Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 24-10-2018) 23-05-2019, n. 14003

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26790-2013 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 102, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimata –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 81/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 11/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2018 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

Svolgimento del processo
CHE:

1. C.M. impugnava la cartella esattoriale notificatagli dalla concessionaria, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, per l’omesso o carente versamento di Irpef, addizionali ed Iva relative all’anno di imposta 2006, sul rilievo che la notifica, eseguita presso il suo domicilio fiscale ai sensi del comb. disp. del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, con deposito dell’atto, stante la sua precaria assenza, presso la casa comunale, si era perfezionata oltre il termine del 31.12.2010, previsto a pena di decadenza dall’accertamento, avendo egli ricevuto avviso del deposito il 22.2.2011.

2. La CTP di Roma respingeva il ricorso.

3. Con sentenza n. 81/29/13, la CTR del Lazio respingeva l’appello del contribuente, rilevando: che il notificatore si era recato presso la residenza del C. il 27.12.2010 e, dopo aver verificato la sua temporanea assenza nonché la mancanza di persone addette al ricevimento ai sensi dell’art. 139 c.p.c., aveva proceduto al deposito dell’atto presso la casa comunale, affiggendo il relativo avviso all’albo il 30.12.2010; che pertanto la notifica si era perfezionata il giorno successivo, ovvero entro il termine di decadenza di cui al D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis; che peraltro, anche a voler ritenere necessario, ai fini del perfezionamento della notificazione, l’invio della raccomandata informativa, tale formalità era stata rispettata, in quanto il 3.1.2011 l’agente accertatore aveva inviato al contribuente la comunicazione di avvenuto deposito del plico presso la casa comunale, questi ricevuta il 22.2.2011.

Avverso la pronuncia della CTR del Lazio, C.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine della partecipazione all’udienza pubblica.

Motivi della decisione
CHE:

3. Con il primo motivo di ricorso C. lamenta violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 140 c.p.c., rilevando che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, nel caso di irreperibilità solo temporanea del destinatario il perfezionamento della notifica della cartella può ritenersi avvenuto solo con il compimento di tutti gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c., e, in particolare, con l’invio delle raccomandata con avviso di ricevimento che informi il contribuente dell’avvenuto deposito dell’atto presso la casa comunale.

4. Col secondo motivo il contribuente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, che i giudici territoriali abbiano omesso di pronunciare sull’eccezione da lui proposta, di nullità dell’atto impositivo per carenza di motivazione.

5. Il primo motivo è fondato, assorbito il secondo.

La Corte Cost., con la sentenza n. 258/012, ha dichiarato illegittimo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, nella parte in cui stabilisce che “la notificazione della cartella di pagamento, nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c., si esegue con le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60”, anzichè “nei casi in cui nel comune in cui si deve eseguire la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario la notifica si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60”.

Pertanto nel caso di specie, in cui il giudice d’appello ha accertato che si versava in fattispecie disciplinata dall’art. 140 c.p.c., stante la sola temporanea assenza del C. dalla propria abitazione, la notifica non poteva ritenersi perfezionata mediante la mera affissione dell’avviso presso l’albo del Comune, atteso che, ai sensi dell’art. 60 cit., (esteso per effetto della pronuncia della Consulta anche alla notifica delle cartelle) tale forma sostitutiva di notificazione è ammessa solo quando nel Comune nel quale deve eseguirsi la notifica non c’è abitazione, ufficio o azienda del destinatario.

Va dunque ribadito il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui “In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte Cost. n. 258 del 22 novembre 2012, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione” (Cass. n. 9782 del 19/04/2018).

Nella specie è pacifico che la raccomandata informativa sia stata spedita al C. solo il 3.1.2011 e che questi l’abbia ricevuta il successivo 22.2.011. Ne consegue che la notifica della cartella si è perfezionata solo in tale (Ndr: testo originale non comprensibile) data, allorché il termine di decadenza dell’Amministrazione dal proprio potere di accertamento era irrimediabilmente decorso.

All’accoglimento del motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito ex art. 384 c.p.c., accogliendo il ricorso introduttivo del contribuente ed annullando la cartella impugnata.

Le spese del giudizio di merito, tenuto conto che la sentenza della Corte Cost. è intervenuta in data successiva alla pronuncia di primo grado, vanno compensate, mentre quelle del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, in accoglimento dell’originario ricorso del contribuente, annulla la cartella per cui è causa; compensa le spese del doppio grado di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate alla refusione di quelle del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2019


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 18-12-2018) 08-05-2019, n. 12108

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11017-2015 proposto da:

G.C., domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato OTTORINO NAVARRA;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA GERIT SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato ENRICO FRONTICELLI BALDELLI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA III AREA LEGALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 6218/2014 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 20/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2018 dal Consigliere Dott. ANDRONIO ALESSANDRO.

Svolgimento del processo
1. – La CTP di Roma ha rigettato i ricorsi proposti dal contribuente nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed Equitalia Gerit s.p.a. avverso una iscrizione ipotecaria avvenuta su un immobile di sua proprietà, per la somma di Euro 67.338,00, pari al doppio del credito tributario vantato nei suoi confronti, nonchè avverso tre cartelle di pagamento, che erano tra quelle che risultavano alla base dell’iscrizione ipotecaria. La CTR, previa riunione dei ricorsi, ha rilevato che era stata fornita la prova della regolarità della notificazione delle cartelle e che l’atto di riscossione (iscrizione ipotecaria) non era stato impugnato per vizi propri.

2. – Avverso la sentenza di primo grado il contribuente ha proposto distinti appelli, ribadendo le ragioni proposte in primo grado e rilevando che, nonostante l’apparente regolarità della notificazione delle cartelle, egli non era venuto a conoscenza.

3. – La CTR di Roma ha rigettato gli appelli riuniti quanto alle cartelle esattoriali e ha dichiarato la propria incompetenza territoriale in relazione al ricorso avverso l’iscrizione ipotecaria. Sotto il primo profilo, ha evidenziato che la notificazione delle cartelle doveva essere ritenuta regolare, con conseguente inammissibilità, per tardività, dei ricorsi contro le stesse.

4. – La sentenza di secondo grado è stata impugnata dal contribuente con ricorso per cassazione.

4.1. – Con un primo motivo di doglianza, si censura la mancanza di motivazione quanto agli “obblighi preventivi all’emissione delle cartelle”, “tra i quali anche i termini per l’iscrizione a ruolo a pena di decadenza, che, dagli atti processuali, non risultano essere mai stati eseguiti, con conseguente nullità dell’intero procedimento, oltre alla illegittimità della tardiva imposizione”. Si deduce, in sostanza, la prescrizione dei crediti Iva alla base delle cartelle.

4.2. – In secondo luogo, si contesta la motivazione della sentenza nella parte in cui questa afferma che l’indirizzo del contribuente, seppure privo di numero civico, Era stato sufficiente per individuare il domicilio dello stesso, ai fini della notificazione delle cartelle, perchè egli era semplicemente assente e non sconosciuto o trasferito. Si contesta l’affermazione della CTR per cui, secondo la normativa vigente all’epoca della notificazione, non occorreva la successiva raccomandata postale; e ci si duole del fatto che nella relata di notifica non vi sarebbe la menzione dell’affissione dell’avviso alla porta dell’abitazione del destinatario. Si sarebbe dovuto applicare, ad avviso del ricorrente, il procedimento di notificazione di cui all’art. 140 c.p.c..

4.3. – Si lamenta, in terzo luogo, l’omessa pronuncia in relazione alla legittimità del procedimento di iscrizione ipotecaria, che sarebbe avvenuta senza intimazione di pagamento; inoltre, la comunicazione di iscrizione ipotecaria non sarebbe mai pervenuta al ricorrente.

5. – La sola Equitalia Sud s.p.a., agente della riscossione, si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.

6. – Il ricorrente ha depositato memoria, con la quale ha ribadito quanto dedotto nel ricorso.

Motivi della decisione
7. – Il ricorso è infondato.

7.1. – Deve essere esaminato preliminarmente, per ragioni di priorità logica, il secondo motivo di doglianza, con cui si contesta la ritenuta regolarità della notificazione delle cartelle. Il motivo è infondato. Nel caso di specie, le cartelle di pagamento sono state notificate ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, che aveva carattere di specialità, a mezzo di messo modificatore, il quale aveva effettuato, per ciascuna notifica, due accessi preventivi, con relazione di “destinatario assente” e con affissione presso il Comune, dando atto della relativa affissione dell’invio della raccomandata informativa. Del resto, l’indirizzo del destinatario risultava corrispondente anche alla visura anagrafica e al domicilio fiscale, mentre a quello stesso indirizzo lo stesso messo notificatore aveva consegnato in mani proprie un quarto atto, estraneo al presente giudizio. Come già ricordato dalla CTR, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 258 del 2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 26, comma 3, attuale comma 4, nella parte in cui stabilisce che la notificazione della cartella di pagamento “Nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c., (…) si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60”, anzichè “Nei casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario (…) si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, alinea e, lett. e)”. Questa Corte (ex multis, Sez. 5, n. 25079 del 2014; Sez. 5, n. 9782 del 2018) ha affermato il principio in base al quale “In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012 relativa al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3 (ora comma 4), va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del citato art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, alinea (e), sicchè è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione”, alla stregua di quanto risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., disposizione richiamata dall’art. 26 citato, nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anzichè con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione. A seguito di tale sentenza, pertanto, la notificazione effettuata ai sensi di tale disposizione si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione (Cass. 14316/2011). Nella specie tale disciplina non trova però applicazione, perchè, a quanto emerge dalla sentenza impugnata, la notificazione delle cartelle di pagamento è stata effettuata con affissione nell’albo comunale e invio delle raccomandate, che non sono state ricevute perchè il contribuente era sconosciuto all’indirizzo. La riscontrata situazione di assoluta irreperibilità rende applicabile il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, alinea e lett. e), il quale prevede che, “quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 c.p.c., in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune, e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione”. E, come appena visto, la CTR ha specificato che tale adempimento si è verificato nel caso di specie; con la conseguenza che le cartelle esattoriali devono ritenersi correttamente notificate.

7.2. – Venendo ora all’esame del primo motivo di doglianza – con cui si deduce, quale ragione di illegittimità delle cartelle, la prescrizione dei crediti Iva sottostanti – deve rilevarsi che lo stesso è inammissibile, sia perchè formulato in modo non specifico, in mancanza di puntuali riferimenti agli atti di causa rilevanti ai fini del suo esame, sia perchè logicamente precluso dalla ritenuta tardività dei ricorsi nei confronti delle cartelle.

7.3. – Inammissibile è il terzo motivo, riferito all’omessa pronuncia in relazione alla legittimità del procedimento di iscrizione ipotecaria, che sarebbe avvenuta senza intimazione di pagamento e senza comunicazione di iscrizione ipotecaria. La doglianza deve ritenersi preclusa, perchè, sul punto, la sentenza impugnata ha affermato l’incompetenza territoriale della commissione della CTP di Roma a favore di quella di Latina, senza che tale statuizione sia stata anche solo presa in considerazione dal ricorrente.

8. – Il ricorso deve essere perciò rigettato, con condanna del ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controparte costituita, da liquidarsi in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Va infine fatta applicazione – a carico del ricorrente – del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, in tema di obbligo di pagamento di un’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata o dichiarata inammissibile o improponibile.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute nel grado dalla controparte costituita, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019


Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 05-03-2019) 02-05-2019, n. 11562

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8408/2014 proposto da:

Comune Benevento, in persona del Sindaco pro tempore elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Gracchi 39, presso lo studio dell’avvocato Ester Perifano, che lo rappresenta e difende in forza di procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

V.D., elettivamente domiciliato in Roma via Barnaba Tortolini 30, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara, e rappresentato e difeso dall’avvocato Silvio Ferrara, in forza di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2644/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

udito l’Avvocato ALESSANDRO FERRARA, munito di delega dall’avvocato SILVIO FERRARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata.

Svolgimento del processo
1. V.D. ha convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Napoli il Comune di Benevento, proponendo opposizione avverso la determinazione dell’indennità di espropriazione e di occupazione da questo offerta con riferimento al terreno espropriato con Decreto n. 6367 del 15-18/9/2003.

Si è costituito in giudizio del Comune, che ha chiesto il rigetto delle domande dell’attore, e la Corte di appello ha sospeso il giudizio in attesa della definizione dell’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo del decreto di esproprio.

Dopo la conferma in tale sede della legittimità dell’esproprio, la riassunzione del giudizio e l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 25/6/2013 la Corte di appello ha determinato in Euro 161.490,00 l’ammontare della giusta indennità di esproprio e in Euro 11.332,63 quello della giusta indennità di occupazione e ha condannato il Comune di Benevento al deposito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze delle differenze fra le predette indennità e le somme già versate a tali titoli presso la Cassa Depositi e Prestiti, con il favore delle spese di giudizio.

2. Avverso la predetta sentenza, indicata come notificata il 31/1/2014, con atto notificato il 26/3/2014 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Benevento, svolgendo tre motivi.

2.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il Comune ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, poichè la Corte di appello di Napoli aveva completamente omesso di considerare che la particella di (OMISSIS) m.q., censita a catasto terreni al Foglio (OMISSIS), erroneamente ricompresa nel calcolo dell’indennità, era di proprietà del Comune di Benevento a far data dal 9/11/1999, in forza di atto di cessione bonaria rep. (OMISSIS) del 9/11/1999, stipulato fra il V. e il Dirigente dell’Ufficio tecnico dinanzi al Segretario comunale di Benevento.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alle norme in tema di edificabilità legale di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, artt. da 1 a 4.

In primo luogo la doglianza trae origine dal fatto che la Corte territoriale aveva considerato edificabili aree che ricadevano, in parte, in fascia di rispetto stradale secondo il P.U.C. in vigore e, in parte, in zona E3 del P.R.G. – area agricola ordinaria a prevalente uso agricolo, forestale e pascolivo (per la precisione: parte in Zona E1- verde privato vincolato, parte in Zona E2 – aree private di rispetto stradale, e parte in Zona E3 – aree private di verde agricolo, incolto e boschivo).

In secondo luogo, il Comune ricorrente lamenta che la Corte napoletana abbia adottato illegittimamente il criterio di valutazione del “valore medio comprensoriale”, basandosi sull’individuazione di un comprensorio omogeneo, al cui servizio è posta la viabilità attuata sui fondi, e calcolando il prezzo di mercato dei beni espropriati nella media dei valori dei fondi edificabili e di quelli destinati invece a viabilità, non applicando invece l’unico criterio legale legittimo, basato sulla verifica dell’edificabilità o meno del terreno espropriato.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il Comune ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, anche in rapporto alla nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, poichè la Corte di appello di Napoli, ai fini della quantificazione del valore di mercato dell’area, aveva utilizzato, senza motivare adeguatamente, criteri di stima presi in esame da altro consulente in un diverso giudizio e relativi a fondi non omogenei e con caratteristiche differenti da quelli in esame.

3. Con atto notificato il 5/5/2014 ha proposto controricorso V.D., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.

4. In data 20/1/2019 il controricorrente V.D. ha provveduto a notificare alla controparte un elenco di documenti relativi all’ammissibilità del ricorso ex art. 372 c.p.c. (originale in forma esecutiva della sentenza 2644/2013 della Corte di appello di Napoli corredato da plurime notifiche; originale dell’attestato della Corte di Appello di Napoli del 3/2/2014 relativo alla mancata impugnazione della predetta sentenza; estratto dell’Albo degli Avvocati di Benevento; originale del certificato di iscrizione all’Albo dell’avv. Luigi Giuliano; estratto della Delib. Consiglio Comunale Benevento 28 aprile 2016, n. 344).

Con memoria in data 29/1/2019 il controricorrente, tra l’altro, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per tardività, poiché la sentenza impugnata era stata notificata, già una prima volta, in data 2/10/2013, ai due difensori costituti per il Comune di Benevento nel giudizio di secondo grado, avvocati Luigi Giuliano e Maria Di Florio, prima della seconda notifica eseguita il 31/1/2014, a cui aveva fatto riferimento il ricorrente nel suo ricorso.

Con memoria del 20/2/2019 il Comune di Benevento ha eccepito l’inammissibilità delle produzioni ed eccezioni avversarie, a suo dire proposte alla Corte di Cassazione in palese violazione del principio del contraddittorio, perché relative ad atti, fatti e avvenimenti risalenti a epoca anteriore alla notifica del ricorso e soprattutto alla notifica del controricorso da parte del V..

Motivi della decisione
1. La Corte in via del tutto preliminare deve esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso del Comune di Benevento per tardività, sollevata dal controricorrente con la memoria del 29/1/2019.

2. In via ulteriormente preliminare, la Corte deve valutare l’eccezione difensiva del Comune, che ha sostenuto l’inammissibilità delle avversarie produzioni e la tardività delle eccezioni avversarie, perché proposte alla Corte di Cassazione in palese violazione del principio del contraddittorio, e relative ad atti, fatti e avvenimenti risalenti a epoca anteriore alla notifica del ricorso e soprattutto alla notifica del controricorso da parte del V..

2.1. In sostanza, il Comune sostiene che tali produzioni ed eccezioni avrebbero dovuto essere sollevate con il controricorso, momento nel quale, effettivamente, la controparte disponeva già di tutti gli elementi per procedere in tal senso.

2.2. Tale assunto non ha fondamento nel diritto processuale positivo.

L’art. 372 c.p.c., comma 2, è del tutto inequivoco nello stabilire che il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità (ovviamente: del ricorso) può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato mediante elenco, alle altre parti.

Ciò significa, senz’ombra di dubbio, che tali produzioni possono essere effettuate anche successivamente alla notificazione del controricorso, seppur dirette a dimostrare l’inammissibilità del ricorso.

