo, prevedendo l’emissione di un solo provvedimento che comprende in sé, in modo inscindibile, sia l’attività impositiva, sia quella di formazione del titolo esecutivo e del precetto, si dà legittimare l’avvio dell’esecuzione forzata senza la necessità della formazione del ruolo e della sua riproduzione nella cartella di pagamento da parte dell’agente della riscossione.
Dal momento della notifica dell’atto così delineato decorre un termine, variamente articolato in funzione di eventi variabili, per la produzione di effetti che, in difetto di adempimento spontaneo, consentono l’immediato accesso alla procedura espropriativa.
La citata disposizione (art. 29 del D.L. n. 78 del 2010, conv. in L. n. 122 del 2010) al primo comma, lettera a) espressamente prevede che l’atto indicato debba essere notificato e che dal decorso di un ulteriore termine dalla notifica derivi l’efficacia di titolo esecutivo; il secondo periodo dell’art. 29 del D.L. n. 78 del 2010, primo comma, lettera a) stabilisce che l’intimazione ad adempiere al pagamento è contenuta altresì nei successivi atti da notificare al contribuente – anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento- in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, Irap e Iva.
Appare conforme al tenore letterale della normativa richiamata distinguere tra atto impoesattivo c.d. primario (disciplinato dal primo periodo della lettera a) dell’art. 29 comma primo del D.L. n. 78 del 2010 e atto impoesattivo c.d. secondario, cui si riferisce il secondo periodo dell’art. 29 del D.L. n. 78 del 2010, primo comma, lettera a) sopra riportato.
Ritiene il Collegio che dalla lettura dei dati normativi citati si evince che l’atto impoesattivo c.d. primario deve essere notificato in senso proprio, tramite un agente della notificazione che deve redigere e sottoscrivere la relativa relata, in considerazione della sua attitudine ad acquisire efficacia esecutiva; che gli atti impoesattivi secondari possono anche essere inviati direttamente dall’Ufficio che li ha formati, anche avvalendosi del servizio postale
Riguardo all’atto impoesattivo c.d. primario l’art. 29 del D.L. n. 78 del 2010, al primo comma, lettera a) periodo primo parla di notificazione senza ulteriori specificazioni, rinviando a quanto disposto dall’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 che disciplina la notificazione eseguita tramite messi, mentre relativamente agli atti impoesattivi secondari l’art. 29 del D.L. n. 78 del 2010, al primo comma, lettera a) – secondo periodo consente espressamente che la notifica possa avvenire anche direttamente, cioè senza l’intermediazione di messi notificatori, mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
L’indicata distinzione legislativa non può che essere intesa nel senso di ammettere la notifica “anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento” per i soli atti impoesattivi secondari.
Quanto alla funzione che la notificazione assume nella fattispecie impoesattiva, va rilevato che il citato art. 29, lettera b), dispone che gli atti di cui alla lettera a) divengono esecutivi decorso il termine utile per la proposizione del ricorso, legittimando l’agente della riscossione a procedere a espropriazione forzata sulla base dell’atto avente efficacia di titolo esecutivo senza la preventiva notifica della cartella di pagamento.
La circostanza che la decorrenza del termine inizia dal compimento della notificazione dell’atto impoesattivo primario attribuisce alla notificazione dell’atto stesso carattere costitutivo e produttivo dell’effetto dell’atto, che rientra pertanto nella categoria degli atti ricettizi in senso stretto; l’efficacia costitutiva della notificazione dell’atto per la produzione dei suoi effetti, inoltre, esclude la configurabilità di ipotesi di equipollenza o sanatoria, ivi compresa quella del raggiungimento dello scopo dell’atto, elaborata in riferimento agli atti processuali civili.
Discende da quanto sin qui detto che il difetto di notifica dell’atto impoesattivo primario comporta il mancato perfezionamento dell’atto stesso e l’inesistenza giuridica dei relativi effetti.
Nel caso in esame, costituisce un dato pacifico che l’atto impugnato è un atto impoesattivo primario che è stato spedito al destinatario direttamente dall’Ufficio con plico raccomandato con avviso di ricevimento senza una formale notificazione tramite l’intermediazione dell’organo notificatorio; in applicazione di principi giuridici sopra richiamati, si deve concludere affermando la giuridica inesistenza dell’atto e l’improduttività di ogni effetto.
Tale conclusione esime dal valutare le ulteriori questioni controverse tra le parti.
Per tali considerazioni, previa declaratoria di nullità della sentenza impugnata, deve provvedersi come da dispositivo.
Quanto al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla parziale soccombenza dell’appellata in punto eccezione di inammissibilità dell’appello e all’oggettiva controvertibilità della questione trattata, si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione.
P.Q.M.
La Commissione in accoglimento dell’appello incidentale dichiara la nullità dell’avviso di accertamento impugnato. Spese compensate.
Così deciso in Torino il 27 maggio 2019.


Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 21-03-2018) 03-12-2018, n. 31136

Notifica non andata a buon fine: le precisazioni della Cassazione

Per gli Ermellini il giudice non può rigettare la richiesta avanzata dalla parte, alla prima udienza di rinvio, di riprendere l’attività di notificazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28877-2016 proposto da:

P.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO n.23/A, presso lo studio dell’avvocato PETRASSI MAURO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LOSAPPIO BERNARDO;

– ricorrente –

contro

K.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 763/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 11/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/03/2018 dal Consigliere Dott. FALASCHI MILENA.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Il Tribunale di Grosseto, con sentenza n. 555 del 2015, pubblicata in data 03.06.2015, rigettava la domanda proposta da P.U. nei confronti di K.R. (quale proprietaria dell’azienda agricola), per la restituzione della somma di Euro 30.000,00, a suo dire versata a titolo di mutuo, condannandolo anche alla rifusione delle spese.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 7637 del 2016, pubblicata 1’11.05.2016, dichiarava inammissibile l’appello proposto da P.U. per l’inesistenza e/o nullità della notificazione dell’atto di citazione in appello essendo incorso nella decadenza di cui all’art. 327 c.p.c..

Avverso la sentenza della Corte distrettuale, P.U. propone ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo di ricorso.

L’intimata non ha svolto difese.

Ritenuto che il ricorso potesse essere accolto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore del ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa.

Atteso che:

l’unico motivo di ricorso (con il quale è dedotta la nullità della sentenza per vizio in procedendo, ex art. 360 c.p.c., comma 4) è fondato.

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Firenze ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello per essere P. incorso nella decadenza di cui all’art. 327 c.p.c, ritenendo impossibile la sanatoria dell’atto di appello ex art. 164 c.p.c.. In particolare, la Corte di merito ha ritenuto la nullità della notifica della citazione in appello, in quanto la stessa conteneva l’erronea indicazione del prenome del destinatario (con conseguente rinvio del plico al mittente), e ciò ne comportava la nullità e/o inesistenza.

Secondo recente orientamento di questa Corte a Sezioni Unite (sent. 20 luglio 2016 n. 14916) l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità; tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

Nella specie il giudice di merito ha accertato che l’atto di appello non è stato notificato per l’incertezza nell’indicazione del nome del difensore di una delle parti, avv. Cerboni Roberto, anzichè avv. Cerboni Alessandro, come risulta dall’avviso di accertamento, che non può costituire motivo di nullità se dal contesto dell’atto notificato risulti con sufficiente chiarezza l’identificazione di tutte le parti per poter effettuare la consegna dell’atto alle giuste parti.

In tal caso, infatti, la notificazione era idonea a raggiungere, nei confronti di tutte le parti, i fini ai quali tendeva e l’apparente vizio va considerato come un mero errore materiale che poteva essere agevolmente percepito sia dal postino sia dall’effettivo destinatario, interpellato dal primo (come emerge dalla stessa annotazione riportata nella relata, da cui si evince che il plico inizialmente è stato consegnato alla dipendente dello studio Cerboni, Martellacci Elena, per essere poi ritirato dallo stesso postino che ha barrato l’indicazione, riportata, infine, la diversa voce “per irreperibilità del destinatario”).

Ne consegue che l’esclusione dell’imputabilità di un errore a carico del ricorrente permetteva di passare all’esame della seconda questione, consistente nel verificare il comportamento tenuto dal P. dopo aver preso atto del fatto che, a causa dell’erroneità del prenome, la notifica richiesta non era andata a buon fine (in tal senso, v. Cass., Sez. Un., n. 14594 del 2016).

Infatti questa Corte a Sezioni Unite (sentenza 24 luglio 2009 n. 17352) ha fissato il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui la notificazione di un atto processuale da compiere entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, quest’ultimo, ove se ne presenti la possibilità, ha la facoltà e l’onere di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio, e la conseguente notificazione, ai fini del rispetto del termine, avrà effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie”.

Nella specie è certo che il ricorrente ha provveduto a richiedere alla prima udienza il rinvio onde poter riprendere l’attività di notificazione, a suo dire appreso in quella circostanza l’esito negativo della prima richiesta, e dunque la Corte di merito, facendo applicazione dei criteri dell’immediatezza dell’iniziativa e della sollecita diligenza nello svolgimento delle conseguenti attività, avrebbe dovuto accertare la tempestività della richiesta alla luce dell’orientamento sopra richiamato (cfr Cass. Sez. Un. n. 14594 del 2016 cit.), prima di adottare il provvedimento di rigetto dell’istanza ex art. 291 c.p.c., essendo mancata, per vero, ogni verifica in tal senso da parte del giudice dell’impugnazione.

In conclusione, va accolto il ricorso principale, assorbito l’incidentale; la sentenza impugnata va quindi cassata ed il giudizio rinviato, per nuovo esame della vicenda alla luce dei principi sopra illustrati, a diversa Sezione della Corte d’appello di Firenze, a cui viene rimessa anche la liquidazione delle spese di legittimità.

Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, a diversa Sezione della Corte di appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 12-12-2018) 24-05-2019, n. 14177

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA E. Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO G. Maria – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3007/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

AGESP s.p.a. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, e C.F., elettivamente domiciliati in Roma, via Oriani n. 32, presso lo studio degli avv.ti Giuseppe Di Masi e Giuseppe Berti, che li rappresentano e difendono giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

AGESP s.p.a. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 122/02/09, depositata il 16 dicembre 2009.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 dicembre 2018 dal Cons. Giacomo Maria Nonno.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’avv. Giammario Rocchitto per la ricorrente e l’avv. Giuseppe Berti per i controricorrenti.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 122/02/09 del 16/12/2009 la CTR della Lombardia dichiarava inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 143/12/07 della CTP di Varese, che aveva accolto i ricorsi riuniti della AGESP s.p.a., cf. (OMISSIS) (hinc Incorporante), e dal sig. C.F., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della AGESP s.p.a., c.f. (OMISSIS) (hinc Incorporata), avverso l’avviso di accertamento, notificato a quest’ultima, per IRPEG, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2003.

