Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 24-04-2018) 28-12-2018, n. 33563

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8430/2011 R.G. proposto da:

P.G., rappresentato e difeso dall’avv. Bartolomeo Malfatto, con domicilio eletto presso il suo studio in Assisi, S. Maria degli Angeli, via Raffaello, int. 15;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA POLIS S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Arturo Maresca, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Faravelli, n. 22;

– controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza n. 85/33/10 della Commissione Tributaria regionale del Veneto depositata il 5 agosto 2010;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24/4/2018 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il rigetto del quarto motivo e l’accoglimento dei restanti motivi ed il rigetto del ricorso incidentale; in subordine il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. Gaetano Giarri, per delega dell’avv. Arturo Maresca.

Svolgimento del processo
P.G. impugnava con ricorso il ruolo e la cartella di pagamento emessa dal Concessionario ai fini Iva e Irap per l’anno d’imposta 2003, eccependo il difetto della notifica del ruolo perchè avvenuta tramite la notifica della cartella di pagamento, la inesistenza della notifica della cartella, in quanto il plico consegnato, spedito a mezzo raccomandata, conteneva solo le prime due pagine della cartella, la nullità della cartella per omessa sottoscrizione, nonchè il difetto di motivazione della cartella di pagamento.

La Commissione Tributaria provinciale, rilevando che il ricorso non era stato notificato all’Ente impositore, dichiarava inammississibile il ricorso in ordine ai vizi concernenti la iscrizione a ruolo e lo respingeva per il resto.

Avverso la suddetta decisione il contribuente proponeva appello, che veniva respinto dalla Commissione Tributaria regionale, la quale osservava preliminarmente che l’omessa notifica dell’atto di appello all’Ente Concessionario, che aveva proceduto alla formazione del ruolo, determinava la inammissibilità della impugnazione per quanto riguardava gli eccepiti vizi del ruolo; aggiungeva che nessun rilievo poteva essere attribuito alla dedotta incompletezza della notifica della cartella di pagamento, poichè l’assunto non era stato provato dal contribuente, e, quanto alla censura della mancata sottoscrizione della cartella, che la sottoscrizione dell’atto amministrativo costituiva elemento essenziale nei soli casi espressamente previsti dalla legge.

Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad otto motivi.

L’Ente Concessionario Equitalia Polis s.p.a resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Motivi della decisione
1. Con il ricorso incidentale, che, per la questione proposta, deve essere esaminato con priorità, il Concessionario deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che i giudici di secondo grado avrebbero omesso di pronunciarsi sulla richiesta, avanzata sia in primo che in secondo grado, di chiamata in giudizio dell’Agenzia delle Entrate, formulata ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, nelle controdeduzioni.

1.1. La censura è inammissibile.

Va, in primo luogo, rilevato che il motivo difetta di autosufficienza, in quanto la controricorrente non ha indicato in modo puntuale, nè tanto meno ha trascritto nel ricorso, lo scritto difensivo nel quale avrebbe avanzato la richiesta di chiamata in causa, limitandosi ad affermare che la istanza sarebbe stata formulata “nelle controdeduzioni avanti la Commissione tributaria provinciale e regionale”, impedendo in tal modo a questa Corte di poter esaminare e valutare la doglianza.

Per altro verso, non può ravvisarsi il supposto vizio di omessa motivazione, atteso che il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale, quale, nella specie, quella della chiamata in causa dell’ente creditore, non è suscettibile di dar luogo ad un vizio motivazionale.

In ogni caso, va ricordato che nella fattispecie in esame deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra l’Ente creditore ed il Concessionario del servizio di riscossione e si pone piuttosto una questione di legittimazione, la cui soluzione non impone la partecipazione al giudizio dell’Ente creditore; ne consegue che la chiamata in causa dell’Ente creditore, prevista dal cit. art. 39, deve essere ricondotta all’art. 106 c.p.c., ed è come tale rimessa all’esclusiva valutazione discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio non è censurabile, nè sindacabile in sede di impugnazione (Cass. n. 9016 del 5/5/2016; n. 11616 del 11/5/2017).

Il ricorso incidentale deve, quindi, essere respinto.

2. Con il primo motivo del ricorso principale, il contribuente censura la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 laddove il giudice di appello ha affermato che “l’omessa notifica dell’appello all’Ufficio impositore che (ha) proceduto alla formazione del ruolo, determina l’inammissibilità dell’appello per quanto riguarda gli eccepiti vizi del ruolo”, facendo rilevare che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, impone la notifica dell’appello solo nei confronti delle parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e che, secondo consolidato orientamento di questa Corte (Cass. Sez. U., n. 22939 del 2007), non ricorrendo una ipotesi di litisconsorzio necessario tra l’esattore e l’ente impositore, spetta al Concessionario, destinatario della impugnazione con la quale si facciano valere vizi non inerenti la regolarità o la validità degli atti esecutivi, chiedere la chiamata in causa dell’Ente impositore del D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 39, se non vuole rispondere dell’esito della lite.

2. Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 112 c.p.c., ponendo in rilievo che la cartella di pagamento, riproducendo parzialmente il ruolo, non prova la sottoscrizione prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, presupposto necessario per la validità ed efficacia del titolo per procedere in executivis.

3. Con il terzo motivo ha parimenti denunciato la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sottolineando che in appello aveva proposto motivo di gravame avverso la pronuncia di inammissibilità del ricorso in ordine alle eccezioni riguardanti la validità ed efficacia del ruolo, facendo rilevare che, secondo i principi espressi dalla Corte di Cassazione, l’avere individuato il contribuente l’Ente impositore o il Concessionario quale soggetto passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determinava la inammissibilità della domanda, ma poteva comportare la chiamata in causa dell’Ente creditore, nell’ipotesi di azione svolta nei confronti del Concessionario, onere che gravava sullo stesso Concessionario.

Lamenta, quindi, che il giudice di appello ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello formulato.

4. Il primo motivo dedotto dal contribuente è fondato, con assorbimento degli altri due motivi.

4.1. Il D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, stabilisce che, nelle cause attinenti alla validità degli atti di riscossione, nel caso di specie il ruolo, di cui il contribuente abbia avuto comunicazione mediante la cartella di pagamento, grava sul Concessionario l’onere di chiamare in causa l’Ente impositore in presenza di contestazioni diverse dalla mera regolarità formale della cartella ed attinenti al ruolo o comunque alla pretesa impositiva, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie una ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. Sez. U., n. 16412 del 25/7/2007; Cass., ord. n. 21220 del 28/11/2012; n. 14486 del 15/7/2016).

Ne consegue l’erroneità della decisione della Commissione tributaria regionale che ha ritenuto inammissibile la proposizione, da parte del contribuente, delle eccezioni di nullità del ruolo nei confronti del Concessionario che non aveva chiamato in causa l’Ente impositore.

5. Con il quarto motivo censura la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento all’art. 2697 c.c., nella parte in cui la Commissione regionale ha ritenuto che era onere del contribuente provare che la cartella di pagamento notificata conteneva solo le prime due pagine delle otto componenti l’atto, assumendo che il giudice di appello non avrebbe fatto corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio.

5.1. Il motivo è infondato.

Sul tema si registrano, invero, due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, ma questo Collegio intende aderire all’orientamento che risulta prevalente, in base al quale, ove il Concessionario si avvalga della facoltà, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1913, n. 602, art. 26, di provvedere alla notifica della cartella esattoriale mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai fini del perfezionamento della notificazione è sufficiente – anche alla luce della disciplina dettata dal D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 – che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento a carico dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; ai predetti fini non si ritiene invece necessario che l’agente della riscossione dia la prova anche del contenuto del plico spedito con lettera raccomandata, dal momento che l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo in forza della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se lo stesso destinatario dia prova di essersi incolpevolmente trovato nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. n. 5397 del 18/3/2016; n. 15315 del 4/7/2014; n. 9111 del 6/6/12; n. 20027 del 30/9/2011).

5.2. In altri termini, la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto, mentre l’onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l’atto spetta non già al mittente (in tal senso, Cass. ord. n. 9533 del 12/5/2015; n. 2625 del 11/2/2015; n. 18252 del 30/7/2013; n. 24031 del 10/11/2006; n. 3562 del 22/2/2005), bensì al destinatario (in tal senso, oltre ai precedenti già citati, Cass. 22 maggio 2015, n. 10630; conf. Cass. n. 24322 del 14/11/2014; n. 15315 del 4/7/2014; n. 23920 del 22/10/13; n. 16155 del 8/7/2010; n. 17417 del 8/8/2007; n. 20144 del 18/10/2005; n. 15802 del 28/7/2005; n. 22133 del 24/11/2004; n. 771 del 20/1/2004; n. 11528 del 25/7/2003; n. 4878/1992; 4083/1978; cfr. Cass., ord. n. 20786 del 2/10/2014, per la quale tale presunzione non opererebbe con inversione dell’onere della prova – ove il mittente affermasse di avere inserito più di un atto nello stesso plico ed il destinatario contestasse tale circostanza).

5.3. L’orientamento prevalente risulta peraltro conforme al principio generale di c.d. “vicinanza della prova”, poichè la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato) che al momento dell’apertura il plico era in realtà privo di contenuto.

Merita dunque di essere confermato il principio per cui, in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 (così come, più in generale, in caso di spedizione di plico a mezzo raccomandata), la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione è assolta dal notificante mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, poichè, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, la cartella esattoriale deve ritenersi a lui ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze (integranti i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.) della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, e superabile solo ove il destinatario medesimo dimostri di essersi trovato, senza colpa, nell’impossibilità di prenderne cognizione, come nel caso in cui sia fornita la prova che il plico in realtà non conteneva alcun atto al suo interno (ovvero conteneva un atto diverso da quello che si assume spedito).

Ne consegue che, nel caso di specie, non avendo il contribuente fornito la prova dell’asserita assenza, all’interno della busta notificatagli, di parte delle pagine che componevano la cartella di pagamento impugnata, detta notifica deve ritenersi validamente perfezionata.

6. Con il quinto motivo il contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 112 c.p.c., per avere i giudici di appello omesso di pronunciarsi sulla eccepita nullità della notifica del ruolo, limitandosi a dichiarare la inammissibilità dell’appello.

7. Con il sesto motivo il contribuente lamenta che il giudice di appello, in violazione delle medesime disposizioni di legge richiamate con il quinto motivo, non si è pronunciato in merito alla denunciata violazione dell’art. 24 Cost., nonostante egli avesse fatto presente che la notifica del solo contenuto della cartella di pagamento, non consentendo di conoscere il ruolo, gli impediva una verifica piena della sua legittimità formale e sostanziale.

8. Con il settimo motivo il ricorrente deduce che la Commissione regionale neppure si è pronunciata in merito alla eccezione di violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, concernente la mancanza di sottoscrizione del ruolo.

8.1. L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del quinto, del sesto e del settimo motivo, trattandosi di doglianze volte a far valere vizi del ruolo che, per le ragioni già esposte con riguardo al primo motivo, possono essere proposte nei confronti del Concessionario che non ha chiamato in causa l’Ente impositore.

9. Con l’ottavo motivo il contribuente censura ulteriormente la sentenza per omessa pronuncia in ordine al motivo di appello con cui aveva eccepito, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, il difetto di motivazione della cartella di pagamento perchè non indicava la data di consegna del ruolo al concessionario e non consentiva, conseguentemente, di controllare la richiesta di pagamento degli interessi dovuti D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 20.

9.1. Il motivo è infondato.

La L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, il quale prevede che “gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’amministrazione…”, si riferisce esclusivamente agli atti dell’Amministrazione finanziaria e non agli atti del Concessionario, che, ai sensi del cit. art. 7, comma 2, devono tassativamente indicare gli elementi specifici previsti dal medesimo comma, lett. a), b) e c).

In conclusione, deve essere rigettato il ricorso incidentale, deve essere accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo, il terzo, il quinto, il sesto ed il settimo motivo, e devono essere rigettati i(quarto e l’ottavo motivo del ricorso principale; la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria del Veneto, in diversa composizione, per il riesame, oltre che per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta i(ricorso incidentale, accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti il secondo, il terzo, il quinto, il sesto ed il settimo motivo e rigetta il quarto e l’ottavo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2018


Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 26-04-2018) 29-11-2018, n. 30927

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21398/2016 proposto da:

R.E., rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO “(OMISSIS)”, in persona dell’Amministratore pro tempore, rappresentato difeso dall’avvocato RAFFAELE SALZANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 237/2016 del TRIBUNALE di NAPOLI NORD, depositata il 24/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/04/2018 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale ALBERTO CELESTE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
R.E. proponeva opposizione a decreto ingiuntivo innanzi al Giudice di Pace di Casoria avente ad oggetto il pagamento di oneri condominiali, contestando la sua qualità di condomino per non essere proprietario di una porzione dell’area facente parte del “(OMISSIS)” ma di esercitare su tale striscia di terreno una servitù di passaggio.

Il Giudice di Pace rigettava l’opposizione.

Proponeva appello innanzi al neo costituito Tribunale di Napoli Nord; si costituiva il Condominio, resistendo al gravame.

Il Tribunale di Napoli Nord, con sentenza del 3.2.2016, dichiarava inammissibile l’impugnazione.

Rilevava il tribunale che il R. aveva erroneamente notificato l’atto di appello al condominio personalmente ad al suo difensore, Avv. Ricca, mediante deposito in cancelleria ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82. Osservava che il decreto ingiuntivo era stato emesso dal Giudice di Pace di Casoria in data 8.1.2010, e nello stesso anno era stata proposta l’opposizione, che si era conclusa con sentenza del 2.12.2013. A quella data era già stato istituito il Tribunale di Napoli Nord in virtù del D.Lgs. n. 155 del 2012, che aveva soppresso la Sezione Distaccata di Casoria del Tribunale di Napoli. Secondo il giudice d’appello, poichè al momento dell’instaurazione del giudizio il difensore del Condominio aveva sede a Napoli, nella medesima circoscrizione in cui si era svolto il giudizio di primo grado, in assenza di norme transitorie, doveva applicarsi la normativa che regolava il giudizio di primo grado. Di conseguenza l’atto d’appello doveva essere notificato presso lo studio dell’Avv. Ricca e non attraverso il deposito in cancelleria.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso R.E. sulla base di due motivi, cui ha resistito con controricorso il Condominio (OMISSIS).

Disposta l’assegnazione alla Sesta Sezione Civile di questa Corte, il relatore ha formulato proposta di inammissibilità del ricorso per acquiescenza ex art. 329 c.p.c..

Il ricorrente ha depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c..

La Sesta Sezione Civile, con ordinanza interlocutoria del 26.10-22.12.2017, ha ritenuto non sussistenti le condizioni di cui all’art. 375 c.p.c., ed ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione di nullità del controricorso, che è stata avanzata dal ricorrente sotto diversi profili.

E’ stato, in primo luogo eccepita l’inesistenza e/o la nullità del controricorso, della relata di notifica e dell’attestazione di conformità degli atti notificati in forma telematica agli originali, per violazione dell’art. 3 bis comma 1 e 2 L. 53/94; deduce il ricorrente che i file pdf sarebbero firmati in formato “pades” e con “cades” e privi dell’estensione “p7m”, come previsto dalla legge; mancherebbe la firma digitale dell’attestazione di conformità con conseguente nullità della procura, insuscettibile di sanatoria ex art. 156 c.p.c..

Il motivo non è fondato.

La questione sollevata dal ricorrente è stata rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza interlocutoria della Sesta Sezioni Civile del 31.8.2017 n.20672, con cui si chiedeva al Supremo collegio di stabilire se la firma CADES del documento informatico, contenente anche la procura speciale indispensabile per la ritualità del ricorso o del controricorso in sede di legittimità, fosse una prescrizione sulla forma dell’atto indispensabile al raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c..

La fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite riguardava un controricorso recante il medesimo caso posto all’esame del collegio, ovvero di una procura speciale e relazione di notifica firmati digitalmente e notificati mediante un rapporto PEC contenente gli estremi identificativi di tre allegati con suffisso PADES, vale a dire sottoscritti con “firma PDF”. Secondo il Collegio rimettente, tale modalità dovrebbe ritenersi invalida, trattandosi di un documento, non creato interamente e ab origine su supporto informatico, ma articolato anche su di una parte analogica.