Questa Corte ha affermato che la produzione di atti e documenti di cui all’art. 372 c.p.c., riguardanti l’ammissibilità del ricorso per cassazione, da parte dell’intimato che abbia proposto tardivamente il controricorso, al quale i documenti siano stati allegati, è valida ed efficace, ed i documenti stessi possono conseguentemente essere esaminati e valutati dalla Corte (nella specie, per verificare l’intempestività della notifica del ricorso, e quindi la formazione di un giudicato interno) a condizione che l’intimato stesso partecipi alla discussione orale (Sez. 5, n. 9093 del 21/06/2002, Rv. 555253 – 01). Inoltre al fine di assicurare la garanzia del contraddittorio nella trattazione delle questioni relative all’ammissibilità del ricorso per cassazione questioni che danno luogo ad una fase autonoma del processo, comprendente una sia pur limitata attività istruttoria relativamente alle fonti di prova addotte a fondamento delle stesse l’adempimento della notificazione dell’elenco dei documenti al riguardo prodotti può essere validamente surrogato da un’adeguata indicazione degli stessi nel controricorso, mentre la loro produzione non deve necessariamente avvenire negli stessi termini fissati per il deposito del ricorso o del controricorso, ma, in assenza della precisazione del relativo termine da parte dell’art. 372 c.p.c., comma 2, può ritenersi consentita fino all’udienza di discussione, prima dell’inizio della relazione (salva restando la facoltà del difensore della controparte di richiedere un rinvio per formulare eventuali rilievi). (Sez. L, n. 3736 del 28/03/2000, Rv. 535121 – 01; Sez. L, n. 13865 del 19/10/2000, Rv. 541068 – 01).

Inoltre è stato rilevato che la norma di cui all’art. 372 c.p.c. – nel consentire la produzione di documenti (anche in fotocopia, con i limiti probatori di cui all’art. 2719 c.c.) relativi alla ammissibilità del ricorso, dei quali deve essere data notizia alla controparte mediante notifica del suo elenco – non fissa un termine, sicché tale produzione è consentita fino all’udienza di discussione, prima dell’inizio della relazione. La eventuale contestazione non può consistere nella mera obiezione alla produzione di fotocopia ma deve avere specificamente ad oggetto la conformità all’originale ed in tal caso al giudice della legittimità è demandato di svolgere una, sia pure limitata, attività istruttoria di accertamento delle fonti di prova sulle quali la richiesta stessa si fonda, che può comprendere anche la verifica della autenticità del documento prodotto. Tale verifica, dovendo rispettare il principio del contraddittorio, può comportare il superamento dell’indicato limite temporale ed eventualmente il rinvio della causa. (Sez. L, n. 23321 del 15/12/2004, Rv. 578184 – 01) 2.3. Né può essere condivisa la censura di violazione del contraddittorio, sollevata dal Comune di Benevento, considerato che l’elenco delle produzioni è stato notificato alla controparte, i documenti sono stati depositati, la memoria difensiva è stata portata a conoscenza del ricorrente, che ha conseguentemente potuto esercitare nella dialettica processuale le proprie difese, preferendo tuttavia con la memoria ex art. 378 c.p.c., limitarsi a sostenere la mera inammissibilità delle produzioni ed eccezioni avversarie, senza affrontarle nel merito e senza partecipare alla discussione orale all’udienza del 5/3/2019.

2.4. Non merita condivisione neppure l’argomentazione spesa in memoria dal ricorrente per delineare il pregiudizio processuale che avrebbe subito per effetto della condotta avversaria, circa la preclusione del controricorso incidentale che sarebbe stata determinata dalla ritardata proposizione dell’eccezione da parte del V..

Il controricorrente non ha affatto impugnato la sentenza e si è limitato a formulare una eccezione di carattere preliminare che non avrebbe comunque potuto legittimare un’impugnazione incidentale da parte del ricorrente principale.

2.5. D’altro canto, il punto fondamentale è che la tempestività del ricorso è soggetta a verifica ex officio.

Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, l’inammissibilità dell’impugnazione derivante dall’inosservanza dei termini all’uopo stabiliti a pena di decadenza è correlata alla tutela d’interessi di carattere generale e indisponibile e, come tale, è insanabile, oltre che rilevabile d’ufficio (Sez. U, n. 6983 del 05/04/2005, Rv. 580150 – 01; cfr anche: Sez.un. 226 del 25/5/2001, Rv. 548189-01; Sez.Lav. n. 16847 del 26/6/2018, rv 649326-01; Sez.3, n. 25342 del 26/10/2017, Rv. 646457-02).

Tali principi hanno condotto ad affermare anche che la rilevabilità dell’inammissibilità del ricorso per Cassazione notificato tardivamente rispetto al termine breve, decorrente dalla data di notifica della sentenza impugnata, non può essere esclusa per il fatto che il controricorso, con il quale si eccepisce la inammissibilità dell’impugnazione e si indica la prova documentale della notifica della sentenza, sia a sua volta tardivo, ove tale prova documentale, ancorché depositata unitamente al controricorso, sia posta a disposizione del ricorrente. (Sez. L, n. 886 del 13/02/1989, Rv. 461890 – 01).

2. La parte controricorrente ha prodotto la sentenza di secondo grado notificata congiuntamente ai due difensori costituiti nel giudizio di secondo grado, avv. Luigi Giuliano e Maria De Florio, al domicilio da loro eletto a (OMISSIS), presso l’avv. Massimo Pagano, in data 2/10/2013, anteriormente quindi alla seconda notifica, eseguita il 31/1/2014 della quale dà atto il ricorso del Comune di Benevento.

2.1. E’ del tutto evidente che la validità ed efficacia della prima notifica priverebbe di qualsiasi rilievo la seconda notifica del 31/1/2014, per qualsiasi ragione essa sia stata successivamente effettuata.

2.2. L’avv. Luigi Giuliano, all’atto della prima notifica della sentenza 2644/2013, era iscritto all’Albo ordinario degli Avvocati, essendo poi deceduto solo il 18/4/2014; la sua originaria nomina, quale avvocato iscritto all’Albo speciale quale dipendente comunale, non risulta revocata; dalla sentenza 2644/2013, che riporta in epigrafe i nominativi dei due difensori del Comune, non risulta in ogni caso che l’avv. Giuliano sia stato sostituito da altro difensore.

E’ pur vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, 14/12/2016, n. 25638; Sez. L, n. 3143 del 1999; Sez. L, n. 5729 del 1999; Sez. U, n. 363 del 18/5/2000; Sez. 1, n. 20361 del 23/7/2008; Sez. L, n. 11529 del 14/5/2013), gli avvocati e procuratori dipendenti di enti pubblici ed iscritti nell’albo speciale annesso all’albo professionale sono abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, onde la cessazione del rapporto di impiego, determinando la mancanza di legittimazione a compiere a ricevere atti processuali relativi alle cause proprie dell’ente, comporta il totale venir meno dello ius postulandi per una causa equiparabile a quelle elencate dall’art. 301 c.p.c., a nulla rilevando l’eventuale formale permanenza dell’iscrizione nell’albo speciale; ne consegue che la notifica della sentenza al procuratore cessato dal rapporto d’impiego deve ritenersi inesistente e perciò inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, non essendo ipotizzabile la protrazione dell’attività lavorativa dell’avvocato – funzionario oltre il limite di durata del rapporto di impiego ed essendo perciò inapplicabile alla fattispecie la disciplina dettata dall’art. 85 c.p.c..

Nella fattispecie, tuttavia, l’avv. Luigi Giuliano aveva conservato ad altro titolo lo jus postulandi, risultando iscritto all’Albo Ordinario degli avvocati, dopo la cessazione del rapporto di impiego.

2.3. In ogni caso, la sentenza è stata notificata anche all’avv. Maria De Florio, iscritta all’Albo Speciale, condifensore costituito nel giudizio di secondo grado, come risulta anche dalla sentenza 2644/2013.

Sia dalla sentenza, sia dall’estratto dell’Albo risulta infatti il nominativo Maria De Florio, e non Maria Teresa De Florio, a cui è stata diretta la seconda notifica, che non vi è peraltro motivo d dubitare che sia la stessa persona.

2.4. Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, qualora il mandato alle liti venga conferito a più difensori, ciascuno di essi, in difetto di un’espressa ed inequivoca volontà della parte circa il carattere congiuntivo, e non disgiuntivo, del mandato medesimo, ha pieni poteri di rappresentanza (Sez. 3, 20/06/2017, n. 15174; Sez. 6, 22/09/2016, n. 18622; Sez. un., 09/06/2014, n. 12924).

Da tale principio discende il corollario consequenziale della sufficienza della notificazione ad uno solo dei procuratori costituiti sul quale ricade l’onere di informazione del condifensore (Sez. 1, 31/08/2017, n. 20626; Sez. 6, 22/09/2016, n. 18622; Sez. 2, 27/01/2012, n. 1234).

Pertanto, anche a voler considerare ormai inefficace il mandato difensivo all’avv. Luigi Giuliano per effetto della sua cancellazione dall’Albo speciale e del passaggio all’Albo ordinario, la sentenza sarebbe stata utilmente notificata all’ormai unico difensore, avv. Maria De Florio.

2.5. L’atto risulta consegnato il 2/10/2013 a R.R., portiere dello stabile di (OMISSIS) del domiciliatario avv. Massimo Pagano, con il conseguente invio della lettera raccomandata ex art. 139 c.p.c..

In caso di notificazione effettuata, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., mediante consegna al portiere dell’atto da notificare con contestuale spedizione della prescritta raccomandata, la spedizione della raccomandata non si configura come elemento costitutivo della fattispecie notificatoria, in quanto tale ipotesi di notificazione si perfeziona con la modalità e nel momento della consegna dell’atto al portiere (Sez. lav., 13/05/2003, n. 7349); la norma infatti prevede l’invio al destinatario della notizia “dell’avvenuta notificazione”.

In passato la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla notificazione mediante consegna al portiere, riteneva anzi che l’invio della lettera raccomandata di cui al comma 4 dello stesso articolo, non attenesse alla perfezione dell’operazione di notificazione, sicchè la sua omissione si risolve in una mera irregolarità di carattere estrinseco non integrante alcuna delle ipotesi di nullità previste dall’art. 160 c.p.c. (Sez. 2, 05/07/2006, n. 15315).

Tale orientamento è stato ormai rimeditato e le Sezioni Unite (Sez. un. 31/7/2017 n. 18992), ritengono che l’adempimento della spedizione della lettera raccomandata sia prescritto a pena di nullità.

Le Sezioni Unite hanno infatti autorevolmente osservato: “invero, l’art. 139 c.p.c., prevede, ai suoi commi 3 e 4, che “in mancanza delle persone indicate nel comma precedente”, e cioè del destinatario di persona, oppure di una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda (purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace), “la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda…”: nel qual caso, “il portiere… deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”; l’omissione dell’avviso è ormai, nella giurisprudenza più recente di questa Corte, chiaramente qualificata – non più, come nei primi decenni dall’entrata in vigore del codice, come mera irregolarità (per tutte: Cass. 04/04/2006, n. 7816; Cass. 04/02/1980, n. 755; in precedenza, nello stesso senso: Cass. 4111/79, 397/74, 353/71, 198/68, 1204/67), bensì – come causa di nullità della notificazione per vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario notificante, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale stesso (Cass. 30/06/2008, n. 17915; Cass. 30/03/2009, n. 7667), secondo un principio esteso pure alla notifica a mezzo posta (Cass., ord. 25/01/2010, n. 1366; Cass. 21/08/2013, n. 19366);tale interpretazione va confermata, attesa la funzione dell’avviso nella struttura complessiva di una notificazione che si perfeziona a persona non legata da quei particolari vincoli evidenziati del medesimo art. 139 c.p.c., comma 2, ma pur sempre da altri di peculiare intensità: l’atto entra a far parte della sfera di effettiva conoscibilità del destinatario, ma in una sua porzione connotata da un grado minore di possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto, rispetto a quelle altre fattispecie indicate dal comma 2 per la natura assai stretta del vincolo che lega al destinatario il consegnatario dell’atto; ed un tale minor grado di conoscibilità, se non la degrada al punto di rendere necessario lo spostamento ulteriore del momento di perfezionamento della notifica come accade appunto per l’ipotesi contemplata dall’art. 140 c.p.c., esige però almeno di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post e appunto non incidente sul precedente tempo in cui l’attività notificatoria si è svolta e compiuta; rimane ovviamente fermo che, nell’ipotesi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, il tempo di perfezionamento della notifica si identifica con la consegna ad una persona comunque inserita nella richiamata sfera di conoscibilità del destinatario, ma stavolta latamente intesa, siccome identificata in base ora ai rapporti giuridici nascenti dal portierato in un fabbricato per civili abitazioni ed agli obblighi in capo al portiere in favore dei singoli occupanti”.

Nella fattispecie la lettera raccomandata ex art. 139 c.p.c., risulta spedita in forza dell’attestazione contenuta nella relata di notifica, sicchè non è consentito di dubitare della validità ed efficacia della notificazione eseguita in data 2/10/2013.

2.6. Il ricorso è stato consegnato per la notificazione in data 26/3/2014 e quindi tardivamente, oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata previsto dall’art. 325 c.p.c., in data 2/10/2013, ut supra esposto; i sessanta giorni previsti dall’art. 325 c.p.c., venivano a scadere domenica 1/12/2013, con proroga ex lege al primo giorno feriale successivo, ossia al 2/12/2013.

4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per tardività e il Comune ricorrente soccombente deve essere condannato alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre 15% spese generali, ed in Euro 200,00 per esposti, oltre oneri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2019


Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 18-10-2018) 29-04-2019, n. 2724

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 9523 del 2008, proposto da

P.E., rappresentato e difeso dall’avvocato Mariagiovanna Belardinelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Pazzaglia in Roma, via Lutezia, n. 8;

contro

Comune di Spoleto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Dante Duranti, Goffredo Gobbi e Maurizio Pedetta, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Goffredo Gobbi in Roma, via Maria Cristina, n. 8;

nei confronti

Ministero delle Finanze, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria n. 390/2008, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione del Comune di Spoleto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Massimo Marcucci, per delega dell’avv. Belardinelli, e Giuseppe Giovanelli, per delega degli avv. Duranti e Pedetta;

Svolgimento del processo
1.- E.P. – già messo di notificazione, dipendente di V qualifica funzionale del Comune di Spoleto, addetto, per disposizione del Sindaco impartita con ordine di servizio n. 57 del 16/5/1989, in esecuzione della delibera di Giunta n. 50 del 18/1/1989, a “curare in via esclusiva il servizio di notificazione degli atti dell’Ufficio di Conciliazione di Spoleto”, dovendo le restanti notifiche essere effettuate da altro personale – veniva inquadrato, con delibera di Giunta n. 735 del 24/6/1992, nel posto di “Segretario di conciliazione” – VI qualifica funzionale – istituito dal Consiglio Comunale con Delib. n. 324 del 15 novembre 1991, con il compito di provvedere comunque alle notifiche suddette.

In data 30/10/1994, il P. transitava nei ruoli del Ministero della Giustizia col profilo professionale di “Assistente giudiziario” e l’Amministrazione comunale prendeva atto di tale passaggio con delibera di Giunta n. 1002 del 24/11/1994.

All’indomani stesso del trasferimento dal Comune al Ministero, con nota del 21/11/1994, assumendo di “aver eseguito nel periodo dal 1/8/1991 al 30/10/1994, su incarico del Comune di Spoleto, notificazioni di atti richiesti da varie Amministrazioni finanziarie dello Stato” e “di non avere ancora percepito … i diritti spettanti per dette notificazioni”, ne chiedeva il pagamento al Comune stesso.

A tale richiesta l’Amministrazione comunale, con nota del 20/12/1994, opponeva un primo diniego, richiamando genericamente la legislazione e la giurisprudenza in materia ed invocando il principio della “omnicomprensività” del trattamento stipendiale.

Il diniego trovava conferma nella nota della Prefettura di Perugia del 26/6/1995, prot. n. (…), che veicolava il negativo riscontro fornito dal Ministero delle Finanze, nel senso che “il compenso per la notifica effettuata dall’ente locale per conto di altre amministrazioni dovesse essere introitato dal Comune e non dal dipendente”, emergendo, al riguardo, che “l’attività espletata fosse effettuata ratione ufficii e che pertanto non fosse ravvisabile alcun motivo per consentire che l’introito in questione venisse percepito direttamente dal messo notificatore”.

2.- Avverso gli atti in questione il P. proponeva rituale ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, che lo respingeva con la sentenza epigrafata.

Avverso quest’ultima il Panetta insorge con l’odierno gravame, reiterando le ragioni a sostegno della propria pretesa.

Nel rituale contraddittorio delle parti, alla pubblica udienza del 18 ottobre 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.

Motivi della decisione
1.- L’appello è infondato e merita di essere respinto.