1.1. Il giudice di appello premetteva che: a) l’Incorporata si era estinta a seguito di incorporazione nell’Incorporante in epoca antecedente alla notificazione dell’avviso di accertamento; b) pertanto, in ragione della inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento nei confronti di un soggetto già estinto, la CTP “accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava l’avviso di accertamento”; c) la sentenza della CTP era impugnata dalla Agenzia delle entrate nei confronti di C.F., in proprio e nella qualità di ex legale rappresentante della Incorporata; d) l’Incorporante interveniva nel giudizio di appello.

1.2. La CTR motivava l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio evidenziando che: a) il ricorso in appello era stato proposto nei soli confronti della Incorporata, cioè di un “soggetto non più esistente a seguito della fusione con la società incorporante”; b) detto ricorso avrebbe dovuto essere correttamente notificato alla Incorporante, essendo quest’ultima divenuta, a seguito dell’estinzione della società incorporata, il solo soggetto passivo del rapporto; c) ne conseguiva l’inammissibilità dell’appello – non proposto nei confronti dell’unico soggetto legittimato, che era l’Incorporante – con la conseguente conferma della decisione del primo giudice.

2. L’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con tempestivo ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

3. La Incorporante e il sig. C. resistevano con controricorso e depositavano memoria ex art. 380 c.p.c., bis.1.

4. Con ordinanza resa all’esito dell’udienza del 20/03/2018, questa Corte, ritenuti insussistenti i presupposti di legge per la trattazione della controversia in camera di consiglio, ne disponeva il rinvio alla pubblica udienza.

Motivi della decisione
1. Vanno prima di tutto esaminate le eccezioni pregiudiziali proposte da parte controricorrente, che sono infondate.

1.1. In primo luogo, va evidenziato che, ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 72, l’Agenzia delle entrate può avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato ex art. 43 T.U. approvato con R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 e successive modificazioni, senza la necessità di speciali autorizzazioni (Cass. n. 12152 del 18/03/2005; Cass. n. 24623 del 20/11/2006), restando i rapporti tra il Direttore dell’Agenzia e l’Avvocatura erariale in ambito puramente interno (Cass. n. 28325 del 07/11/2018), sicché non c’è necessità di alcuna procura scritta rilasciata all’Avvocatura ex art. 82 c.p.c. perchè quest’ultima rappresenti in giudizio l’Agenzia, derivando il potere di rappresentanza direttamente dalla legge.

1.2. Secondariamente, la difesa erariale ha correttamente censurato le uniche statuizioni della CTR, che si è limitata ad esaminare alcune questioni processuali senza entrare nel merito della pretesa fiscale. Ne consegue che questa Corte, in assenza di una pronuncia sul merito della CTR, non potrebbe in alcun caso affrontare le questioni ritenute assorbite.

2. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2504 bis c.c. e degli artt. 110, 300 e 330 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziando l’erroneità della sentenza della CTR nella parte in cui ha ritenuto l’inammissibilità dell’appello in ragione della sua notificazione a soggetto estinto per incorporazione, non producendo la fusione per incorporazione l’estinzione della società incorporata.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziandosi che la notificazione del ricorso in appello a C.F., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Incorporata, ha pregiudicato unicamente il litisconsorzio necessario di natura processuale, pregiudizio, peraltro, sanato con la spontanea costituzione dell’Incorporante.

4. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, involgendo questioni connesse.

4.1. Va premesso che il giudizio di primo grado si è svolto nei confronti sia della Incorporante che di C.F., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’Incorporata. Le parti hanno proposto autonomi ricorsi, poi riuniti e decisi dalla CTP di Varese, che – preso atto dell’estinzione della Incorporata a seguito della fusione per incorporazione, intervenuta sotto la vigenza del nuovo art. 2504 bis c.c. e in epoca antecedente alla notificazione, nei soli confronti dell’Incorporata, dell’avviso di accertamento – ha ritenuto l’inesistenza di tale ultima notificazione, annullando l’atto impositivo.

4.1.2. L’Agenzia delle entrate ha appellato la sentenza della CTP unicamente nei confronti di C.F., in proprio e nella qualità di legale rappresentate dell’Incorporata, anche se nel giudizio di appello è intervenuta anche l’Incorporante.

4.2. La CTR ha ritenuto che l’appello proposto nei confronti dell’Incorporata e non già nei confronti dell’Incorporante, unico soggetto legittimato a seguito della vicenda estintiva che ha interessato la società incorporata, deve ritenersi inammissibile, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

4.3. Orbene, la statuizione della CTR secondo la quale l’appello avrebbe dovuto essere proposto nei confronti della Incorporante e non già dell’Incorporata è sostanzialmente conforme a diritto, con conseguente rigetto del primo motivo di ricorso, ma la motivazione che fa leva sulla estinzione della Incorporata a seguito della fusione va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

4.4. Invero, “la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo” (Cass. S.U. n. 2637 del 08/02/2006, le cui motivazioni sono riprese da Cass. S.U. n. 19698 del 17/09/2010; si vedano, altresì, Cass. n. 12119 del 16/05/2017; Cass. n. 18188 del 16/09/2016; Cass. n. 24498 del 18/11/2014; Cass. n. 3820 del 15/02/2013).

4.4.1. Diversa è la situazione dell’estinzione conseguente alla cancellazione della società dal registro delle imprese per cessazione o per completamento delle attività di liquidazione, in base alla considerazione che, “nell’incorporazione per fusione, la società incorporante, già prima della citata novella del 2003, partecipando essa stessa alla fusione, non è mai totalmente distinta dalla parte già costituita, onde quel tipo di operazione dipende interamente dalla volontà degli stessi organi delle due società che ne sono protagoniste, ivi compresa l’incorporante che è destinata a subentrare nella posizione processuale dell’incorporata” (Cass. S.U. 13 marzo 2013, n. 6070).

4.4.2. Il principio, che ha portata innovativa rispetto alla disciplina previgente (secondo la quale la fusione per incorporazione determinava l’automatica estinzione della società), implica che, a seguito di fusione per incorporazione, il processo in cui è parte la società incorporata non si interrompe, avuto conto del fatto che tale soggetto non si estingue (conclusione, peraltro, cui era già pervenuta la giurisprudenza sotto la vigenza del vecchio art. 2504 bis c.c., come sottolineato dalla citata Cass. S.U. n. 19698 del 2010; cfr. anche Cass. n. 1376 del 26/01/2016; Cass. n. 21482 del 25/10/2016).

4.4.3. Tuttavia, il menzionato principio non è in grado di fondare la legittimazione della società incorporata anche al di là del giudizio nel corso del quale la fusione è intervenuta, salva la tutela della controparte processuale, non tenuta ad una perpetua consultazione delle risultanze del registro delle imprese (si veda, in motivazione, Cass. S.U. n. 19698 del 2010, cit.).

4.4.4. Sotto quest’ultimo profilo, già sotto la vigenza dell’art. 2504 bis c.c. ante riforma, è stato ritenuto che: a) l’estinzione della società incorporata a seguito di fusione per incorporazione verificatasi solo nel corso del giudizio di legittimità non determina l’inammissibilità del ricorso proposto avverso la stessa, non potendo procedersi nel giudizio per Cassazione ai necessari accertamenti di fatto (Cass. n. 22918 del 09/10/2013); b) l’impugnazione è validamente notificata al procuratore costituito di una società che, successivamente alla chiusura della discussione (o alla scadenza del termine di deposito delle memorie di replica) si sia estinta per incorporazione, se l’impugnante non abbia avuto notizia dell’evento modificatore della capacità della giuridica mediante la notificazione di esso (Cass. S.U. n. 19509 del 14/09/2010); c) più in generale, la parte non colpita dall’evento estintivo può notificare validamente l’atto di citazione in appello non solo nei confronti della società incorporante, ma anche nei confronti della società incorporata e nonostante la regolare pubblicazione nel registro delle imprese dell’atto di fusione, a meno che l’appellante sia stato edotto dell’estinzione di quest’ultima mediante qualsiasi atto idoneo a comunicare il fatto al destinatario in modo certo e documentalmente dimostrabile (Cass. n. 28664 del 27/12/2013).

4.4.5. Al di là di queste primarie esigenze di tutela della controparte, che a maggior ragione possono essere riconosciute anche nel nuovo regime, non si ritiene che la modifica dell’art. 2504 bis c.c. abbia introdotto una generalizzata legittimazione attiva e passiva della società incorporata all’impugnazione, come sembrano inferire alcune pronunce di questa Corte (cfr. Cass. n. 24498 del 2014, cit.; Cass. n. 18188 del 2016, cit.).

4.4.6. Le menzionate pronunce fanno leva, in particolare, sulla circostanza che la fusione comporta un mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente, ma non la creazione di un nuovo ente, che si distingua dal vecchio, per cui la società incorporata sopravvive in tutti i suoi rapporti, anche processuali, alla vicenda modificativa nella società incorporante.

4.4.7. A fronte di queste pronunce, altro orientamento evidenzia che la riforma del 2003 “mostra di dare risalto alla continuazione dell’attività sociale delle società che si fondono (o vengono incorporate) nel nuovo soggetto giuridico risultante dalla fusione, ove per “nuovo” deve intendersi un soggetto rinnovato rispetto al precedente assetto sociale e patrimoniale delle società partecipanti all’operazione. Sintomatica, in tal senso, appare la dizione contenuta nell’art. 2504 bis c.c., comma 1, secondo cui la società risultante dalla fusione o quella incorporante (nel caso – come quello in esame – di fusione per incorporazione) assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti anteriori alla fusione, lasciando intendere con il verbo “proseguire” che, a seguito dell’operazione di fusione, ha luogo la prosecuzione dei rapporti giuridici nel soggetto unificato, quale centro unitario di imputazione di tutti i rapporti preesistenti. La stessa conclusione è valida anche con riguardo ai rapporti processuali e ciò, all’evidente fine, di evitare irragionevoli interruzioni del giudizio, contrarie, peraltro, ai principi del giusto processo” (così, in motivazione, Cass. n. 3820 del 15/02/2013).

4.4.8. La finalità della riforma, pertanto, è quella di valorizzare, nel caso della fusione per incorporazione, la continuità giuridica dell’attività del soggetto incorporato nel soggetto incorporante, onde evitare irragionevoli interruzioni del processo, ma non certo quella di procrastinare a tempo indeterminato l’esistenza della società incorporata.

4.5. Il Collegio ritiene che tale ultima interpretazione sia maggiormente conforme al tenore letterale dell’art. 2504 bis c.c., comma 1, nonché alla ratio della riforma del 2003, come più sopra delineata.