Inoltre, tali prescrizioni, secondo il collegio remittente, andavano esaminate considerata le peculiarità del giudizio di cassazione, che è ancora un processo essenzialmente analogico, con la sola eccezione delle comunicazioni e notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili, secondo quanto previsto dal D.M. 19 gennaio 2016, emesso ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, art. 16, comma 10. Ciò, comporta la necessità di estrarre copie analogiche degli atti digitali, riconoscendo all’avvocato il potere di attestare la conformità agli originali digitali delle copie del messaggio di posta elettronica certificata inviato all’avvocato di controparte, delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna, nonchè degli atti allegati, compresivi dalla relazione di notificazione. La risposta delle Sezioni Unite si snoda attraverso un’attenta e dettagliata ricostruzione della normativa Europea, con il recente Regolamento 910/2014, e nazionale, che prende le mosse sin dalla delibera CNIPA/4/2005, e che conduce all’affermazione del principio di diritto, secondo cui la struttura del documento firmato può essere indifferentemente PAdES o CAdES, tenuto conto che il certificato di firma, inserito nella busta crittografica, è presente in entrambi gli standards, parimenti abilitati.

Pertanto, è escluso che le disposizioni vigenti comportino in via esclusiva l’uso della firma digitale in formato CAdES, laddove, al contrario il formato PAdES è da ritenersi equivalente ed egualmente ammesso dall’ordinamento, sia pure con differente estensione.

La firma digitale in formato PAdES, più nota come “firma PDF”, è un file con normale estensione “.pdf”, leggibile con i comuni readers disponibili per questo formato. Vi è quindi, secondo le norme Euro unitarie, la piena equivalenza delle firme digitali nei formati CAdES e PAdES. Si deve escludere che le disposizioni tecniche tuttora vigenti, anche a livello di diritto dell’UE, comportino in via esclusiva l’uso della firma digitale in formato CAdES, rispetto alla firma digitale in formato PAdES. La Corte ha, inoltre, osservato, che non vi sono elementi obiettivi per poter ritenere che solo la firma in formato CAdES offra garanzie di autenticità, tanto che nel processo amministrativo telematico, per ragioni legate alla piattaforma interna, è stato adottato il solo standard PAdES. Ne consegue la piena validità dell’atto e, conseguentemente, della procura alle liti, controfirmate dal difensore con firma digitale in formato PAdES, con la consueta estensione “.pdf”.

Il secondo profilo di inammissibilità del controricorso riguarda la sua notifica a mezzo pec per violazione della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, comma 4, e art. 11, poichè non sarebbe indicato nell’oggetto” notifica ai sensi della L. n. 53 del 1994″.

Anche tale eccezione è infondata trattandosi di mera irregolarità; la notifica è avvenuta, indipendentemente dalla dicitura “notifica controricorso in cassazione”, ai sensi della L. n. 53 del 1994; nella certificazione della conformità delle copie all’originale, il difensore ha fatto esplicito riferimento alla “relazione di notifica a mezzo di posta elettronica certificata L. 21 gennaio 1994, n. 53, ex art. 3 bis “.

L’ultimo profilo di inammissibilità del controricorso attiene all’omessa indicazione dell’elenco dal quale è estratto l’indirizzo di posta elettronica ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, comma 1, lett. f, e art. 11.

Il motivo è infondato considerando che l’atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato, essendo stato notificato presso l’indirizzo di posta elettronica del ricorrente, che ha replicato al controricorso.

Va quindi esaminata l’eccezione di inammissibilità proposta dal controricorrente per acquiescenza alla sentenza impugnata.

L’eccezione di inammissibilità è fondata.

Il R. ha proposto, prima del ricorso per cassazione un giudizio ex art. 702 bis c.p.c., innanzi al Tribunale di Napoli Nord, avente ad oggetto l’accertamento ed il riconoscimento della servitù di passaggio e la restituzione di somme incassate dal condominio ex art. 2041 c.c..

Nel ricorso ex art. 702 bis c.p.c., il R., difensore di se medesimo, ammette di introdurre gli stessi temi sottesi all’opposizione a decreto ingiuntivo – la contestazione della sua qualità di condomino – e di aver ottemperato alla sentenza, anche in previsione dell’introduzione di autonomo giudizio, fondato sullo stesso petitum ma su una diversa causa petendi.

L’azione di indebito arricchimento, proposta dal R. con il ricorso ex art. 702 bis c.p.c., ha, infatti, carattere residuale.

La proposizione di un’autonoma azione giudiziaria, peraltro antecedente alla proposizione del ricorso per cassazione, rientra nelle previsioni dell’art. 329 c.p.c. quale atto incompatibile con la volontà di avvalersi delle impugnazioni.

L’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione consiste nell’accettazione della sentenza e cioè nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare. Essa può avvenire sia in forma espressa che tacita, ovvero attraverso un comportamento dal quale sia possibile desumere in maniera precisa e univoca il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè in presenza di atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi della impugnazione.

Nella specie, l’acquiescienza è avvenuta attraverso l’espresso adeguamento alle statuizione della sentenza impugnata e l’instaurazione di un autonomo giudizio avente la medesima pretesa.

Il ricorso va, pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in Euro 1500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge nella misura del 15%, iva e cap come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 26 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018


Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 28/11/2018, n. 30811 (rv. 651752-01)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11123-2017 proposto da:

R.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA CICERONE n.49, presso lo studio dell’avvocato GAETANO DI GIACOMO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANFRANCO SCHIAVO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE di SALERNO, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla VIA della GIULIANA n. 83/a presso lo studio dell’avvocato WLADIMIRA ZIPPARRO, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONELLA DELLA GALA e GAIA DE STEFANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 870/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 09/11/2016 R.G.N. 1534/2014.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Rilevato che:

1. la Corte di Appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore che aveva accolto la domanda nei limiti della prescrizione quinquennale, ha rigettato nella sua interezza il ricorso proposto da R.R. la quale, nel convenire in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale di Salerno, aveva domandato il pagamento della complessiva somma di Euro 149.450,19 a titolo di differenze retributive maturate in conseguenza dello svolgimento delle mansioni superiori di dirigente avvocato;

2. la Corte territoriale, premesso che la R., iscritta nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati, aveva assunto la difesa della Asl e, secondo quanto riferito dai testi escussi aveva svolto la medesima attività defensionale curata dal responsabile dell’ufficio legale, ha ritenuto che dette circostanze di fatto, valorizzate dal Tribunale, non fossero sufficienti per far ritenere provato lo svolgimento di funzioni di natura dirigenziale, non avendo l’appellata assunto la piena responsabilità della struttura di appartenenza;

3. il giudice di appello ha evidenziato che la R. non aveva avuto assegnati obiettivi, non aveva partecipato ad alcuna selezione di natura dirigenziale, non era mai stata sottoposta alle verifiche previste per i dirigenti;

4. la Corte territoriale ha aggiunto che l’attività di avvocato non comporta il necessario inquadramento come dirigente perchè anche il collaboratore amministrativo professionale di categoria D svolge attività comportante autonoma elaborazione di atti preliminari ed istruttori dei provvedimenti di competenza e collabora con i dirigenti nelle attività di studio programmazione anche nel settore legale;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso R.R. sulla base di due motivi illustrati da memoria, ai quali l’Azienda Sanitaria Locale di Salerno ha resistito con tempestivo controricorso.

Considerato che:

1. il primo motivo del ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione degli artt. 434 e 437 ed addebita alla Corte territoriale di non avere pronunciato sulla eccezione di inammissibilità dell’appello che, invece, doveva essere accolta in quanto la Asl aveva omesso di indicare in modo specifico i capi ed i passaggi argomentativi oggetto di impugnazione e si era limitata a riproporre le argomentazioni difensive svolte nel primo grado di giudizio;

2. con la seconda censura la ricorrente si duole della violazione del CCNL 7.4.1999 per il personale del comparto sanità, dei CCNL 5/12/1996 e 8/6/2000 per la dirigenza sanitaria, tecnica ed amministrativa del medesimo comparto, dell’art. 2126 c.c. e deduce che erroneamente la Corte territoriale ha respinto la domanda, pur essendo pacificamente emerso dall’istruttoria lo svolgimento esclusivo ed ininterrotto delle mansioni di avvocato, svolte a causa della vacanza dei posti di avvocato dirigente presenti in pianta organica;

2.1. precisa la ricorrente che il collaboratore amministrativo, sulla base delle declaratorie dei profili professionali, svolge nel settore legale attività istruttorie, di studio e di supporto, mentre l’esercizio della professione forense è riservata all’avvocato che in base a quanto previsto dal C.C.N.L. 5/12/1996 è inquadrato nell’ambito della dirigenza sanitaria non medica;

2.2. aggiunge che nell’ambito del comparto sanità la qualifica dirigenziale non presuppone necessariamente la titolarità di una struttura, semplice o complessa, perchè il dirigente può essere destinatario anche di un incarico di natura esclusivamente professionale, svolto in condizioni di autonomia operativa;

2.3. ha, conseguentemente, errato la Corte territoriale nel valorizzare, per escludere lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, circostanze non decisive ai fini di causa;

3. il primo motivo è inammissibile perchè formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4;

3.1. anche qualora il ricorrente prospetti un error in procedendo, rispetto al quale la Corte di cassazione è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura ex art. 366 c.p.c., sicchè la parte non è dispensata dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in modo egualmente specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti (fra le più recenti Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. 10.11.2011 n. 23420 e con riferimento alla questione della inammissibilità dell’appello Cass. 20.7.2012 n. 12664 e Cass. 10.1.2012 n. 86);

3.1. il ricorrente, pertanto, ove censuri la statuizione relativa alla ritenuta infondatezza della eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità, non può limitarsi a richiamare le ragioni di diritto poste a fondamento della censura, ma ha l’onere di riportare il contenuto degli atti processuali rilevanti, nella misura necessaria ad evidenziare la pretesa assenza di specificità dell’impugnazione;

3.2. nel caso di specie la R., oltre non fornire indicazioni sull’allocazione nei fascicoli di parte o d’ufficio degli atti rilevanti, ha omesso sia di individuare e riportare le statuizioni della sentenza di prime cure, rispetto alle quali i motivi proposti risulterebbero privi di specificità, sia di trascrivere nelle parti rilevanti il contenuto dell’atto di appello, così impedendo alla Corte, in difetto della compiuta descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica sulla rilevanza e decisività del vizio denunciato;

4. è, invece, fondato il secondo motivo, perchè la Corte territoriale, erroneamente, per escludere la natura dirigenziale delle funzioni espletate dalla ricorrente ha valorizzato circostanze (mancato espletamento di procedura concorsuale, presenza di un responsabile dell’ufficio legale, assenza di responsabilità di conduzione della struttura, mancata gestione delle risorse, omessa individuazione degli obiettivi e conseguente mancata verifica dei risultati) non decisive ai fini di causa e non ha tenuto conto delle peculiarità proprie della dirigenza professionale del sistema sanitario nazionale;

4.1. questa Corte ha già affermato che in materia di pubblico impiego contrattualizzato l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., che deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere (Cass. S.U. n. 25837/2007; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4367);

4.2. il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione (Cass. n. 19812/2016; Cass. n. 18808/2013), sicchè il diritto va escluso solo qualora l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass. n. 24266/2016);

4.3. è stato precisato che detti principi operano anche in relazione allo svolgimento di fatto di funzioni dirigenziali (Cass. S.U. n. 3814/2011), a condizione che il dipendente dimostri di averle svolte con le caratteristiche richieste dalla legge, ovvero con l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni (Cass. n. 752/2018 e Cass. n. 18712/2016);

4.4. a tal fine, quindi, è innanzitutto necessario che l’ente abbia provveduto ad istituire la posizione dirigenziale (Cass. n. 350/2018) perchè, sulla base delle previsioni del D.Lgs. n. 165 del 2001, la valutazione sulla rilevanza degli uffici, sulle risorse umane e finanziare da assegnare agli stessi ed in genere sull’organizzazione è rimessa al potere discrezionale della P.A. che non può essere sindacato nel merito in sede giudiziale;

4.5. per le aziende sanitarie locali rilevano, quindi, l’atto aziendale di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3 nonchè l’individuazione e la graduazione delle funzioni dirigenziali, come disciplinata dalla contrattazione collettiva di area (art. 50 CCNL 5.12.1996, art. 26 CCNL 8.6.2000, I biennio economico, art. 6 CCNL 17.10.2008), che tiene conto delle peculiarità proprie della dirigenza sanitaria, già poste in rilievo dal D.Lgs. n. 502 del 1992;

4.6. l’art. 15 del richiamato decreto, infatti, prevede che la dirigenza sanitaria, collocata in un unico ruolo distinto per profili professionali, è caratterizzata “dall’autonomia tecnico-professionale delle proprie funzioni e mansioni i cui ambiti di esercizio, attraverso obiettivi momenti di valutazione e verifica sono progressivamente ampliati” ed aggiunge che al dirigente “all’atto della prima assunzione sono affidati compiti professionali con precisi ambiti di autonomia da esercitare nel rispetto degli indirizzi del dirigente responsabile della struttura e sono attribuite funzioni di collaborazione e corresponsabilità nella gestione dell’attività….”, e successivamente, decorsi cinque anni di attività con valutazione positiva, “funzioni di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettive, di verifica e controllo nonchè possono essere attribuiti incarichi di direzione di strutture semplici”;

4.7. in linea con la previsione normativa l’art. 27 del CCNL 8.6.2000 per la dirigenza non medica del servizio sanitario nazionale prevede che al dirigente possono essere conferite quattro diverse tipologie di incarico ossia: incarico di direzione di struttura complessa, incarico di direzione di struttura semplice, incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo, incarichi di natura professionale conferibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attività;

4.8. la posizione dirigenziale, pertanto, non implica necessariamente la responsabilità della struttura, perchè la dirigenza sanitaria può essere solo di tipo professionale, e diviene anche gestionale qualora al dirigente siano conferite funzioni di direzione delle strutture semplici o complesse;

4.9. questa Corte ha anche affermato che, ove la posizione dirigenziale sia stata istituita ed assegnata di fatto a dipendente privo della qualifica dirigenziale, il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori non può essere escluso valorizzando la mancata formale assegnazione degli obiettivi (Cass. n. 6068/2016), che incide unicamente sul trattamento accessorio spettante, perchè mentre la retribuzione di posizione retribuzione riflette “il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione” (Cass. n. 10558/2013), quella di risultato, che corrisponde all’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione, presuppone la positiva verifica del raggiungimento degli obiettivi, previamente determinati, cui la stessa è correlata (Cass. n. 8084/2015; Cass. n. 20976/2011);

5. in sintesi, tenuto conto del quadro normativo e contrattuale sopra delineato nei suoi tratti essenziali, risulta evidente la erroneità della sentenza impugnata che ha escluso la natura dirigenziale delle funzioni svolte dalla R. sostanzialmente perchè era mancata la “conduzione della struttura”, ossia un elemento caratterizzante l’incarico di dirigente di struttura semplice o complessa, che non vale, invece, ad escludere la configurabilità di un incarico dirigenziale di tipo professionale che, come evidenziato dal richiamato D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, comporta l’affidamento di “compiti professionali con precisi ambiti di autonomia da esercitare nel rispetto degli indirizzi del dirigente responsabile della struttura” nonchè “funzioni di collaborazione e di corresponsabilità nella gestione delle attività”, non dell’ufficio nel suo complesso;

6. la Corte territoriale, inoltre, ha omesso di accertare l’organizzazione data dall’azienda all’ufficio legale e di valutare se fossero state istituite una o più posizioni dirigenziali di “dirigente avvocato”, destinatario di un incarico di tipo professionale, e se la R. fosse stata o meno chiamata a ricoprire una di dette posizioni, vacanti, interagendo con il dirigente responsabile della struttura nei termini indicati al punto 5, implicanti esercizio di fatto di mansioni superiori rispetto a quelle del collaboratore amministrativo-professionale che, pur potendo essere assegnato al settore legale e svolgere nello stesso attività corrispondenti al titolo culturale e professionale posseduto, si limita a curare “attività comportanti un’autonoma elaborazione di atti preliminari ed istruttori dei provvedimenti di competenza dell’unità operativa in cui è inserito” e “collabora con i dirigenti nell’attività di studio e di programmazione”;

7. il secondo motivo merita, pertanto, accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame attenendosi al principio di diritto che, sulla base delle considerazioni espresse nei punti che precedono, di seguito si enuncia: “Nell’ambito della dirigenza sanitaria del ruolo professionale le aziende sanitarie possono istituire posizioni dirigenziali che, senza attribuzione di responsabilità della struttura, semplice o complessa, comportano l’assegnazione di incarichi di tipo esclusivamente professionale, caratterizzati dall’affidamento di compiti con precisi ambiti di autonomia tecnica-professionale, da esercitare nel rispetto degli indirizzi dati dal dirigente responsabile della struttura, nonchè dalla collaborazione con quest’ultimo e dall’assunzione di corresponsabilità quanto alla gestione dell’attività professionale.