Vale in proposito evocare il consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione per discostarsi, secondo cui “ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’amministrazione finanziaria, rientrando tali funzioni tra gli ordinari compiti d’ufficio spettanti ai detti dipendenti, posto che il principio di omnicomprensività della retribuzione impedisce di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5260)

In particolare, importa ribadire che:

a) la notificazione degli atti è mansione tipica e specifica della categoria del messo comunale già secondo la definizione contenuta nell’art. 273 del TULCP n. 383 del 1934 (secondo la quale “il messo comunale e quello provinciale sono autorizzati a notificare gli atti delle rispettive amministrazioni e possono anche notificare atti nell’interesse di altre amministrazioni pubbliche che ne facciano richiesta”) e viene svolta nel normale orario di ufficio e mediante l’utilizzo degli strumenti organizzativi messi a disposizione dell’amministrazione di appartenenza;

b) l’art. 19 del D.P.R. 1 giugno 1979, n. 191, confermato dalle successive norme dettate dalla contrattazione collettiva per il personale dipendente degli enti locali, ha escluso la corresponsione di indennità aggiuntive alla retribuzione annua lorda derivante dal trattamento economico di livello e di progressione economica orizzontale, in quanto inglobante qualsiasi retribuzione per prestazioni a carattere sia continuativo che occasionale, ad eccezione di quelle indennità specificatamente individuate, tra cui non sono ricompresi i diritti invocati: ciò anche in ragione della ratio della disposizione, caratterizzata dall’esigenza di uniformare il trattamento economico dei dipendenti pubblici, in specie degli enti locali, e di globalità della previsione della connessa spesa pubblica, con generale portata preclusiva della corresponsione di compensi ulteriori alle complessive voci retributive individuate in sede contrattuale, di tal che possono essere, in principio, esclusi dal divieto normativo i soli compensi dovuti a seguito dello svolgimento da parte dei dipendenti di compiti ulteriori ed estranei alle ordinarie mansioni, e dunque non direttamente ricollegabili allo status professionale, laddove la notifica degli atti effettuata per conto dell’amministrazione finanziaria rientra nelle mansioni proprie della qualifica di appartenenza del dipendente comunale con la qualifica di messo notificatore;

c) l’art. 4 della L. n. 249 del 1976 è stato abrogato dall’art. 4 della L. 12 luglio 1991, n. 201, che fissa la nuova misura dei compensi esclusivamente per i notificatori speciali mentre nulla prevede per i messi comunali, eliminando qualunque collegamento tra i messi comunali (vigile urbano con funzioni di notificatore) e i notificatori speciali; l’art. 14, secondo comma della L. n. 890 del 1982 è stato, di conseguenza, implicitamente abrogato, atteso il rinvio al primo comma dell’abrogato articolo 4 della L. n. 249 del 1976;

d) è irrilevante, ai fini del riconoscimento del diritto, il fatto che le notificazioni riguardino atti dell’amministrazione finanziaria, essendo il Comune l’unico soggetto legittimato a riscuotere le indennità per l’attività di notifica, come testualmente dispongono sia l’art. 10, della L. n. 265 del 1999 (Notificazione degli atti delle pubbliche amministrazioni), che al comma 2 stabilisce testualmente che “al Comune che vi provvede spetta da parte dell’amministrazione richiedente, per ogni singolo atto notificato, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, una somma determinata con decreti dei Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’interno e delle finanze”, che il decreto del Ministero del Tesoro del Bilancio e della Programmazione Economica del 14 marzo 2000;

e) in definitiva, il conferimento da parte dell’amministrazione finanziaria al Comune del compito di procedere tramite i messi municipali alla notificazione degli atti finanziari, va inquadrato nella figura giuridica del mandato ex lege in favore del Comune e, come tale, insuscettibile sia di determinare l’inquadramento del messo comunale nell’organizzazione dell’amministrazione richiedente che di attribuirgli diritti nei confronti della medesima amministrazione: il messo municipale, in altri termini, rimane comunque dipendente dell’ente locale ed agisce, anche nell’esecuzione del compito di cui si discute, in adempimento degli obblighi ad esso rivenienti dal rapporto di impiego con il Comune (in tal senso, anche Cass. 30 ottobre 2008, n. 26118 e Cass. SS.UU, 27 gennaio 2010, n. 1627, che in materia di responsabilità per errori e ritardi nella notifica degli atti dell’amministrazione finanziaria, ha escluso la responsabilità del messo notificatore, affermando che unico responsabile è il Comune nei cui confronti si instaura un rapporto di preposizione gestoria che deve essere, per l’appunto, qualificato come mandato ex lege, la cui violazione costituisce, se del caso, fonte di responsabilità esclusiva a carico del Comune, non essendo ravvisabile l’instaurazione di un rapporto di servizio diretto tra l’amministrazione finanziaria e i messi comunali, che operano alle esclusive dipendenze dell’ente territoriale).

2.- Le esposte considerazioni confermano la totale infondatezza della azionata pretesa e legittimano l’integrale reiezione dell’appello.

Sussistono, ad avviso del Collegio, giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, la complessiva compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolò Lotti, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 13/02/2019) 10/04/2019, n. 10037

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11415-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELEONORA D’ARBOREA 30, presso lo studio dell’avvocato CARTONI BERNARDO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 19/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LA TORRE MARIA ENZA.

Svolgimento del processo
Che:

L’agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Lombardia, indicata in epigrafe, che in controversia su impugnazione di cartella di pagamento da parte di T.R. (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis) ai fini IRAP-IRPEF-IVA anno 2000 e 2001, ha accolto l’appello della contribuente, in riforma della sentenza di primo grado.

In particolare, la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella avvenuta a mani del portiere dello stabile, cui non era seguito l’invio dalla raccomandata informativa.

La contribuente si costituisce con controricorso.

Motivi della decisione
Che:

Con l’unico motivo di ricorso si deduce falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4, e della L. n. 890 del 1982, art. 7, commi 5 e 6, nonchè violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, non dovendo seguire alla notifica della cartella di pagamento – effettuata con invio diretto D.P.R. appena citato, ex art. 26, comma 1 – l’invio della c.d. della raccomandata informativa (C.A.N.).

Il motivo è fondato.

Vanno applicati, alla fattispecie in oggetto, i principi di questa Corte, secondo cui, in tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 (Cass. Sez. 6 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12083 del 13/06/2016). Ciò in quanto tale forma “semplificata” di notificazione si giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato e non costituendo nella disciplina della notificazione “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto” (Cass. 28872/2018 cit.; Corte Cost. 175/2018, cit.).

Tale statuizione non è stata superata, come eccepito dal controricorrente nella memoria, dalla modifica legislativa di cui alla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, che ha reintrodotto l’obbligo per l’operatore postale della successiva raccomandata in caso di consegna a persona diversa dal destinatario con disposizione che non ha efficacia retroattiva, in base al principio di cui all’art. 11 preleggi, (non trattandosi di norma costituente attuazione di principi costituzionali).

Ha pertanto errato la C.T.R. a ritenere invalida la notifica avvenuta in modo diretto, ai sensi del citato D.P.R., art. 26, comma 1, non seguita dalla successiva raccomandata informativa, con applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4. Il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, nulla prevede in merito all’invio della raccomandata informativa, qualora l’Ufficio decida di avvalersi direttamente del servizio postale, a fini notificatori. Infatti, la citata disposizione, stabilisce espressamente che ” (…) la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2, o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

A tali principi non si è uniformato il giudice di appello, ritenendo invalida la notifica della cartelle effettuata presso il portiere senza l’invio di una seconda raccomandata, sul presupposto (erroneo) dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 139 c.p.c..

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2019


Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 29-05-2018) 09-04-2019, n. 9793

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6880/2017 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAVOUR 305, presso lo studio dell’avvocato MICHELE GIUSEPPE VIETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE LEOPARDI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del Dott. C.M. in qualità di procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentata e difesa dall’avvocato RDBERTO BUONFRATE giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 573/2016 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO, depositata il 15/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Svolgimento del processo
1. D.G. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 573/16 del 15 dicembre 2016 della Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, che nell’accogliere il gravame esperito dalla società Generali Italia S.p.a. (d’ora in poi, “Generali”) contro la sentenza n. 1172/13 del 30 maggio 2013 del Tribunale di Taranto – ha dichiarato inammissibile l’opposizione presentata dall’odierno ricorrente, a norma dell’art. 650 c.p.c., avverso decreto ingiuntivo n. 1146/07, emesso in favore di Generali dal Tribunale di Taranto.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente che la società Generali – munitasi del suddetto provvedimento monitorio, per ingiungere ad esso D. il pagamento della somma capitale di Euro 1.670.000,00, a titolo di rivalsa di quanto dalla stessa società pagato a terzi, in forza di apposita “polizza fideiussoria cauzione tra privati” gli notificava, presso la sede della società di cui era amministratore delegato, in data 15 dicembre 2008, atto di precetto, con cui gli intimava il pagamento del complessivo importo di Euro 1.727.050,64.

Deduce, altresì, il ricorrente di aver appreso solo in tale occasione dell’emissione, a suo carico, del suddetto decreto, notificatogli ex art. 143 c.p.c., circa due anni prima, all’esito di un iniziale infruttuoso tentativo compiuto (il 14 novembre 2007) presso la sua residenza in (OMISSIS).

Proposta, avverso il provvedimento monitorio, opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., deducendo la nullità della notifica per difetto dei presupposti legittimanti il ricorso alle modalità di cui all’art. 143 c.p.c. (e nel merito, per quanto qui di interesse, l’infondatezza della pretesa creditoria di Generali, basata su una fideiussione della quale l’odierno ricorrente disconosceva la sottoscrizione, non senza, peraltro, previamente eccepire la prescrizione del diritto azionato), al giudizio così incardinatosi veniva riunito anche quello proposto dal D. a norma dell’art. 615 c.p.c..

Dichiarata nulla, dall’adito giudicante, la notifica ex art. 143 c.p.c., e dunque ammissibile l’opposizione tardiva avverso il decreto ingiuntivo, ritenuta nel merito fondata, contro tale decisione proponeva appello la Generali, vedendosi accogliere il gravame.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte tarantina ha proposto ricorso il D., sulla base di due motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 139, 143 e 360 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

Si censura la sentenza impugnata laddove essa – sul presupposto che, nel caso di specie, all’esito della prima infruttuosa notificazione presso l’abitazione del D. (essendo stato “in loco” rinvenuto “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi”) non fosse possibile ricorrere alle forme di cui all’art. 140 c.p.c., applicabili solo in caso di allontanamento precario, da quel luogo, del destinatario dell’atto – ha ritenuto che la notificazione andasse eseguita a mani del destinatario, ex art. 138 c.p.c., non potendo trovare applicazione l’ipotesi di cui al comma 2 del successivo art. 139. Difatti, secondo il giudice di appello, come sottolineato dall’odierno ricorrente, non poteva “essere preteso che il richiedente la notifica e l’ufficiale giudiziario si appostassero nei pressi della sede dell’azienda, rappresentata da una s.r.l. di cui il D. era amministratore delegato”, giacchè il ricorso a siffatta procedura notificatoria – “eseguita in assenza” dell’interessato “mediante consegna all’addetto all’ufficio o all’azienda” – si sarebbe potuta ritenere “valida ed efficace solo in relazione ad una notifica effettuata al detto D. in tale qualità”. Di qui, dunque, la necessità sempre secondo la Corte tarantina – dell’applicazione dell’art. 143 c.p.c..

Orbene, l’odierno ricorrente censura tale affermazione, che reputerebbe possibile il ricorso alla consegna dell’atto da notificare a persona “addetta all’ufficio o all’azienda” soltanto se l’atto stesso attenga ad attività lavorativa o professionale svolta “in loco” dal destinatario dell’atto, innanzitutto perchè in contrasto con il tenore letterale dell’art. 139 c.p.c., comma 2, che non introduce affatto una simile limitazione.

Lo confermerebbe, del resto, la giurisprudenza di legittimità, concorde – secondo il ricorrente – nel ritenere che per “ufficio” del destinatario di un atto debba intendersi “il luogo in cui egli svolge abitualmente la sua attività lavorativa, senza alcuna possibile distinzione tra l’ufficio da lui creato, organizzato e diretto per la trattazione degli affari propri, e quello in cui presti servizio o eserciti la sua attività lavorativa alle dipendenze di altri,” rilevando unicamente, in entrambi casi, che la relazione del soggetto con quel luogo sia caratterizzata “da una sufficiente stabilità”, senza, però, che essa debba comportare “necessariamente una sua abituale continua presenza fisica”, essendo, invece, “sufficiente una continuità di rapporti di tale portata che valga a giustificare una presunzione di reperibilità e, quindi, di conoscibilità dell’atto recapitato in tale luogo” (è citata Cass. Sez. 1, sent. 8 giugno 1995, n. 6487).

D’altra parte, ancora più di recente, è stato affermato – si legge sempre nel ricorso – che l’art. 139 c.p.c., “non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche, potendosi scegliere di eseguire la notifica presso la casa di abitazione o presso la sede dell’impresa o presso l’ufficio, purchè si tratti, comunque, di luogo posto nel comune in cui il destinatario ha la sua residenza” (è citata Cass. Sez. 2, sent. 16 febbraio 2016, n. 2968), stabilendosi anche che è “nulla la notificazione effettuata con le modalità previste dell’art. 143 c.p.c., quando sia noto il luogo di lavoro del destinatario” (Cass. Sez. 3, sent. 1 maggio 2011, n. 10217).

Su tali basi, dunque, si ritiene che la sentenza vada cassata, perchè il giudice del rinvio accerti – diversamente dal giudice di appello, che ha invece omesso di esaminare tale fatto decisivo – se tra il luogo in cui ha sede la società di cui il D. era l’amministratore delegato e il D. medesimo sussisteva quella “stabile relazione” idonea a consentire la consegna dell’atto a persona addetta all’ufficio o all’azienda, condizione necessaria e sufficiente per il legittimo ricorso a tale modalità di notificazione.

3.2. Con il secondo motivo – proposto ai sensi, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c..

Si reputa, in ogni caso, viziata la sentenza impugnata per avere ritenuto valida ed efficace la notifica ex art. 143 c.p.c., senza che l’ufficiale giudiziario abbia dato atto delle ricerche svolte per il reperimento della residenza effettiva del destinatario, adempimento richiesto a pena di nullità della notificazione (è citata Cass. Sez. Lav., sent. 9 febbraio 2009, n. 3037).

Si censura, infatti, l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la prima relata di notificazione – che si limitava ad attestare, osserva il ricorrente, che all’indirizzo di via (OMISSIS), indicato come luogo di abitazione del D., vi era “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi” – potesse “ritenersi parte integrante della seconda” (ancor più laconica, limitandosi ad attestare l’effettuazione della notificazione “mediante deposito di una copia nella casa comunale di (OMISSIS)”), sicchè dalla loro lettura congiunta potrebbe ricavarsi l’effettuazione delle ricerche volte ad individuare la residenza effettiva del D..

Assume il ricorrente come nessuna delle due relate dia conto delle indagini effettuate, non essendo, d’altra parte, neppure ipotizzabile che la prova dell’irreperibilità del destinatario possa essere ricavata “aliunde” e non dalla relata.

4. Ha resisto con controricorso Generali, per chiedere che l’avversaria impugnazione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Il primo di tali esiti viene motivato sul rilievo che, in sede di giudizio di merito, le difese del D. sono state tutte articolate “sulla sola dicotomia artt. 143 – 140 c.p.c.”, sicchè la questione relativa all’applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 2, presenterebbe, inammissibilmente, carattere di novità, oltre ad essere preclusa da giudicato.

Inoltre, si assume che la questione relativa alla necessità della notificazione presso il “luogo di lavoro” del destinatario dell’atto viene sollevata “su di un piano astratto e teorico”, giacchè il tema non è secondo la controricorrente – se l’atto “potesse” essere ivi notificato, bensì se lo “dovesse”. In altri termini, il D. era onerato dal provare – ciò che non ha fatto – che la sede della società, di cui egli era stato in passato rappresentante legale, fosse il suo “abituale” luogo di lavoro e se “in loco” vi fosse effettivamente “persona addetta all’ufficio”.

Infine, le censure non coglierebbero l’effettiva “ratio decidendi”, ovvero che la Corte tarantina ha comunque espresso il convincimento circa la “aleatorietà” di quel luogo a fungere da centro di interessi per l’odierno ricorrente, sulla base di una valutazione di merito non sindacabile in questa sede, ciò che degrada al rango di una pleonastica digressione – al più emendabile ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., – l’affermazione relativa al fatto che la notifica a persona addetta all’ufficio o all’azienda concerne i casi in cui la notificazione attenga ad atti relativi ad attività ivi svolta.

5. Hanno presentato memoria entrambe le parti per ribadire le proprie argomentazioni e replicare a quelle avversarie.

Motivi della decisione
6. Il ricorso va accolto, limitatamente al secondo motivo.

6.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

6.1.1. Nell’esaminare lo stesso occorre muovere dal rilievo che la sentenza impugnata attesta essere stata inizialmente tentata la notifica, ex art. 139 c.p.c., comma 1, presso quello che dallo stesso contratto di fideiussione, intercorso tra le parti e fonte del credito oggetto del provvedimento monitorio da notificarsi – risultava essere il luogo ove risiedeva il D., via (OMISSIS), sicchè in assenza di reperimento del destinatario, o di persona di famiglia o addetta alla casa, la stessa, all’esito delle ricerche anagrafiche (che confermavano in via (OMISSIS) il luogo di residenza del destinatario dell’atto), veniva effettuata ex art. 143 c.p.c..

La pretesa, dunque, che la seconda notifica fosse compiuta – ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2, – presso la sede della società, della quale il D. era stato, in passato amministratore, quale luogo in cui esso aveva (avuto) il proprio “ufficio” non ha fondamento, visto che il citato art. 139, “nei prescrivere che la notifica si esegue nel luogo di residenza del destinatario e nel precisare che questi va ricercato nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche, potendosi scegliere di eseguirla presso la casa di abitazione o la sede dell’impresa o l’ufficio, purchè si tratti, comunque, di luogo posto nel comune in cui il destinatario ha la sua residenza” (Cass. Sez. 6-2, ord. 16 ottobre 2017, n. 25489, Rv. 646821-01; Cass. Sez. 3, ord. 10 febbraio 2010, n. 2266, Rv. 611300-01)”.

Tanto basta, dunque a ritenere non fondato il motivo, a prescindere dell’errata affermazione della Corte territoriale, secondo cui la notifica al D. presso la sede della società di cui era stato amministratore sarebbe stata ammissibile solo se effettuata allo stesso in tale qualità.

6.2. Il secondo motivo è, invece, fondato.

6.2.1. Va, infatti, dato seguito al principio già enunciato da questa Corte secondo cui, in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., “l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione” (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 aprile 2017, n. 8638, Rv. 643689-01).

Alla stregua di tale principio, infatti, non idonee appaiono le indicazioni apposte dall’ufficiale giudiziario, nel presente caso, all’esito del primo (inutile) tentativo di notificazione presso l’abitazione del D., visto che dalla stessa risultava unicamente il rinvenimento, “in loco”, di “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi”, ma non l’espletamento di ulteriori indagini o ricerche, che – come di recente chiarito da questa Corte – potrebbero sostanzarsi nell’aver “raccolto informazioni negative, circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell’atto, dai residenti interpellati” (Cass. Sez. 1, ord. 31 luglio 2017, n. 19012, Rv. 645083-02; Cass. Sez. 3, ord. 5 luglio 2018, n. 17596, non massimata), o, almeno, nell’attestare impossibilità di procedere in tal senso, secondo quanto ipotizza la controricorrente, sulla scorta di quel passaggio della sentenza impugnata – ma non delle risultanze della relata – che dà atto dell’assenza, in prossimità dello stabile di via (OMISSIS), di esercizi commerciali, ovvero della presenza, ma solo a distanza, di altri “villini isolati”.

7. La sentenza va, dunque, cassata, rinviando alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per la decisione nel merito.

Spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo, cassando, per l’effetto, la sentenza impugnata in relazione e rinviando alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per la decisione nel merito e per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2019


Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 19/02/2019) 05/04/2019, n. 9646

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16094/2018 proposto da:

T.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Ciafardini Antonino, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di L’aquila;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2097/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, pubblicata il 15/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/02/2019 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza n. 2097 del 15.11.2017, la Corte di Appello di L’Aquila ha rigettato l’impugnazione proposta da T.A., cittadino ivoriano, avverso l’ordinanza del Tribunale che aveva negato al medesimo sia il diritto alla protezione sussidiaria che quello alla protezione per motivi umanitari.