4.5.1. La menzionata disposizione, infatti, prevede il trasferimento alla società incorporante di tutte le posizioni attive e passive già facenti capo all’incorporata e, quindi, la legittimazione attiva e passiva della prima come soggetto che prosegue l’attività della seconda, non già la permanenza in vita della società incorporata fino alla cessazione dei rapporti che la riguardano, che implicherebbe anche una anomala e non prevista prorogatio sine die dei suoi organi rappresentativi. E la mancata previsione della estinzione di quest’ultima connota proprio la prosecuzione in altro soggetto, con l’assunzione di una nuova struttura organizzativa, anche sotto il profilo della rappresentanza esterna, alla quale sono imputate tutte le obbligazioni.

4.5.2. Una lettura di analogo tenore è sottesa a Cass. n. 12119 del 16/05/2017, che ha ritenuto che la società incorporante non potesse accedere alla rateizzazione dalla quale era già decaduta la società incorporata; di Cass. n. 27762 del 11/12/2013, che ha sottolineato come la mancata estinzione della società incorporata consente alla società incorporante di subentrare nel mandato per la gestione di un credito, mandato che non si estingue; e, soprattutto, di Cass. n. 17050 del 11/08/2016, che ha ritenuto che il decreto di convocazione ex art. 15 L. Fall. va notificato alla società incorporante e non già alla società incorporata, che “assume i diritti e gli obblighi della prima e ne prosegue tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione, pur conservando la suddetta società la propria identità per l’eventuale dichiarazione di fallimento”.

4.6. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “in ipotesi di fusione per incorporazione ex art. 2504 bis c.c. (nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), intervenuta in corso di causa, la legittimazione attiva e passiva all’impugnazione spetta alla sola società incorporante, cui sono stati trasferiti i diritti e gli obblighi della società incorporata e che prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione facenti capo alla società incorporata, salva la possibilità della controparte che, nonostante l’iscrizione nel registro delle imprese, non sia stata resa edotta della intervenuta fusione di notificare l’atto di impugnazione anche nei confronti di quest’ultima”.

4.7. Nel caso di specie, l’Agenzia delle entrate era stata certamente posta a conoscenza della fusione quanto meno nel corso del giudizio di primo grado, tenuto conto che l’avviso di accertamento, notificato alla Incorporata, è stato impugnato anche dalla Incorporante. Ne consegue che l’Ufficio avrebbe dovuto correttamente notificare l’atto di appello non già a C.F. in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Incorporata, ma alla Incorporante.

4.8. Peraltro, occorre tenere conto del fatto che il giudizio di primo grado si è svolto anche nei confronti della Incorporata e di C.F. in proprio, sicché il ricorso dell’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto essere correttamente rivolto nei confronti di tutti e tre i soggetti, sussistendo un litisconsorzio necessario di natura processuale in cause inscindibili (atteso che l’accoglimento del ricorso di una delle parti, determinando l’annullamento dell’avviso di accertamento, avrebbe incidenza anche sul ricorso proposta dall’altra parte) o quanto meno dipendenti (cfr. Cass. n. 14253 del 13/07/2016).

4.9. Pertanto, la proposizione dell’appello nei soli confronti dell’Incorporata e del sig. C. in proprio non comporta in ogni caso l’inammissibilità dello stesso, dovendo il giudice dell’appello integrare il contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario pretermesso (Cass. n. 10934 del 27/05/2015), che, nella specie, è peraltro intervenuto autonomamente in giudizio, così sanando il difetto di contraddittorio.

4.10. Il secondo motivo di ricorso va, dunque, accolto.

5. Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 164 e 291 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziandosi che, anche ove si ritenga che il soggetto legittimato passivo dell’appello sia l’Incorporante, la notifica nei confronti dell’Incorporata ha comunque determinato la costituzione in giudizio della prima, con conseguente sanatoria della nullità della notifica con effetto ex tunc. 6. Il motivo resta assorbito in ragione dell’accoglimento del secondo motivo.

7. In conclusione va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e perché provveda anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019


Cons. Stato, Sez. VI, Sent., (data ud. 09/05/2019) 23/05/2019, n. 3381

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3530 del 2018, proposto da

Università Politecnica delle Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Alessandro Lucchetti, con domicilio digitale pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Aristide Police, in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;

contro

M.T., rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Cantile, con domicilio digitale pec come da registri di giustizia;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 00790/2017, resa tra le parti, concernente l’idoneità del titolo di massofisioterapista per l’accesso diretto al terzo anno del corso di laurea in Fisioterapia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig M.T.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Lucchetti e Giovanni Ferraù, in dichiarata delega di Paolo Cantile;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso notificato all’Università Politecnica delle Marche presso gli uffici dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Ancona, il sig. M.T. ha impugnato davanti al T.A.R. Marche l’atto con cui il suddetto ateneo non ha riconosciuto l’idoneità del titolo di massofisioterapista per l’accesso diretto al terzo anno del corso di laurea in Fisioterapia.

L’adito Tribunale con sentenza 19/10/2017, n. 790 ha accolto il gravame.

Avverso la decisione ha proposto appello l’Università Politecnica delle Marche.

Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il sig. T..

Con successive memorie le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 9/5/2019 la causa è passata in decisione.

In via pregiudiziale va esaminata l’eccezione con cui il sig. T. deduce che l’appello sarebbe tardivo in quanto la notifica della sentenza si sarebbe perfezionata per l’Università in data 22/10/2017 (rectius 24/10/2017), mentre il ricorso in appello sarebbe stato notificato solo nell’aprile 2018 e quindi oltre i prescritti termini.

L’eccezione è infondata.

Come emerge dagli atti di causa l’impugnata sentenza è stata notificata all’Università, che non era costituita in primo grado, presso gli uffici dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Ancona.

Sennonché, quando lo “ius postulandi” dell’Avvocatura dello Stato è facoltativo, poiché esercitabile a tutela di enti pubblici non statali, come le Università pubbliche, la notifica eseguita direttamente presso gli uffici dell’Avvocatura è da ritenersi nulla (cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 18/4/2012, n. 2211; 26/1/2010, n. 279), con la conseguenza che la stessa non può ritenersi idonea a far decorrere il termine di impugnazione breve di cui all’art. 92, comma 1, c.p.a.

Nel caso di specie opera, quindi il termine di impugnazione lungo (art. 92, comma 3, c.p.a.), che risulta rispettato, posto che la sentenza è stata pubblicata in data 19/10/2017 e il ricorso in appello è stato consegnato per la notifica il giorno 18/4/2018.

L’appello va, quindi, esaminato nel merito.

Col primo motivo l’appellante deduce che il Tribunale avrebbe errato a non dichiarare inammissibile il ricorso in quanto notificato presso gli uffici dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Ancona, invece che nella sede legale dell’ateneo, con conseguente nullità della notifica.

La doglianza è fondata.

Dopo la riforma introdotta dalla L. 9 maggio 1989, n. 168, le Università, non possono essere qualificate come organi dello Stato, dovendo essere inquadrate nella categoria degli enti pubblici autonomi, con la conseguenza che non opera il patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato, disciplinato dagli artt. da 1 a 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, bensì, in virtù dell’art. 56 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, non abrogato dalla L. n. 168 del 1989, il patrocinio facoltativo o autorizzato regolato dagli artt. 43 del R.D. n. 1611 del 1933 (come modificato dall’art. 11 della L. 3 aprile 1979, n. 103) e 45 del medesimo R.D., con i limitati effetti previsti per tale forma di rappresentanza, ovvero: esclusione della necessità del mandato e facoltà, salvo i casi di conflitto, di non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato con apposita e motivata delibera; inapplicabilità delle disposizioni sul foro erariale e sulla domiciliazione presso l’Avvocatura ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali (Cons. Stato, Sez. VI 9/12/2010, n. 8632; 21/9/2005, n. 4909; Cass. Civ., SS.UU., 10/5/2006, n. 10700; Sez. Lav., 29/7/2008, n. 20582).

Il ricorso di primo grado doveva pertanto essere notificato presso la sede legale dell’Università Politecnica delle Marche con la conseguente nullità della notifica effettuata presso gli uffici dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato.

Né la detta nullità poteva essere sanata ai sensi dell’art. 44, comma 4, c.p.a., atteso che:

a) tale disposizione risulta testualmente applicabile nei soli casi in cui il giudice ritenga che “l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante”;

b) la non imputabilità può ritenersi sussistente solo laddove il vizio della notifica possa essere addebitato esclusivamente all’attività posta in essere dall’ufficiale giudiziario o dai suoi ausiliari, e non anche a quella riferibile al notificante, come nella fattispecie, atteso che la scelta del luogo ove effettuare la notificazione non può che ricadere in via esclusiva su quest’ultimo (Cons. Stato, Sez. III, 24/4/2018, n. 2462; Sez. VI, 11/09/2013, n. 4495; 24/11/2011, n. 6207).

Peraltro, quando manchi un collegamento fra il destinatario dell’atto e il luogo in cui la notifica è effettuata questa deve ritenersi inesistente e non solo nulla con conseguente inapplicabilità del citato art. 4, comma 4, c.p.a. (Cons. Stato, Sez. IV, 13/10/2014, n. 5046).

L’appello va, dunque, accolto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

Dario Simeoli, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 24-10-2018) 23-05-2019, n. 14003

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26790-2013 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 102, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimata –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 81/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 11/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2018 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

Svolgimento del processo
CHE:

1. C.M. impugnava la cartella esattoriale notificatagli dalla concessionaria, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, per l’omesso o carente versamento di Irpef, addizionali ed Iva relative all’anno di imposta 2006, sul rilievo che la notifica, eseguita presso il suo domicilio fiscale ai sensi del comb. disp. del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, con deposito dell’atto, stante la sua precaria assenza, presso la casa comunale, si era perfezionata oltre il termine del 31.12.2010, previsto a pena di decadenza dall’accertamento, avendo egli ricevuto avviso del deposito il 22.2.2011.

2. La CTP di Roma respingeva il ricorso.

3. Con sentenza n. 81/29/13, la CTR del Lazio respingeva l’appello del contribuente, rilevando: che il notificatore si era recato presso la residenza del C. il 27.12.2010 e, dopo aver verificato la sua temporanea assenza nonché la mancanza di persone addette al ricevimento ai sensi dell’art. 139 c.p.c., aveva proceduto al deposito dell’atto presso la casa comunale, affiggendo il relativo avviso all’albo il 30.12.2010; che pertanto la notifica si era perfezionata il giorno successivo, ovvero entro il termine di decadenza di cui al D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis; che peraltro, anche a voler ritenere necessario, ai fini del perfezionamento della notificazione, l’invio della raccomandata informativa, tale formalità era stata rispettata, in quanto il 3.1.2011 l’agente accertatore aveva inviato al contribuente la comunicazione di avvenuto deposito del plico presso la casa comunale, questi ricevuta il 22.2.2011.