L’assegnazione di fatto del funzionario non dirigente ad una posizione dirigenziale, prevista dall’atto aziendale e dal provvedimento di graduazione delle funzioni, costituisce espletamento di mansioni superiori, rilevante ai fini e per gli effetti previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, la cui applicazione non è impedita dal mancato espletamento della procedura concorsuale, dall’assenza di un atto formale e dalla mancanza della previa fissazione degli obiettivi, che assume rilievo, eventualmente, per escludere il diritto a percepire anche la retribuzione di risultato”;

8. al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;

9. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater..

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 12-06-2018) 27-11-2018, n. 30676

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4908-2017 proposto da:

RADIO DIMENSIONE SUONO S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 1/E PALAZ. G, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO RIZZO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DEL VECCHIO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 5855/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/12/2016, R.G.N. 995/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/06/2018 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CLAUDIO RIZZO;

udito l’AvvocatoBRUNO DEL VECCHIO.

Svolgimento del processo
La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 5855/2016 aveva accolto il reclamo proposto da R.A. avverso la sentenza con la quale il tribunale di Roma, in sede di procedimento ex lege n. 92 del 2012, aveva rigettato la domanda della R. diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento a lei intimato da Radio Dimensione Suono spa; accogliendo il reclamo la corte aveva condannato quest’ultima a reintegrare la dipendente ed a pagare una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità.

La corte romana aveva ritenuto che le contestazioni mosse alla R., sostanzialmente consistenti nell’aver impropriamente utilizzato i permessi a lei concessi per ragioni di assistenza alla madre disabile e nell’aver usufruito di congedo per malattia risultata fittizia, fossero infondate in quanto le circostanze di fatto non erano risultate idonee a sostenere l’addebito dovendosi annettere al concetto di “assistenza” un significato più ampio rispetto alla semplice e materiale accudienza del soggetto disabile e dovendosi altresì escludere valenza alla circostanza che la lavoratrice fosse uscita di casa nel giorno in cui era stata sottoposta ad un intervento chirurgico e fosse quindi in congedo per malattia, attesa la mancata prova della incompatibilità della uscita con la infermità dedotta.

Radio Dimensione Suono spa proponeva ricorso avverso detta decisione affidandolo a 11 motivi, cui resisteva con controricorso la R., anche depositando successiva memoria.

Motivi della decisione
1) Con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, della L. n. 183 del 2010, art. 24, comma 2, lett. b) e della L. n. 53 del 2000, art. 4.

Si duole la società dell’errore in cui è incorsa la corte territoriale nel ritenere eliminato il requisito della convivenza in quanto l’eliminazione avrebbe riguardato materia differente (permessi ex lege n. 104 del 1992 per genitori di figlio con handicap).

Il motivo risulta inconferente in quanto, pur avendo la corte richiamato normativa non direttamente afferente alla fattispecie in esame, ha peraltro correttamente individuato nella L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 3 la regola giuridica cui riferirsi per valutare i diritti della lavoratrice e le condizioni cui gli stessi sono legati. Ha infatti valutato, alla luce della suddetta normativa, la esistenza delle condizioni di assistenza cui assoggettare il riconoscimento del diritto vantato.

2)Con il secondo motivo è dedotta la nullità della sentenza (ex art. 360 c.p.c., n. 4) per omessa pronuncia sulla eccezione di giudicato inerente la carenza di attività assistenziale dalle ore 21 alle 24 del 12.9.2014. Rileva la società che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sulla eccezione svolta in sede di reclamo sulla circostanza accertata dal tribunale.

Se pur il motivo possa ritenersi ammissibile, essendo privo del riferimento al contenuto esatto della eccezione sollevata (non è sufficiente il mero richiamo alle pagine della memoria), lo stesso sarebbe comunque infondato, in quanto la Corte territoriale ha chiarito, basando su questo la decisione, che la lavoratrice nelle giornate oggetto della contestazione aveva comunque dedicato il proprio tempo ad attività riconducibili in senso lato al concetto di assistenza, non potendo essere, quest’ultimo, interpretato in modo restrittivo limitatamente alla sola attività di accudimento. L’eccezione di giudicato ed il motivo inerente risulta quindi ininfluente rispetto al decisum.

3)- Con il terzo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) quali l’art. 2697, 2729 e 2730 c.c. artt. 112, 115, 116, e 230 c.p.c. in materia di valutazione delle prove.

Il motivo è diretto a censurare la valutazione del materiale probatorio esaminato dalla corte. Come già in molte occasioni affermato “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016). Il motivo risulta inammissibile.

4)- Con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) per la violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5, non avendo, la corte fatto riferimento al concetto di fatto materiale quale elemento integratore della fattispecie da considerare ai fini del licenziamento. In conseguenza di ciò, se pur ritenuto illegittimo il licenziamento, avrebbe dovuto comunque ritenere sussistenti i fatti materiali (anche se privi di rilievo giuridico) e quindi applicare le tutele di cui all’art. 18, comma 5 richiamato.

Questa corte ha avuto occasione di chiarire che “L’insussistenza del fatto contestato”, di cui all’art. 18, comma 4 St.lav., come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, lett. b), fattispecie cui si applica la tutela reintegratoria cd. attenuata, comprende sia l’ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, non presenti profili di illiceità. (Cass. n. 29062/2017; conf. Cass. n. 13383/2017; Cass.n. 12102/2018; Cass.n. 14192/2018). Il motivo è da rigettare.

5) Con il 5, 6 e 7^ motivo la società denuncia il vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., n. 5) per aver la corte omesso l’esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, quale la mancata assistenza alla madre nei tre giorni in contestazione.

I motivi risultano inconferenti in quanto, come sopra già evidenziato, il decisum della corte è centrato sulla circostanza che la lavoratrice nelle giornate oggetto della contestazione aveva comunque dedicato il proprio tempo ad attività riconducibili in senso lato al concetto di assistenza, non potendo essere, questo, interpretato in senso restrittivo limitatamente alla sola attività di accudimento. Alcun rilievo assumono quindi le censure di mancata assistenza peraltro veicolate in modo improprio attraverso il vizio denunciato rispetto al quale non si evidenzia alcuna decisività.

6) Con l’ottavo motivo la società denuncia il vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, consistito nella elezione fittizia residenza finalizzata al godimento dei congedi straordinari.

Val la pena premettere che non risulta chiaro, non essendo stata riportata la contestazione originaria nel corpo del ricorso, se tale circostanza sia interna alla vicenda addebitata. Peraltro, il motivo contiene una serie di deduzioni ed elementi di fatto attinenti al giudizio di merito che non possono formare oggetto del giudizio di legittimità. Il motivo è inammissibile.

7) Con il nono motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) quali gli artt. 2697, 2729 e 2730 c.c. degli artt. 112, 115, 116 e 230 c.p.c., in materia di valutazione delle prove ed attendibilità dei testi.

Come già sopra rilevato in relazione al terzo motivo “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016). Anche tale motivo risulta inammissibile.

8) Con il decimo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) quali gli artt. 2697, 2729 e 2730 c.c. degli artt. 112, 115, 116 e 230 c.p.c., in relazione al giorno della malattia. Violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18.

La società lamenta la errata valutazione della insussistenza del fatto legato alla circostanza che la lavoratrice fosse uscita nel giorno di congedo per malattia (e ciò anche con riferimento alla tutela riconosciuta L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18, comma 4 (e non 5)).

Il motivo è inammissibile con riguardo alla valutazione della compatibilità della malattia con la uscita di casa, già esaminata dal giudice del merito ed estranea alla valutazione del giudice di legittimità.

Deve poi essere richiamato quanto detto con riferimento al 4^ motivo ed alla natura del fatto contestato: “L’insussistenza del fatto contestato”, di cui all’art. 18, comma 4 st.lav., come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, lett. b), fattispecie cui si applica la tutela reintegratoria cd. attenuata, comprende sia l’ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, non presenti profili di illiceità.

Il motivo è infondato.

9) Con l’ultimo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) quali la L. n. 104 del 1992, art. 3, L. n. 53 del 2000, art. 4 e D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42.

Con tale motivo la società contesta l’interpretazione data dalla corte territoriale alla natura delle cure ed assistenza necessarie ad integrare il diritto di fruire dei permessi a ciò diretti.

La Corte territoriale ha valutato in concreto la riferibilità delle attività svolte dalla lavoratrice, come accertate nel giudizio, alla cure ed assistenza della madre disabile anche considerando ed escludendo l’utilizzo dei permessi e congedi “in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza”. Ha pertanto tenuto presenti i criteri interpretativi del concetto di assistenza come integrato dagli orientamenti del giudice di legittimità (Cass. n. 29062/2017). Ogni differente valutazione atterrebbe al merito del giudizio non consentita in sede di legittimità.

Il ricorso deve essere rigetatto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018


Consiglio di Stato Sentenza n. 06042/2018

Convocazione Consiglio comunale via PEC

Leggi: Convocazione Consiglio comunale via PEC Consiglio di Stato 2018


TAR Napoli, I Sezione, sentenza 22 ottobre 2018 n. 6129

La sentenza che chiarisce come l’avviso è strumento indispensabile che va ricevuto entro un preciso lasso temporale.

Convocazione del Consiglio comunale recapitata in luogo diverso da quello dovuto

Leggi: Convocazione Consiglio comunale TAR Campania 2018


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 12/07/2018) 14/11/2018, n. 29376

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21046/2016 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PARAGUAY 5, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO SICILIANO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MICHELE MARDEGAN, CINZIA CONTI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE REGIONALE DELLA LOMBARDIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 989/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/07/2016; R.G.N. 262/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/07/2018 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo assorbito il resto;

Ud. l’Avvocato Siciliano Rosario.

Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 989 del 2016, emessa in ordine al reclamo proposto da F.G. nei confronti dell’Agenzia delle entrate Direzione regionale della Lombardia, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Pavia, in parziale riforma di quest’ultima, ordinava all’Agenzia delle entrate di reintegrare la lavoratrice nel precedente posto di lavoro o in altro equivalente, con condanna a corrispondergli le retribuzioni maturate dal 20 gennaio 2015 sino alla effettiva reintegra, oltre accessori di legge, e condannava la lavoratrice a restituire le somme già corrisposte in esecuzione della sentenza reclamata oltre interessi dal pagamento al saldo.

2. La lavoratrice, con ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, aveva impugnato dinanzi al Tribunale di Pavia il provvedimento del 20 gennaio 2015 con cui l’Agenzia delle entrate, in esito alla riapertura del procedimento disciplinare D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55 ter, comma 2, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che assolveva la stessa dai reati ascrittigli, aveva confermato la sanzione del licenziamento per giusta causa intimato il 6 agosto 2010, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18.

3. Il Tribunale aveva accolto parzialmente il ricorso e ritenuta la non proporzionalità del licenziamento dichiarava illegittimo il recesso e facendo applicazione dell’art. 18, comma 5, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, dichiarava risolto il rapporto di lavoro a far data dal 20 gennaio 2015 e condannava la Agenzia delle entrate a versare l’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità e a rifondere le spese processuali.

4. In sede di opposizione il Tribunale confermava la decisione di cui alla fase sommaria, rigettando l’opposizione della lavoratrice e dichiarando inammissibile l’opposizione incidentale dell’Agenzia delle entrate con cui si era chiesto dichiararsi la legittimità del licenziamento.

5. La Corte d’Appello, cui proponevano reclamo sia la lavoratrice in via principale, sia l’Agenzia delle entrate in via incidentale, dichiarava inammissibile l’opposizione incidentale, volta all’accertamento della legittimità del licenziamento, in ragione della inammissibilità dell’opposizione incidentale, per cui la domanda di accertamento della legittimità del risarcimento si poneva come nuova e inammissibile, e, ferma la statuizione sulla illegittimità del licenziamento, faceva applicazione, ai sensi alla L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, della reintegrazione e della conseguente condanna al pagamento delle retribuzioni dal 20 gennaio 2015.

Ha affermato la Corte d’Appello che la riapertura del procedimento disciplinare fa sorgere un nuovo e distinto procedimento, che ha ad oggetto il riesame del pregresso licenziamento in relazione all’esito del giudizio penale. Il datore di lavoro pubblico, quindi, è chiamato a verificare se, nonostante l’avvenuta assoluzione in sede penale del dipendente licenziato, residuino o meno ulteriori profili disciplinarmente rilevanti.

Prosegue la Corte d’Appello, che in ogni caso, l’originario licenziamento, avendo esplicato ogni suo effetto interruttivo del rapporto di lavoro – in assenza di una espressa norma che lo stabilisca – non viene meno ex tunc, atteso che, per l’operatività dei principi generali dell’ordinamento, gli effetti di un atto annullabile restano efficaci sino alla dichiarazione giudiziale di annullamento. Ne consegue che l’eventuale modifica del precedente licenziamento, avendo efficacia ex nunc, non può travolgere gli effetti ormai intangibili dell’originario recesso (da ritenersi legittimo ed efficace sino alla sua modifica).

La Corte d’Appello, infine, ha escluso che, nella fattispecie, il premio di produttività potesse essere incluso nella retribuzione globale di fatto da prendere in considerazione per l’indennità risarcitoria.

6. Per la cassazione parziale della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando tre motivi di ricorso.

7. L’Amministrazione, a cui la notifica del ricorso è stata rinnovata presso l’Avvocatura generale dello Stato, si è costituita con controricorso resistendo all’impugnazione.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, comma 2.

Si contesta la statuizione della Corte d’Appello secondo cui l’originario licenziamento non viene meno ex tunc, qualora a seguito di impugnazione della conferma disposta in sede di riapertura se ne dichiari l’illegittimità.

La ricorrente ricorda di essere stata assolta per non aver commesso il fatto, con sentenza passata in giudicato, per i reati addebitatigli in ragione dei medesimi fatti posti a fondamento del procedimento disciplinare concluso con l’irrogazione della sanzione espulsiva in data 8 agosto 2010.

Dopo l’assoluzione aveva chiesto la riapertura del procedimento disciplinare.

A seguito dell’impugnazione del provvedimento di conferma del licenziamento, lo stesso era stato dichiarato illegittimo. Espone, quindi, che, diversamente da quanto affermato dal giudice del reclamo, poichè si era in presenza di un procedimento disciplinare unitario iniziato nel 2010 e conclusosi nel 2015, dopo la riapertura, l’illegittimità della conferma doveva spiegare effetti dal 2010 e non dal 2015.

1.1. Il motivo è fondato.

1.2. Va premesso che come affermato dalla Corte d’Appello le modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, alla L. n. 300 del 1970, art. 18, non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, sicchè la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata legge n. 92, resta quella prevista dall’art. 18 st.lav. nel testo antecedente la riforma (Cass., n. 11868 del 2016).

Va, altresì premesso che nel pubblico impiego privatizzato, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass., n. 8410 del 2018).

1.3. Tale disposizione si applica alla fattispecie in esame.

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, che reca “Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale”, in vigore dal 15 novembre 2009 al 21 giugno 2017, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, prevede, per quanto d’interesse nella specie: “1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale.(…).

2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l’autorità competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale (n.d.r.: il testo vigente prevede “l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale”).

(…).

4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell’istanza di riapertura ed è concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell’addebito da parte dell’autorità disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell’art. 55 bis. Ai fini delle determinazioni conclusive, l’autorità procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell’art. 653 c.p.p., commi 1 ed 1 bis”.

1.4. L’efficacia delle sentenze penali nel giudizio disciplinare è regolata dall’art. 653 c.p.p., che attribuisce efficacia di giudicato alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione e a quella di condanna, rispettivamente quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso e quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

Va rilevato, inoltre, che l’equiparazione della sentenza applicativa della pena patteggiata alla sentenza di condanna, espressamente prevista a determinati fini già dalla L. 19 marzo 1990, n. 55, opera ora anche ai fini del procedimento disciplinare.