Il richiedente ha dichiarato di essere originario della Costa d’avorio e di esservi fuggito nel 2010 a seguito delle elezioni politiche; deduce che i genitori e la sorella erano rimasti vittime della violenza che aveva turbato il paese e non vuole rientrarvi per il timore del clima di conflitto armato che lo caratterizza.

A sostegno della decisione di rigetto della domanda, la Corte d’Appello ha rilevato che deve escludersi che la situazione personale del richiedente risulti caratterizzata da una diretta esposizione a rischio, infatti, dalle fonti internazionali, quali i report per l’anno 2017 (Human Rights Watch, Amnesty international) emerge che attualmente in (OMISSIS) non c’è violenza indiscriminata ed anzi vige un clima di maggiore sicurezza e tranquillità: nel 2015, vi è stata una pressochè pacifica rielezione del presidente uscente che ha contribuito alla stabilità politica e alla crescita economica e nel 2016 vi è stata l’adozione di una nuova carta costituzionale, nonchè una diminuzione degli arresti arbitrari, dei maltrattamenti dei detenuti e delle decisioni illegali da parte delle forze di sicurezza, mentre, nel marzo del 2017 si è verificato un attacco isolato, da parte di un gruppo armato a tre hotel del litorale di (OMISSIS).

Avverso questa pronuncia, ricorre per cassazione il cittadino straniero sulla base di tre motivi, mentre, il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di nullità della sentenza di appello, ex art. 134 c.p.c., n. 2 (rectius art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) per motivazione contraddittoria e/o apparente, perchè la Corte d’Appello avrebbe reiterato le motivazioni del Tribunale sull’insussistenza di motivi per ritenere che il ricorrente corra rischi effettivi di subire una minaccia grave alla vita o alla persona, una volta rimpatriato, senza tenere conto che la (OMISSIS) non è uno Stato completamente pacificato, dopo la guerra civile del 2010-2011, con criticità rispetto ai diritti umani e dove fino a poco tempo fa era presente una forza di peace-keeping sotto l’insegna dell’Onu.

Con il secondo motivo di censura, il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere la Corte d’Appello applicato, nella specie, il principio dell’onere probatorio attenuato e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, abdicando all’utilizzo dei propri poteri istruttori ed indagatori, che impongono di ravvisare un dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento del diritto invocato, in particolare, i giudici d’appello non avevano verificato se la situazione personale rappresentata dal richiedente potesse, nel quadro generale così grave, essere plausibile e foriera di effettivi pericoli per la sicurezza e la vita dello stesso, trattandosi di soggetto di ceto poverissimo che difficilmente poteva sperare nella protezione degli organi statali.

Con un terzo motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3, comma 5, per non avere la Corte d’Appello riconosciuto la sussistenza dei motivi umanitari per la concessione della relativa tutela, con particolare riferimento alle situazioni di vulnerabilità da proteggere alla luce degli obblighi costituzionale e internazionali gravanti sullo stato italiano. Inoltre, il ricorrente deduce il vizio della motivazione sullo stesso profilo, non essendo percepibile il fondamento della decisione.

Il primo motivo è, in via preliminare, inammissibile, perchè afferisce al merito della controversia, contestando la lettura delle risultanze processuali che è di esclusiva competenza del giudice del merito, se adeguatamente motivata, come nel caso di specie (Cass. nn. 11892/16, 17037/15, 25608/13).

Nel merito, il motivo sarebbe, comunque, infondato, in quanto, la motivazione si colloca ben al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. sez. un. 8053/14), perchè decide la controversia, dando conto sia della situazione generale e socio-politica della Costa d’Avorio (nel senso di escludere un rischio effettivo di subire una minaccia grave alla vita o alla persona) che della situazione personale del richiedente asilo, che non presentava un quadro di vulnerabilità personale tale da consentire il riconoscimento della protezione umanitaria, nè risultava documentata l’integrazione sociale nel paese ospitante.

In ogni caso, la censura non rientra nel novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il secondo motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5 lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. ord. n. 27503/18, in particolare, v. Cass. ord. n. 27336/18, sul fatto che la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottragga al principio dispositivo, sia pure attraverso la cooperazione istruttoria del giudice – Cass. ord. n. 26921/17 – attraverso un onere probatorio attenuato, v. in proposito, anche Cass. ordd. nn. 15782/14, 4138/11).

Nel caso di specie, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici d’appello hanno utilizzato i propri poteri istruttori, per verificare officiosamente la situazione del paese di provenienza dello straniero (vedi pp. 10 e 11 della sentenza impugnata), con esito moderatamente positivo, mentre, in riferimento alla situazione personale del richiedente, la Corte d’Appello ha escluso che sussistessero elementi, dalla narrazione dello straniero, che potessero configurare i fatti costitutivi del diritto azionato per ottenere la protezione sussidiaria.

Il terzo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto, in riferimento alla dedotta patologia sanitaria non è stata riportata in ricorso nè allegata, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, alcuna documentazione relativa alla problematica cardio-respiratoria che si assume non considerata dalla Corte d’Appello, la quale, peraltro, ha appurato – CON GIUDIZIO ALTRETTANTO INSINDACABILE, PERCHE’ AFFERENTE AD UNA VALUTAZIONE DI MERITO – che non sussistevano le ragioni per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Non si fa luogo al raddoppio del contributo unificato, in quanto, il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente a pagare all’Amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2019


Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 12-07-2016) 13-09-2016, n. 17946

La Corte di Cassazione ha stabilito che, al fine di instaurare correttamente il contraddittorio tra le parti nel procedimento di fallimento, l’atto introduttivo può essere notificato validamente, qualora si siano rivelati infruttuosi i tentativi di notificazione attraverso PEC e presso la sede legale, attraverso il mero deposito del ricorso e del decreto presso la casa comunale.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 187/2015 proposto da:

LIONETTI S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Vittorio Tarsia, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Francesco Grieco, in Roma, via Blumenstihl 71;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA LIONETTI S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore pro tempore;

ADRIATICA LEGNAMI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1854/2014 della Corte d’appello di Bari, depositata il giorno 20 novembre 2014;

Sentita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 12 luglio 2016 dal Consigliere relatore dott. Antonio Didone;

udito l’avv. Tarsia per la ricorrente;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari ha rigettato il reclamo proposto dalla Lionetti s.r.l., in liquidazione, contro la sentenza del Tribunale che ne aveva dichiarato il fallimento su istanza della Adriatica Legnami s.r.l..

Per quanto ancora interessa, la Corte di merito ha disatteso la censura con la quale la reclamante aveva dedotto la nullità della notificazione, eseguita mediante deposito presso la casa comunale senza le formalità di cui agli artt. 140 e 143 c.p.c., dopo il vano tentativo di notifica a mezzo pec, essendo risultata impossibile la notificazione presso la sede sociale, peraltro risultando la società cancellata dal registro delle imprese.

La Corte territoriale, invero, alla luce del nuovo testo della L. Fall., art. 15 – applicabile ratione temporis – ha evidenziato che tale normativa individua una disciplina tutta peculiare e differente dall’art. 143 c.p.c., che, infatti, non è richiamato: da un lato, inverte la regola della notifica “di persona”, rendendola obbligatoria anche quando debba essere effettuata fuori dal comune in cui ha sede l’ufficio e, dall’altro, in quanto obbligatoria, rende superflua la specifica istanza della parte che di regola è necessaria per ottenere la notifica a mani fuori dal comune.

Inoltre, la notifica si perfeziona, in caso di chiusura della sede, con il deposito presso la casa comunale ed immediatamente, senza che sia previsto dunque, a differenza degli artt. 140 e 143 c.p.c., l’invio di una comunicazione a mezzo posta, l’indicazione nominativa del legale rappresentante persona fisica, il decorso di un termine. E’ esclusa, ancora, la necessità di individuare – nell’atto e nella relata – la persona fisica che rappresenta la società debitrice, dato che le formalità previste dalla L. Fall., novellato art. 15, comma 3, mettono “fuori gioco” l’art. 145 c.p.c., e la correlata necessarietà di ricercare il soggetto presso la sua residenza: l’unica alternativa alla notifica presso la sede è il deposito della copia presso la casa comunale.

Contro la sentenza della Corte di appello la società fallita ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Non hanno svolto difese gli intimati.

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 10 e 15. Deduce che, essendo stata la società cancellata dal registro delle imprese già nel 2013, era evidente che la sede della società fosse chiusa; ciò renderebbe inapplicabile la L. Fall., art. 15 novellato, che disciplina “la notifica per le imprese ancora in vita, offrendo al creditore procedente la via più semplice per effettuare l’adempimento in parola, senza doversi curare di rintracciare la sede reale (ove esistente) di una impresa chiusa o cessata, che non ha adempiuto all’onere di pubblicità”.

Assume, inoltre, che, non avendo previsto la L. Fall., art. 10, che consente la dichiarazione di fallimento entro l’anno dalla cancellazione, le forme per la notificazione del ricorso, resta applicabile la disciplina ordinaria, così come previsto prima del D.L. n. 179 del 2012, e come disposto dal giudice delegato con il decreto di fissazione dell’udienza.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 145 c.p.c., in relazione alla L. Fall., art. 15, lamentando la violazione dei termini a difesa discendente dall’affermazione secondo cui nel caso concreto la notifica si fosse perfezionata con il deposito nella casa comunale, anzichè con la notifica nelle forme previste dalle norme del codice di rito ora menzionate.

2. – Il primo motivo di ricorso è infondato.

Prima della modifica della L. Fall., art. 15 – introdotta dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 -, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che la previsione della L. Fall., art. 10, per il quale una società cancellata dal registro delle imprese può essere dichiarata fallita entro l’anno dalla cancellazione, implica che il procedimento prefallimentare e le eventuali successive fasi impugnatorie continuano a svolgersi, per “fictio iuris”, nei confronti della società estinta, non perdendo quest’ultima, in ambito concorsuale, la propria capacità processuale. Ne consegue che pure il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato presso la sede della società cancellata, ai sensi dell’art. 145 c.p.c., comma 1, (Cass. 6 novembre 2013, n. 24968).

2.1. – La nuova disciplina, applicabile a tutti procedimenti introdotti successivamente al 31 dicembre 2013, stata esaminata dalla Corte costituzionale con la recente pronuncia n. 146 del 2016 e, in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost., il Giudice delle leggi ha puntualizzato che “A differenza della disposizione di cui all’evocato art. 145 c.p.c. – esclusivamente finalizzata all’esigenza di assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati ad alle connesse procedure – il riformulato art. 15 della così detta legge fallimentare (come emerge dalla relazione di accompagnamento del D.L. n. 179 del 2012, art. 17, il cui testo, in parte qua, non è stato oggetto di modifiche in sede di conversione) si propone di coniugare quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore (collettivo) con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale. E, a tal fine appunto, prevede che il tribunale è esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all’imprenditore medesimo”.

La specialità e la complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito), che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l’introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell’ambito della procedura fallimentare, segnano, dunque, l’innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 c.p.c..

Ciò, dunque, ne esclude la comparabilità in riferimento al precetto dell’art. 3 Cost..

2.2. – Quanto all’art. 24 Cost., la Corte costituzionale ha evidenziato che il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità, da parte del debitore, dell’attivazione del procedimento fallimentare a suo carico, è adeguatamente garantito dalla norma denunciata, proprio in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca della società.

Questa, infatti, ai fini della sua partecipazione al giudizio, viene notiziata prima presso il suo indirizzo di PEC, del quale è obbligata a dotarsi, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, ex art. 16, – Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, ed è tenuta a mantenere attivo durante la vita dell’impresa; dunque, in forza di un sistema che presuppone il corretto operare della disciplina complessiva che regola le comunicazioni telematiche da parte dell’ufficio giudiziario e che, come tale, consente di giungere ad una conoscibilità effettiva dell’atto da notificare, in modo sostanzialmente equipollente a quella conseguibile con i meccanismi ordinari (ufficiale giudiziario e agente postale).

Solo a fronte della non utile attivazione di tale primo meccanismo, segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva: ossia, presso quell’indirizzo da comunicare obbligatoriamente, ai sensi dell’art. 2196 c.c., al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese, la cui funzione è proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicità legale, sì da rendere conoscibili – e perciò opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore – i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano.

Per cui, in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale, ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge.

Ciò anche alla luce del principio, più volte enunciato da questa Corte (seppure con riferimento al testo previgente della L. Fall., art. 15), per cui esigenze di compatibilità tra il diritto di difesa e gli obiettivi di speditezza e operatività, ai quali deve essere improntato il procedimento concorsuale, giustificano che il tribunale resti esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità, ancorchè normalmente previste dal codice di rito, allorquando la situazione di irreperibilità dell’imprenditore debba imputarsi alla sua stessa negligenza e a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3062; Cass. 7 gennaio 2008, n. 32).

2.3.- Il sistema, poi, non è privo di ulteriori correttivi a tutela della effettività del diritto di difesa dell’imprenditore.

La riconosciuta natura “devolutiva” del reclamo – come regolato dalla L. Fall., art. 18, nel testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 2, comma 7, consente, infatti, al fallito, benchè non costituito innanzi al tribunale, di indicare, comunque, per la prima volta, in sede di reclamo avverso la sentenza di primo grado (che gli viene notificata nelle forme ordinarie), i fatti a sua difesa ed i mezzi di prova di cui intenda avvalersi al fine di sindacare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi che hanno condotto alla dichiarazione di fallimento (Cass. 24 marzo 2014, n. 6835; Cass. 19 marzo 2014, n. 6306, Cass. 6 giugno 2012, n. 9174; Cass. 5 novembre 2010, n. 22546).

2.4. – In definitiva, alla luce della ricordata sentenza della Corte costituzionale, deve affermarsi che anche nel caso di società già cancellata dal registro delle imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 3, – nel testo novellato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 -, all’indirizzo di posta elettronica certificata della società cancellata in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero quando, per qualsiasi ragione, non risulti possibile la notifica a mezzo PEC, direttamente presso la sua sede risultante sempre dal registro delle imprese e, in caso di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo dove la medesima aveva sede.

3. – Il secondo motivo è inammissibile, per carenza di interesse.

Al riguardo va data sicura continuità al principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. s.u. 14.12.1998, n. 12541), recentemente ribadito dalla Sezione anche in tema di impugnazione della sentenza dichiarativa del fallimento proposto ai sensi della L. Fall., art. 18 – nella formulazione derivante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 169 del 2007 -, a tenore del quale è inammissibile l’impugnazione, laddove la stessa sia fondata esclusivamente su vizi di rito, senza la contestuale e rituale deduzione delle eventuali questioni di merito, ed i vizi denunciati non rientrino tra quelli che comportino una rimessione al primo giudice, tassativamente indicati dagli artt. 353 e 354 c.p.c., oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (Cass. 5 febbraio 2016, n. 2302).

E’ invero orientamento consolidato di questa Corte – e non vi sono qui ragioni per discostarsene -, che in caso di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che si sia svolto in contumacia della parte convenuta, determinata dalla inosservanza del termine dilatorio di comparizione, il giudice di appello non può limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza e del giudizio di primo grado, ma, non ricorrendo nè la nullità della notificazione dell’atto introduttivo e nè alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., deve decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale, ammettendo il convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse (Cass. 11.11.2010, n. 22914).

3.1. – Orbene, nella fattispecie concreta l’istante non ha inteso riproporre in sede di legittimità i motivi di reclamo attinenti al merito, già respinti dalla Corte di appello, limitandosi a lamentare, con il motivo in esame, la mera violazione del termine dilatorio di quindici giorni cui alla L. Fall., art. 15.

E tuttavia, traducendosi siffatta violazione, secondo il principio di diritto appena ricordato, in una nullità che non può dare luogo a rimessione della causa al primo giudice, è all’evidenza come un motivo di ricorso così formulato, non accompagnato da censure estese alle questioni di merito già esaminate dalla sentenza qui impugnata, si mostra radicalmente inammissibile per carenza di qualsivoglia interesse al suo accoglimento.

4. – Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva delle parti intimate. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2016


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 13-11-2018) 29-03-2019, n. 8814

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13349/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

EDILCLIMATIC S.R.L.;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 6634/5/16, depositata il 4 novembre 2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 novembre 2018 dal Presidente Dott. Campanile Pietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorso; udito per la ricorrente l’Avv. dello Stato Gianmario Rocchitta.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza depositata in data 27 marzo 2014 la Commissione Tributaria provinciale di Latina, in accoglimento del ricorso proposto dalla S.r.l Ediclimatic, ha annullato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, ritenendo invalida la sottoscrizione dell’atto da parte di un funzionario, Dott. C.U., capo dell’Ufficio Controlli, in assenza di una delega nominativa da parte del direttore provinciale.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe la CTR del Lazio ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio, richiamando il principio espresso da questa Corte con la decisione n. 22803 del 2015, secondo cui la delega di firma o di funzioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, deve necessariamente indicare, a pena di nullità, il nominativo del delegato.

3. Per la cassazione di tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto unico ed articolato motivo, illustrato da memoria.

4. La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

5. Con ordinanza depositata in data 17 maggio 2018 la sesta sezione civile ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

Motivi della decisione
1. Preliminarmente va constatata la tempestività del ricorso, proposto entro il termine di cui all’art. 327 c.p.c., così come prorogato di mesi sei in forza del D.L. n. 24 aprile 2017, n. 50, art. 11, comma 9, convertito nella L. 21 giugno 2017, n. 96.

2. Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonchè della L. n. 241 del 1990, artt. 21 septies, 21 octies e 21 nonies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione deduce, citando specifici arresti di questa Corte e della giurisprudenza amministrativa, una serie di rilievi critici nei confronti dell’orientamento giurisprudenziale, al quale la sentenza impugnata si è conformata, che afferma, ai fini della validità della delega, l’insufficienza della mera indicazione del ruolo rivestito dal soggetto delegato e la necessità, quindi, della specificazione del nominativo del soggetto delegato. Viene richiamata la distinzione fra delegazione amministrativa di competenze e “delega di firma”, espressione di atti interni di organizzazione, che non comporta alcun problema in relazione alla riferibilità dell’avviso di accertamento all’Ufficio, in quanto comunque proveniente dal dirigente delegante, a meno che non venga “specificamene dedotta e dimostrata la non appartenenza del firmatario all’ufficio che si assume la paternità dell’atto, o addirittura, l’usurpazione del relativo potere”.