Avverso la pronuncia della CTR del Lazio, C.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine della partecipazione all’udienza pubblica.

Motivi della decisione
CHE:

3. Con il primo motivo di ricorso C. lamenta violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 140 c.p.c., rilevando che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, nel caso di irreperibilità solo temporanea del destinatario il perfezionamento della notifica della cartella può ritenersi avvenuto solo con il compimento di tutti gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c., e, in particolare, con l’invio delle raccomandata con avviso di ricevimento che informi il contribuente dell’avvenuto deposito dell’atto presso la casa comunale.

4. Col secondo motivo il contribuente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, che i giudici territoriali abbiano omesso di pronunciare sull’eccezione da lui proposta, di nullità dell’atto impositivo per carenza di motivazione.

5. Il primo motivo è fondato, assorbito il secondo.

La Corte Cost., con la sentenza n. 258/012, ha dichiarato illegittimo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, nella parte in cui stabilisce che “la notificazione della cartella di pagamento, nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c., si esegue con le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60”, anzichè “nei casi in cui nel comune in cui si deve eseguire la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario la notifica si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60”.

Pertanto nel caso di specie, in cui il giudice d’appello ha accertato che si versava in fattispecie disciplinata dall’art. 140 c.p.c., stante la sola temporanea assenza del C. dalla propria abitazione, la notifica non poteva ritenersi perfezionata mediante la mera affissione dell’avviso presso l’albo del Comune, atteso che, ai sensi dell’art. 60 cit., (esteso per effetto della pronuncia della Consulta anche alla notifica delle cartelle) tale forma sostitutiva di notificazione è ammessa solo quando nel Comune nel quale deve eseguirsi la notifica non c’è abitazione, ufficio o azienda del destinatario.

Va dunque ribadito il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui “In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte Cost. n. 258 del 22 novembre 2012, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione” (Cass. n. 9782 del 19/04/2018).

Nella specie è pacifico che la raccomandata informativa sia stata spedita al C. solo il 3.1.2011 e che questi l’abbia ricevuta il successivo 22.2.011. Ne consegue che la notifica della cartella si è perfezionata solo in tale (Ndr: testo originale non comprensibile) data, allorché il termine di decadenza dell’Amministrazione dal proprio potere di accertamento era irrimediabilmente decorso.

All’accoglimento del motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito ex art. 384 c.p.c., accogliendo il ricorso introduttivo del contribuente ed annullando la cartella impugnata.

Le spese del giudizio di merito, tenuto conto che la sentenza della Corte Cost. è intervenuta in data successiva alla pronuncia di primo grado, vanno compensate, mentre quelle del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, in accoglimento dell’originario ricorso del contribuente, annulla la cartella per cui è causa; compensa le spese del doppio grado di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate alla refusione di quelle del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2019


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 18-12-2018) 08-05-2019, n. 12108

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11017-2015 proposto da:

G.C., domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato OTTORINO NAVARRA;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA GERIT SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato ENRICO FRONTICELLI BALDELLI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA III AREA LEGALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 6218/2014 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 20/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2018 dal Consigliere Dott. ANDRONIO ALESSANDRO.

Svolgimento del processo
1. – La CTP di Roma ha rigettato i ricorsi proposti dal contribuente nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed Equitalia Gerit s.p.a. avverso una iscrizione ipotecaria avvenuta su un immobile di sua proprietà, per la somma di Euro 67.338,00, pari al doppio del credito tributario vantato nei suoi confronti, nonchè avverso tre cartelle di pagamento, che erano tra quelle che risultavano alla base dell’iscrizione ipotecaria. La CTR, previa riunione dei ricorsi, ha rilevato che era stata fornita la prova della regolarità della notificazione delle cartelle e che l’atto di riscossione (iscrizione ipotecaria) non era stato impugnato per vizi propri.

2. – Avverso la sentenza di primo grado il contribuente ha proposto distinti appelli, ribadendo le ragioni proposte in primo grado e rilevando che, nonostante l’apparente regolarità della notificazione delle cartelle, egli non era venuto a conoscenza.

3. – La CTR di Roma ha rigettato gli appelli riuniti quanto alle cartelle esattoriali e ha dichiarato la propria incompetenza territoriale in relazione al ricorso avverso l’iscrizione ipotecaria. Sotto il primo profilo, ha evidenziato che la notificazione delle cartelle doveva essere ritenuta regolare, con conseguente inammissibilità, per tardività, dei ricorsi contro le stesse.

4. – La sentenza di secondo grado è stata impugnata dal contribuente con ricorso per cassazione.

4.1. – Con un primo motivo di doglianza, si censura la mancanza di motivazione quanto agli “obblighi preventivi all’emissione delle cartelle”, “tra i quali anche i termini per l’iscrizione a ruolo a pena di decadenza, che, dagli atti processuali, non risultano essere mai stati eseguiti, con conseguente nullità dell’intero procedimento, oltre alla illegittimità della tardiva imposizione”. Si deduce, in sostanza, la prescrizione dei crediti Iva alla base delle cartelle.

4.2. – In secondo luogo, si contesta la motivazione della sentenza nella parte in cui questa afferma che l’indirizzo del contribuente, seppure privo di numero civico, Era stato sufficiente per individuare il domicilio dello stesso, ai fini della notificazione delle cartelle, perchè egli era semplicemente assente e non sconosciuto o trasferito. Si contesta l’affermazione della CTR per cui, secondo la normativa vigente all’epoca della notificazione, non occorreva la successiva raccomandata postale; e ci si duole del fatto che nella relata di notifica non vi sarebbe la menzione dell’affissione dell’avviso alla porta dell’abitazione del destinatario. Si sarebbe dovuto applicare, ad avviso del ricorrente, il procedimento di notificazione di cui all’art. 140 c.p.c..

4.3. – Si lamenta, in terzo luogo, l’omessa pronuncia in relazione alla legittimità del procedimento di iscrizione ipotecaria, che sarebbe avvenuta senza intimazione di pagamento; inoltre, la comunicazione di iscrizione ipotecaria non sarebbe mai pervenuta al ricorrente.

5. – La sola Equitalia Sud s.p.a., agente della riscossione, si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.

6. – Il ricorrente ha depositato memoria, con la quale ha ribadito quanto dedotto nel ricorso.

Motivi della decisione
7. – Il ricorso è infondato.

7.1. – Deve essere esaminato preliminarmente, per ragioni di priorità logica, il secondo motivo di doglianza, con cui si contesta la ritenuta regolarità della notificazione delle cartelle. Il motivo è infondato. Nel caso di specie, le cartelle di pagamento sono state notificate ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, che aveva carattere di specialità, a mezzo di messo modificatore, il quale aveva effettuato, per ciascuna notifica, due accessi preventivi, con relazione di “destinatario assente” e con affissione presso il Comune, dando atto della relativa affissione dell’invio della raccomandata informativa. Del resto, l’indirizzo del destinatario risultava corrispondente anche alla visura anagrafica e al domicilio fiscale, mentre a quello stesso indirizzo lo stesso messo notificatore aveva consegnato in mani proprie un quarto atto, estraneo al presente giudizio. Come già ricordato dalla CTR, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 258 del 2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 26, comma 3, attuale comma 4, nella parte in cui stabilisce che la notificazione della cartella di pagamento “Nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c., (…) si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60”, anzichè “Nei casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario (…) si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, alinea e, lett. e)”. Questa Corte (ex multis, Sez. 5, n. 25079 del 2014; Sez. 5, n. 9782 del 2018) ha affermato il principio in base al quale “In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012 relativa al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3 (ora comma 4), va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del citato art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, alinea (e), sicchè è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione”, alla stregua di quanto risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., disposizione richiamata dall’art. 26 citato, nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anzichè con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione. A seguito di tale sentenza, pertanto, la notificazione effettuata ai sensi di tale disposizione si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione (Cass. 14316/2011). Nella specie tale disciplina non trova però applicazione, perchè, a quanto emerge dalla sentenza impugnata, la notificazione delle cartelle di pagamento è stata effettuata con affissione nell’albo comunale e invio delle raccomandate, che non sono state ricevute perchè il contribuente era sconosciuto all’indirizzo. La riscontrata situazione di assoluta irreperibilità rende applicabile il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, alinea e lett. e), il quale prevede che, “quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 c.p.c., in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune, e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione”. E, come appena visto, la CTR ha specificato che tale adempimento si è verificato nel caso di specie; con la conseguenza che le cartelle esattoriali devono ritenersi correttamente notificate.

7.2. – Venendo ora all’esame del primo motivo di doglianza – con cui si deduce, quale ragione di illegittimità delle cartelle, la prescrizione dei crediti Iva sottostanti – deve rilevarsi che lo stesso è inammissibile, sia perchè formulato in modo non specifico, in mancanza di puntuali riferimenti agli atti di causa rilevanti ai fini del suo esame, sia perchè logicamente precluso dalla ritenuta tardività dei ricorsi nei confronti delle cartelle.

7.3. – Inammissibile è il terzo motivo, riferito all’omessa pronuncia in relazione alla legittimità del procedimento di iscrizione ipotecaria, che sarebbe avvenuta senza intimazione di pagamento e senza comunicazione di iscrizione ipotecaria. La doglianza deve ritenersi preclusa, perchè, sul punto, la sentenza impugnata ha affermato l’incompetenza territoriale della commissione della CTP di Roma a favore di quella di Latina, senza che tale statuizione sia stata anche solo presa in considerazione dal ricorrente.

8. – Il ricorso deve essere perciò rigettato, con condanna del ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controparte costituita, da liquidarsi in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Va infine fatta applicazione – a carico del ricorrente – del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, in tema di obbligo di pagamento di un’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata o dichiarata inammissibile o improponibile.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute nel grado dalla controparte costituita, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019


Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 05-03-2019) 02-05-2019, n. 11562

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8408/2014 proposto da:

Comune Benevento, in persona del Sindaco pro tempore elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Gracchi 39, presso lo studio dell’avvocato Ester Perifano, che lo rappresenta e difende in forza di procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

V.D., elettivamente domiciliato in Roma via Barnaba Tortolini 30, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara, e rappresentato e difeso dall’avvocato Silvio Ferrara, in forza di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2644/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

udito l’Avvocato ALESSANDRO FERRARA, munito di delega dall’avvocato SILVIO FERRARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata.

Svolgimento del processo
1. V.D. ha convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Napoli il Comune di Benevento, proponendo opposizione avverso la determinazione dell’indennità di espropriazione e di occupazione da questo offerta con riferimento al terreno espropriato con Decreto n. 6367 del 15-18/9/2003.