1.5. La lettera dell’art. 55 ter, comma 2 (riapertura per modificare o confermare l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale), e comma 4 (rinnovo della contestazione dell’addebito), del D.Lgs. n. 165 del 2001, e il più complesso quadro normativo di disciplina dei rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, in cui lo stesso si colloca, fanno ravvisare la ratio del citato art. 55 ter, nella volontà del legislatore di prevedere un meccanismo di raccordo per regolare possibili conflitti tra l’esito dei due procedimenti, pur nella rispettiva autonomia.

Dunque, con riguardo al procedimento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato, il venir meno della cd. pregiudiziale penale ha reso necessario regolare per legge il possibile conflitto tra gli esiti dei due procedimenti, pur rimanendo l’Amministrazione libera di valutare autonomamente la rilevanza disciplinare dei fatti accertati.

1.6. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, commi 1, 2 e 4, che qui vengono in rilievo, delinea un procedimento unitario, che si articola in due fasi, in cui il previsto rinnovo della contestazione dell’addebito deve essere effettuato pur sempre in ragione dei medesimi fatti storici già alla base della prima contestazione disciplinare, in relazione ai quali, in tutto in parte è intervenuta sentenza penale irrevocabile di assoluzione nei termini sopra ricordati.

1.7. Pertanto, la determinazione conclusiva – assunta a seguito della riapertura del procedimento disciplinare a fronte di sentenza irrevocabile di assoluzione – di conferma o modifica, in quest’ultimo caso ragionevolmente in senso favorevole al lavoratore, della sanzione già irrogata, ha effetti ex tunc, e l’accertamento dell’illegittimità della stessa non può che operare anch’essa ex tunc, risultando erronea l’interpretazione delle suddette disposizioni effettuata dalla Corte d’Appello, anche considerato il tendenziale effetto in bonam partem della riapertura del procedimento disciplinare a seguito di sentenza penale irrevocabile di assoluzione, propria della fattispecie in esame.

1.8. Va affermato il seguente principio di diritto: il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, commi 1, 2 e 4, nel regolare i possibili conflitti tra l’esito del procedimento penale concluso con sentenza irrevocabile di assoluzione e l’esito del procedimento disciplinare concluso con l’irrogazione di una sanzione, prevede un procedimento unitario, articolato in due fasi, in cui il previsto rinnovo della contestazione dell’addebito deve essere effettuato pur sempre in ragione dei medesimi fatti storici già oggetto della prima contestazione disciplinare, in relazione ai quali, in tutto o in parte è intervenuta sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso. La determinazione di conferma o modifica della sanzione già irrogata, ha effetti ex tunc, e l’accertamento in sede giurisdizionale dell’illegittimità della stessa non può che operare ex tunc. 2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, in relazione alla statuizione che ha escluso il premio di produttività nella base di calcolo per determinare l’indennità, assumendosi la debenza dello stesso.

2.1. Il motivo non è fondato.

2.2. Come questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass., n. 15066 del 2015), in tema di conseguenze patrimoniali da licenziamento illegittimo ex art. 18 della legge n. 300 del 1970, la retribuzione globale di fatto deve essere commisurata a quella che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato, ad eccezione dei compensi eventuali e di cui non sia certa la percezione, nonchè di quelli legati a particolari modalità di svolgimento della prestazione ed aventi normalmente carattere occasionale o eccezionale.

La giurisprudenza precedente ha già chiarito (Cass., n. 19956 del 2009) che l’indennità risarcitoria di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, deve essere liquidata in riferimento alla retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore al tempo del licenziamento, comprendendo nel relativo parametro di computo non soltanto la retribuzione base, ma anche ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento (con esclusione, quindi, dei soli emolumenti eventuali, occasionali od eccezionali), in quanto altrimenti verrebbero ad essere addossate al lavoratore le conseguenze negative di un illecito altrui. Nella fattispecie oggetto della sentenza da ultimo richiamata, questa Corte, nell’enunciare l’anzidetto principio, ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso dalla base di calcolo dell’indennità risarcitoria l’indennità di mensa avente carattere convenzionale, l’indennità di rischio, il concorso nelle spese tranviarie, il premio di rendimento ed il premio di produttività, senza considerare che l’assenza del dipendente cui si ricollegava la mancata fruizione dei detti emolumenti era derivata dall’illegittima estromissione dello stesso dall’azienda.

2.3. Occorre precisare che la Corte d’Appello non ha errato nell’applicazione dei suddetti principi, poichè ha escluso il premio di produttività non in quanto non rientrante nella retribuzione globale di fatto da prendere come riferimento, ma perchè la F., al momento della conferma del licenziamento, che per il periodo pregresso nella decisione del giudice di secondo grado rimaneva fermo nonostante la ritenuta illegittimità, non godeva di alcun trattamento e quindi neppure del premio di produttività.

2.4. Dunque la statuizione della Corte d’Appello non è erronea quanto alla regola di diritto conforme alla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, ma nella premessa (efficacia ex nunc della illegittimità della conferma del precedente licenziamento) che ha già costituito oggetto di esame nella trattazione del primo motivo di ricorso esaminato ai punti nn. 1-1.8. ed accolto, ove si è già chiarito che la determinazione di conferma o modifica della sanzione già irrogata, ha effetti ex tunc, e l’accertamento in sede giurisdizionale dell’illegittimità della stessa non può che operare ex tunc. Dunque, è con riguardo al tempo del primo licenziamento poi confermato, che occorre determinare la retribuzione globale di fatto, secondo i principi sopra esposti, richiamati correttamente dalla Corte d’Appello sia pure su un erroneo presupposto, come sancisce l’accoglimento del primo motivo di ricorso.

3. Con gli altri motivi di ricorso, e cioè con il terzo motivo, si deduce la lesione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nella parte in cui la sentenza di appello ha confermato la compensazione delle spese di giudizio del grado precedente e quelle del reclamo. Il motivo è assorbito in ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.

4. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo di ricorso accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto di cui la punto 1.8.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo di ricorso accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018


Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 12-10-2018) 13-11-2018, n. 29039

Se l’avvocato consegna tempestivamente un atto di impugnazione all’ufficiale giudiziario per la notifica, ma questi non esegue adeguatamente il suo compito, il legale non incorre in alcuna decadenza.

Significativa, in tal senso, è la soluzione data dalla Corte di cassazione alla vicenda decisa con l’ordinanza numero 29039/2018 qui sotto riportata.

La vicenda

Nel caso di specie, il difensore dell’appellante aveva indicato nel suo atto di impugnazione un certo indirizzo del difensore domiciliatario della controparte che però, all’atto della notifica, era risultato errato.

L’ufficiale giudiziario, tuttavia, dopo essersi recato in termini presso il predetto indirizzo, aveva immediatamente constatato che il destinatario aveva trasferito il proprio studio presso un altro numero civico. Invece di perfezionare subito la notifica presso il nuovo indirizzo, l’ufficiale giudiziario aveva fatto trascorrere sei giorni.

Colpa dell’ufficiale giudiziario

Per la Corte di cassazione si tratta di un comportamento contrastante rispetto a quanto disposto dagli articoli 141 e 138 del codice di procedura civile, che affidano all’ufficiale giudiziario l’accertamento del luogo ove reperire il destinatario. Questa circostanza, unitamente al principio generale che conferisce a tale soggetto il compito di fornire conoscenza legale di un atto al destinatario, determina che se egli rallenta l’iter procedimentale “per ragioni che sfuggono ai suoi doveri codificati” non è possibile far ricadere sul notificante che gli conferisce l’incarico le conseguenze negative del suo ritardo.

Impegno ragionevole

I giudici, insomma, hanno ritenuto che la contestuale prosecuzione del procedimento di notificazione nel luogo ove l’ufficiale giudiziario ha appreso che si trovi il notificatario rientra tra i compiti di tale soggetto ogniqualvolta essa comporti un impegno che “è del tutto ragionevole attendersi dal soggetto incaricato”.

In tali casi, il procedimento notificatorio non può ritenersi concluso e il notificante non incorre in alcuna decadenza se la mancata prosecuzione dell’attività dell’ufficiale giudiziario comporta che la notifica si perfeziona successivamente allo spirare del termine previsto per la stessa.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12307/2015 proposto da:

IMMOBILIARE ITRI MARE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore R.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI SAVORELLI 11, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PEVERINI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO CAVALIERE giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.F.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOMMASO SALVINI 55, presso lo studio dell’avvocato CARLO D’ERRICO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1992/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Ritenuto che:

1. La Itri Mare Srl ricorre, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che ha dichiarato inammissibile per tardività l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale di Latina dichiarativa dell’estinzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore di D.F.P. e L. per la restituzione delle somme da loro pagate all’Ufficio del Registro a seguito dell’avviso di accertamento di valore ai fini INVIM del contratto di compravendita di un terreno stipulato con la società.

2. L’intimata D.F.L., in proprio ed in qualità di erede della sorella P., nelle more deceduta, ha resistito con controricorso.

Considerato che:

1. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 139, 153, 160, 164, 327, 330 e 359 c.p.c., e degli artt. 2697 e 2700 c.c.; nonché, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla valutazione delle prove documentali; lamenta, infine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, per l’illegittima declaratoria di irregolarità della notifica e per difetto di motivazione della sentenza d’appello.

Con il secondo motivo, deduce la violazione di legge ex artt. 10, 156, 157 e 164 c.p.c., e vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui ha ritenuto inesistente e non nulla la notificazione della citazione dell’atto introduttivo del giudizio d’appello, in quanto nella relata di notifica si dava atto che lo studio fosse “trasferito” e non che il destinatario fosse “irreperibile”.

Con il terzo motivo, ancora, la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, degli artt. 101, 102, 291, 331, 347, 348, 350 e 354 c.p.c., e l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su un fatto decisivo per il giudizio consistente nella dichiarazione resa dall’avvocato destinatario della notifica, nella relata del 30.5.2013, in ordine al decesso di una delle parti da lui rappresentata nel giudizio di prime cure e cioè la sig.ra D.F.P..

Con il quarto motivo, infine, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul merito dei motivi d’appello proposti.

1.1. Il primo motivo è fondato ed assorbe gli altri tre.

Si osserva, al riguardo, quanto segue.

La Corte territoriale ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello assumendo che la notifica dell’atto di citazione introduttivo del secondo grado di giudizio fosse tardiva, in quanto si era perfezionata dopo il passaggio in giudicato della sentenza impugnata (alla quale, depositata il 29.11.2010 e non notificata, doveva applicarsi, ratione temporis, il c.d. termine lungo annuale vigente prima della modifica dell’art. 327 c.p.c., oltre a 46 giorni di sospensione, termine che andava complessivamente a spirare il 14.1.2012): in motivazione è stato evidenziato che l’atto d’appello era stato notificato con esito negativo il 12.1.2012 presso lo studio del difensore domiciliatario avv.to Francesco Lombardini, sito in (OMISSIS), ove, al primo tentativo, era risultato che si era trasferito al civico n. 37 della stessa strada; che solo in data 18.1.2012 l’atto era stato rinotificato al nuovo indirizzo, a seguito di altro accesso; e che doveva ritenersi imputabile alla parte notificante la tardività dell’incombente che da ciò conseguiva visto che era onerata, preventivamente, di verificare l’esattezza dell’indirizzo secondo le regole di ordinaria diligenza, tenuto conto, soprattutto, della circostanza che il termine annuale rendeva pienamente esigibile tale preliminare accertamento.

1.2. Il Collegio ritiene fondata la censura riferita al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa motivazione in ordine alle risultanze della relata di notifica prodotta in atti ed alla conseguente apparenza delle argomentazioni rese a sostegno della dichiarazione di inammissibilità.

I giudici d’appello, al riguardo, hanno richiamato Cass. SSUU 3819/2009.

1.3. Con tale pronuncia pur avendo affermato che “all’onere di verificare anteriormente alla notifica dell’impugnazione presso l’albo professionale il domicilio del procuratore presso il quale notificare l’impugnazione corrisponde l’assunzione da parte del notificante del rischio dell’esito negativo della notifica richiesta in un domicilio diverso da quello effettivo e sono manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità sollevati rispetto ad essi per l’impossibilità che ne deriverebbe al notificante di fruire per l’intero dei termini di impugnazione, sia perché l’effettività della tutela del diritto di agire e di difendersi nel processo è assicurata nelle forme e nei limiti ragionevolmente previsti dall’ordinamento processuale e sia in quanto l’accertamento del domicilio effettivo del procuratore risultante dall’albo professionale nessun significativo pregiudizio temporale può comportare alla parte, considerata c l’agevole consultazione degli albi ed, in particolare, la loro attuale informatizzazione ed accessibilità telematica” è giunta a ritenere che la notifica dell’impugnazione, nonostante l’erronea indicazione del domicilio del procuratore, possa completarsi per la diligenza dell’ufficiale giudiziario o postale nel ricercare il destinatario, e che “presuppongono, invece, il perfezionamento della notifica per il notificante, e la conseguente ammissibilità originaria dell’impugnazione, ed attengono al perfezionamento per il destinatario, le ipotesi in cui la notifica presso il procuratore non abbia raggiunto il suo scopo per caso fortuito o forza maggiore, come, ad esempio, per la mancata od intempestiva comunicazione del mutamento del domicilio all’ordine professionale o per il ritardo della sua annotazione, ovvero per la morte del procuratore e tutte le altre nelle quali l’ufficiale giudiziario o postale, nonostante la corretta indicazione del domicilio, non abbiano completato la notifica e ne abbiano attestato l’esito negativo per un fatto non imputabile al richiedente”.

La Corte, nello scrutinare il contrasto preesistente, ha conclusivamente chiarito che “fermo che non può parlarsi di nullità rispetto ad una notifica che, anche se correttamente attivata, non si sia perfezionata per l’interruzione del relativo procedimento, non possono che essere condivisi l’imposizione ravvisata in dette pronunce e gli argomenti che in ragione di essa hanno comportato nelle specifiche fattispecie esaminate l’affermazione, in ossequio ai principi di eguaglianza di difesa sanciti dagli artt. 3 e 24 Cost., della riattivabilità del procedimento di notificazione dell’impugnazione, nonostante il superamento dei relativi termini perentori e decadenziali e della perfezionabilità tardiva della notifica nei confronti del destinatario”. (cfr. Cass. SSUU 3819/2009 in motivazione).

1.4. La pronuncia richiamata dai giudici d’appello, dunque, lungi dal fissare automatiche e rigide conseguenze per i casi in cui una notifica tempestivamente affidata all’ufficiale giudiziario si fosse perfezionata oltre un termine perentorio, aveva lo scopo di valorizzare e far prevalere il principio, che successivamente è stato generalmente riconosciuto da questa Corte, della “riattivabilità del procedimento notificatorio” alla luce del principio di economia processuale e di conservazione degli atti.

Tanto che nella successiva evoluzione della giurisprudenza di legittimità è stato anche chiarito che “in tema di notificazione degli atti processuali, qualora essa, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di domandare all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, purché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie” (cfr. Cass. 17864/2017, preceduta, negli stessi termini da Cass. SSUU 14594/2016; nonché ex multis Cass. 24660/2017; Cass. 21819/2016; Cass. 5974/2017; Cass. 16943/2018): con ciò è stata esclusa, nei casi in cui la ripresa del procedimento intervenga in tempi brevi, la necessità del preventivo ricorso la giudice e si è, invece, ammessa la facoltà di far proseguire direttamente il procedimento dall’ausiliare originariamente officiato.

L’evoluzione della giurisprudenza, quindi, mostra una progressiva apertura alla valorizzazione della funzione e dei compiti dell’ufficiale giudiziario in funzione del principio del “raggiungimento dello scopo” in vista “della ragionevole durata del processo”.

1.5. Ma tanto premesso, si osserva che nel caso in esame il procedimento notificatorio non può neanche ritenersi interrotto.

Infatti, l’ufficiale giudiziario, si recò in termini (il 12.1.2012) presso l’indirizzo indicato dal difensore dell’appellante (via Statuto 24), e constatò immediatamente, dandone atto nella relata di notifica, che il destinatario aveva trasferito il proprio studio al numero civico 37 della stessa strada, indirizzo presso il quale egli, soltanto dopo sei giorni, provvide a perfezionare la notifica, espletando un incombente che, invero, ben poteva concludere contestualmente alla verificazione dell’avvenuto trasferimento.

L’interpretazione congiunta degli artt. 141 e 138 cpc – che affidano all’ufficiale giudiziario l’accertamento del luogo ove il destinatario può essere reperito – ed il principio (generale) secondo cui egli viene officiato del compito di fornire conoscenza legale di un atto al destinatario di esso consentono, infatti, di ritenere che, ove rallenti l’iter procedimentale per ragioni che sfuggono ai suoi doveri codificati, le conseguenza negative derivanti dal ritardo non possono essere fatte ricadere sul notificante che gli conferisce l’incarico.