2. La questione che il ricorso in esame pone riguarda l’incidenza sulla validità dell’avviso di accertamento dei requisiti della delega rilasciata dal dirigente dell’ufficio al funzionario che, in sua sostituzione, sottoscriva l’avviso stesso.

In linea generale, la funzione della sottoscrizione dell’atto impositivo, che sottende la tematica degli aspetti di natura probatoria, nel giudizio, in caso di contestazione, da parte del contribuente, della legittimità della sottoscrizione stessa, non trova una disciplina uniforme. Non mancano, invero, ipotesi in relazione alle quali opera il principio secondo cui deve presumersi che l’atto sia riferibile all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso sia stato adottato, come affermato da questa Corte in riferimento alla cartella esattoriale, al diniego di condono, all’avviso di mora e all’attribuzione di rendita catastale (cfr., per tutte, la recente Cass., 31 ottobre 2018, n. 27871).

Ad avviso del Collegio in tale prospettiva deve essere valutata la portata della prescrizione contenuta nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, secondo cui “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.

3. La norma non contiene alcuna specificazione in ordine alle modalità di rilascio della delega, alla sua funzione e ai requisiti di validità, dovendosi per altro rilevare che al successivo comma 3 è prevista la nullità dell’avviso qualora non rechi, tra l’altro, “la sottoscrizione”.

Appare dunque necessario, per quanto maggiormente rileva in questa sede, un approfondimento della questione che prenda le mosse non tanto dalla funzione dell’avviso di accertamento quale atto impositivo, quanto dalla sua natura di atto amministrativo. Se, invero, come è stato già rilevato, gli avvisi di accertamento costituiscono la più complessa espressione del potere impositivo, incidendo con particolare profondità nella realtà economica e sociale, deve ritenersi che la loro sottoscrizione da parte del capo dell’ufficio, o da funzionario da lui delegato, sia stata prevista come essenziale garanzia per il contribuente (Cass. n. 1875 del 2014 e, da ultimo, Cass. n. 22800 del 2015). Sotto tale profilo, appare evidente come il dato fondante sia costituito dal superamento di quella generale presunzione, sopra richiamata, di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo dotato del potere di emanarlo, richiedendosi, al contrario, che tale provenienza sia avvalorata dalla sottoscrizione del capo dell’ufficio, o del funzionario da lui delegato. Giova sin d’ora evidenziare, ancorchè il rilievo sia privo, di per sè, di un decisivo valore argomentativo, non attenendo specificamente al tema della delega, come lo stesso riferimento al soggetto che riveste il ruolo apicale sia del tutto “impersonale”: a tale riguardo vale bene richiamare l’orientamento secondo cui l’avviso di accertamento è valido ove sia sottoscritto dal ” reggente”, ossia dal soggetto chiamato, ai sensi del D.P.R. n. 266 del 1987, art. 20, comma 1, lett. a) e b), a sostituire temporaneamente il dirigente assente per cause improvvise in tutte le funzioni svolte dallo stesso ai fini della direzione dell’Ufficio (Cass., 7 novembre 2018, n. 28335; Cass., 5 settembre 2014, n. 18758).

4. In relazione alla prescrizione contenuta nel citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, questa Corte ha posto in evidenza come, trattandosi di un atto esterno al giudizio, la presenza o meno della sottoscrizione dell’avviso di accertamento non attiene alla legittimazione processuale: in caso di contestazione, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare la sussistenza della delega, potendo produrla anche nel secondo grado del giudizio. Deve altresì ribadirsi che se l’avviso di accertamento non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio “incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio” (Cass., nn. 14626/00, 14195/00; 17044/13, 12781/16; cfr. Cass. sez. 6-5, nn. 19742/12, 332/16; 12781/16; 14877/16; 15781/17; 5200/18), poichè il solo possesso della qualifica non abilita il funzionario della carriera direttiva alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (Cass. n. 17400 del 2012). E’ stato quindi precisato che la sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di funzionario diverso da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo, ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente delegato, non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità, dall’art. 42, commi 1 e 3 del citato D.P.R. n. 600 del 1973 (Cass., 2 dicembre 2015, n. 24492, in cui l’onere probatorio facente capo all’Amministrazione, in caso di contestazione, viene giustificato anche con riferimento a principi di leale collaborazione e di vicinanza della prova).

5. Quanto ai requisiti della delega, questa Corte, con la nota decisione n. 22803 del 9 novembre 2015, ha affermato il seguente principio di diritto, al quale si è conformata la sentenza impugnata:”In tema di accertamento tributario, la delega di firma o di funzioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, deve necessariamente indicare il nominativo del delegato, pena la sua nullità, che determina, a sua volta, quella dell’atto impositivo, sicchè non può consistere in un ordine di servizio in bianco, che si limiti ad indicare la sola qualifica professionale del delegato senza consentire al contribuente di verificare agevolmente la ricorrenza dei poteri in capo al sottoscrittore”.

Tale indirizzo, confermato in varie decisioni successive (per tutte, Cass., ord., 6 marzo 2018, n. 5200), si fonda sul rilievo che il D.L. 15 giugno 2015, n. 78, art. 4 bis, conv. in L. n. 125 del 2015, ancorchè non applicabile alla fattispecie, disciplina l’istituto della “delega” sancendo che la stessa sia nominativa, prevedendo che “in relazione all’esigenza di garantire il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa, i dirigenti delle Agenzie fiscali, per esigenze di funzionalità operativa, possono delegare, previa procedura selettiva con criteri oggettivi e trasparenti, a funzionari della terza area, con un’esperienza professionale di almeno cinque anni nell’area stessa, in numero non superiore a quello dei posti oggetto delle procedure concorsuali indette ai sensi del comma 1 e di quelle già bandite e non annullate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di adozione di atti, escluse le attribuzioni riservate ad essi per legge, tenendo conto della specificità della preparazione, dell’esperienza professionale e delle capacità richieste a seconda delle diverse tipologie di compiti, nonchè della complessità gestionale e della rilevanza funzionale e organizzativa degli uffici interessati, per una durata non eccedente l’espletamento dei concorsi di cui al comma 1 e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2016…”.

6. La questione sottoposta all’esame del Collegio riguarda, come sopra evidenziato, esclusivamente le modalità di individuazione del soggetto delegato ai fini della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, non essendo posti in discussione i principi relativi alla necessità di una delega scritta e agli oneri probatori come sopra evidenziati. Trattasi, per altro, di tematica sotto molti profili speculare rispetto a quella, già esaminata da questa Corte, in relazione alla sottoscrizione di atti processuali da parte di un funzionario a tanto delegato (Cass., 4 ottobre 2015, n. 20628), risolta in virtù del richiamo alla nota distinzione, operata dalla dottrina nonchè dalla giurisprudenza amministrativa, fra “delega di funzioni” e “delega di firma”.

6.1. La seconda ipotesi si verifica quando un organo, pur mantenendo la piena titolarità circa l’esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo, ma anche a funzionario non titolare di organo, il compito di firmare gli atti di esercizio dei potere stesso: in questi casi l’atto firmato dal delegato, pur essendo certamente frutto dell’attività decisionale di quest’ultimo, resta formalmente imputato all’organo delegante, senza nessuna alterazione dell’ordine delle competenze” (Cass., n. 6113/2005).

6.2. Al contrario, l’istituto di diritto pubblico della “delegazione amministrativa” di competenze assume rilevanza esterna, ragion per cui si richiede che sia disciplinato per legge attuandosi, mediante adozione di un formale atto di delega, l’attribuzione ad un diverso ufficio od ente di poteri in deroga alla disciplina normativa delle competenze amministrative (c.d. delega di funzioni).

7. Appare evidente la differenza fra le due figure: la “delega di firma” realizza un mero decentramento burocratico: il “delegato alla firma” non esercita, infatti, in modo autonomo e con assunzione di responsabilità i poteri inerenti alle competenze amministrative riservate al delegante, ma agisce semplicemente come “longa manus” – e dunque in qualità di mero sostituto materiale – del soggetto persona fisica titolare dell’organo cui è attribuita la competenza. L’atto di “delegazione della competenza” ha, al contrario, rilevanza esterna, essendo suscettibile di alterare il regime della imputazione dell’atto, al contrario di quanto si verifica nell’ipotesi della mera delega di firma, nella quale il delegante rimane l’unico ed esclusivo soggetto dal quale l’atto proviene e del quale si assume la piena responsabilità verso l’esterno.

8. Sulla base delle superiori considerazioni va osservato come non sia condivisibile l’affermazione (v. la citata Cass. n. 22803 del 2015) secondo cui, ai fini di valutare la portata della disposizione contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, debba prescindersi dalla natura della delega, sia essa di funzioni o di firma, dovendo in ogni caso essere nominativa. In tal modo, oltre ad operarsi una sovrapposizione fra le figure in esame, si contraddice la portata della norma testè richiamata, che chiaramente, anche in base al tenore letterale, è riferibile a una delega per la sottoscrizione, e, soprattutto, viene ad applicarsi a una figura, quale la delega di firma, la disciplina dettata per la delega di funzioni. Sotto tale profilo deve osservarsi che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis, si riferisce espressamente ed inequivocabilmente alla “delega di funzioni”, laddove prescrive che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze ad essi riservate, a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidate.

Tale rigore non si addice alla delega di firma, nella quale, come è stato già rilevato, il delegato non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante (cfr. la citata Cass. n. 20628 del 2015) e che trova titolo nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (Statuto Ag. Entrate approvato con Delib. 13 novembre 2000, n. 6, art. 11, comma 1, lett. c) e d); reg. amm. n. 4 del 2000, art. 14, comma 2,) nell’ambito dello schema organizzativo della subordinazione gerarchica tra persone appartenenti al medesimo ufficio.

9. Ne consegue che, pur dovendosi ribadire l’orientamento, sopra richiamato, in relazione agli oneri probatori in capo all’amministrazione in caso di contestazione della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, deve affermarsi che non è richiesta alcuna indicazione nominativa della delega, nè la sua temporaneità, apparendo conforme alle esigenze di buon andamento e della legalità della pubblica amministrazione ritenere che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione della c.d. delega di firma possa avvenire, come nella specie, attraverso l’emanazione di ordini di servizio che abbiano valore di delega (Cass., 20 giugno 2011, n. 13512) e che individuino il soggetto delegato attraverso l’indicazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale parimenti consente la successiva verifica della corrispondenza fra il sottoscrittore e il destinatario della delega stessa.

10. L’accoglimento del ricorso, per le indicate ragioni, comporta la cassazione dell’impugnata decisione, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, che, in diversa composizione, applicherà il principio sopra enunciato, provvedendo, altresì, in merito alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata decisione e rinvia, anche per le spese, alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2019


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 03-07-2018) 26-03-2019, n. 8416

Le Sezioni Unite rammentano che, prima delle modifiche operate dalla L. 124/2017, il monopolio di Poste Italiane era limitato solo a notifiche di atti giudiziari e violazioni del Codice della Strada.

A far data dal 10 settembre 2017, è venuto meno il monopolio di Poste Italiane in materia di notificazioni. Tuttavia, già dal 2011, la riserva in favore di Poste era limitata alla sola notifica degli atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada. Di conseguenza la notifica di un’ordinanza ingiunzione emanata dalla autorità amministrativa ben poteva essere effettuata (nel 2014) da un servizio privato.

Tanto è stato precisato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 8416/2019 (qui sotto riportata) accogliendo il ricorso dell’Assessorato alle Infrastrutture della Regione Sicilia contro un condominio di Messina.

L’autorità amministrativa era intervenuta per sanzionare l’utilizzo, a fini irrigui, delle acque di un fondo di proprietà di terzi. Il Condominio, invece, interponeva con successo ricorso al Tribunale delle Acque ritenendo inesistente la notifica del verbale in quanto effettuata a mezzo di servizio di posta privata e non utilizzando quello universale (affidato, nella specie, alla s.p.a. Poste italiane).

La Cassazione, accogliendo il ricorso dell’autorità amministrativa, evidenzia che nel 2014 (anno in cui è stato notificato il provvedimento) vigeva la regola di cui all’art. 4 del d.lgs. 261/1999, come modificato dal d.lgs. 58/2011. In sostanza, un provvedimento avente natura di atto amministrativo, e non giudiziario o riguardante violazioni del CdS, poteva legittimamente essere notificato tramite posta privata.

Notifica tramite Poste Italiane: lo sviluppo normativo

Gli Ermellini richiamano i passaggi più importanti in materia, partendo dal d.lgs. n. 261/1999, di recepimento della Direttiva 97/67/CE, il quale, nel quadro della liberalizzazione del mercato dei servizi postali, ha mantenuto un servizio postale universale, includendo tra i servizi ad esso riservati gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie.

Il successivo d.lgs. n. 58/2011, intervenuto per recepire la Direttiva 2008/6/CE, ha stabilito che al fornitore del servizio universale sono affidati in via esclusiva i servizi inerenti le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari, ai sensi della L. n. 890/1982, nonché i servizi inerenti le notificazioni delle violazioni al Codice della Strada ai sensi dell’art. 201 d.lgs. n. 285/1992.

Da ultimo, l’art. 1, comma 57 lett. b), L. n. 124/2017, ha invece espressamente abrogato l’art. 4 del d.lgs. n. 261/99, con decorrenza dal 10/9/2017, facendo venir meno definitivamente l’attribuzione in esclusiva alla società Poste Italiane s.p.a. dei servizi di notificazione e aprendo il mercato anche agli operatori privati.

Atto amministrativo: legittima la notifica ante 2017 con poste private

Nel periodo che interessa il caso in esame, dunque, era riservata a Poste Italiane la sola notificazione a mezzo posta degli atti giudiziari e delle violazioni al Codice della strada. Invece il provvedimento di ordinanza-ingiunzione emanato dall’autorità amministrativa competente, secondo le previsioni della L. n. 689/1981, è ritenuto dagli Ermellini avere natura di atto amministrativo.

Non trattandosi di atto giudiziario né di atto concernente le violazioni al CdS, concludono le Sezioni Unite, risultava pertanto legittima la relativa notificazione effettuata tramite un servizio di posta privata.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21933-2016 proposto da:

ASSESSORATO INFRASTRUTTURE E MOBILITA’ DELLA REGIONE SICILIA, in persona dell’Assessore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 214/2016 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 27/06/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/2018 dal Consigliere LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Pietro Garofoli per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 27/6/2016 il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha respinto il gravame interposto dall’Assessorato alle infrastrutture e mobilità della Regione Sicilia in relazione alla pronunzia Trap Palermo 15/6/2015, di accoglimento dell’impugnazione proposta dal Condominio (OMISSIS) del “processo verbale di contestazione del 28 maggio 2014 n. 94390… con il quale gli era stata contestata la violazione dell’art. 17 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, per aver utilizzato a fini irrigui le acque di un fondo di proprietà di terzi, e gli era stata contestualmente ordinata la cessazione della condotta illecita, con obbligo di pagamento della relativa sanzione amministrativa e dei canoni non corrisposti”.

Accoglimento fondato sulla ravvisata inesistenza della notifica del suindicato p.v., “in quanto effettuata a mezzo di servizio di posta privata”.

Avverso la suindicata pronunzia del Tsap l’Assessorato alle infrastrutture e mobilità della Regione Sicilia propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione
Con unico motivo il ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole essersi dal Tsap erroneamente affermato che “la notifica del provvedimento amministrativo dovesse necessariamente essere eseguita per il tramite del servizio universale… in ragione della ritenuta prevalenza della disposizione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 6, come modificata dalla L. 3 agosto 1999, n. 265, entrata in vigore successivamente al D.Lgs. n. 261 del 1999”, laddove quest’ultimo è stato “invero modificato in parte qua da legge ancora successiva – il D.Lgs. n. 58 del 2011”.

Lamenta che il provvedimento amministrativo de quo è stato “notificato in data 5 giugno 2014”, allorquando la regula iuris ratione temporis applicabile era quella di cui “al D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, come modificato dal D.Lgs. n. 58 del 2011”, a tale stregua invero “successiva e non precedente alla disposizione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 6, come modificata dalla L. 3 agosto 1999, n. 265”.

Si duole non essersi considerato come, pur essendo vero “che la previsione di cui al D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4 richiama la notificazione a mezzo posta ex L. n. 890 del 1982”, tale rinvio sia comunque limitato esclusivamente “agli atti giudiziari e non anche ad altri atti che siano notificati a mezzo posta”.

Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

La vicenda attiene a notificazione, effettuata il 5/6/2014, di processo verbale del 28 maggio 2014 emesso dall’odierno ricorrente Assessorato alle infrastrutture e mobilità della Regione Siciliana, con il quale è stata all’odierno intimato Condominio contestata la violazione dell’art. 17 T.U. n. 1775 del 1933 per avere utilizzato a fini irrigui acqua di fondo di proprietà di terzi, con contestuale ordine di cessazione della condotta illecita e di pagamento dell’irrogata relativa sanzione amministrativa, oltre ai canoni di utenza non corrisposti per il periodo dal 1976 al 2014.

Nell’impugnata sentenza si è dato atto che “nella versione attuale, applicabile nella fattispecie ratione temporis, sono affidati in via esclusiva al fornitore del servizio universale (cioè, nella specie, alla s.p.a. Poste italiane) i servizi di notificazione in materia di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modifiche, e i servizi relativi alle notifiche a mezzo posta in materia di sanzioni amministrative connesse alle violazioni del codice della strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 201)”.

Si è quindi escluso che la notificazione del p.v. di contestazione della violazione e irrogazione della sanzione ex art. 17 T.U. n. 1775 del 1933 in argomento, “ancorchè non rientrante tra quelle previste per le violazioni del codice della strada”, possa essere effettuata da gestore privato del servizio di posta, trovando comunque “applicazione la disposizione speciale di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 18, comma 6, in base alla quale la notifica dell’ordinanza-ingiunzione può essere eseguita dall’ufficio con le modalità di cui alla L. n. 890 del 1992, cioè col sistema delle notifiche a mezzo posta”, giacchè tale disposizione “è stata inserita nel corpo dell’art. 18 cit. dalla L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 10, comma 6, entrata in vigore successivamente al D.Lgs. n. 261 del 1999 nella sua versione originaria e, come tale, doveva senza dubbio essere applicata in relazione alla notifica dell’ordinanza-ingiunzione per cui è causa”.