Si è costituito in giudizio del Comune, che ha chiesto il rigetto delle domande dell’attore, e la Corte di appello ha sospeso il giudizio in attesa della definizione dell’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo del decreto di esproprio.

Dopo la conferma in tale sede della legittimità dell’esproprio, la riassunzione del giudizio e l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 25/6/2013 la Corte di appello ha determinato in Euro 161.490,00 l’ammontare della giusta indennità di esproprio e in Euro 11.332,63 quello della giusta indennità di occupazione e ha condannato il Comune di Benevento al deposito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze delle differenze fra le predette indennità e le somme già versate a tali titoli presso la Cassa Depositi e Prestiti, con il favore delle spese di giudizio.

2. Avverso la predetta sentenza, indicata come notificata il 31/1/2014, con atto notificato il 26/3/2014 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Benevento, svolgendo tre motivi.

2.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il Comune ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, poichè la Corte di appello di Napoli aveva completamente omesso di considerare che la particella di (OMISSIS) m.q., censita a catasto terreni al Foglio (OMISSIS), erroneamente ricompresa nel calcolo dell’indennità, era di proprietà del Comune di Benevento a far data dal 9/11/1999, in forza di atto di cessione bonaria rep. (OMISSIS) del 9/11/1999, stipulato fra il V. e il Dirigente dell’Ufficio tecnico dinanzi al Segretario comunale di Benevento.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alle norme in tema di edificabilità legale di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, artt. da 1 a 4.

In primo luogo la doglianza trae origine dal fatto che la Corte territoriale aveva considerato edificabili aree che ricadevano, in parte, in fascia di rispetto stradale secondo il P.U.C. in vigore e, in parte, in zona E3 del P.R.G. – area agricola ordinaria a prevalente uso agricolo, forestale e pascolivo (per la precisione: parte in Zona E1- verde privato vincolato, parte in Zona E2 – aree private di rispetto stradale, e parte in Zona E3 – aree private di verde agricolo, incolto e boschivo).

In secondo luogo, il Comune ricorrente lamenta che la Corte napoletana abbia adottato illegittimamente il criterio di valutazione del “valore medio comprensoriale”, basandosi sull’individuazione di un comprensorio omogeneo, al cui servizio è posta la viabilità attuata sui fondi, e calcolando il prezzo di mercato dei beni espropriati nella media dei valori dei fondi edificabili e di quelli destinati invece a viabilità, non applicando invece l’unico criterio legale legittimo, basato sulla verifica dell’edificabilità o meno del terreno espropriato.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il Comune ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, anche in rapporto alla nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, poichè la Corte di appello di Napoli, ai fini della quantificazione del valore di mercato dell’area, aveva utilizzato, senza motivare adeguatamente, criteri di stima presi in esame da altro consulente in un diverso giudizio e relativi a fondi non omogenei e con caratteristiche differenti da quelli in esame.

3. Con atto notificato il 5/5/2014 ha proposto controricorso V.D., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.

4. In data 20/1/2019 il controricorrente V.D. ha provveduto a notificare alla controparte un elenco di documenti relativi all’ammissibilità del ricorso ex art. 372 c.p.c. (originale in forma esecutiva della sentenza 2644/2013 della Corte di appello di Napoli corredato da plurime notifiche; originale dell’attestato della Corte di Appello di Napoli del 3/2/2014 relativo alla mancata impugnazione della predetta sentenza; estratto dell’Albo degli Avvocati di Benevento; originale del certificato di iscrizione all’Albo dell’avv. Luigi Giuliano; estratto della Delib. Consiglio Comunale Benevento 28 aprile 2016, n. 344).

Con memoria in data 29/1/2019 il controricorrente, tra l’altro, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per tardività, poiché la sentenza impugnata era stata notificata, già una prima volta, in data 2/10/2013, ai due difensori costituti per il Comune di Benevento nel giudizio di secondo grado, avvocati Luigi Giuliano e Maria Di Florio, prima della seconda notifica eseguita il 31/1/2014, a cui aveva fatto riferimento il ricorrente nel suo ricorso.

Con memoria del 20/2/2019 il Comune di Benevento ha eccepito l’inammissibilità delle produzioni ed eccezioni avversarie, a suo dire proposte alla Corte di Cassazione in palese violazione del principio del contraddittorio, perché relative ad atti, fatti e avvenimenti risalenti a epoca anteriore alla notifica del ricorso e soprattutto alla notifica del controricorso da parte del V..

Motivi della decisione
1. La Corte in via del tutto preliminare deve esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso del Comune di Benevento per tardività, sollevata dal controricorrente con la memoria del 29/1/2019.

2. In via ulteriormente preliminare, la Corte deve valutare l’eccezione difensiva del Comune, che ha sostenuto l’inammissibilità delle avversarie produzioni e la tardività delle eccezioni avversarie, perché proposte alla Corte di Cassazione in palese violazione del principio del contraddittorio, e relative ad atti, fatti e avvenimenti risalenti a epoca anteriore alla notifica del ricorso e soprattutto alla notifica del controricorso da parte del V..

2.1. In sostanza, il Comune sostiene che tali produzioni ed eccezioni avrebbero dovuto essere sollevate con il controricorso, momento nel quale, effettivamente, la controparte disponeva già di tutti gli elementi per procedere in tal senso.

2.2. Tale assunto non ha fondamento nel diritto processuale positivo.

L’art. 372 c.p.c., comma 2, è del tutto inequivoco nello stabilire che il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità (ovviamente: del ricorso) può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato mediante elenco, alle altre parti.

Ciò significa, senz’ombra di dubbio, che tali produzioni possono essere effettuate anche successivamente alla notificazione del controricorso, seppur dirette a dimostrare l’inammissibilità del ricorso.

Questa Corte ha affermato che la produzione di atti e documenti di cui all’art. 372 c.p.c., riguardanti l’ammissibilità del ricorso per cassazione, da parte dell’intimato che abbia proposto tardivamente il controricorso, al quale i documenti siano stati allegati, è valida ed efficace, ed i documenti stessi possono conseguentemente essere esaminati e valutati dalla Corte (nella specie, per verificare l’intempestività della notifica del ricorso, e quindi la formazione di un giudicato interno) a condizione che l’intimato stesso partecipi alla discussione orale (Sez. 5, n. 9093 del 21/06/2002, Rv. 555253 – 01). Inoltre al fine di assicurare la garanzia del contraddittorio nella trattazione delle questioni relative all’ammissibilità del ricorso per cassazione questioni che danno luogo ad una fase autonoma del processo, comprendente una sia pur limitata attività istruttoria relativamente alle fonti di prova addotte a fondamento delle stesse l’adempimento della notificazione dell’elenco dei documenti al riguardo prodotti può essere validamente surrogato da un’adeguata indicazione degli stessi nel controricorso, mentre la loro produzione non deve necessariamente avvenire negli stessi termini fissati per il deposito del ricorso o del controricorso, ma, in assenza della precisazione del relativo termine da parte dell’art. 372 c.p.c., comma 2, può ritenersi consentita fino all’udienza di discussione, prima dell’inizio della relazione (salva restando la facoltà del difensore della controparte di richiedere un rinvio per formulare eventuali rilievi). (Sez. L, n. 3736 del 28/03/2000, Rv. 535121 – 01; Sez. L, n. 13865 del 19/10/2000, Rv. 541068 – 01).

Inoltre è stato rilevato che la norma di cui all’art. 372 c.p.c. – nel consentire la produzione di documenti (anche in fotocopia, con i limiti probatori di cui all’art. 2719 c.c.) relativi alla ammissibilità del ricorso, dei quali deve essere data notizia alla controparte mediante notifica del suo elenco – non fissa un termine, sicché tale produzione è consentita fino all’udienza di discussione, prima dell’inizio della relazione. La eventuale contestazione non può consistere nella mera obiezione alla produzione di fotocopia ma deve avere specificamente ad oggetto la conformità all’originale ed in tal caso al giudice della legittimità è demandato di svolgere una, sia pure limitata, attività istruttoria di accertamento delle fonti di prova sulle quali la richiesta stessa si fonda, che può comprendere anche la verifica della autenticità del documento prodotto. Tale verifica, dovendo rispettare il principio del contraddittorio, può comportare il superamento dell’indicato limite temporale ed eventualmente il rinvio della causa. (Sez. L, n. 23321 del 15/12/2004, Rv. 578184 – 01) 2.3. Né può essere condivisa la censura di violazione del contraddittorio, sollevata dal Comune di Benevento, considerato che l’elenco delle produzioni è stato notificato alla controparte, i documenti sono stati depositati, la memoria difensiva è stata portata a conoscenza del ricorrente, che ha conseguentemente potuto esercitare nella dialettica processuale le proprie difese, preferendo tuttavia con la memoria ex art. 378 c.p.c., limitarsi a sostenere la mera inammissibilità delle produzioni ed eccezioni avversarie, senza affrontarle nel merito e senza partecipare alla discussione orale all’udienza del 5/3/2019.

2.4. Non merita condivisione neppure l’argomentazione spesa in memoria dal ricorrente per delineare il pregiudizio processuale che avrebbe subito per effetto della condotta avversaria, circa la preclusione del controricorso incidentale che sarebbe stata determinata dalla ritardata proposizione dell’eccezione da parte del V..

Il controricorrente non ha affatto impugnato la sentenza e si è limitato a formulare una eccezione di carattere preliminare che non avrebbe comunque potuto legittimare un’impugnazione incidentale da parte del ricorrente principale.

2.5. D’altro canto, il punto fondamentale è che la tempestività del ricorso è soggetta a verifica ex officio.

Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, l’inammissibilità dell’impugnazione derivante dall’inosservanza dei termini all’uopo stabiliti a pena di decadenza è correlata alla tutela d’interessi di carattere generale e indisponibile e, come tale, è insanabile, oltre che rilevabile d’ufficio (Sez. U, n. 6983 del 05/04/2005, Rv. 580150 – 01; cfr anche: Sez.un. 226 del 25/5/2001, Rv. 548189-01; Sez.Lav. n. 16847 del 26/6/2018, rv 649326-01; Sez.3, n. 25342 del 26/10/2017, Rv. 646457-02).

Tali principi hanno condotto ad affermare anche che la rilevabilità dell’inammissibilità del ricorso per Cassazione notificato tardivamente rispetto al termine breve, decorrente dalla data di notifica della sentenza impugnata, non può essere esclusa per il fatto che il controricorso, con il quale si eccepisce la inammissibilità dell’impugnazione e si indica la prova documentale della notifica della sentenza, sia a sua volta tardivo, ove tale prova documentale, ancorché depositata unitamente al controricorso, sia posta a disposizione del ricorrente. (Sez. L, n. 886 del 13/02/1989, Rv. 461890 – 01).