1.6. Questa Corte ha avuto modo di chiarire, sulla specifica questione, che “in tema di notificazione di un atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, qualora la notificazione non si sia perfezionata per cause non imputabili al notificante (quale, in particolare, l’avvenuto trasferimento del difensore domiciliatario, non conoscibile da parte del notificante) e l’ufficiale giudiziario abbia appreso, già nel corso della prima tentata notifica, il nuovo domicilio del procuratore, il procedimento notificatorio non può ritenersi esaurito ed il notificante non incorre in alcuna decadenza, non potendo ridondare su di lui la mancata immediata rinotifica dell’atto da parte dell’ufficiale giudiziario, non dipendente dalla sua volontà, ove provveda con sollecita diligenza (da valutarsi secondo un principio di ragionevolezza) a rinnovare la richiesta di notificazione, a nulla rilevando che quest’ultima si perfezioni successivamente allo spirare del termine per proporre gravame.” (cfr. Cass. 19986/2011).

1.7. Va precisato, al riguardo, che il riferimento al mancato perfezionamento della notifica “per cause non imputabili al notificante” non contrasta, sul piano nomofilattico, con il principio generale del suo dovere di diligenza, in quanto il punto nodale del principio enunciato è che l’ufficiale giudiziario è tenuto alla immediata “rinotifica” dell’atto e che l’inerzia dello stesso non può ricadere sul notificante.

Invero, il riferimento alla “causa non imputabile” introduce un profilo affidato alla valutazione dell’ufficiale giudiziario in funzione del più celere ed efficace raggiungimento dello scopo: ragione per cui la contestuale prosecuzione del procedimento, presso il luogo ove egli abbia avuto modo di apprendere che si trovi il notificatario, rientra nei suoi compiti tutte le volte in cui – come nel caso in esame, caratterizzato dalla minima distanza fra l’indirizzo indicato e quello accertato – essa importi un impegno che è del tutto ragionevole attendersi dal soggetto incaricato.

1.8. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione perché riesamini la controversia alla luce del seguente preliminare principio di diritto: “In tema di notificazione di un atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, qualora la notificazione non si sia perfezionata per l’avvenuto trasferimento del difensore domiciliatario e l’ufficiale giudiziario abbia appreso, già nel corso della prima tentata notifica, il nuovo domicilio del procuratore, il procedimento notificatorio non può ritenersi esaurito ed il notificante non incorre in alcuna decadenza, a nulla rilevando, in tali casi, che il perfezionamento della notifica intervenga successivamente allo spirare del termine, non potendo ridondare su di lui la mancata prosecuzione dell’attività da parte dell’ufficiale giudiziario. La contestuale prosecuzione del procedimento presso il luogo ove l’ufficiale giudiziario abbia avuto modo di apprendere che si trovi il notificatario rientra nei suoi compiti tutte le volte in cui – come nel caso in esame, caratterizzato dalla assoluta vicinanza fra l’indirizzo indicato e quello accertato – essa importi un impegno minimo che è del tutto ragionevole attendersi dal pubblico ufficiale al quale è stato affidato l’incarico”. La Corte di rinvio dovrà decidere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione per il riesame dell’intera controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 12 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 18/07/2018) 12/11/2018, n. 28872

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso iscritto al n. 16094/2017 R.G. proposto da:

R.P., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Benedetta PAONE, presso il cui studio legale sito in Roma, alla via del Vascello, n. 16, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, in persona del Responsabile del Contenzioso Regionale Lazio, M.G.L., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Zosima VECCHIO, presso il cui studio legale sito in Roma, alla via Attilio Regolo, n. 12/D, è elettivamente domiciliata;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8546/08/2016 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata il 16/12/2016;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Lucio LUCIOTTI nella camera di consiglio non partecipata del 18/07/2018 e, a seguito di riconvocazione, in quella del 13/07/2018;

Svolgimento del processo
che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di due intimazioni di pagamento notificate a R.P. sulla base di due cartelle di pagamento recanti l’iscrizione a ruolo di crediti tributari per IVA, IRAP ed IRPEF relativamente ai periodi d’imposta 2005 e 2007, emessi a seguito di controllo formale delle dichiarazioni, dal medesimo pure impugnati per difetto di notifica e conseguente prescrizione del credito erariale, il predetto contribuente ricorre per cassazione, sulla base di un unico motivo, nei confronti dell’Agenzia delle entrate e dell’agente della riscossione, che replicano con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la CTR del Lazio rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, rilevando la regolarità della notifica delle cartelle di pagamento in quanto effettuate direttamente a mezzo posta e con consegna a mani del portiere.

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, u.p..

Motivi della decisione
che:

1. Con il motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c.; sostiene il ricorrente che la CTR era incorsa nella violazione della disposizione censurata, oltre che del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b-bis), per avere escluso, nell’ipotesi – come quella in esame – di consegna al portiere della raccomandata postale contenete le cartelle di pagamento, la necessità dell’invio della raccomandata informativa.

2. Il motivo è manifestamente infondato.

3. Nella specie è pacifico, perchè costituente oggetto di specifico accertamento di fatto compiuto dai giudici d’appello, non contestato dal ricorrente, che l’agente della riscossione ha provveduto alla notifica diretta a mezzo del servizio postale, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, delle cartelle di pagamento prodromiche alle intimazioni di pagamento.

4. Al riguardo “Questa Corte è ferma nel ritenere che gli uffici finanziari possono procedere alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente. Ne consegue che, quando il predetto ufficio si sia avvalso di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n 890 del 1992 cfr. Cass. n. 17598/2010; Cass. n. 911/2012; Cass. n. 14146/2014; Cass. n. 19771/2013; Cass. n. 16949/2014 con specifico riferimento a cartella notifica a mezzo portiere dal concessionario. Tale conclusione trova conforto nel chiaro tenore testuale della L. n. 890 del 1982, art. 14, come modificato dalla L. n. 146 del 1998, art. 20, dal quale risulta che la notifica degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari. La circostanza che tale disposizione faccia salve le modalità di notifica di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e delle singole leggi d’imposta non elide la possibilità riconosciuta agli uffici finanziari – e per quel che qui interesse alla società concessionaria – di utilizzare le forme semplificate a mezzo del servizio postale – con specifico riferimento all’inoltro di raccomandata consegnata al portiere v. D.M. 9 aprile 2001, art. 39 (cfr. Cass. n. 27319/2014) – senza il rispetto della disciplina in tema di notifiche a mezzo posta da parte dell’ufficiale giudiziario. In questa direzione, del resto, depone proprio il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, che consente anche agli ufficiali della riscossione di provvedere alla notifica della cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, precisando che in caso di notifica al portiere la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto, prevedendo lo stesso art. 26, il rinvio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, unicamente per quanto non regolato nello stesso articolo (cfr. Cass. n. 14196/2014)” (Cass. ord. n. 3254/16)” (cfr. Cass. n. 802 del 2018; coni. Cass. n. 12083 del 2016 e n. 29022 del 2017).

5. Tale orientamento giurisprudenziale ha trovato recente autorevole avallo nella sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 23/07/2018 che ha dichiarato la conformità a Costituzione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1.

5.1. Ha preliminarmente osservato la Corte “come il regime differenziato della riscossione coattiva delle imposte risponde all’esigenza, di rilievo costituzionale, di assicurare con regolarità le risorse necessarie alla finanza pubblica, affermando che “da disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (sentenze n. 90 del 2018 e n. 281 del 2011). In questo contesto, l’agente per la riscossione svolge una funzione pubblicistica finalizzata al raggiungimento di questo scopo. E’ questa particolare funzione svolta dall’agente per la riscossione a giustificare un regime differenziato, qual è la censurata previsione della speciale facoltà del medesimo di avvalersi della notificazione “diretta” delle cartelle di pagamento”.

5.2. Ha poi rilevato che “da semplificazione insita nella notificazione diretta”, consistente “nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c. e L. n. 890 del 1982, art. 3” e nella “mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica (cosiddetta CAN)”, “anche se (…) comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1982, non di meno (…) è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973. art. 26, comma 1”.

5.3. Ha precisato il Giudice delle leggi che, seppure non sia prevista la relata di notifica, nella notificazione “diretta” ai sensi del citato art. 26 “c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo”. Inoltre, la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica (ma solo nel caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere), “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”.

6. Da ultimo va rilevato che l’intervenuta pronuncia del Giudice delle leggi ha privato di rilevanza l’eccezione di incostituzionalità sollevata dal ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, u.p., con riferimento alla mancata previsione nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, dell’obbligo di invio della CAN in caso di consegna del plico al portiere.

7. Conclusivamente, con riferimento al caso concreto, in cui la CTR ha accertato che le cartelle di pagamento erano state notificate per posta ordinaria e correttamente consegnate al soggetto dichiaratosi “portiere”, va ribadito che non sussisteva alcun obbligo per l’agente postale di osservare le disposizioni di cui all’art. 139 c.p.c.. Pertanto, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito, ed in favore dell’Agenzia delle entrate riscossione in Euro 5.600,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018

T


Comm. trib. prov. Campania Salerno, Sez. VI, Sent., 08/11/2018, n. 4284

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI SALERNO
SESTA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

CERVINO FILOMENA EGIDIA – Presidente e Relatore

ORILIA ANTONIO – Giudice

TRITTO FRANCESCA – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

– sul ricorso n. 2010/2018

depositato il 20/04/2018

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TRIB.ERARIALI

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2014

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2010

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2011

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2016

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TAS.AUTOMOBILI 2005

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TAS.AUTOMOBILI

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2011

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) IRPEF-ALTRO 2006

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) ASSENTE

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) ASSENTE

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) ASSENTE

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) ASSENTE

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TAS.AUTOMOBILI 2010

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TAS.AUTOMOBILI 2010

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2005

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) IRAP 2010

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) IRPEF-ALTRO 2013

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2006

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TAS.AUTOMOBILI 2009

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TAS.AUTOMOBILI 2004

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) RADIODIFFUSIONI 2007

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2012

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2013

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2003

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2013

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) RADIODIFFUSIONI 2010

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2016

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2004

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TAS.AUTOMOBILI 2011

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2012

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) IRPEF-ALTRO 2008

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TRIB.LOCALI

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2013

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2015

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) IRPEF-ALTRO

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) IRPEF-ALTRO 2009

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) ASSENTE

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) RADIODIFFUSIONI 2006

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) RADIODIFFUSIONI 2012

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2009

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) ASSENTE

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TAS.AUTOMOBILI

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2010

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2010

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2011

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2010

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) RADIODIFFUSIONI 2013

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2014

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2014

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2012

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2012

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) REGISTRO 2013

– avverso ESTRATTO DI RUOLO n. (…) TAS.AUTOMOBILI 2008

contro:

AG.ENTRATE – RISCOSSIONE – SALERNO

difeso da:

AVV. POLITO GIUSEPPINA

C.SO ITALIA N.3 FRAZ. VIBONATI 84079 VIBONATI

proposto dal ricorrente:

COMUNE DI CAMEROTA

PIAZZA SAN VINCENZO 84040 CAMEROTA SA

difeso da:

ROMANIELLO EMILIO

VIA PASSARELLI 84078 VALLO DELLA LUCANIA SA

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Avverso estratti di ruolo relativo a cartelle esattoriali portante un presunto debito di Euro 376.243,89, riferito a n. 51 cartelle di pagamento asseritamente riferite ad atti portanti presunte imposte, tasse e / o tributi, propone formale e rituale ricorso il Sig. S.M.S., nella qualità di Sindaco p.t. del Comune di Camerota, rappresentato e difeso dal Rag. Emilio Romaniello, eccependo l’infondatezza della pretesa fiscale.

La parte ricorrente nell’analizzare in dettaglio le cartelle esattoriali premette che non sono mai state notificate nei modi di legge.

Eccepisce l’irregolarità formale dell’estratto di ruolo perché fondato su atti mai notificati; la nullità e/o inesistenza giuridica della notifica delle cartelle e la conseguente impugnabilità dell’estratto di ruolo. Sottolinea l’onere della prova a carico del Concessionario.

Rileva che anche ove venga fornita la prova la notifica è da considerare nulla perché eseguita direttamente da Equitalia senza l’intermediazione di un Ufficiale della riscossione e perché notificata a mezzo pec con file privo della firma digitale. Fa rilevare che considerati gli anni di riferimento i tributi sono prescritti. Impone stanti le precise contestazioni di ordine formale e sostanziale all’Agenzia Entrate Riscossione di depositare regolari relate di notifica delle cartelle in contestazione, nonché copia conforme delle cartelle stesse.

Rileva la decadenza dei tributi ai sensi dell’art. 25 del D.Lgs. n. 602 del 1973.

Conclude per l’accoglimento del ricorso.

Nelle successive memorie illustrative nell’insistere nell’accoglimento delle proprie ragioni evidenzia dall’analisi della documentazione prodotta dalla parte resistente, che l’avvenuta notifica delle cartelle esattoriali non veniva eseguita nei modi di legge previsti e non può considerarsi valida. Insiste nella non validità delle notifiche effettuate via Pec con file diverso dal .p7m.

L’Agenzia delle Entrate – Riscossione, a sua volta, ritualmente costituita in giudizio, nel controdedurre alle eccezioni sollevate rileva in diritto l’inammissibilità del ricorso, ribadisce la legittimità del proprio operato documentando la regolare notifica delle cartelle prodromiche l’estratto di ruolo. Rileva la carenza di giurisdizione per i crediti non tributari.

In via subordinata nel merito controdeduce alle altre eccezioni.

Allega documentazione probatoria, relate di notifica e supporto informatico contenente file formato .eml delle cartelle notificate a mezzo pec e procura ad litem firmata digitalmente .p7m. Insiste per il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto.

La controversia è stata trattata in pubblica udienza giusta istanza di parte.

La Commissione dopo un accurato esame delle istanze contrapposte, valutati gli atti di causa, osserva preliminarmente che le cartelle di pagamento di cui all’atto impugnato riguardano oltre che crediti di natura tributaria anche crediti di natura ordinaria rispetto ai quali va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito in favore del giudice ordinario.

Il Collegio è chiamato in via preliminare a decidere in ordine alla questione, rilevabile d’ufficio, della autonoma impugnabilità degli estratti di ruolo.

Preliminarmente osserva che l’estratto di ruolo può essere impugnato solo qualora costituisca l’unico mezzo per far valere le pretese del contribuente. Nel caso in esame la parte ricorrente ha proposto autonoma impugnazione avverso gli estratti di ruolo, dei quali ha avuto cognizione prima della proposizione del ricorso oggetto del presente giudizio, sulla ritenuta sussistenza dell’interesse a verificare la propria posizione fiscale.

Ai fini del corretto decidere, tale circostanza induce a valutare alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 19704/15 che ha affermato, entro certi limiti, l’ammissibilità del ricorso. Con tale sentenza la Suprema Corte non ha affermato l’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo, attesa l’inidoneità dell’estratto a contenere qualsivoglia pretesa impositiva, diretta o indiretta, e quindi la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, ma ha ritenuto la sussistenza di un interesse del richiedente ad impugnare il contenuto del documento stesso ossia gli atti che nell’estratto di ruolo sono riportati ed indicati. I suddetti atti risultano inequivocabilmente impugnabili per espressa previsione del combinato disposto degli artt. 19, lett. d) e 21, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992. Dunque il contribuente che sia venuto a conoscenza attraverso il c.d. estratto di ruolo di iscrizioni a proprio carico o della emissione di cartelle esattoriali, ha la possibilità di far valere le proprie ragioni in relazione ad un atto non validamente notificatogli, senza bisogno ad attendere la notifica di un atto successivo.

Ne consegue, dunque, l’ammissibilità della domanda, laddove il ricorrente prospetta la mancata o invalida notifica delle cartelle esattoriali menzionate nell’estratto di ruolo.

Nel caso in esame l’Agenzia delle Entrate – Riscossione, convenuta in giudizio, nel rappresentare, in ordine alla eccezione di omessa notifica, che le stesse sono state correttamente notificate ha fornito documentazione probatoria.

A riguardo la Commissione osserva che il Concessionario deve dimostrare di aver notificato le cartelle di pagamento contestate e produrre in giudizio prova. Statuisce, infatti, la Corte di Cassazione SS.UU. n.5791/2008 che: “la correttezza dei procedimenti di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, sopratutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa.