Orbene, siffatto assunto è erroneo.

Il D.Lgs. n. 261 del 1999, di recepimento della Direttiva 97/67/CE (emanata con il preciso scopo di dettare “regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio”), ha, nel quadro della liberalizzazione del mercato dei servizi postali, mantenuto un servizio postale universale, includendo tra i servizi ad esso riservati “gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie”.

Il servizio postale universale è espletato, all’esito della trasformazione in società per azioni dell’Ente Poste, dalla società Poste Italiane s.p.a. (v. Cass., Sez. Un., 29/5/2017, n. 13452, ove si pone in rilievo come, nonostante la trasformazione, permanga tuttora in capo all’agente postale l’esercizio di poteri certificativi propriamente inerenti a un pubblico servizio, a ragione della connotazione pubblicistica della disciplina normativa che continua a disciplinarlo e del perseguimento di connesse finalità pubbliche).

Alla L. n. 689 del 1981, art. 18 è stato dalla L. n. 265 del 1999, art. 10 inserito il comma 6, ove si stabilisce che “La notificazione dell’ordinanza ingiunzione può essere eseguita dall’ufficio che adotta l’atto, secondo le modalità di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890”.

Alla suindicata Direttiva del 1997 è seguita la Direttiva 2008/6/CE, recepita con D.Lgs. n. 58 del 2011, che ha modificato il D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4 stabilendo che “Per esigenze di ordine pubblico, sono affidati in via esclusiva al fornitore del servizio universale: a) i servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni; b) i servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 201” (cfr. Cass., 19/12/2014, n. 27021).

La L. n. 124 del 2017, art. 1, comma 57 lett. b), ha quindi espressamente abrogato il D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, con soppressione pertanto dell’attribuzione in esclusiva alla società Poste Italiane s.p.a., quale fornitore del servizio postale universale, dei servizi inerenti le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari ai sensi della L. n. 890 del 1982, nonchè dei servizi inerenti le notificazioni delle violazioni al codice della strada ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201 (v. Cass., 11/10/2017, n. 23887, e, conformemente, da ultimo, Cass., 7/9/2018, n. 21884).

Detta abrogazione opera, peraltro, come dalla suindicata norma espressamente indicato, con decorrenza dal 10/9/2017, sicchè non assume nella specie rilievo, essendo stato -come detto- l’impugnato atto de quo notificato in data 5 giugno 2014.

A tale stregua, con riferimento alla disciplina ratione temporis nella specie applicabile va osservato che la riserva della notifica a mezzo posta all’Ente Poste (poi società Poste Italiane s.p.a.), pur se posteriore (L. n. 265 del 1999, art. 10, comma 6, che ha modificato la L. n. 689 del 1981, art. 18) al D.Lgs. n. 261 del 1999 di liberalizzazione (nel più ampio quadro della liberalizzazione del mercato dei servizi postali) delle notificazioni, è stata successivamente limitata alla notificazione a mezzo posta degli atti giudiziari e alla notificazione a mezzo posta delle violazioni al Codice della strada per effetto del disposto di cui al D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, come modificato dal D.Lgs. n. 58 del 2011, vigente alla data di notifica del verbale di contestazione di cui trattasi.

Atteso che, diversamente da quanto affermato dal TSAP nell’impugnata sentenza, il riferimento alle “modalità di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890” va invero inteso quale mera previsione di un ulteriore strumento di notificazione di cui i soggetti al riguardo abilitati (e pertanto anche quello gestore del servizio privato) possono avvalersi, decisivo rilievo assume la circostanza che il provvedimento di ordinanza-ingiunzione emanato dall’autorità amministrativa competente secondo le previsioni della L. n. 689 del 1981 ha natura di atto amministrativo (cfr. Cass., 20/9/2006, n. 20401; Cass., 1/6/1993, n. 6088), e non già giudiziario, e non concerne violazioni al Codice della strada, risultando pertanto legittima la relativa notificazione a mezzo servizio di posta privata.

Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione alla censura accolta.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa in relazione alla censura accolta l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al TSAP, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2019


Cass. civ. Sez. VI – Lavoro, Ord., (ud. 06-12-2018) 20-03-2019, n. 7892

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24901-2017 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA SPA, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ODDO, rappresentata e difesa dall’avvocato LICIA TAVORMINA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

Contro

M.M., ASSESSORATO REGIONALE DEL LAVORO- ISPETTORATO PROVINCIALE DEL LAVORO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 506/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/12/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

Svolgimento del processo
Che: con sentenza in data 8 -20 giugno 2017 numero 506 la Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, accoglieva parzialmente l’opposizione proposta da M.M. nei confronti dell’INPS, della SOCIETA’ PER LA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (in prosieguo: SCCI) spa DELL’ASSESSORATO REGIONALE DEL LAVORO- ISPETTORATO PROVINCIALE e di RISCOSSIONE SICILIA S.p.A. avverso il fermo amministrativo iscritto dall’agente della riscossione per il mancato pagamento di 29 cartelle esattoriali;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale premetteva che l’oggetto del contendere era limitato ad un numero di sette cartelle esattoriali relative a contributi INPS ed a sanzioni amministrative e che il Tribunale aveva accolto l’opposizione per sei di esse. RISCOSSIONE SICILIA S.p.A. aveva proposto appello limitatamente a cinque cartelle, con esclusione della cartella (OMISSIS), rispetto alla quale era intervenuto il giudicato interno.

Quanto alle cartelle oggetto di appello, doveva essere respinto il motivo di impugnazione con il quale si deduceva la tardività del ricorso introduttivo per mancato rispetto del termine di quaranta giorni. Assorbente era la circostanza che RISCOSSIONE SICILIA S.p.A. non aveva dimostrato l’epoca in cui il M. aveva avuto conoscenza dell’esistenza a suo carico di un fermo amministrativo.

Erano del pari infondati gli ulteriori motivi di impugnazione.

Per tre delle cartelle (numeri (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) era decisiva la prescrizione del credito per effetto del decorso del termine quinquennale successivamente alla notifica, quand’anche regolarmente perfezionatasi (in data 9 marzo 2006 le prime due, in data 4 febbraio 2005 la terza).

In ogni caso, le cartelle erano state consegnate al portiere senza procedere all’invio della raccomandata informativa ex art. 139 c.p.c., comma 4 (o, comunque, in assenza della prova di tale adempimento).

Residuava l’esame di due cartelle (numeri (OMISSIS) e (OMISSIS), notificate rispettivamente il 18 aprile 2007 ed il 2 luglio 2009).

In ordine alla prima, era accertato documentalmente che l’agente notificatore aveva consegnato l’atto al portiere dello stabile di abitazione del M. senza darne notizia al destinatario mediante lettera raccomandata, come prescritto dall’art. 139 c.p.c., comma 4. Con riferimento alla seconda, RISCOSSIONE SICILIA S.p.A. aveva prodotto per documentare il perfezionamento della notifica una copia della distinta di accettazione di raccomandata in data 23 luglio 2009 formata dal Consorzio Olimpo.

Il giudice di prime cure aveva ritenuto, con argomentazione condivisibile e neppure oggetto di censura, che non era provato l’invio della raccomandata al M., difettando persino l’indicazione dell’indirizzo del destinatario;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso RISCOSSIONE SICILIA S.p.A, articolato in tre motivi, cui ha opposto difese con controricorso l’INPS, anche in nome e per conto di SCCI SpA; M.M. e l’ASSESSORATO REGIONALE sono rimasti intimati;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’udienza- ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
Che: la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo: ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità del procedimento; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Ha censurato la sentenza d’appello per avere respinto l’eccezione di inammissibilità della opposizione. Ha dedotto che la Corte territoriale aveva omesso di esaminare la circostanza che il ricorso era stato proposto avverso il “preavviso di fermo”, atto anteriore alla iscrizione del fermo. Il fermo amministrativo era stato iscritto in data 19-26 settembre 2011: pertanto il ricorso (depositato il 2 gennaio 2012), era sicuramente tardivo, anche rispetto alla successiva data di iscrizione del fermo;

– con il secondo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4. Con il motivo, proposto in via gradata, si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto nulla la notifica delle cartelle esattoriali per la mancata spedizione della raccomandata informativa prescritta dalla norma;

– con il terzo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3- violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto estinto per prescrizione il credito riportato nelle tre cartelle esattoriali notificate in data 9 marzo 2006 e 4 febbraio 2005 per decorso del termine quinquennale laddove in caso di mancata opposizione avverso la cartella di pagamento trovava applicazione il termine decennale di cui all’art. 2946 c.c.;

che ritiene il collegio si debba rigettare il ricorso;

che, invero:

– con il primo motivo si assume la tardività della opposizione avverso le cartelle esattoriali per decorso del termine di quaranta giorni di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24.

Per censurare l’accertamento di tempestività della opposizione compiuto nella sentenza impugnata la parte ricorrente avrebbe dovuto allegare specificamente- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – un fatto storico risultante dagli atti di causa (ed avente rilievo decisivo) non esaminato nella sentenza impugnata.

Il motivo, come precisato nella memoria, evoca un ragionamento presuntivo, nei seguenti termini:

– il contribuente aveva sicuramente ricevuto il preavviso di fermo anteriormente alla data di iscrizione del fermo (il 19-26 settembre 2011);

– tale fatto era dimostrato dal deposito del ricorso introduttivo del giudizio “in opposizione al preavviso di fermo”;

– il termine di 40 giorni, dunque, cominciava a decorrere in epoca anteriore alla iscrizione del fermo.

La censura così proposta sollecita questa Corte ad un inammissibile riesame del merito.

Il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, concerne infatti l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali; nella fattispecie di causa la parte ricorrente non espone da quali atti di causa emergeva che il preavviso di fermo era stato comunicato al M. in data anteriore alla iscrizione del fermo. Il mero fatto del deposito del ricorso introduttivo avverso il preavviso di fermo prova, infatti, la comunicazione del preavviso impugnato soltanto alla stessa data del ricorso e non rispetto ad un momento anteriore.

Le censure proposte sotto il profilo della violazione di legge e della nullità del procedimento non sono invece pertinenti al contenuto della impugnazione, che non pone in questione la interpretazione ed applicazione da parte del giudice dell’appello di norme di diritto, sostanziali o processuali;

– quanto al secondo motivo, correttamente la sentenza ha ritenuto la nullità della notifica delle cartelle esattoriali sulla base del preliminare accertamento in fatto che le stesse erano state consegnate al portiere, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, e che non era seguita la spedizione della raccomandata informativa di cui al successivo comma 4 (o comunque non era stata raggiunta la prova di tale spedizione).

La statuizione è conforme al principio espresso dalle sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 31 luglio 2017 n. 18992, essendosi ivi ritenuto che “nella notificazione eseguita ex art. 139 c.p.c., comma 3, l’omessa spedizione della raccomandata prescritta dal comma 4 della disposizione cit., costituisce un vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario che determina, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale giudiziario medesimo, la nullità della notificazione nei riguardi del destinatario”. Nel citato arresto si è valorizzata la funzione dell’avviso nella struttura complessiva di una notificazione che si perfeziona a persona non legata da quei particolari vincoli evidenziati nell’art. 139 c.p.c cit., comma 2, sicchè l’atto entra a far parte della sfera di effettiva conoscibilità del destinatario ma in una sua porzione connotata da un grado minore di possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto rispetto alle altre fattispecie indicate dal comma 2, per le quali è assai stretta la natura del vincolo che lega il consegnatario dell’atto al destinatario. Un tale minor grado di conoscibilità- se non degrada la consegna al punto di rendere necessario lo spostamento ulteriore del momento di perfezionamento della notifica (come accade per l’ipotesi contemplata dall’art. 140 c.p.c.)- esige però almeno di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post e non incidente sul tempo in cui l’attività notificatoria si è svolta e compiuta. A tale principio deve assicurarsi in questa sede continuità;

– il terzo motivo, con cui si assume la durata decennale del termine di prescrizione a seguito della mancata proposizione della opposizione avverso le cartelle esattoriali notificate, è inammissibile, tanto alla luce della definitività della statuizione di nullità della notifica delle cartelle esattoriali che a tenore dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, essendo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, all’esito dell’arresto delle Sezioni Unite del 17 novembre 2016 n. 23397, il principio, applicato dalla sentenza impugnata, secondo cui la prescrizione dei contributi previdenziali, nel caso di mancata o tardiva opposizione a cartella esattoriale, rimane quinquennale e non si converte in decennale ai sensi dell’art. 2953 c.c. che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti dell’INPS, che ha concluso per la inammissibilità o il rigetto del ricorso;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 6 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 18-12-2018) 19-03-2019, n. 7641

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26944-2017 proposto da:

R.A., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO CAROZZA, LUCA CITARELLA;

– ricorrente –

contro

UNILEVER ITALIA MANUFACTURING S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE ROBERTO ARDIGO’ 42, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO BRAGAGLIA, rappresentata e difesa dagli avvocati EMANUELE ANTONIO NATALE, GIULIO GOMEZ D’AYALA;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 1350/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/06/2017 R.G.N. 4557/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica Udienza del 18/12/2018 del Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DOMENICO CAROZZA;

udito l’Avvocato EMANUELE ANTONIO NATALE.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 1350/2017, pubblicata il 28 giugno 2017, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede, in accoglimento del ricorso proposto da Unilever Italia Manufacturing S.r.l., aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad R.A., con lettera del 3/3/2010, per avere svolto, in periodo di assenza per infortunio, attività lavorativa consistita nella guida di automezzi e in operazioni di carico/scarico di cerchi in lega per autovetture, tale da compromettere o ritardare la guarigione.

2. La Corte ha rilevato a sostegno della propria decisione che i fatti contestati, giunti a conoscenza della società attraverso un’indagine investigativa, avevano trovato conferma nelle dichiarazioni degli investigatori e che la consulenza d’ufficio disposta in primo grado aveva consentito di accertare la potenzialità dannosa del comportamento addebitato, il quale, pertanto, integrando un inadempimento degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà e la violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede, era da ritenersi di gravità tale da giustificare il recesso datoriale, anche in difetto di previsione del contratto collettivo o del codice disciplinare.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con tre motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito la società con controricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5 nonchè dell’art. 24 Cost., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto accertati i fatti descritti nella relazione investigativa prodotta in giudizio dalla società, sebbene tali fatti fossero stati puramente confermati “in blocco” dai testimoni escussi e la relazione, in quanto documento di parte, non avesse ex se efficacia probatoria.

2. Con il secondo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 2106, 1175, 1375 e 1455 c.c., nonchè dell’art. 70 c.c.n.l. Industria Alimentare, il ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto che anche una condotta potenzialmente idonea a compromettere o ritardare la guarigione, quale delineata dal consulente d’ufficio in esito alle proprie indagini, potesse integrare la giusta causa di recesso, di conseguenza trascurando, su tale premessa, di ricercare e di accertare i fatti che potessero dimostrare la sussistenza, in concreto (e non solo in astratto), di tale nesso di causalità.

3. Con il terzo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360, n. 5, il ricorrente si duole del fatto che la Corte non abbia preso in esame le deduzioni e i rilievi critici formulati con il ricorso in appello e che, con il supporto della relazione medico-legale allegata, avrebbero consentito di smentire la validità delle conclusioni raggiunte dal consulente d’ufficio.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. Come più volte precisato da questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 13395/2018), “la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove” – come con il motivo ora in esame “oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5)”.

6. E’ altresì consolidato il principio, secondo il quale “la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale” (Cass. n. 4699/2018).

7. Il secondo motivo è infondato.

8. La Corte di appello ha invero correttamente richiamato l’orientamento, per il quale “lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonchè dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sè, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio” (Cass. n. 26496/2018; conforme, fra le più recenti, Cass. n. 10416/2017).

9. La Corte ha peraltro positivamente accertato come la condotta imputata al lavoratore fosse stata tale, anche in concreto, da ritardare la guarigione, avendo osservato che egli “guidando autovetture e sollevando cerchi in lega nei giorni (OMISSIS)” aveva “disatteso la prescrizione medica” in data (OMISSIS) (e cioè “ulteriori 17 giorni di cure e riposo”) e che “ai successivi controlli medici non veniva riscontrata la guarigione, tanto che la riammissione in servizio poteva avvenire soltanto” il successivo 28 gennaio 2010 (cfr. sentenza impugnata, p. 4).

10. Il terzo motivo è inammissibile, in forza della preclusione (c.d. “doppia conforme”) di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., a fronte di giudizio di appello introdotto con ricorso depositato il 14 dicembre 2015 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore della novella (11 settembre 2012).

11. Nè il ricorrente, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014 e successive conformi).

12. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2019


Cass. civ., Sez. I, Sent., (data ud. 09/01/2019) 11/03/2019, n. 6924

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MARULLI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21140/2012 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliata in Roma, Corso Trieste n. 173, presso lo studio dell’avvocato Marchese Teodora che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Oddo Davide, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fe.Gi., elettivamente domiciliata in Roma, Via Tuscolana n. 1256, presso lo studio dell’avvocato Tetti Alessandro, rappresentata e difesa dall’avvocato Ferrante Ersilia, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 300/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 30/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2019 dal cons. MARULLI MARCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DE RENZIS LUISA, che ha concluso per il rigetto;

udito per il controricorrente l’Avvocato Paolucci Alessio, con delega, che ha chiesto il rigetto.

Svolgimento del processo
1. F.G. impugna avanti a questa Corte l’epigrafata sentenza della Corte d’Appello di Genova – pronunciata a definizione del gravame proposto nei suoi confronti da Fe.Gi. per il pagamento della provvigione dovuta in relazione all’attività di mediazione espletata in occasione della vendita di un immobile di cui la F. era comproprietaria – e ne chiede la cassazione lamentandone, sulla base di un solo motivo, la nullità, poichè la Corte d’Appello aveva proceduto nella sua contumacia quantunque l’atto di appello non le fosse stato mai notificato, dato che la notifica era stata effettuata presso la sua residenza anagrafica di (OMISSIS), malgrado all’epoca ella si fosse trasferita all’estero, ed il relativo atto era stato consegnato a mani di tale D.D., che occupava l’alloggio in qualità di conduttrice.