2. La parte controricorrente ha prodotto la sentenza di secondo grado notificata congiuntamente ai due difensori costituiti nel giudizio di secondo grado, avv. Luigi Giuliano e Maria De Florio, al domicilio da loro eletto a (OMISSIS), presso l’avv. Massimo Pagano, in data 2/10/2013, anteriormente quindi alla seconda notifica, eseguita il 31/1/2014 della quale dà atto il ricorso del Comune di Benevento.

2.1. E’ del tutto evidente che la validità ed efficacia della prima notifica priverebbe di qualsiasi rilievo la seconda notifica del 31/1/2014, per qualsiasi ragione essa sia stata successivamente effettuata.

2.2. L’avv. Luigi Giuliano, all’atto della prima notifica della sentenza 2644/2013, era iscritto all’Albo ordinario degli Avvocati, essendo poi deceduto solo il 18/4/2014; la sua originaria nomina, quale avvocato iscritto all’Albo speciale quale dipendente comunale, non risulta revocata; dalla sentenza 2644/2013, che riporta in epigrafe i nominativi dei due difensori del Comune, non risulta in ogni caso che l’avv. Giuliano sia stato sostituito da altro difensore.

E’ pur vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, 14/12/2016, n. 25638; Sez. L, n. 3143 del 1999; Sez. L, n. 5729 del 1999; Sez. U, n. 363 del 18/5/2000; Sez. 1, n. 20361 del 23/7/2008; Sez. L, n. 11529 del 14/5/2013), gli avvocati e procuratori dipendenti di enti pubblici ed iscritti nell’albo speciale annesso all’albo professionale sono abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, onde la cessazione del rapporto di impiego, determinando la mancanza di legittimazione a compiere a ricevere atti processuali relativi alle cause proprie dell’ente, comporta il totale venir meno dello ius postulandi per una causa equiparabile a quelle elencate dall’art. 301 c.p.c., a nulla rilevando l’eventuale formale permanenza dell’iscrizione nell’albo speciale; ne consegue che la notifica della sentenza al procuratore cessato dal rapporto d’impiego deve ritenersi inesistente e perciò inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, non essendo ipotizzabile la protrazione dell’attività lavorativa dell’avvocato – funzionario oltre il limite di durata del rapporto di impiego ed essendo perciò inapplicabile alla fattispecie la disciplina dettata dall’art. 85 c.p.c..

Nella fattispecie, tuttavia, l’avv. Luigi Giuliano aveva conservato ad altro titolo lo jus postulandi, risultando iscritto all’Albo Ordinario degli avvocati, dopo la cessazione del rapporto di impiego.

2.3. In ogni caso, la sentenza è stata notificata anche all’avv. Maria De Florio, iscritta all’Albo Speciale, condifensore costituito nel giudizio di secondo grado, come risulta anche dalla sentenza 2644/2013.

Sia dalla sentenza, sia dall’estratto dell’Albo risulta infatti il nominativo Maria De Florio, e non Maria Teresa De Florio, a cui è stata diretta la seconda notifica, che non vi è peraltro motivo d dubitare che sia la stessa persona.

2.4. Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, qualora il mandato alle liti venga conferito a più difensori, ciascuno di essi, in difetto di un’espressa ed inequivoca volontà della parte circa il carattere congiuntivo, e non disgiuntivo, del mandato medesimo, ha pieni poteri di rappresentanza (Sez. 3, 20/06/2017, n. 15174; Sez. 6, 22/09/2016, n. 18622; Sez. un., 09/06/2014, n. 12924).

Da tale principio discende il corollario consequenziale della sufficienza della notificazione ad uno solo dei procuratori costituiti sul quale ricade l’onere di informazione del condifensore (Sez. 1, 31/08/2017, n. 20626; Sez. 6, 22/09/2016, n. 18622; Sez. 2, 27/01/2012, n. 1234).

Pertanto, anche a voler considerare ormai inefficace il mandato difensivo all’avv. Luigi Giuliano per effetto della sua cancellazione dall’Albo speciale e del passaggio all’Albo ordinario, la sentenza sarebbe stata utilmente notificata all’ormai unico difensore, avv. Maria De Florio.

2.5. L’atto risulta consegnato il 2/10/2013 a R.R., portiere dello stabile di (OMISSIS) del domiciliatario avv. Massimo Pagano, con il conseguente invio della lettera raccomandata ex art. 139 c.p.c..

In caso di notificazione effettuata, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., mediante consegna al portiere dell’atto da notificare con contestuale spedizione della prescritta raccomandata, la spedizione della raccomandata non si configura come elemento costitutivo della fattispecie notificatoria, in quanto tale ipotesi di notificazione si perfeziona con la modalità e nel momento della consegna dell’atto al portiere (Sez. lav., 13/05/2003, n. 7349); la norma infatti prevede l’invio al destinatario della notizia “dell’avvenuta notificazione”.

In passato la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla notificazione mediante consegna al portiere, riteneva anzi che l’invio della lettera raccomandata di cui al comma 4 dello stesso articolo, non attenesse alla perfezione dell’operazione di notificazione, sicchè la sua omissione si risolve in una mera irregolarità di carattere estrinseco non integrante alcuna delle ipotesi di nullità previste dall’art. 160 c.p.c. (Sez. 2, 05/07/2006, n. 15315).

Tale orientamento è stato ormai rimeditato e le Sezioni Unite (Sez. un. 31/7/2017 n. 18992), ritengono che l’adempimento della spedizione della lettera raccomandata sia prescritto a pena di nullità.

Le Sezioni Unite hanno infatti autorevolmente osservato: “invero, l’art. 139 c.p.c., prevede, ai suoi commi 3 e 4, che “in mancanza delle persone indicate nel comma precedente”, e cioè del destinatario di persona, oppure di una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda (purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace), “la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda…”: nel qual caso, “il portiere… deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”; l’omissione dell’avviso è ormai, nella giurisprudenza più recente di questa Corte, chiaramente qualificata – non più, come nei primi decenni dall’entrata in vigore del codice, come mera irregolarità (per tutte: Cass. 04/04/2006, n. 7816; Cass. 04/02/1980, n. 755; in precedenza, nello stesso senso: Cass. 4111/79, 397/74, 353/71, 198/68, 1204/67), bensì – come causa di nullità della notificazione per vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario notificante, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale stesso (Cass. 30/06/2008, n. 17915; Cass. 30/03/2009, n. 7667), secondo un principio esteso pure alla notifica a mezzo posta (Cass., ord. 25/01/2010, n. 1366; Cass. 21/08/2013, n. 19366);tale interpretazione va confermata, attesa la funzione dell’avviso nella struttura complessiva di una notificazione che si perfeziona a persona non legata da quei particolari vincoli evidenziati del medesimo art. 139 c.p.c., comma 2, ma pur sempre da altri di peculiare intensità: l’atto entra a far parte della sfera di effettiva conoscibilità del destinatario, ma in una sua porzione connotata da un grado minore di possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto, rispetto a quelle altre fattispecie indicate dal comma 2 per la natura assai stretta del vincolo che lega al destinatario il consegnatario dell’atto; ed un tale minor grado di conoscibilità, se non la degrada al punto di rendere necessario lo spostamento ulteriore del momento di perfezionamento della notifica come accade appunto per l’ipotesi contemplata dall’art. 140 c.p.c., esige però almeno di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post e appunto non incidente sul precedente tempo in cui l’attività notificatoria si è svolta e compiuta; rimane ovviamente fermo che, nell’ipotesi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, il tempo di perfezionamento della notifica si identifica con la consegna ad una persona comunque inserita nella richiamata sfera di conoscibilità del destinatario, ma stavolta latamente intesa, siccome identificata in base ora ai rapporti giuridici nascenti dal portierato in un fabbricato per civili abitazioni ed agli obblighi in capo al portiere in favore dei singoli occupanti”.

Nella fattispecie la lettera raccomandata ex art. 139 c.p.c., risulta spedita in forza dell’attestazione contenuta nella relata di notifica, sicchè non è consentito di dubitare della validità ed efficacia della notificazione eseguita in data 2/10/2013.

2.6. Il ricorso è stato consegnato per la notificazione in data 26/3/2014 e quindi tardivamente, oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata previsto dall’art. 325 c.p.c., in data 2/10/2013, ut supra esposto; i sessanta giorni previsti dall’art. 325 c.p.c., venivano a scadere domenica 1/12/2013, con proroga ex lege al primo giorno feriale successivo, ossia al 2/12/2013.

4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per tardività e il Comune ricorrente soccombente deve essere condannato alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre 15% spese generali, ed in Euro 200,00 per esposti, oltre oneri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2019


Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 18-10-2018) 29-04-2019, n. 2724

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 9523 del 2008, proposto da

P.E., rappresentato e difeso dall’avvocato Mariagiovanna Belardinelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Pazzaglia in Roma, via Lutezia, n. 8;

contro

Comune di Spoleto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Dante Duranti, Goffredo Gobbi e Maurizio Pedetta, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Goffredo Gobbi in Roma, via Maria Cristina, n. 8;

nei confronti

Ministero delle Finanze, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria n. 390/2008, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione del Comune di Spoleto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Massimo Marcucci, per delega dell’avv. Belardinelli, e Giuseppe Giovanelli, per delega degli avv. Duranti e Pedetta;

Svolgimento del processo
1.- E.P. – già messo di notificazione, dipendente di V qualifica funzionale del Comune di Spoleto, addetto, per disposizione del Sindaco impartita con ordine di servizio n. 57 del 16/5/1989, in esecuzione della delibera di Giunta n. 50 del 18/1/1989, a “curare in via esclusiva il servizio di notificazione degli atti dell’Ufficio di Conciliazione di Spoleto”, dovendo le restanti notifiche essere effettuate da altro personale – veniva inquadrato, con delibera di Giunta n. 735 del 24/6/1992, nel posto di “Segretario di conciliazione” – VI qualifica funzionale – istituito dal Consiglio Comunale con Delib. n. 324 del 15 novembre 1991, con il compito di provvedere comunque alle notifiche suddette.

In data 30/10/1994, il P. transitava nei ruoli del Ministero della Giustizia col profilo professionale di “Assistente giudiziario” e l’Amministrazione comunale prendeva atto di tale passaggio con delibera di Giunta n. 1002 del 24/11/1994.

All’indomani stesso del trasferimento dal Comune al Ministero, con nota del 21/11/1994, assumendo di “aver eseguito nel periodo dal 1/8/1991 al 30/10/1994, su incarico del Comune di Spoleto, notificazioni di atti richiesti da varie Amministrazioni finanziarie dello Stato” e “di non avere ancora percepito … i diritti spettanti per dette notificazioni”, ne chiedeva il pagamento al Comune stesso.