Riguardo alle eccezioni riguardanti il procedimento notificatorio occorre ribadire che le cartelle risultano notificate all’Ente, effettuate direttamente presso l’Amministrazione destinataria.

La notifica, generalmente, avviene consegnando una copia dell’atto nelle mani del destinatario. Nel momento in cui tale consegna avviene, per legge il destinatario è da considerarsi a conoscenza dell’esistenza e del contenuto dell’atto o del documento che gli è stato notificato. L’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo in forza della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod. civ., superabile solo se lo stesso destinatario dia prova di essersi incolpevolmente trovato nell’impossibilità di prenderne cognizione. In altri termini la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto. In caso di notifica via posta la cartolina di ricevimento costituirà la prova dell’avvenuta notifica. Sarà l’addetto al servizio relativo a curare la consegna della busta chiusa contenente l’atto al destinatario.

Sono pertanto da considerare valide le relative notifiche effettuate all’Amministrazione pubblica.

Del pari non risulta intervenuta prescrizione della pretesa creditoria in presenza di validi atti interruttivi. Invero dalla data di notifica delle cartelle presupposte inizia a decorrere un nuovo termine di prescrizione del tributo, per cui la prescrizione non risulta maturata.

In ogni caso l’attività dell’Agente della riscossione deve ritenersi soggetta al termine ordinario di prescrizione previsto dall’art. 2946 c.c., il quale stabilisce che “… salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni.

Relativamente all’eccepito disconoscimento della copia fotostatica la Commissione osserva che in tema di prova documentale l’onere di disconoscere la conformità della copia fotostatica prodotta in giudizio, all’originale, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive.

La contestazione ai sensi dell’art. 2719 c.c. non impedisce al giudice di accertare la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.

L’art. 2719 c.c. esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale. Dunque occorre rilevare che non è sufficiente eccepire l’assenza dell’originale, ma è necessaria la presenza di una doglianza specifica, idonea a confutare la validità della notifica. In tal senso Cass. 29 luglio 2016, n. 15790; Cass. 07 settembre 2018, n. 21908; Cass. 04 aprile 2018, n. 8246.

Ai fini del corretto decidere, per quanto concerne la notifica a mezzo pec, la Commissione, nel rispetto del principio in virtù del quale l’Agente della riscossione può utilizzare lo strumento della notifica degli atti a mezzo PEC, osserva che la stessa deve avvenire nel rispetto dei requisiti volti a garantire la piena legittimità della procedura e, quindi, con l’avvertenza che il documento informatico allegato alla pec debba necessariamente essere dotato di firma digitale per garantire l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del file in conformità all’art. 20, comma 2, del D.Lgs. n. 82 del 2005.

Tali requisiti vengono a mancare nel formato PDF il quale non consente di rispettare detti parametri, dovendo il documento essere firmato digitalmente e, quindi, avere un formato “.p7m”.

Quindi qualora la trasmissione via pec delle cartelle di pagamento contenga il solo allegato in formato “pdf” la notifica deve essere considerata non valida, producendo la illegittimità del documento in allegato perché privo dell’estensione “.p7m”.

Tale eccezione è preliminare e pregiudiziale di ogni altra: la decisione comporta una attenta disamina delle norme che disciplinano la notificazione per posta elettronica certificata delle cartelle di pagamento.

Occorre ribadire quanto alla disciplina della firma elettronica digitale che l’art.71 del D.Lgs. n. 82 del 2005 rinvia al DPC Cons. 22 febbraio 2013. Tanto premesso, richiamando l’art. 26, comma 2, D.P.R. n. 602 del 1973 con la posta elettronica certificata, in luogo della copia della cartella di pagamento si notifica il documento informatico della cartella medesima.

Nel caso di specie il formato digitale del file telematico della cartella di pagamento scelto dall’agente della riscossione è il c.d. “.pdf”.

Alla Commissione spetta, quindi, il compito delegatole dall’art. 20, comma 1-bis D.Lgs. n. 82 del 2005, di accertare se la notificazione della cartella di pagamento sotto il formato digitale del .pdf garantisca la conformità del documento informatico notificato all’originale e se sia valida la firma digitale dell’esattoria.

Sulla base delle norme richiamate in materia ed in particolare degli artt. 20, comma 2 e 71, D.Lgs. n. 82 del 2005 ritiene la Commissione che la notificazione per posta elettronica certificata della cartella di pagamento in formato “.pdf,” senza l’estensione c.d. “.p7m,” non sia valida e di conseguenza rende illegittime le cartelle impugnate allegate alla PEC, appunto in tale formato.

La certificazione della firma è, infatti, attestata dall’estensione “.p7m” del file notificato, estensione che rappresenta la c.d.”busta crittografica”, che contiene al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica.

Detta estensione garantisce, da un lato, l’integrità ed immodificabilità del documento informatico e, dall’altro, quanto alla firma digitale, l’identificabilità del suo autore e conseguentemente la paternità dell’atto.

In difetto di detta estensione del file, la notificazione per posta elettronica certificata delle cartelle di pagamento non è valida con illegittimità derivata delle stesse cartelle.

D’altra parte la giurisprudenza della Suprema Corte ha da ultimo chiarito che l’Agente della riscossione, di fronte alle contestazioni del ricorrente relative alla notifica a mezzo pec delle cartelle di pagamento, ha l’onere di dimostrare di aver provveduto alla regolare notifica di esse in forma di “documento informatico” (e non di mera copia informatica di documento cartaceo), di documentare la corrispondenza tra il messaggio originale e quello trasmesso via pec, nonché la regolarità della trasmissione telematica dell’atto (cfr – Cass.Civile, Sez. VI, 19.06.2018, n. 16173). I motivi di merito sono assorbiti dalla decisione sulla notificazione.

Alla luce delle argomentazioni sopra esposte e della documentazione versata in atti la Commissione dichiara il difetto di giurisdizione relativamente alle cartelle aventi ad oggetto crediti non tributari; in parziale accoglimento del ricorso dichiara non valide e di conseguenza illegittime le cartelle notificate a mezzo pec in formato “.pdf” senza l’estensione del file “.p7m”, quale motivo pregiudiziale ed assorbente su ogni altra questione sollevata, riferito, in particolare, alle cartelle n.(…) – n.(…) – n.(…) – n.(…) – n.(…) – n.(…) – n.(…) – n.(…) – n.(…) – n.(…);

rigetta nel resto confermando l’operato del concessionario.

Quanto alle spese di giudizio, considerato il parziale accoglimento del ricorso, la novità e complessità della questione e le situazioni giuridiche connesse, la Commissione ritiene giusto compensarle tra le parti.

P.Q.M.
La Commissione dichiara il difetto di giurisdizione per i crediti non aventi natura tributaria, in parziale accoglimento del ricorso dichiara non valide e di conseguenza illegittime le cartelle notificate a mezzo pec in formato “.pdf” senza l’estensione del file “.p7m”; rigetta nel resto.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Conclusione
Salerno il 22 ottobre 2018.


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 14-09-2018) 30-10-2018, n. 27577

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4472/2013 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato OLINDO DI FRANCESCO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

INPA SPA CONCESSIONARIA COMUNE AGRIGENTO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 98/2012 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO, depositata il 26/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/09/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
C.C. impugnò, sotto molteplici profili, l’avviso di accertamento, notificato in data 18/2/2008, con cui INPA s.p.a., Concessionaria delle entrate tributarie del Comune di Agrigento, aveva richiesto il pagamento della somma di Euro 501,99, per TARSU (anno 2002), interessi e spese, e l’adita Commissione tributaria provinciale di Agrigento, respinse il ricorso, con decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, giusta sentenza n. 98/01/12, depositata il 26/7/2012, sul rilievo che è ininfluente la circostanza che la società INPA, nell’anno di insorgenza del debito, non rivestisse ancora la qualità di concessionaria dell’ente comunale, che non hanno pregio i rilievi formali mossi all’atto impositivo, essendosi il contribuente difeso senza problemi dalla pretesa creditoria, che infondata è anche l’eccezione di decadenza, essendo stato notificato l’accertamento entro il termine quinquennale di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1.

Avverso la sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati con memoria, mentre la Concessionaria non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente deduce violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, stante il principio per cui il giudice deve giudicare secondo quanto allegato e provato dalle parti, nonchè motivazione solo apparente, in quanto la sentenza impugnata avrebbe dovuto dichiarare la carenza di legittimazione attiva di INPA s.p.a. riguardo alla riscossione di un tributo risalente all’anno 2002, in quanto all’epoca la società non rivestiva ancora la qualità di Concessionaria del Comune di Agrigento e, comunque, in quanto non è stato prodotto in giudizio il relativo contratto (rep. n. 7568 del 27/4/2006).

Con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso, decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sulla mancanza di sottoscrizione autografa dell’atto impositivo.

Con il terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 507, art. 73, L. n. 212 del 2000, artt. 6 e 11 (Statuto del contribuente), L. n. 241 del 1990, artt. 4, 7, 11, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sul mancato invio dell’avviso bonario, avendo il contribuente contestato la legittimità dell’atto impositivo, afferente un immobile inutilizzabile, non abitato e privo di luce ed acqua, dunque, inidoneo a produrre rifiuti.

Con il quarto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 8, nonchè della L. n. 241 del 1990, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso, decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sulla denunciata mancata indicazione dell’avvio del procedimento, del responsabile del procedimento, e dell’ufficio dal quale ottenere informazioni in merito all’atto notificato.

Con il quinto motivo, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso, decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata esclude la eccepita decadenza quinquennale, senza considerare che la Concessionaria comunale aveva già acclarato, con l’avviso di accertamento per omessa denuncia n. 168, notificato il 21/11/2001, l’inizio della occupazione dell’immobile soggetto a TARSU, nel 2001, e che, per il successivo periodo d’imposta 2002, l’atto impositivo avrebbe dovuto essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il versamento doveva essere effettuato (31/12/2007).

Con il sesto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, L. n. 241 del 1990, art. 3, L. n. 212 del 2000, art. 7, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata trascurerebbe del tutto la circostanza che la Concessionaria comunale non ha posto in grado il contribuente di contestare an e quantum debeatur, riportando l’atto impositivo soltanto la somma da pagare.

Le censure vanno disattese per le ragioni qui di seguito esposte.

Il ricorrente, con il primo motivo d’impugnazione, si duole del fatto che la società INPA, Concessionaria del servizio di riscossione dei tributi locali, per conto del Comune di Agrigento, in forza del contratto rep. n. 7568 del 27/4/2006, non avrebbe potuto legittimamente richiedere il pagamento della TARSU relativa all’anno 2002 e, in tal modo sembra volere accreditare la tesi per cui l’esternalizzazione dell’accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi, mediante l’affidamento in concessione ad uno dei soggetti previsti dalla legge (cfr., D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52) che regola la potestà regolamentare generale di Province e Comuni), incontrerebbe, nel caso di specie, un limite temporale, nel senso che il potere di accertamento del risalente tributo per cui è causa sarebbe spettato al Comune e non al Concessionario.

La fondatezza di siffatta tesi, non corroborata da alcun elemento di prova, è stata correttamente confutata dalla sentenza impugnata, la quale ha ritenuto il Concessionario legittimato, sostanzialmente e processualmente, stante il subentro in tutti i diritti ed obblighi dell’ente locale (Cass. n. 15079/2004).

Si tratta di accertamento di fatto, involgente l’interpretazione della relativa convenzione, riservato al giudice di merito, soltanto genericamente censurato con il motivo di ricorso per cassazione, che introduce un profilo, quello concernente la mancata produzione – in uno alla memoria difensiva depositata nel giudizio di prime cure – del predetto documento, apparentemente nuovo, atteso che non viene specificato dall’impugnante, in ossequio al principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), se la questione sia stata originariamente formulata nel ricorso introduttivo, e poi riproposta in appello (Cass. n. 9108/2012; Cass. n. 1196/2007).

Il ricorrente, con il secondo motivo, si duole della omessa pronuncia, da parte del giudice di appello, circa le conseguenze della mancata sottoscrizione autografa dell’atto impositivo, ma la sentenza impugnata ha correttamente escluso la nullità dell’avviso di accertamento notificato al contribuente, e l’eventuale omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione in diritto risulta irrilevante, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la decisione adottata è in sè conforme al diritto.

Infatti, nel caso in cui l’avviso di accertamento sia prodotto mediante sistemi informativi automatizzati, la sottoscrizione dell’atto è legittimamente sostituita, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, modalità non incisa in parte qua dal successivo D.Lgs. n. 267 del 2000 (Cass. n. 90798/2015, Cass. n. 6736/2015), e, nella fattispecie in eame, l’avviso impugnato recava, come riferito nello stesso motivo di ricorso (pag. 5), l’indicazione del soggetto responsabile, legittimato, quindi, ad esprimere la volontà dell’ente al quale l’accertamento era attribuito.

Il ricorrente, con il terzo motivo, si duole del procedimento di accertamento seguito dal Concessionario, essendo mancato il preventivo contraddittorio con il contribuente, ma la sentenza impugnata, che anche su tale punto appare incensurabile, ha escluso la nullità dell’avviso di accertamento notificato al C., in quanto la pretesa contenuta nel suddetto atto impositivo contemplava, com’è dato ricavare da quanto esposto nel ricorso per cassazione, il mancato pagamento della TARSU (anno 2002) dovuta per l’immobile occupato, sito all’interno del territorio comunale, l’omessa presentazione della denuncia da parte del contribuente, nonchè gli accessori di legge. Va, al riguardo, rilevato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, all’art. 70, pone a carico del contribuente l’obbligo di presentare una denuncia unica in ordine ai locali ed aree tassabili, nonchè, in generale, alle condizioni di tassabilità della TARSU (denuncia originaria od integrativa) ed in ordine alle eventuali variazioni di tali condizioni (denuncia di variazione), all’art. 71 prevede l’emissione di avviso di accertamento nel caso di denuncia infedele o incompleta (avviso di accertamento in rettifica) o nel caso di omessa denuncia (avviso di accertamento d’ufficio) e stabilisce, a proposito della motivazione dell’avviso, che questo debba indicare – tra l’altro – le ragioni dell’eventuale diniego della riduzione o agevolazione richiesta (D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 6, comma 1, lett. e, ha poi introdotto, nel D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, il comma 2 bis, anch’esso relativo alla motivazione dell’avviso di accertamento, in sostanziale attuazione della L. n. 212 del 2000, art. 7), all’art. 72 stabilisce inoltre che l’ammontare del tributo ed addizionali, degli accessorie delle sanzioni (liquidato sulla base dei ruoli dell’anno precedente, delle denunce presentate e degli accertamenti notificati nei termini di cui all’art. 71, comma 1, del medesimo D.Lgs.) è iscritto in ruoli principali, ovvero (di regola, per gli importi od i maggiori importi derivanti dagli accertamenti nonchè per le partite comunque non iscritte nei ruoli principali) nei ruoli suppletivi.

Con riferimento a tale normativa, ed al rapporto tributario qui considerato, il legislatore non ha ritenuto di dover articolare l’istruttoria procedimentale prevedendo il contraddittorio preventivo con il contribuente, il quale ben può avvalersi, com’è accaduto nel caso di specie, degli strumenti di tutela (autotutela tributaria/difesa giurisdizionale) attivabili successivamente all’adozione dell’atto impositivo.

Quanto, poi, alla dedotta inutilizzabilità dell’immobile, trattandosi, in ipotesi, di esclusione dal pagamento del tributo (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2), e vigendo a carico dei possessori una presunzione legale relativa di produzione dei rifiuti solidi urbani in relazione alla superficie abitativa occupata, la prova contraria è senz’altro a carico del contribuente (Cass. n. 19496/2014; Cass. n. 37772/2013).

Il ricorrente, con il quarto motivo, deduce l’omissione di pronuncia in ordine alla denunciata mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, dell’avvio del procedimento, del responsabile del procedimento, e dell’ufficio al quale chiedere informazioni in merito all’atto notificato, ma trascura di considerare che l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, nella L. n. 31 del 2008, applicabile peraltro soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008 (Cass. S.U. n. 11722/2010), e che gli unici requisiti richiesti per l’emissione dell’avviso di accertamento, atto impositivo mediante il quale viene formalmente azionata la pretesa nei confronti del contribuente, sono quelli che consentono alla parte incisa di prendere conoscenza degli elementi di fatto e di diritto sui cui il credito tributario si fonda, la cui rispondenza al modello legale è stata positivamente verificata dai giudici di primo e secondo grado.