Al mezzo così proposto resiste la Fe. con controricorso.

Motivi della decisione
2.1. Il riportato motivo di ricorso, a mezzo del quale la ricorrente reclama la cassazione dell’impugnata sentenza pronunciata nella sua contumacia per pretesa nullità della notificazione, non merita adesione.

2.2. Scopo della notificazione, come si insegna abitualmente, è quello di far pervenire l’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario, in modo da porlo nella condizione di aver conoscenza legale del processo e di essere in grado di apprestare la propria difesa senza incorrere in decadenze o preclusioni. sicchè tanto l’art. 139 c.p.c. quanto, riflessamente, le norme che disciplinano la notificazione a mezzo posta (L. 20 gennaio 1982, n. 890, art. 3, comma 2, art. 7, comma 2 e art. 9, comma 1), si danno cura di indicare quale luogo primario per la notificazione la residenza del destinatario intendendosi per tale il “luogo di abituale e volontaria dimora, (connotato) cioè dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni familiari e sociali” (Cass., Sez. III, 11/11/2003, n. 16941). In tale guisa si ha riguardo d’ordinario alla residenza anagrafica, assumendosi, in forza non solo del positivo dettato dell’art. 43 c.c., comma 2, che il luogo in cui l’interessato abbia la propria residenza anagrafica sia anche quello in cui egli dimori abitualmente e sia perciò più agevole raggiungerlo al fine di renderlo edotto degli atti a contenuto giuridico che gli pertengono. Tuttavia, tenuto conto delle finalità della notificazione, si afferma stabilmente che se il notificante “conosce il luogo di reale dimora abituale, o sia in grado di conoscerlo facendo uso della diligenza che il caso suggerisce, la notifica è legittimamente eseguita solo se tentata presso quel luogo, mentre solo se il notificante ignora incolpevolmente che il luogo di effettiva dimora abituale è diverso da quello ove questi risulti anagraficamente residente, la notificazione può essere legittimamente eseguita presso l’ultima residenza anagrafica” (Cass., Sez. III, 11/11/2003, n. 16941). Ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario assume perciò “rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, con la conseguenza che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni” (Cass., Sez. IV, 22/12/2009, n. 26985). Poichè peraltro compete al giudice del merito, avanti al quale sia contestata la coincidenza del luogo di residenza con quello di effettiva dimora, apprezzare, ai fini di stabilire la regolarità della notificazione, se le allegazioni di fatto in tal senso operate dal destinatario siano suffragate da una prova piena o si suffraghino altrimenti in forza di un quadro circostanziale provvisto dei necessari requisiti di univocità e concludenza, ne discende, per ovvia conseguenza, che “l’accertamento della residenza, domicilio o dimora del convenuto effettuato dal giudice di merito non è censurabile in cassazione – se non per vizi della relativa motivazione – in funzione dello scrutinio di validità della notifica dell’atto di citazione, trattandosi di accertamento in fatto riservato al giudice di merito” (Cass., Sez. I, 28/09/2004, n. 19416). E, dunque, avendo l’impugnata sentenza esattamente proceduto ad un accertamento di fatto allorchè ha divisato la regolarità della contestata notificazione nella convinzione che le affermazioni in tale veste operate dal deducente “non sono supportate da alcun riscontro e comunque risultano irrilevanti rispetto al momento ben anteriore e risalente al febbraio/marzo 2008 quando l’atto di appello era notificato, in via di rinnovazione alla residenza della F. sita in (OMISSIS)”, essa non è conseguentemente censurabile sotto il denunciato profilo diritto.

2.3. Non deducibile sotto il detto profilo, la nullità dell’impugnata sentenza non può essere fatta valere, una volta che il giudice del merito con l’accertamento di fatto ad esso riservato abbia escluso la rilevanza della residenza di fatto rispetto alla residenza anagrafica, neppure sotto il subordinato profilo dell’irritualità della notifica per essere stato nella specie il plico contenente l’atto di gravame consegnato a mani della persona rinvenuta presso la residenza anagrafica della F., tale D.D. cui l’alloggio era stato locato in conduzione.

Osservato, in fatto, che come si legge in motivazione nella specie “il plico era ritirato da persona qualificatasi al servizio della destinataria F.G. ed addetta alle pulizie”, va detto che, sebbene non sia revocabile in dubbio che la relata di notificazione di un atto faccia fede fino a querela di falso per le attestazioni che riguardano l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario procedente, la constatazione di fatti avvenuti in sua presenza ed il ricevimento delle dichiarazioni resegli, limitatamente al loro contenuto estrinseco, analoga efficacia probatoria non assiste le altre attestazioni che non sono frutto della diretta percezione del pubblico ufficiale, bensì di informazioni da lui assunte o di indicazioni fornitegli da altri che, essendo provviste solo di una presunzione di veridicità, possono essere sovvertite solo mezzo di una prova contraria (Cass., Sez. VI-I, 19/12/2016, n. 26134). In questa cornice anche “la qualità di persona di famiglia, di addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, di vicina di casa, di chi ha ricevuto l’atto si presume iuris tantum dalle dichiarazioni recepite dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica, incombendo sul destinatario dell’atto, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria ed, in particolare, di provare l’inesistenza di un rapporto con il consegnatario comportante una delle qualità su indicate ovvero la occasionalità della presenza dello stesso consegnatario” (Cass., Sez. IV, 5/04/2018, n. 8418). Peraltro, poichè compete innegabilmente al giudice del merito valutare, alla luce delle circostanze fattuali allegate dalla parte al fine di contrastare la presunzione di veridicità che assiste l’attestazione dell’ufficiale giudiziario, se la presunzione così operante sia stata vinta, l’accertamento a cui in tal modo egli perviene è frutto di un’indagine e di un giudizio di fatto e, non diversamente, da quanto si è osservato innanzi, esso è censurabile in questa sede solo sotto il profilo motivazionale, sottraendosi perciò alla denunciata violazione procedimentale.

3. Va dunque dichiarata l’inammissibilità del ricorso con ovvio riflesso quanto alle spese di giudizio.

P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 9 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2019


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 29-09-2017) 28-02-2019, n. 5902

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18637-2010 proposto da:

C.A., C.L., elettivamente domiciliati in ROMA VIA F. OZANAM 69, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BATTISTA PERCACCIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE PETILLO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE NORMATIVA CONTENZIOSO in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimato – avverso la decisione n. 3050/2010 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di ROMA, depositata il 18/05/2010; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/09/2017 dal Consigliere Dott. GRECO ANTONIO.

Svolgimento del processo
C.L. e C.A., nella qualità di eredi di C.A., propongono ricorso per cassazione con tre motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria centrale di Roma che, nel giudizio promosso con l’impugnazione dell’iscrizione a ruolo di IRPEF e ILOR per il 1980 a carico del de cuius, perché non preceduta da regolare notifica dell’avviso di accertamento, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.

La CTC ha infatti rilevato come l’avviso di accertamento non era stato emesso nei confronti del de cuius, bensì, legittimamente, intestato agli eredi presenti e futuri, in mancanza della comunicazione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2, a tenore del quale gli eredi hanno l’onere di comunicare all’ufficio delle imposte dirette le loro generalità e il domicilio, comunicazione in difetto della quale, come nella specie, l’atto di accertamento va eseguito in forma impersonale e collettiva presso l’ultimo domicilio del contribuente defunto.

Così era avvenuto nel caso in esame, come risultava dall’avviso di affissione all’albo comunale: in tal caso, qualora nel comune in cui deve eseguirsi la notificazione non esiste abitazione, ufficio o azienda del contribuente, trova applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), per effetto del quale non vi è necessità che all’affissione all’albo segua la raccomandata, equiparandosi a tale caso quello in cui, come per i contribuenti, la notificazione, per mancata comunicazione degli stessi circa il proprio recapito, deve eseguirsi all’ultimo domicilio del de cuius, costituendo lo stesso – presso il quale essi non vivevano – una sorta di domicilio ex lege.

La notificazione del prodromico avviso di accertamento conclude la CTC – era stata pertanto validamente eseguita, dando luogo ad un valido rapporto d’imposta con i contribuenti.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso mentre il Ministero dell’economia e delle finanze non ha svolto attività nella presente sede.

Motivi della decisione
Va anzitutto disattesa l’istanza di estinzione della lite pendente ai sensi del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 2 bis, lett. b), convertito nella L. 22 maggio 2010, n. 73, depositato dai contribuenti il 19 luglio 2010.

Ciò in quanto alla definizione agevolata sono ammesse dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 2 bis, le controversie “per le quali risulti soccombente l’Amministrazione finanziaria nei primi due gradi di giudizio”. Questa Corte ha infatti in proposito chiarito come “presupposto per la definizione agevolata delle liti pendenti innanzi alla Corte di cassazione, come prevista dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 2-bis, (convertito con modificazioni nella L. 22 maggio 2010, n. 73), è la soccombenza dell’Amministrazione finanziaria nei precedenti gradi di giudizio; il riferimento normativo ai “primi due gradi di giudizio” va, invero, interpretato con riguardo all’intera vicenda processuale, nella quale l’Ufficio tributario deve essere stato costantemente soccombente, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui il giudizio di cassazione sia stato preceduto – in applicazione del rito previgente – da tre gradi di giudizio, è necessario, ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di definizione, che si sia verificato un triplice esito sfavorevole per l’Amministrazione (come invece, nella specie, non avvenuto, avendo la Commissione tributaria centrale accolto il ricorso dell’Amministrazione), atteso che la “ratio” delle norme è quella di deflazionare il contenzioso pendente da oltre dieci anni, confidando sull’elevata probabilità di un esito sfavorevole in sede di legittimità” (Cass. n. 15634 del 2013, n. 21714 del 2010).

E nella specie il ricorso dell’amministrazione era stato accolto dalla Commissione tributaria centrale.

Col primo motivo, denunciando violazione dell’art. 140 c.p.c., assume che nel caso di assenza, incapacità o rifiuto di ricevere la copia da parte delle persone indicate nell’art. 139 c.p.c., la notifica andrebbe effettuata, a norma del successivo art. 140, eseguendo esattamente la procedura ivi indicata (deposito di copia, affissione di avviso di deposito e invio di raccomandata); col secondo motivo, denunciando violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, assume che, affisso l’avviso di deposito del piego nell’albo comunale, la notificazione si avrebbe per eseguita otto giorni dopo: nella specie, l’avviso di accertamento sarebbe stato notificato al de cuius ed agli eredi il 30 dicembre 1986, e si sarebbe perfezionato il 7 gennaio 1987, quindi oltre il termine decadenziale di cinque anni fissato dalla disposizione in rubrica; col terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 2, e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza della CTC per non essersi pronunciata su un punto decisivo della controversia, vale a dire sulla legittimità o meno dell’avviso di accertamento notificato al C. con particolare riguardo all’ILOR. Il primo motivo è infondato.

Con riguardo alla notificazione del prodromico avviso di accertamento la CTC non è incorsa nell’errore addebitato, avendo rilevato che essa era stata validamente eseguita, dando luogo ad un valido rapporto d’imposta con i contribuenti: l’avviso di accertamento non era stato emesso nei confronti del de cuius, bensì, legittimamente, intestato agli eredi presenti e futuri, in mancanza della comunicazione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2, a tenore del quale gli eredi hanno l’onere di comunicare all’ufficio delle imposte dirette le loro generalità e il domicilio, comunicazione in difetto della quale, come nella specie, l’atto di accertamento va eseguito in forma impersonale e collettiva presso l’ultimo domicilio del contribuente defunto. Così era avvenuto nel caso in esame, come risultava dall’avviso di affissione all’albo comunale: in tal caso, qualora nel comune in cui deve eseguirsi la notificazione non esista abitazione, ufficio o azienda del contribuente, trova applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), per effetto del quale non vi è necessità che all’affissione all’albo segua la raccomandata, equiparandosi a tale caso quello in cui, come per i contribuenti, la notificazione, per mancata comunicazione degli stessi circa il proprio recapito, deve eseguirsi all’ultimo domicilio del de cuius, costituendo lo stesso – presso il quale essi non vivevano – una sorta di domicilio ex lege.

Questa Corte ha chiarito infatti che “la notificazione dell’avviso di accertamento al contribuente del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 60, comma 1, lett. e) – il quale deroga, in materia, all’art. 140 c.p.c. -, è ritualmente eseguita, quando nel comune nel quale deve eseguirsi non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, mediante affissione dell’avviso del deposito prescritto dal citato art. 140 nell’albo comunale, senza necessità di spedizione della raccomandata e senza che l’ufficio sia tenuto ad espletare ricerche, in particolare anagrafiche, essendo un tale obbligo configurabile soltanto nel caso di intervenuto spostamento di residenza nell’ambito dello stesso” (Cass. n. 7120 del 2003).

Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili, in quanto, una volta accertata la validità della notificazione dell’avviso di accertamento, prodromico all’iscrizione a ruolo, è preclusa, a fronte della definitività discendente dalla mancata tempestiva impugnazione, ogni domanda avente oggetto diverso dall’impugnazione della cartella per vizi propri, come la decadenza in cui sarebbe incorso l’avviso e la natura dell’imposta pretesa con l’avviso stesso.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidate in Euro 3.000 per compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2019


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 06-12-2018) 21-02-2019, n. 5077

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5243/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente – contro

G.D., elett.te domiciliata in Roma alla via delle Quattro Fontane n. 15, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Tinelli da cui è rapp.ta e difesa, unitamente all’avv. Maurizio De Lorenzi come da procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.144/22/13 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, depositata in data 8/7/2013, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 dicembre 2018 dalla dott.ssa Milena D’Oriano.

Svolgimento del processo
CHE:

1. con sentenza n. 144/22/13, depositata in data 8 luglio 2013, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia accoglieva l’appello proposto da G.D., avverso la sentenza n. 443/4/11 della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, con condanna al pagamento delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento, relativa ad Irpef e relative addizionali per gli anni dal 2005 al 2007, che seguiva l’emissione di tre avvisi di accertamento relativi agli stessi anni, di cui la contribuente aveva eccepito l’omessa notifica, con conseguente decadenza dal potere impositivo per il periodo di imposta 2005, e contestato la legittimità per difetto del presupposto della disponibilità finanziaria rispetto alla quale era stato determinato il reddito con metodo sintetico;

3. il giudice di appello, in riforma della sentenza della CTP di Lecce, aveva accolto il gravame, e dichiarato la nullità della cartella, rilevando che l’Agenzia procedente non aveva fornito la prova della corretta notifica degli avvisi di accertamento presupposti, effettuata ai sensi della L. n. 890 del 1992, art. 8, non avendo prodotto in giudizio la cartolina di ritorno degli avvisi di avvenuto deposito, esibizione ritenuta indispensabile ai fini della prova della ritualità del procedimento di notifica a mezzo posta;

4. avverso la sentenza di appello, l’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica alla contribuente in data 24 febbraio 2014, affidato ad un unico motivo; la contribuente ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
CHE:

1. con l’unico motivo di ricorso, l’Ufficio lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, e dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo che ai fini della regolarità della notifica a mezzo posta è sufficiente che l’Ufficiale postale dia atto di aver effettuato i prescritti adempimenti, e che sia fornita la prova della spedizione della raccomandata di avviso dell’avvenuto deposito (cd. C.A.D.), senza che sia necessaria anche l’esibizione in giudizio del secondo avviso di ricevimento relativo a tale comunicazione;

2. con il controricorso la contribuente ha chiesto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Equitalia Sud S.p.A., litisconsorte processuale in quanto parte del giudizio di 1 grado, seppure contumace del giudizio di appello, ed a cui non risulta effettuata la notifica del ricorso per cassazione; ha altresì eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza.

OSSERVA CHE:

1. preliminarmente va rigettata la richiesta di integrazione del contraddittorio: risulta dagli atti, oltre che ampiamente scaduto il termine per impugnare per la parte pretermessa, anche l’estraneità della società concessionaria ai motivi di impugnazione, in quanto le questioni controverse non sono attinenti alla fase della riscossione, bensì alla notifica degli accertamenti, notifica pacificamente avvenuta a cura dell’Ufficio finanziario.

Ritiene quindi il Collegio che nella specie, anche in considerazione dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, non sia necessario disporre l’integrazione del contraddittorio, trovando applicazione quanto già più volte affermato da questa Corte nel senso che “In tema di contenzioso tributario, del D.Lgs. 546 del 1992, l’art. 53, comma 2, secondo cui l’appello deve essere proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili, ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c., con la conseguenza che, in presenza di cause scindibili, la mancata proposizione dell’appello nei confronti di tutte le parti presenti in primo grado non comporta l’obbligo di integrare il contraddittorio quando, rispetto alla parti pretermesse, sia ormai decorso il termine per l’impugnazione.” (Cass. n. 25588 del 2017 e n. 24083 del 2014);

2. va ritenuta infondata anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, in quanto la parte ricorrente, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., ha indicato tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto.

Con il motivo di ricorso si pone infatti un’unica questione giuridica, per la cui soluzione non è necessario accedere ad altre fonti ed atti del processo, se non la sentenza stessa, a cui è stato fatto ampio ed esaustivo riferimento.

3. L’unico motivo di ricorso non merita accoglimento.

3.1 Nel caso di cui si controverte è incontestato che gli avvisi di accertamento, che costituiscono gli atti presupposti della cartella esattoriale impugnata, siano stati notificati a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1992.

In base a tale legge, art. 14, “La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente deve avvenire con l’impiego di plico sigillato e può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari, nonchè, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla presente legge. Sono fatti salvi i disposti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 26, 45 e seguenti e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, nonchè le altre modalità di notifica previste dalle norme relative alle singole leggi di imposta.” 3.2 E’ altresì pacifico tra le parti che per tutti e tre gli avvisi, il piego che li conteneva non sia stato consegnato per temporanea assenza del destinatario, o di altre persone abilitate a riceverlo, e quindi depositato presso l’ufficio postale, ove non risulta ritirato.

Trova pertanto applicazione la L. n. 890 del 1982, art. 8, nel testo modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità di cui alla sentenza della Corte Cost. 22 settembre 1998, n. 346, che in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione, ovvero di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario (o per mancanza, inidoneità od assenza delle persone sopra menzionate), prevede l’obbligo per l’ufficiale postale di dare notizia, al destinatario medesimo, del compimento delle relative formalità e del deposito del piego, con raccomandata con avviso di ricevimento.