A tale richiesta l’Amministrazione comunale, con nota del 20/12/1994, opponeva un primo diniego, richiamando genericamente la legislazione e la giurisprudenza in materia ed invocando il principio della “omnicomprensività” del trattamento stipendiale.

Il diniego trovava conferma nella nota della Prefettura di Perugia del 26/6/1995, prot. n. (…), che veicolava il negativo riscontro fornito dal Ministero delle Finanze, nel senso che “il compenso per la notifica effettuata dall’ente locale per conto di altre amministrazioni dovesse essere introitato dal Comune e non dal dipendente”, emergendo, al riguardo, che “l’attività espletata fosse effettuata ratione ufficii e che pertanto non fosse ravvisabile alcun motivo per consentire che l’introito in questione venisse percepito direttamente dal messo notificatore”.

2.- Avverso gli atti in questione il P. proponeva rituale ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, che lo respingeva con la sentenza epigrafata.

Avverso quest’ultima il Panetta insorge con l’odierno gravame, reiterando le ragioni a sostegno della propria pretesa.

Nel rituale contraddittorio delle parti, alla pubblica udienza del 18 ottobre 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.

Motivi della decisione
1.- L’appello è infondato e merita di essere respinto.

Vale in proposito evocare il consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione per discostarsi, secondo cui “ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’amministrazione finanziaria, rientrando tali funzioni tra gli ordinari compiti d’ufficio spettanti ai detti dipendenti, posto che il principio di omnicomprensività della retribuzione impedisce di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5260)

In particolare, importa ribadire che:

a) la notificazione degli atti è mansione tipica e specifica della categoria del messo comunale già secondo la definizione contenuta nell’art. 273 del TULCP n. 383 del 1934 (secondo la quale “il messo comunale e quello provinciale sono autorizzati a notificare gli atti delle rispettive amministrazioni e possono anche notificare atti nell’interesse di altre amministrazioni pubbliche che ne facciano richiesta”) e viene svolta nel normale orario di ufficio e mediante l’utilizzo degli strumenti organizzativi messi a disposizione dell’amministrazione di appartenenza;

b) l’art. 19 del D.P.R. 1 giugno 1979, n. 191, confermato dalle successive norme dettate dalla contrattazione collettiva per il personale dipendente degli enti locali, ha escluso la corresponsione di indennità aggiuntive alla retribuzione annua lorda derivante dal trattamento economico di livello e di progressione economica orizzontale, in quanto inglobante qualsiasi retribuzione per prestazioni a carattere sia continuativo che occasionale, ad eccezione di quelle indennità specificatamente individuate, tra cui non sono ricompresi i diritti invocati: ciò anche in ragione della ratio della disposizione, caratterizzata dall’esigenza di uniformare il trattamento economico dei dipendenti pubblici, in specie degli enti locali, e di globalità della previsione della connessa spesa pubblica, con generale portata preclusiva della corresponsione di compensi ulteriori alle complessive voci retributive individuate in sede contrattuale, di tal che possono essere, in principio, esclusi dal divieto normativo i soli compensi dovuti a seguito dello svolgimento da parte dei dipendenti di compiti ulteriori ed estranei alle ordinarie mansioni, e dunque non direttamente ricollegabili allo status professionale, laddove la notifica degli atti effettuata per conto dell’amministrazione finanziaria rientra nelle mansioni proprie della qualifica di appartenenza del dipendente comunale con la qualifica di messo notificatore;

c) l’art. 4 della L. n. 249 del 1976 è stato abrogato dall’art. 4 della L. 12 luglio 1991, n. 201, che fissa la nuova misura dei compensi esclusivamente per i notificatori speciali mentre nulla prevede per i messi comunali, eliminando qualunque collegamento tra i messi comunali (vigile urbano con funzioni di notificatore) e i notificatori speciali; l’art. 14, secondo comma della L. n. 890 del 1982 è stato, di conseguenza, implicitamente abrogato, atteso il rinvio al primo comma dell’abrogato articolo 4 della L. n. 249 del 1976;

d) è irrilevante, ai fini del riconoscimento del diritto, il fatto che le notificazioni riguardino atti dell’amministrazione finanziaria, essendo il Comune l’unico soggetto legittimato a riscuotere le indennità per l’attività di notifica, come testualmente dispongono sia l’art. 10, della L. n. 265 del 1999 (Notificazione degli atti delle pubbliche amministrazioni), che al comma 2 stabilisce testualmente che “al Comune che vi provvede spetta da parte dell’amministrazione richiedente, per ogni singolo atto notificato, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, una somma determinata con decreti dei Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’interno e delle finanze”, che il decreto del Ministero del Tesoro del Bilancio e della Programmazione Economica del 14 marzo 2000;

e) in definitiva, il conferimento da parte dell’amministrazione finanziaria al Comune del compito di procedere tramite i messi municipali alla notificazione degli atti finanziari, va inquadrato nella figura giuridica del mandato ex lege in favore del Comune e, come tale, insuscettibile sia di determinare l’inquadramento del messo comunale nell’organizzazione dell’amministrazione richiedente che di attribuirgli diritti nei confronti della medesima amministrazione: il messo municipale, in altri termini, rimane comunque dipendente dell’ente locale ed agisce, anche nell’esecuzione del compito di cui si discute, in adempimento degli obblighi ad esso rivenienti dal rapporto di impiego con il Comune (in tal senso, anche Cass. 30 ottobre 2008, n. 26118 e Cass. SS.UU, 27 gennaio 2010, n. 1627, che in materia di responsabilità per errori e ritardi nella notifica degli atti dell’amministrazione finanziaria, ha escluso la responsabilità del messo notificatore, affermando che unico responsabile è il Comune nei cui confronti si instaura un rapporto di preposizione gestoria che deve essere, per l’appunto, qualificato come mandato ex lege, la cui violazione costituisce, se del caso, fonte di responsabilità esclusiva a carico del Comune, non essendo ravvisabile l’instaurazione di un rapporto di servizio diretto tra l’amministrazione finanziaria e i messi comunali, che operano alle esclusive dipendenze dell’ente territoriale).

2.- Le esposte considerazioni confermano la totale infondatezza della azionata pretesa e legittimano l’integrale reiezione dell’appello.

Sussistono, ad avviso del Collegio, giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, la complessiva compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolò Lotti, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 13/02/2019) 10/04/2019, n. 10037

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11415-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELEONORA D’ARBOREA 30, presso lo studio dell’avvocato CARTONI BERNARDO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 19/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LA TORRE MARIA ENZA.

Svolgimento del processo
Che:

L’agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Lombardia, indicata in epigrafe, che in controversia su impugnazione di cartella di pagamento da parte di T.R. (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis) ai fini IRAP-IRPEF-IVA anno 2000 e 2001, ha accolto l’appello della contribuente, in riforma della sentenza di primo grado.

In particolare, la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella avvenuta a mani del portiere dello stabile, cui non era seguito l’invio dalla raccomandata informativa.

La contribuente si costituisce con controricorso.

Motivi della decisione
Che:

Con l’unico motivo di ricorso si deduce falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4, e della L. n. 890 del 1982, art. 7, commi 5 e 6, nonchè violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, non dovendo seguire alla notifica della cartella di pagamento – effettuata con invio diretto D.P.R. appena citato, ex art. 26, comma 1 – l’invio della c.d. della raccomandata informativa (C.A.N.).

Il motivo è fondato.

Vanno applicati, alla fattispecie in oggetto, i principi di questa Corte, secondo cui, in tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 (Cass. Sez. 6 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12083 del 13/06/2016). Ciò in quanto tale forma “semplificata” di notificazione si giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato e non costituendo nella disciplina della notificazione “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto” (Cass. 28872/2018 cit.; Corte Cost. 175/2018, cit.).

Tale statuizione non è stata superata, come eccepito dal controricorrente nella memoria, dalla modifica legislativa di cui alla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, che ha reintrodotto l’obbligo per l’operatore postale della successiva raccomandata in caso di consegna a persona diversa dal destinatario con disposizione che non ha efficacia retroattiva, in base al principio di cui all’art. 11 preleggi, (non trattandosi di norma costituente attuazione di principi costituzionali).

Ha pertanto errato la C.T.R. a ritenere invalida la notifica avvenuta in modo diretto, ai sensi del citato D.P.R., art. 26, comma 1, non seguita dalla successiva raccomandata informativa, con applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4. Il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, nulla prevede in merito all’invio della raccomandata informativa, qualora l’Ufficio decida di avvalersi direttamente del servizio postale, a fini notificatori. Infatti, la citata disposizione, stabilisce espressamente che ” (…) la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2, o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

A tali principi non si è uniformato il giudice di appello, ritenendo invalida la notifica della cartelle effettuata presso il portiere senza l’invio di una seconda raccomandata, sul presupposto (erroneo) dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 139 c.p.c..

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2019


Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 29-05-2018) 09-04-2019, n. 9793

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6880/2017 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAVOUR 305, presso lo studio dell’avvocato MICHELE GIUSEPPE VIETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE LEOPARDI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del Dott. C.M. in qualità di procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentata e difesa dall’avvocato RDBERTO BUONFRATE giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 573/2016 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO, depositata il 15/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Svolgimento del processo
1. D.G. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 573/16 del 15 dicembre 2016 della Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, che nell’accogliere il gravame esperito dalla società Generali Italia S.p.a. (d’ora in poi, “Generali”) contro la sentenza n. 1172/13 del 30 maggio 2013 del Tribunale di Taranto – ha dichiarato inammissibile l’opposizione presentata dall’odierno ricorrente, a norma dell’art. 650 c.p.c., avverso decreto ingiuntivo n. 1146/07, emesso in favore di Generali dal Tribunale di Taranto.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente che la società Generali – munitasi del suddetto provvedimento monitorio, per ingiungere ad esso D. il pagamento della somma capitale di Euro 1.670.000,00, a titolo di rivalsa di quanto dalla stessa società pagato a terzi, in forza di apposita “polizza fideiussoria cauzione tra privati” gli notificava, presso la sede della società di cui era amministratore delegato, in data 15 dicembre 2008, atto di precetto, con cui gli intimava il pagamento del complessivo importo di Euro 1.727.050,64.

Deduce, altresì, il ricorrente di aver appreso solo in tale occasione dell’emissione, a suo carico, del suddetto decreto, notificatogli ex art. 143 c.p.c., circa due anni prima, all’esito di un iniziale infruttuoso tentativo compiuto (il 14 novembre 2007) presso la sua residenza in (OMISSIS).

Proposta, avverso il provvedimento monitorio, opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., deducendo la nullità della notifica per difetto dei presupposti legittimanti il ricorso alle modalità di cui all’art. 143 c.p.c. (e nel merito, per quanto qui di interesse, l’infondatezza della pretesa creditoria di Generali, basata su una fideiussione della quale l’odierno ricorrente disconosceva la sottoscrizione, non senza, peraltro, previamente eccepire la prescrizione del diritto azionato), al giudizio così incardinatosi veniva riunito anche quello proposto dal D. a norma dell’art. 615 c.p.c..