Il ricorrente, con il quinto motivo, si duole, infondatamente, del fatto che la impugnata sentenza ha escluso la dedotta decadenza del potere impositivo, in quanto la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, prevede che “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d’ufficio devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

Tale disciplina aumenta a cinque anni il termine di decadenza, essendo stato abrogato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 172, con decorrenza 1.7.2007, il previgente D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 1, che prevedeva, invece, il termine triennale; L. n. 296 del 2006, medesimo art. 1, comma 171, inoltre, prevede che le nuove disposizioni, tra cui la nuova procedura di accertamento e i relativi termini si applicano anche ai rapporti di imposta precedenti al 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge finanziaria.

Essa, dunque, può applicarsi nel caso in esame, come ritenuto dal giudice di appello, secondo cui il termine di presentazione della denuncia scadeva il 20/1/2003, in quanto ad ogni anno solare corrisponde una obbligazione tributaria, sicchè, qualora la denunzia sia stata omessa, l’obbligo di formularla si rinnova di anno in anno, con la conseguenza che la protratta inottemperanza all’obbligo di presentare la denuncia non provoca la decadenza, per decorso del tempo, del potere dell’ente impositore di accertare le superfici non dichiarate che continuino ad essere occupate o detenute, ovvero gli altri elementi costituenti il presupposto della tassa, a nulla rilevando la pregressa conoscenza della occupazione della superficie abitativa (Cass. n. 26722/2016; Cass. n. 18122/2009; Cass. n. 21337/2008).

Il ricorrente, con il sesto motivo, intende confutare la correttezza dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il contribuente era stato posto in condizione di difendersi dalla pretesa impositiva, con conseguente irrilevanza degli astratti “rilievi formali mossi contro l’atto afflittivo”.

Si tratta di affermazione del tutto in linea con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità che richiede, ai fini qui considerati, la dimostrazione di un pregiudizio effettivo alle prerogative del contribuente, non essendo di per sè tutelato il generico interesse alla legittimità dell’azione amministrativa.

La censura, tuttavia, prima che infondata, è inammissibile, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), il quale opera anche nel giudizio tributario, atteso che l’esame del dedotto vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, richiede che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. n. 16147/2017; Cass. n. 2928/2015).

Non v’è luogo a pronuncia sulle spese processuali in mancanza di attività difensiva dell’intimata.

P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 18/06/2018) 30/10/2018, n. 27561

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28055-2011 proposto da:

P. IMPIANTI ECOLOGICI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione (C.F. (OMISSIS)), rapp. e dif., in virtù di procura speciale resa in forma di scrittura privata autenticata il 9.11.2011 dal Notaio B.A. di Siracusa, dal Prof. Avv. GIUSEPPE TINELLI, presso il cui studio è elett.te dom.to in Roma, alla Via delle Quattro Fontane, n. 15;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t. (C.F. (OMISSIS)), dom.to ope legis in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rapp. e dif.;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA NORD S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rapp. e dif., in virtù di procura speciale su foglio separato congiunto al ricorso, dagli Avv.ti MARIA ROSA VERNA e PAOLO BOER, presso il cui studio è elett.te dom.to in Roma, alla Via Cola di Rienzo, n. 69;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 44.49.11 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 01/04/2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/06/2018 dal Consigliere Dott. GIAN ANDREA CHIESI;

udito il Pubblico Ministero, nella persona della Dr.ssa MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per l’improcedibilità e, in subordine il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. MASSIMO RIDOLFI, per delega dell’Avv. GIUSEPPE TINELLI, per la parte ricorrente, l’Avv. ALESSANDRO MADDALO, per l’AGENZIA DELLE ENTRATE, nonchè l’Avv. CARLO DE ANGELIS, per delega dell’Avv. PAOLO BOER, per l’EQUITALIA NORD S.P.A..

Svolgimento del processo
1. La P. IMPIANTI ECOLOGICI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (d’ora in avanti, breviter, P.) propose ricorso, innanzi alla C.T.P. di Milano, avverso la cartella di pagamento (OMISSIS) ed i ruoli ad essa sottesi, dell’importo complessivo di Euro 1.848.587,80, per omesso versamento di ritenute alla fonte, IRAP ed IVA, per l’anno 2005, somma così determinata a seguito di controllo automatizzato eseguito dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma, ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis.

2. Con sentenza 155/12/10 dell’1.6.2010, la C.T.P. di Milano rigettò il ricorso ed avverso tale decisione la P. propose appello innanzi alla C.T.R. di Milano che, con sentenza 44.49.11 dell’1.4.2011, confermò la gravata decisione, accertando, per quanto in questa sede ancora rileva, (a) la ritualità e validità della notifica della cartella di pagamento impugnata, siccome correttamente eseguita ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, (b) la regolarità dei ruoli sottesi alla cartella medesima, (c) l’irrilevanza, ai fini della legittimità della cartella, della previa notifica degli avvisi di irregolarità disciplinati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, (d) la regolarità della cartella di pagamento, siccome redatta in conformità del modello approvato con D.M. 28 giugno 1999 e D.M. 13 febbraio 2007, (e) nonchè la sussistenza del carico tributario contestato alla P..

3. Avverso tale sentenza la P. ha quindi proposto ricorso per cassazionE, affidato a 9 motivi. Si sono costituite ed hanno resistito, con controricorso, l’AGENZIA DELLE ENTRATE e l’EQUITALIA NORD S.P.A..

4. La P. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1. In via del tutto preliminare vanno rigettate le eccezioni di improcedibilità del ricorso, rispettivamente sollevate, nel corso della discussione, dalla Procura Generale nonchè nel controricorso, dall’EgurrALIA: a) nel primo caso, giacchè risulta presente, agli atti, la copia autentica della sentenza notificata; b) nel secondo caso in quanto, a tutto volere, si verserebbe in presenza di una notifica nulla (e non già inesistente. Cfr. Cass., Sez. U, 20.7.2016, n. 14916, Rv. 640604-01), per ciò stesso sanata, con efficacia ex tunc, dalla costituzione in giudizio della stessa EQUITALIA NORD. 2. Passando, quindi, all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, commi 1 e 5, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, primo periodo, lett. f), e art. 148 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la C.T.R. ritenuto valida la notifica della cartella di pagamento impugnata, nonostante la stessa sia da qualificarsi come giuridicamente inesistente, per mancanza della relativa relata.

3. Con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, commi 1 e 5, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, primo periodo, lett. f), e art. 156 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la C.T.R. ritenuto valida la notifica della cartella di pagamento impugnata, per raggiungimento dello scopo.

3.1. I motivi – che per identità di questioni agli stessi sottese, possono essere trattati congiuntamente – sono infondati e vanno rigettati.

3.2. Costituisce, infatti, principio consolidato – cui si intende dare continuità in questa sede – quello per cui la notificazione della cartella, emessa per la riscossione di imposte o sanzioni, può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso la notifica si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica. Tale soluzione, in particolare, risponde al disposto di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, che prescrive l’onere, per l’esattore, di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con l’avviso di ricevimento (cfr. Cass. 4567/2015 e Cass. 16949/2014): in tale sistema, infatti, è proprio l’ufficiale postale a garantire, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella (cfr. anche Cass., 6395/2014). Ai fini del perfezionamento della notifica opera, dunque, il D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39, secondo cui è sufficiente che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale, se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; con l’ulteriore precisazione che, persino se manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato e/o la relativa sottoscrizione sia inintelligibile, l’atto è comunque valido, poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 cod. civ. (cfr. Cass. 11708/2011; Cass. 14327/2009).

3.3. I medesimi principi sono stati recentemente confermati da Cass, Sez. 6-5, 21.2.2018, n. 4275, Rv. 647134-01, la quale ha ribadito che la notificazione della cartella di pagamento può essere eseguita anche mediante invio, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, (perfezionandosi, in tal caso, alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redazione di un’apposita relata di notifica, in quanto l’avvenuta effettuazione della notificazione, su istanza del soggetto legittimato, e la relazione tra la persona cui è stato consegnato l’atto ed il destinatario della medesima costituiscono oggetto di una attestazione dell’agente postale assistita dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c.), mentre la complessiva legittimità di tale forma di notifica (cd. diretta) è stata da ultimo confermata da Corte Cost., n. 175 del 2018, la quale ha osservato come, alla luce di una lettura combinata dell’art. 26 cit. e della L. n. 212 del 2000, art. 6 (cd. Statuto del contribuente), le regole semplificate (si discorre, nella motivazione del giudice delle leggi, di “scostamenti”) della notifica in commento rispetto al regime “ordinario” non integrano alcuna violazione dell’art. 24 Cost., art. 3 Cost., comma 1 e art. 111 Cost., commi 1 e 2.

3.4. Escluso, dunque, che si possa discorrere di inesistenza della notificazione (con ciò disattendendosi il primo motivo), ove anche si volesse ipotizzare la sussistenza di un vizio comportante la nullità della medesima, quest’ultima – come correttamente affermato dalla C.T.R. – dovrebbe considerarsi comunque sanata ex art. 156 c.p.c. a seguito della tempestiva proposizione dell’originario ricorso in opposizione ad opera della P. innanzi ala C.T.P..

In tal senso si è infatti già espressa questa Corte nelle sentenze n. 8321/2013 e 6613/2013, che hanno dato continuità al principio (già affermato da Cass. n. 2272/2011 e da Cass., SU n. 19854/2004 e che può estendersi al caso – oggi in esame – di cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis: cfr. anche, su tale aspetto specifico, Cass. n. 1109/2017) per cui la natura sostanziale e non processuale dell’avviso di accertamento tributario non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria; sicchè il rinvio disposto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, (dettato in materia di notifica della cartella di pagamento), al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 (dettato in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a propria volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile (con espressa esclusione di quelle di cui alla lettera “r” del primo comma, tra cui non è ricompreso l’art. 156 c.p.c.), comporta, quale logica conseguenza, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie dettato per la notifica dell’avviso di accertamento.

Conseguentemente, se la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c. (in tal senso cfr. anche Cass. n. 6613/2013 cit.), ad analoga conclusione deve pervenirsi con riguardo alla notificazione della cartella di pagamento.

4. Con il terzo motivo parte ricorrente censura la sentenza impugnata (in relazione al vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere ritenuto legittima, in violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, la cartella di pagamento impugnata, nonostante il difetto di sottoscrizione dei ruoli ad essa sottesi.

4.1. Il motivo è infondato e va rigettato.

4.2. Parte ricorrente non considera, infatti, che, secondo il costante insegnamento di questa Corte – cui ancora una volta si intende dare continuità in questa sede – il difetto di sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’ufficio non incide in alcun modo sulla validità dell’iscrizione a ruolo del tributo, poichè si tratta di atto interno e privo di autonomo rilievo esterno, trasfuso nella cartella da notificare al contribuente, per la quale ultima neppure è prescritta la sottoscrizione del titolare dell’ufficio (cfr. infra. Sul punto, ex multis, Cass. n. 26053/2015, Cass. n. 6199/2015 e Cass., n. 6610/2013), costituendo ius receptum il principio per cui la mancata sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto “quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge” (cfr. Cass. n. 19761/2016, in motivazione. In senso conforme cfr., anche, Cass. n. 4555/2015, Cass. n. 25773/2014, Cass. n. 1425/2013, Cass. n. 11458/2012, Cass. n. 13461/2012, Cass. n. 6616/2011, Cass. n. 4283/2010, Cass. n. 4757/2009, Cass. n. 14894/2008, Cass. n. 4923/2007, Cass. n. 9779/2003, Cass. n. 2390/00, nonchè Corte Cost. n. 117/00).

4.3. A quanto detto deve inoltre aggiungersi (sulla scia di Cass. n. 19761/2016) che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12 non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi di mancata sottoscrizione del ruolo; sicchè non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova dell’insussistenza del potere e/o della provenienza a carico del contribuente (Cass. n. 24322/2014): il quale ultimo, peraltro, non può limitarsi ad una generica contestazione della insussistenza del potere e/o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti (Cass. n. 6616/2011), tenuto conto anche della “natura vincolata” degli atti meramente esecutivi, quali il ruolo e la cartella di pagamento, che non presentano in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, con conseguente applicazione, nei loro confronti, del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies, (che impedisce l’annullamento del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, il suo contenuto dispositivo non avrebbe comunque potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Sul punto cfr. anche Cass. n. 2365/2013).

4.4. Tali principi ed elementi sono stati correttamente applicati e considerati dalla C.T.R. la quale, peraltro, ha rilevato che la regolarità del ruolo è stata comunque “assicurata dalla firma in via telematica del funzionario responsabile della trasmissione del ruolo stesso all’Agente della riscossione” (cfr. sentenza impugnata, pp. 5, ult. cpv. e 6, prime o righe).

4.5. Quanto precede determina, altresì, l’assorbimento del quarto e del quinto motivo di ricorso, con cui parte ricorrente si è doluta dell’erronea decisione della C.T.R. rispetto al medesimo motivo di impugnazione della cartella (per omessa sottoscrizione, cioè, dei ruoli alla stessa sottesi), da un lato, con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5-ter, lett. e), conv. con modif. dalla L. n. 156 del 2005 nonchè dell’art. 2697 c.c. e, dall’altro, con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’omessa motivazione circa la mancanza di sottoscrizione.

5. Con il sesto motivo la P. si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) della violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 14 e art. 7, u.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 139 c.p.c., comma 4, per avere la C.T.R. ritenuto valida la notifica degli avvisi bonari ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, nonostante la mancata produzione, essendo tale notifica avvenuta a mezzo raccomandata A/R ricevuta dal portiere dello stabile, dell’avviso di ricevimento della “seconda” raccomandata contenente l’avviso di comunicazione dell’avvenuta notifica.

6. Con il settimo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) della violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, nonchè del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, per avere la C.T.R. ritenuto la cartella di pagamento legittima, nonostante la mancata notifica, anteriormente all’iscrizione a ruolo, dell’avviso bonario previsto dalle richiamate disposizioni.

6.1. I motivi, per identità di questioni loro sottese, possono essere trattati congiuntamente, pur dovendosi, per ordine logico, invertire il loro ordine di trattazione.

6.2. Muovendo, dunque, dall’esame del settimo motivo, osserva la Corte che la C.T.R., nello sviluppo delle proprie argomentazioni – volte a disattendere la tesi della nullità del ruolo per mancato previo (regolare) invio dell’avviso bonario si è sostanzialmente attenuta al principio, costantemente affermato da questa Corte regolatrice, per cui l’obbligo di instaurazione del contraddittorio anteriormente all’iscrizione a ruolo, a seguito di liquidazione in esito a controllo di dichiarazioni secondo procedure automatizzate, sussiste per l’Amministrazione finanziaria soltanto quando da quel controllo emergano “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (cfr. la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5) e non, invece, in presenza di meri errori materiali ovvero, come nella specie, di omessi o tardivi versamenti (cfr., ex multis, Cass. n. 12023/2015, Cass. n. 8342/2012).

6.3. La norma generale dello Statuto del contribuente (ai sensi della quale “prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma”) è stata, infatti, successivamente riprodotta nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, comma 3 e nel D.P.R. n. 600 del 1973, all’art. 36-bis, comma 3, come modificati dal D.L. n. 203 del 2005, art. 2, conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2005: tali disposizioni, però, non prevedono alcuna automatica sanzione di nullità in caso di generica inosservanza del previo contraddittorio con il contribuente. Da quanto precede, dunque, non può che trarsi la conclusione per cui, (a) essendo la sanzione di nullità comminata dalla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, della ben presente al Legislatore allorchè, nel 2005, ha novellato i richiamati artt. 36-bis e 54-bis (inserendo, per l’appunto, gli obblighi di comunicazione al contribuente in seguito ai controlli automatizzati) e (b) non essendosi in tale occasione prevista un’automatica nullità della cartella per l’inosservanza dell’obbligo di preventiva comunicazione al contribuente, ne discende (c) che la nullità dell’atto impositivo non può che essere ricondotta esclusivamente all’ipotesi “generale” contemplata dall’art. 6, comma 5, cit. che – si ribadisce limita l’obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti, prima di effettuare la iscrizione a ruolo, al caso in cui “sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”. (arg. da Cass. n. 8154/2015, in motivazione).

6.4. Nessuna comunicazione d’irregolarità era dunque dovuta nel caso in esame, neppure emergendo dalle difese della contribuente la sussistenza di margini di tipo interpretativo o comunque di errori o di altre irregolarità formali (cfr. anche, da ultimo, Cass., n. 1109/2017, cit. e Cass., n. 26511/2016).