3.3 In quanto modalità espressamente prevista dalla legge, è indubbio che l’omesso invio dell’avviso di deposito a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, sia in caso di mancato invio sia in caso di invio con affrancatura o raccomandata semplice, comporti la nullità della notifica.

Questione controversa è se, in caso di contestazione in giudizio della legittimità della notifica effettuata a mezzo posta, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8, ai fini della prova della sua regolarità sia sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della seconda raccomandata di cui al comma 2, che contiene la comunicazione di avvenuto deposito, generalmente desumibile dall’avviso di ricevimento dell’atto ove viene riportato il numero della raccomandata, o sia necessaria la produzione in giudizio anche di tale secondo avviso di ricevimento per verificarne l’effettività e regolarità dell’invio.

3.4 Giova a questo punto ricostruire quale sia il procedimento previsto per la notifica a mezzo posta in caso di irreperibilità relativa, e quale la funzione della comunicazione di avvenuto deposito da esso previsto.

Va precisato che tali regole valgono per la notifica di tutti gli atti in materia civile, amministrativa e penale per i quali, ai sensi della L. n. 890 del 1992, art. 1, l’ufficiale giudiziario scelga di avvalersi del servizio postale (possibilità che gli viene preclusa solo se l’autorità giudiziaria disponga o la parte richieda che la notificazione sia eseguita personalmente), e per la notifica degli atti in materia civile ed amministrativa da eseguirsi fuori del comune ove ha sede l’ufficio per i quali l’ufficiale giudiziario è obbligato ad avvalersi del servizio eccetto che la parte chieda che la notificazione sia eseguita di persona.

L’art. 14 della I. n. 890 del 1992 si limita infatti ad estendere alla notifica degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, e di cui si controverte nel presente giudizio, le stesse modalità previste dalla legge per la notifica a mezzo posta degli atti giudiziari, in considerazione della pari rilevanza degli effetti conseguenti alla piena conoscibilità di entrambe le tipologie di atti.

Ebbene, in caso di notifica a mezzo del servizio postale, nell’ipotesi di irreperibilità relativa è prevista la compilazione di due avvisi di ricevimento: il primo, di colore verde, conforme al modello di cui alla L. n. 890 del 1992, art. 2, relativo alla raccomandata che contiene l’atto, viene presentato dall’ufficiale giudiziario all’ufficio postale, ai sensi della stessa legge, art. 3, comma 3, unitamente alla busta chiusa contenente l’atto da notificare di cui al comma 2, e poi completato dall’addetto al recapito in base agli esiti della notifica; il secondo, relativo alla comunicazione di avvenuto deposito (C.A.D.), viene redatto, ai sensi dell’art. 8 cit., comma 4, a cura dell’agente postale all’atto dell’invio della raccomandata spedita quando non sia stato possibile notificare l’atto giudiziario per assenza del destinatario o di altre persone idonee al ritiro.

3.5 La comunicazione di avvenuto deposito ha un ruolo centrale per tale modalità di notifica in quanto ha la finalità di dare notizia al destinatario del tentativo di notifica del piego e del suo deposito a cura dell’operatore postale presso il punto di deposito più vicino.

Ai sensi dell’art. 8, comma 4, va inviato in busta chiusa, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento che, in caso di assenza del destinatario, deve essere affisso alla porta d’ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda; deve contenere l’indicazione del soggetto che ha richiesto la notifica e del suo eventuale difensore, dell’ufficiale giudiziario al quale la notifica è stata richiesta e del numero di registro cronologico corrispondente, della data di deposito e dell’indirizzo del punto di deposito, nonchè l’espresso invito al destinatario a provvedere al ritiro del piego entro il termine massimo di sei mesi, con l’avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita per “compiuta giacenza” trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui sopra e che, decorso inutilmente anche il predetto termine di sei mesi, l’atto sarà restituito al mittente.

Come è noto la Corte Cost., con sentenza n. 346 del 23 settembre 1998, aveva dichiarato la illegittimità costituzionale della L. n. 890 del 1982, art. 8, nella parte in cui non prevedeva che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego fosse data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento.

La decisione si fonda sul rilievo che l’omessa previsione di tale formalità aggiuntiva, quindi quella della seconda raccomandata con avviso di ricevimento, risultava priva di ragionevolezza, lesiva della possibilità di conoscenza dell’atto da parte del notificatario e del suo diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost..

A tale conclusione il Giudice delle leggi giunge dopo aver rilevato che per l’ipotesi di notificazione eseguita personalmente dall’ufficiale giudiziario, l’art. 140 c.p.c., impone a quest’ultimo di dare comunicazione al destinatario, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, del compimento delle formalità indicate (deposito dell’atto nella casa comunale e affissione dell’avviso di deposito alla porta dell’abitazione, dell’azienda o dell’ufficio). E ciò allo scopo di garantire che il notificatario abbia una effettiva possibilità di conoscenza dell’avvenuto deposito dell’atto, ritenendosi evidentemente insufficiente l’affissione del relativo avviso alla porta d’ingresso o la sua immissione nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione, dell’azienda o dell’ufficio ed individuandosi nella successiva comunicazione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento lo strumento idoneo a realizzare compiutamente lo scopo perseguito.

Osserva la Corte che “se rientra nella discrezionalità del legislatore la conformazione degli istituti processuali e, quindi, la disciplina delle notificazioni, un limite inderogabile di tale discrezionalità è rappresentato dal diritto di difesa del notificatario. Deve pertanto escludersi che la diversità di disciplina tra le notificazioni a mezzo posta e quelle personalmente eseguite dall’ufficiale giudiziario possa comportare una menomazione delle garanzie del destinatario delle prime”.

3.6 Ritenere o meno necessaria l’esibizione in giudizio anche dell’avviso di ricevimento relativo alla raccomandata contenente la cd. CAD, in assenza di un dato normativo testuale, costituisce indubbiamente una questione interpretativa.

Rileva il Collegio che un’interpretazione costituzionalmente orientata del dettato normativo impone di ritenere tale esibizione imprescindibile, in considerazione del fatto che solo la verifica dell’effettivo e corretto inoltro di tale avviso di ricevimento a cura dell’ufficiale postale consente di acquisire la prova che sia stata garantita al notificatario l’effettiva conoscenza dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale, e quindi tutelato il suo diritto di difesa, e questa verifica non può che essere effettuata attraverso la disamina di tale atto, da cui risulta che effettivamente la comunicazione di avvenuto deposito sia giunta nella sfera di conoscibilità del destinatario.

Le garanzie di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario, perchè sia assicurata una reale tutela al diritto di difesa riconosciuto dall’art. 24 Cost., devono essere ispirate ad un criterio di effettività, e ciò può avvenire solo valorizzando tutti gli elementi ritenuti idonei e necessari dalla legge per perseguire il detto criterio di effettività.

Nel procedimento di cui si discute occorre la prova dell’inoltro dell’avviso di ricevimento, mentre non è sufficiente la prova della spedizione di una raccomandata semplice, e tale prova può essere data solo con la sua allegazione.

L’allegazione dell’avviso di ricevimento non è un adempimento privo di rilevanza: in primo luogo, perchè se la Corte Cost. prima, ed il legislatore dopo, non lo avessero considerato rilevante, non avrebbero richiesto che la raccomandata di cui al comma 4 ne fosse corredata; in secondo luogo perchè, quando la legge, in base ad una scelta operata nell’ambito della discrezionalità legislativa, ha ritenuto sufficiente che la notizia di una avvenuta notificazione fosse data a mezzo di raccomandata semplice, ha disposto in tal senso (v. art. 139 c.p.c., comma 3, in caso di consegna della copia a mani del portiere o del vicino di casa, che è formalità ben più affidabile dell’affissione di un avviso alla porta, onde si spiega il minor rigore della modalità di trasmissione della “notizia”, nonchè della L. n. 890 del 1992, art. 7, comma 3, anche come modificato dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 813, lett. c)).

Dall’avviso di ricevimento, e dalle annotazioni che l’agente postale appone su di esso quando lo restituisce al mittente, può emergere che la raccomandata non è stata consegnata perchè il destinatario risulta trasferito, oppure deceduto o, ancora, per altre ragioni le quali comunque rivelano che l’atto in realtà non è pervenuto nella sfera di conoscibilità dell’interessato e che, dunque, l’effetto legale tipico, a tale evento ancorato, non si è prodotto.

Si tratta, dunque, di una verifica ulteriore, ritenuta necessaria dalla previsione normativa nel momento in cui richiede che la spedizione della raccomandata abbia luogo con avviso di ricevimento; ne consegue che quest’ultimo deve essere allegato all’originale dell’atto e che la sua mancanza, rendendo impossibile il suddetto controllo, determina la nullità della notificazione, certamente sanabile ai sensi dell’art. 156 c.p.c. 3.7 Si impone inoltre all’interprete un’esegesi omogenea in termini di garanzie tra la notifica a mezzo posta e quella diretta a mezzo ufficiale giudiziario: alla base della valutazione di irragionevolezza del vecchio testo dell’art. 8 compiuta dalla Corte Cost. vi era, infatti, proprio l’insufficienza di garanzie di conoscibilità che presentava per il notificatario la notificazione a mezzo del servizio postale, rispetto all’ipotesi della notifica eseguita direttamente dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 140 c.p.c., in quanto, evidenziava la Corte, tale insufficienza deriva, “in ultima analisi, dalla scelta del modo di notificazione effettuata da soggetti, l’ufficiale giudiziario e il notificante, privi di qualsivoglia interesse alla conoscibilità dell’atto da parte del notificatario” Proseguendo pertanto in tale equiparazione si osserva che, con riferimento alla raccomandata informativa prevista di cui all’art. 140 c.p.c., è stato più volte affermato che “In tema di notificazione dell’accertamento tributario, qualora la notificazione sia stata effettuata nelle forme prescritte dall’art. 140 c.p.c., ai fini della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, è necessaria la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata atteso che il messo notificatore, avvalendosi del servizio postale ex art. 140 c.p.c., può dare atto di aver consegnato all’ufficio postale l’avviso informativo ma non attestare anche l’effettivo inoltro dell’avviso da parte dell’Ufficio postale, trattandosi di operazioni non eseguite alla sua presenza e non assistite dal carattere fidefacente della relata di notifica. (vedi Cass. n. 21132 del 2009 e n. Cass. n. 25985 del 2014, ove ampi riferimenti alla giurisprudenza formatasi sia prima che dopo l’intervento della sentenza della Corte Cost. n. 3 del 2010, e la precisazione che gli elementi perfezionativi del procedimento notificatorio ex art. 140 c.p.c., non si atteggiano in diverso modo nel caso in cui oggetto della notifica sia un atto giudiziario o un provvedimento amministrativo (nella specie un atto impositivo), atteso che la maggiore garanzia voluta dal Legislatore, prescrivendo che. la notifica degli atti tributari avvenga nelle forme previste dal codice di rito per notifica degli atti giudiziari, implica in assenza di deroghe espresse – l’applicazione del procedimento di notifica conforme al modello legale dell’art. 140 c.p.c., richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1).

Si è ritenuto ancora che “In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte Cost. n. 258 del 22 novembre 2012, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), sicchè è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (vedi Cass. n. 25079 del 2014; n. 27825 e 9782 del 2018), mentre l’esibizione dell’avviso di ricevimento costituisce il presupposto per la verifica richiesta da Cass. n. 2683 del 2019 secondo cui per in tema di adempimenti prescritti dall’art. 140 c.p.c., nei casi di irreperibilità relativa, ai fini del perfezionamento del procedimento notificatorio, è necessario che l’avviso di ricevimento, relativo alla raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, rechi l’annotazione da parte dell’agente postale dell’accesso presso il domicilio del destinatario e delle ragioni della mancata consegna, senza che sia sufficiente la sola indicazione del deposito del plico presso l’ufficio postale.

3.8 Non ignora il Collegio quanto di recente statuito da altra giurisprudenza di questa Corte che, partendo dal condiviso presupposto secondo cui la notifica a mezzo posta, ove l’agente postale non possa recapitare l’atto, si perfeziona per il destinatario trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata, contenente l’avviso della tentata notifica e del deposito del piego presso l’ufficio postale, in quanto in base alla disposizione introdotta, nel testo della norma, dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, “la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore (su cui Cass. n. 26088 del 30/12/2015), conclude che, ai sensi dell’invocata L. n. 890 del 1992, art. 8, per la ritualità della notificazione, è richiesta solo la prova della spedizione della raccomandata contenente la cosiddetta CAD (comunicazione avvenuto deposito) e non anche della sua avvenuta ricezione. (cfr. ex multis Cass. n. 4043/2017; n. 6242 del 2017 e n. 2638 del 2019).

In ordine a quanto affermato nelle suindicate pronunce, si osserva che non può non convenirsi che nel procedimento disciplinato dalla L. n. 890 del 1992, art. 8, come in quello di cui all’art. 140 c.p.c., dopo l’intervento della sentenza n. 3 del 2010 della Corte Cost., che procede nella linea della omogeneizzazione dei due tipi di notifica, in caso di mancato ritiro del piego la notificazione si compie comunque per il destinatario con il decorso di dieci giorni dalla spedizione della raccomandata, che, come atto della sequenza del processo, perfeziona l’effetto di conoscibilità legale nei confronti del destinatario.

Tuttavia, non diversamente da quanto avviene per il perfezionamento della notificazione nei confronti del notificante, anche per il destinatario si tratta di un effetto provvisorio o anticipato, destinato a consolidarsi con l’allegazione dell’avviso di ricevimento le cui risultanze possono confermare o smentire che la notifica abbia raggiunto lo scopo cui era destinata.

Ne consegue che la data di spedizione della raccomandata rileva indubbiamente ai fini dell’individuazione del momento di perfezionamento della notifica, ma il perfezionamento della notifica dipende dall’inoltro dell’avviso di ricevimento, il cui deposito è indispensabile ai fini di provare la regolarità della notifica, senza che la prima affermazione si trovi in contraddizione con la seconda, in quanto la data di spedizione può costituire il momento di perfezionamento solo di una notifica regolarmente effettuata.

3.9 Si precisa infine che, in assenza di diverse previsioni, il regime applicabile alla seconda raccomandata relativa alla CAD, al fine di verificare la regolarità della sua ricezione, analogamente a quanto ritenuto per la raccomandata informativa di cui all’art. 140 c.p.c., è certamente quello ordinario.

Sul punto si è già ritenuto che “In tema d’imposte del reddito, la nullità della notificazione dell’atto impositivo, eseguita ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e art. 140 c.p.c., che consegue alla mancata affissione dell’avviso di deposito presso la casa comunale, è sanata, per raggiungimento dello scopo, dal ricevimento della raccomandata con la quale viene data notizia del deposito, la quale, avendo finalità informativa e non tenendo luogo dell’atto da notificare, non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazione a mezzo posta ma solo al regolamento postale, sicchè è sufficiente che il relativo avviso di ricevimento sia sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale, non dovendo risultare da esso la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario” (vedi Cass. n. 27479 del 2016); ed ancora che “In tema di notificazioni a mezzo posta, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 14, l’avviso di accertamento o liquidazione senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla legge citata attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 c.p.c.. Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato nella impossibilità senza sua colpa di prenderne cognizione. (Cass. n. 14501 del 2016); e da ultimo che “In tema di notificazione della cartella esattoriale relativa a contributi previdenziali, eseguita ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 140 c.p.c., la raccomandata con la quale viene data notizia del deposito nella casa comunale, avendo finalità informativa e non tenendo luogo dell’atto da notificare, non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazione a mezzo posta ma solo alle disposizioni relative alla raccomandata ordinaria disciplinate dal regolamento postale; pertanto, fatta salva querela di falso, non sussiste alcun profilo di nullità ove essa venga consegnata nel domicilio del destinatario e l’avviso di ricevimento venga sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale senza che risulti da esso la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario, con superabilità della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., solo se il destinatario provi di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prendere cognizione del plico.” (vedi Cass. n. 24780 del 2018).

Le due affermazioni, quella della necessità del deposito dell’avviso di ricevimento relativo alla comunicazione di avvenuto deposito e quella dell’applicabilità del regime ordinario del regolamento postale alla raccomandata con cui tale comunicazione viene inviata, non sono in contrasto ma anzi complementari.

Un conto è la procedura notificatoria prevista dall’art. 8, per la prova della cui regolarità è necessario il deposito dell’avviso di ricevimento, che ne costituisce un presupposto di legittimità per espressa previsione normativa in quanto solo dalla disamina di tale atto è possibile evincere che la raccomandata sia giunta nella sfera di conoscibilità del destinatario, altro discorso è quello relativo alle regole che attengono la ricezione di tale raccomandata, è evidente che la regolarità della recezione, secondo le regole per essa previste, potrà essere verificata solo dalla visione dell’avviso di ricevimento.

4. In conclusione, rilevato che la comunicazione di avvenuto deposito, ai sensi della L. n. 890 del 1992, art. 8, comma 4, deve essere inviata con lettera raccomandata con avviso di ricevimento;

che tale adempimento è stato ritenuto indispensabile sia dalla Corte Cost., che dal legislatore al fine di assicurare la effettiva conoscibilità da parte del destinatario dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale;

che secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale si impone una lettura omogenea del sistema di notificazione a mezzo ufficiale giudiziario diretta o a mezzo del servizio postale;

va ritenuto che, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio di cui alla L. n. 890 del 1992, art. 8, sia necessario che la parte fornisca la prova dell’effettivo e regolare invio dell’avviso di ricevimento relativo alla raccomandata di inoltro della comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), verifica che presuppone l’esibizione in giudizio del relativo avviso, fermo restando che, risultando tale seconda raccomandata regolata dalle norme relative al regime postale ordinario, la regolarità delle modalità di invio e di ricezione dello stesso andranno verificate secondo le norme del regolamento postale applicabile.

5. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi ritenendo indispensabile, ai fini del corretto espletamento della procedura notificatoria, la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento relativo alla raccomandata prevista dalla L. n. 890 del 1992, art. 8.

6. Il ricorso va quindi rigettato.

7. La complessità della questione impone la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte:

rigetta il ricorso;

compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2019