Dichiarata nulla, dall’adito giudicante, la notifica ex art. 143 c.p.c., e dunque ammissibile l’opposizione tardiva avverso il decreto ingiuntivo, ritenuta nel merito fondata, contro tale decisione proponeva appello la Generali, vedendosi accogliere il gravame.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte tarantina ha proposto ricorso il D., sulla base di due motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 139, 143 e 360 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

Si censura la sentenza impugnata laddove essa – sul presupposto che, nel caso di specie, all’esito della prima infruttuosa notificazione presso l’abitazione del D. (essendo stato “in loco” rinvenuto “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi”) non fosse possibile ricorrere alle forme di cui all’art. 140 c.p.c., applicabili solo in caso di allontanamento precario, da quel luogo, del destinatario dell’atto – ha ritenuto che la notificazione andasse eseguita a mani del destinatario, ex art. 138 c.p.c., non potendo trovare applicazione l’ipotesi di cui al comma 2 del successivo art. 139. Difatti, secondo il giudice di appello, come sottolineato dall’odierno ricorrente, non poteva “essere preteso che il richiedente la notifica e l’ufficiale giudiziario si appostassero nei pressi della sede dell’azienda, rappresentata da una s.r.l. di cui il D. era amministratore delegato”, giacchè il ricorso a siffatta procedura notificatoria – “eseguita in assenza” dell’interessato “mediante consegna all’addetto all’ufficio o all’azienda” – si sarebbe potuta ritenere “valida ed efficace solo in relazione ad una notifica effettuata al detto D. in tale qualità”. Di qui, dunque, la necessità sempre secondo la Corte tarantina – dell’applicazione dell’art. 143 c.p.c..

Orbene, l’odierno ricorrente censura tale affermazione, che reputerebbe possibile il ricorso alla consegna dell’atto da notificare a persona “addetta all’ufficio o all’azienda” soltanto se l’atto stesso attenga ad attività lavorativa o professionale svolta “in loco” dal destinatario dell’atto, innanzitutto perchè in contrasto con il tenore letterale dell’art. 139 c.p.c., comma 2, che non introduce affatto una simile limitazione.

Lo confermerebbe, del resto, la giurisprudenza di legittimità, concorde – secondo il ricorrente – nel ritenere che per “ufficio” del destinatario di un atto debba intendersi “il luogo in cui egli svolge abitualmente la sua attività lavorativa, senza alcuna possibile distinzione tra l’ufficio da lui creato, organizzato e diretto per la trattazione degli affari propri, e quello in cui presti servizio o eserciti la sua attività lavorativa alle dipendenze di altri,” rilevando unicamente, in entrambi casi, che la relazione del soggetto con quel luogo sia caratterizzata “da una sufficiente stabilità”, senza, però, che essa debba comportare “necessariamente una sua abituale continua presenza fisica”, essendo, invece, “sufficiente una continuità di rapporti di tale portata che valga a giustificare una presunzione di reperibilità e, quindi, di conoscibilità dell’atto recapitato in tale luogo” (è citata Cass. Sez. 1, sent. 8 giugno 1995, n. 6487).

D’altra parte, ancora più di recente, è stato affermato – si legge sempre nel ricorso – che l’art. 139 c.p.c., “non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche, potendosi scegliere di eseguire la notifica presso la casa di abitazione o presso la sede dell’impresa o presso l’ufficio, purchè si tratti, comunque, di luogo posto nel comune in cui il destinatario ha la sua residenza” (è citata Cass. Sez. 2, sent. 16 febbraio 2016, n. 2968), stabilendosi anche che è “nulla la notificazione effettuata con le modalità previste dell’art. 143 c.p.c., quando sia noto il luogo di lavoro del destinatario” (Cass. Sez. 3, sent. 1 maggio 2011, n. 10217).

Su tali basi, dunque, si ritiene che la sentenza vada cassata, perchè il giudice del rinvio accerti – diversamente dal giudice di appello, che ha invece omesso di esaminare tale fatto decisivo – se tra il luogo in cui ha sede la società di cui il D. era l’amministratore delegato e il D. medesimo sussisteva quella “stabile relazione” idonea a consentire la consegna dell’atto a persona addetta all’ufficio o all’azienda, condizione necessaria e sufficiente per il legittimo ricorso a tale modalità di notificazione.

3.2. Con il secondo motivo – proposto ai sensi, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c..

Si reputa, in ogni caso, viziata la sentenza impugnata per avere ritenuto valida ed efficace la notifica ex art. 143 c.p.c., senza che l’ufficiale giudiziario abbia dato atto delle ricerche svolte per il reperimento della residenza effettiva del destinatario, adempimento richiesto a pena di nullità della notificazione (è citata Cass. Sez. Lav., sent. 9 febbraio 2009, n. 3037).

Si censura, infatti, l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la prima relata di notificazione – che si limitava ad attestare, osserva il ricorrente, che all’indirizzo di via (OMISSIS), indicato come luogo di abitazione del D., vi era “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi” – potesse “ritenersi parte integrante della seconda” (ancor più laconica, limitandosi ad attestare l’effettuazione della notificazione “mediante deposito di una copia nella casa comunale di (OMISSIS)”), sicchè dalla loro lettura congiunta potrebbe ricavarsi l’effettuazione delle ricerche volte ad individuare la residenza effettiva del D..

Assume il ricorrente come nessuna delle due relate dia conto delle indagini effettuate, non essendo, d’altra parte, neppure ipotizzabile che la prova dell’irreperibilità del destinatario possa essere ricavata “aliunde” e non dalla relata.

4. Ha resisto con controricorso Generali, per chiedere che l’avversaria impugnazione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Il primo di tali esiti viene motivato sul rilievo che, in sede di giudizio di merito, le difese del D. sono state tutte articolate “sulla sola dicotomia artt. 143 – 140 c.p.c.”, sicchè la questione relativa all’applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 2, presenterebbe, inammissibilmente, carattere di novità, oltre ad essere preclusa da giudicato.

Inoltre, si assume che la questione relativa alla necessità della notificazione presso il “luogo di lavoro” del destinatario dell’atto viene sollevata “su di un piano astratto e teorico”, giacchè il tema non è secondo la controricorrente – se l’atto “potesse” essere ivi notificato, bensì se lo “dovesse”. In altri termini, il D. era onerato dal provare – ciò che non ha fatto – che la sede della società, di cui egli era stato in passato rappresentante legale, fosse il suo “abituale” luogo di lavoro e se “in loco” vi fosse effettivamente “persona addetta all’ufficio”.

Infine, le censure non coglierebbero l’effettiva “ratio decidendi”, ovvero che la Corte tarantina ha comunque espresso il convincimento circa la “aleatorietà” di quel luogo a fungere da centro di interessi per l’odierno ricorrente, sulla base di una valutazione di merito non sindacabile in questa sede, ciò che degrada al rango di una pleonastica digressione – al più emendabile ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., – l’affermazione relativa al fatto che la notifica a persona addetta all’ufficio o all’azienda concerne i casi in cui la notificazione attenga ad atti relativi ad attività ivi svolta.

5. Hanno presentato memoria entrambe le parti per ribadire le proprie argomentazioni e replicare a quelle avversarie.

Motivi della decisione
6. Il ricorso va accolto, limitatamente al secondo motivo.

6.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

6.1.1. Nell’esaminare lo stesso occorre muovere dal rilievo che la sentenza impugnata attesta essere stata inizialmente tentata la notifica, ex art. 139 c.p.c., comma 1, presso quello che dallo stesso contratto di fideiussione, intercorso tra le parti e fonte del credito oggetto del provvedimento monitorio da notificarsi – risultava essere il luogo ove risiedeva il D., via (OMISSIS), sicchè in assenza di reperimento del destinatario, o di persona di famiglia o addetta alla casa, la stessa, all’esito delle ricerche anagrafiche (che confermavano in via (OMISSIS) il luogo di residenza del destinatario dell’atto), veniva effettuata ex art. 143 c.p.c..

La pretesa, dunque, che la seconda notifica fosse compiuta – ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2, – presso la sede della società, della quale il D. era stato, in passato amministratore, quale luogo in cui esso aveva (avuto) il proprio “ufficio” non ha fondamento, visto che il citato art. 139, “nei prescrivere che la notifica si esegue nel luogo di residenza del destinatario e nel precisare che questi va ricercato nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche, potendosi scegliere di eseguirla presso la casa di abitazione o la sede dell’impresa o l’ufficio, purchè si tratti, comunque, di luogo posto nel comune in cui il destinatario ha la sua residenza” (Cass. Sez. 6-2, ord. 16 ottobre 2017, n. 25489, Rv. 646821-01; Cass. Sez. 3, ord. 10 febbraio 2010, n. 2266, Rv. 611300-01)”.

Tanto basta, dunque a ritenere non fondato il motivo, a prescindere dell’errata affermazione della Corte territoriale, secondo cui la notifica al D. presso la sede della società di cui era stato amministratore sarebbe stata ammissibile solo se effettuata allo stesso in tale qualità.

6.2. Il secondo motivo è, invece, fondato.

6.2.1. Va, infatti, dato seguito al principio già enunciato da questa Corte secondo cui, in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., “l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione” (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 aprile 2017, n. 8638, Rv. 643689-01).

Alla stregua di tale principio, infatti, non idonee appaiono le indicazioni apposte dall’ufficiale giudiziario, nel presente caso, all’esito del primo (inutile) tentativo di notificazione presso l’abitazione del D., visto che dalla stessa risultava unicamente il rinvenimento, “in loco”, di “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi”, ma non l’espletamento di ulteriori indagini o ricerche, che – come di recente chiarito da questa Corte – potrebbero sostanzarsi nell’aver “raccolto informazioni negative, circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell’atto, dai residenti interpellati” (Cass. Sez. 1, ord. 31 luglio 2017, n. 19012, Rv. 645083-02; Cass. Sez. 3, ord. 5 luglio 2018, n. 17596, non massimata), o, almeno, nell’attestare impossibilità di procedere in tal senso, secondo quanto ipotizza la controricorrente, sulla scorta di quel passaggio della sentenza impugnata – ma non delle risultanze della relata – che dà atto dell’assenza, in prossimità dello stabile di via (OMISSIS), di esercizi commerciali, ovvero della presenza, ma solo a distanza, di altri “villini isolati”.

7. La sentenza va, dunque, cassata, rinviando alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per la decisione nel merito.

Spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo, cassando, per l’effetto, la sentenza impugnata in relazione e rinviando alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per la decisione nel merito e per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2019