6.5. Quanto precede determina il rigetto del settimo motivo e l’assorbimento del sesto.

7. Con l’ottavo motivo parte ricorrente censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la sentenza impugnata laddove, in violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4 e art. 25, comma 2, nonchè del D.M. Finanze n. 321 del 1999, artt. 1 e 6 e dell’art. 125 c.p.c., ha ritenuto legittima la cartella di pagamento impugnata, benchè priva di sottoscrizione, sostenendo, per un verso, che la cartella esattoriale è assimilabile all’atto di precetto, la cui sottoscrizione è espressamente prevista dall’art. 125 c.p.c. e, per altro verso, che il combinato disposto dagli artt. 1 e 6 del citato D.M., prevedendo una corrispondenza contenutistica tra ruolo e cartella, consente di ravvisare come necessaria la sottoscrizione della seconda al pari del primo, per il quale la sottoscrizione è requisito di validità previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4.

7.1. Il motivo è infondato.

7.2. Questa Corte ha più volte ricompreso la cartella di pagamento nell’ambito di un processo di natura amministrativa dotato di una disciplina sua propria, con la conseguenza che, stante la specialità del rapporto tributario e delle regole che presiedono alla realizzazione della pretesa impositiva, non vi può essere totale coincidenza con le prescrizioni generali dettate per l’atto di precetto, di cui, pure, la cartella mutua la Sostanza (così da ultimo Cass. n. 21840 del 2016). Per la stessa ragione non è postulabile la tesi, pure sostenuta dalla ricorrente, dell’applicazione alla cartella di pagamento della disposizione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, che prevede la sottoscrizione del ruolo e che è riferibile solo ed esclusivamente a tale atto. Peraltro, la conclusione cui è pervenuto il giudice di appello è diretta derivazione del principio affermato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 117 del 2000 che, esaminando la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, denunziato in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost., nella parte in cui omette di indicare la sottoscrizione autografa tra gli elementi costitutivi della cartella di pagamento, l’ha ritenuta infondata per palese erroneità del presupposto da cui essa muove, costituendo diritto vivente (come da ultimo ulteriormente ribadito da Cass. n. 20798 del 2016, Cass., n. 24492 del 2015, Cass., n. 26053 del 2015, Cass., n. 25773 del 2014 e Cass., n. 13461 del 2012) il principio secondo cui l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi previsti dalla legge, ed è regola sufficiente che dai dati contenuti nel documento sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui l’atto proviene, che è questione che nel caso di specie non viene neanche prospettata dalla ricorrente. Pertanto – per concludere sul punto – sulla base dei principi sopra enunciati, correttamente il giudice di appello ha escluso la dedotta causa di nullità della cartella di pagamento.

8. Con il nono ed ultimo motivo, infine, la società ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sostenendo l’erroneità della decisione assunta dalla C.T.R., per non avere l’Agenzia delle Entrate non provato l’esistenza del debito tributario mediante la produzione delle dichiarazioni dei redditi presentate da essa contribuente e da cui dovevano risultare le somme dovute o non versate.

8.1. Anche tale motivo è infondato.

8.2. Invero, il debito tributario portato dalla cartella di pagamento deriva da una mera liquidazione di quanto esposto dalla stessa società contribuente nelle dichiarazioni all’epoca presentate, a seguito di semplice riscontro cartolare di queste ultime che evidenzino errori materiali o di calcolo oppure a seguito di verifica dell’omesso versamento, integrale o parziale, delle imposte dichiarate come dovute; di talchè, (a) considerato che il documento da cui sono tratti gli elementi posti a base della liquidazione è in possesso della contribuente e (b) questa già si trova, dunque, nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale (cfr., ex multis, Cass. n. 22402 del 2014; Cass. n. 15564 del 2016), ne discende che (c) la produzione in giudizio della dichiarazione verificata è del tutto superflua.

Pertanto, nell’ipotesi – quale quella in esame – in cui la contribuente contesti la non corrispondenza tra quanto liquidato dall’Ufficio e quanto da essa originariamente dichiarato, è onere della medesima (e non dell’Agenzia) fornire la relativa prova documentale, o mediante produzione di quella dichiarazione, al fine di dimostrare l’insussistenza dei rilevati errori materiali o di calcolo, oppure delle ricevute di versamento degli importi effettivamente dovuti (cfr., ex multis, Cass. 27140 del 2011; Cass., n. 1109 del 2017).

9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna della P. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore delle controricorrenti.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la P. IMPIANTI ECOLOGICI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione, al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., nonchè dell’EQUTALIA NORD S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore di ciascun controricorrente, in Euro 18.000,00 (diciottomila/00) per compenso professionale, oltre: a) spese prenotate a debito, in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE; b) rimborso forfettario nella misura del 15% ed accessori di legge, in favore di EQUITALIA NORD S.P.A..

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Civile Tributaria, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 07-06-2018) 24-10-2018, n. 27035

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12489/2017 R.G. proposto da:

SI.T.M.A.R. Società Incremento Turistico Marittimo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, M.P.G., rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso, dagli avv.ti Giorgio Pozzi e Giampiero Tasco ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Antonio Gramsci, n. 54, presso lo Studio legale tributario “TASCO & ASSOCIATI”;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (già Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura in calce al controricorso, dall’avv. Zosima VECCHIO, presso il cui studio legale sito in Roma, alla via Attilio Regolo, n. 12/d, è elettivamente domiciliata;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7485/04/2016 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata il 28/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/06/2018 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

– In controversia avente ad Oggetto l’impugnazione di un avviso di intimazione di pagamento notificato dall’agente della riscossione alla SI.T.M.A.R. s.p.a. per omessa notifica della prodromica cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo dell’IVA dovuta a seguito di controllo automatizzato della relativa dichiarazione per l’anno di imposta 2003, la predetta società ricorre per cassazione, sulla base di un unico motivo, cui replicano le intimate con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la CIR aveva rigettato l’appello dalla medesima proposto avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, ritenendo regolare la notifica della cartella di pagamento in quanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 non prevede l’invio della raccomandata informativa nell’ipotesi, come quella nella specie verificatasi, di irreperibilità assoluta del destinatario.

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Motivi della decisione
che:

1. Va preliminarmente rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’Agenzia delle entrate posto che la stessa è stata parte nei giudizi di merito in cui la società contribuente aveva contestato anche la fondatezza della pretesa erariale.

2. -11 motivo di ricorso con cui la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 138, 139, 140, 141, 145 e 148 cod. proc. civ. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 è fondato e va accolto.

2.1 La tesi sostenuta dalla CTR, secondo la quale in ipotesi di irreperibilità assoluta non è previsto l’invio della raccomandata informativa, sarebbe corretta in diritto se non fosse che nel caso di specie si verte in ipotesi di irreperibilità relativa, non avendo il messo notificatore svolto ricerche dirette a verificare l’irreperibilità assoluta della società contribuente, ossia che quest’ultima non avesse più nè l’abitazione nè l’ufficio o l’azienda nel Comune già sede del proprio domicilio fiscale, non potendosi ritenere sufficiente a quel fine la generica dichiarazione da quello acquisita dal portiere dello stabile.

2.1. Al riguardo deve ricordarsi che secondo Cass. Sez. 5, sentenza n. 16696 del 03/07/2013 (conf. Cass. n. 5374 del 18/03/2015), “La notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, nel sistema delineato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 cod. proc. civ. quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perchè questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile, mentre va effettuata secondo la disciplina di cui all’art. 60 cit., comma 1, lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perchè risulta trasferito in luogo sconosciuto, accertamento, questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel Comune dov’è situato il domicilio) fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune. Rispetto a tali principi, nulla ha innovato la sentenza della Corte costituzionale del 22 novembre 2012, n. 258 la quale nel dichiarare “in parte qua”, con pronuncia di natura “sostitutiva”, l’illegittimità costituzionale (corrispondente all’attualmente vigente comma 4) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 3 ovvero la disposizione concernente il procedimento di notifica delle cartelle di pagamento, ha soltanto uniformato le modalità di svolgimento di detto procedimento a quelle già previste per la notificazione degli atti di accertamento, eliminando una diversità di disciplina che non appariva assistita da alcuna valida “ratio” giustificativa e non risultava in linea con il fondamentale principio posto dall’art. 3 Cost.”.

2.2. Secondo Cass. Sez. 6 – 5, ordinanza n. 24260 del 13/11/2014, “l’illegittima la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi (nella specie, cartella di pagamento) effettuata ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, lett. e) laddove il messo notificatore abbia arrestato la sola irreperibilità del destinatario nel comune ore è situato il domicilio fiscale del contribuente, senza ulteriore indicazione delle ricerche compiute per verificare che il trasferimento non sia un mero mutamento di indirizzo) all’interno dello stesso comune, dovendosi procedere secondo le modalità di cui all’art. 140 cod. proc. civ. quando non risulti un’irreperibilità assoluta del notificato all’indirizzo conosciuto, la cui attestazione non può essere fornita dalla parte nel corso del giudizio”.

2.3. Principio, questo, ribadito dalla recente ordinanza della Sez. 6 – 5 di questa Corte, n. 2877 del 07/02/2018 (in termini anche Cass. n. 12646 del 2018), che ha affermato a chiare lettere che “In tema di notificazione degli atti impositivi, prima di effettuare la notifica secondo le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), in luogo di quella ex art. 140 c.p.c., il messo notificatore o l’ufficiale giudiziario devono svolgere ricerche volte a verificare l’irreperibilità assoluta del contribuente, ossia che quest’ultimo non abbia più nè l’abitazione nè l’ufficio o l’azienda nel Comune già sede del proprio domicilio fiscale. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha cassato la decisione impugnata ritenendo insufficienti, per l’effettuazione della notifica D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, comma 1, lett. e), le generiche informazioni fornite dal custode dello stabile)”.

3. A tali principi giurisprudenziali non si è attenuta la CFR che ha ritenuto idonee a giustificare il ricorso alla notifica a soggetto assolutamente irreperibile, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e) la dichiarazione del portiere dello stabile ove era ubicato il domicilio fiscale della società contribuente, di non conoscere la predetta società, che, come si è detto sopra, era inidonea a quello scopo e che, anzi, avrebbe dovuto indurre l’ufficiale notificante a compiere le verifiche necessarie per accertare se l’indicazione del domicilio della società destinataria dell’atto era corretta o se lo stesso non fosse mutato. Verifiche nella specie del tutto omesse.

4. Sulla base di tali complessive considerazioni il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, senza rinvio, non ricorrendo l’esigenza del compimento di ulteriori accertamenti di fatto nè quella di procedere all’esame di altre questioni che la nullità (cfr. Cass. Sez. U., n. 14916 del 2016) della notifica dell’atto (cartella di pagamento) prodromico all’avviso di intimazione di pagamento, pure impugnato, rende del tutto superflue.

5. L’agente della riscossione controricorrente va condannato al pagamento) in favore della ricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, mentre, avuto riguardo ai profili anche sostanziali della controversia, vanno compensate le spese processuali con l’Agenzia delle entrate e quelle dei giudizi di merito.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo merito, accoglie l’originario ricorso della società contribuente. Condanna l’agente della riscossione al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge, compensando le spese con l’Agenzia delle entrate e quelle dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2018


Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 13-04-2018) 08-10-2018, n. 24681

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2755/2015 proposto da:

M.A., MU.AN., elettivamente domiciliati in CARINI, CORSO ITALIA 168, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO RUSSO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

A.F., A.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FOLIGNO 10 C/0 AVV. ERRANTE MASSIMO, presso lo studio dell’avvocato GOFFREDO GARRAFFA, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 745/2011 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 05/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/04/2018 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
ritenuto che la Corte d’appello di Palermo con la sentenza di cui in epigrafe dichiarò inammissibile per tardività l’impugnazione proposta da Mu.An., Mo.An. e L.F.S. (successivamente deceduta) nei confronti di A.F. e A.A., avverso le sentenze nn. 32 e 95/2008 emesse dal Tribunale di Palermo, Sezione distaccata di Carini;

ritenuto che avverso la predetta determinazione Mu.An. e M.A. avanzano ricorso, prospettando unitaria censura;

ritenuto che i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 148, 325 e 326 c.p.c., per quanto appresso: la Corte d’appello aveva reputato tardiva l’impugnazione presupponendo che la notifica delle sentenze di primo grado fosse stata ritualmente effettuata, il che non era avvenuto poichè la relazione dava atto che la consegna degli atti era avvenuta a mani di soggetto diverso dal procuratore domiciliatario, qualificatosi collega di studio di quest’ultimo, senza che fosse stato attestato il luogo della notifica;

considerato che la doglianza è infondata per le ragioni di cui appresso:

1) La notificazione presso il procuratore domiciliatario della parte viene validamente eseguita con la consegna di copia dell’atto al collega di studio, considerato che l’art. 139 c.p.c., comma 2, nell’includere, fra i possibili consegnatari, l’addetto all’ufficio del destinatario, richiede una situazione di comunanza di rapporti che, quale quella del professionista che ha in comune col destinatario dell’atto lo stesso studio, faccia presumere che il primo porterà a conoscenza del secondo l’atto ricevuto, senza comportare necessariamente un vincolo di dipendenza o subordinazione (S.U., n. 14792, 14/7/2005, Rv. 580909);

2) dopo un primo pronunciamento, rimasto isolato (Sez. 1, n. 2743, 27/4/1985, Rv. 440520), questa Corte ha condivisamente chiarito che la notificazione mediante consegna a una delle persone enumerate nell’art. 139 del codice di procedura civile, deve essere necessariamente eseguita nei luoghi nella norma stessa indicati, giacchè la certezza che la persona legata da rapporti di famiglia o di collaborazione con il destinatario provveda a trasmettergli l’atto ricevuto, può ritenersi pienamente raggiunta soltanto se la consegna avvenga in un luogo comune al consegnatario e al destinatario e nel quale, quindi, si presuma che costoro abbiano degli incontri quotidiani; consegue quindi la nullità della notificazione per mancanza di detta certezza, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario espressamente risulti che l’atto sia stato consegnato a una delle dette persone ma in un luogo diverso da quelli previsti dalla norma; per contro la mancata precisazione nella relata del luogo della consegna stessa, non determina la nullità della notificazione dovendo presumersi, in assenza di annotazioni contenute nella relata, che la notificazione sia stata eseguita in uno dei luoghi prescritti sicchè la omessa annotazione si risolve in una mera irregolarità formale non influente sulla validità della notifica, nè sulla efficacia (di atto pubblico) della relata con riguardo al luogo di consegna (Sez. 2, n. 737, 17/12/1986, Rv. 449624; conclusioni conformi si traggono pure da Sez. 5, n. 6923, 14/5/2002, Rv. 554385 e da Sez. 3, n. 5079, 373/2010, Rv. 611576);

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2018


Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 26-04-2018) 04-10-2018, n. 24212

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 28926/2015 proposto da:

W.C. elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico 36/b, presso lo studio dell’avv. Massimo Scardigli, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Petrocchi Piero;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FIRENZE, in persona del sindaco pro tempore rappresentato e difeso dagli avvocati Debora Pacini e Andrea Sansoni;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1525/2015 del tribunale di Firenze, depositata il 05/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del 26/04/2018 dal Consigliere Dr. Sabato Raffaele.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza depositata il 05/05/2015 il tribunale di Firenze, rigettando l’appello proposto da W.C. avverso sentenza del giudice di pace di Firenze che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione dello stesso nei confronti del comune di Firenze avverso verbale di accertamento di violazione del codice della strada (c.d.s.) per transito in zona a traffico limitato ((OMISSIS) in Firenze) senza autorizzazione, con applicazione della sanzione amministrativa di Euro 109.30, ha confermato la stessa richiamando il principio processuale della “ragione più liquida” in base a considerazioni diverse da quelle adottate dal giudice onorario.

2. Mentre il giudice di pace aveva dichiarato inammissibile il ricorso in quanto ritenuto proposto oltre i termini di cui all’art. 204 c.d.s., il tribunale ha ritenuto nulla la procura alle liti:

– in quanto carente della “specifica indicazione della causa per la quale il mandate è stato rilasciato”, non essendo peraltro la procura indicativa dell’oggetto della lite nè del numero di ruolo, nè “congiun(ta all’).. atto cui si riferisce”, in riferimento all’art. 83 c.p.c.,;

– per essere l’autentica da parte di notaio non congiunta alla procura;

– per essere l’autentica stessa redatta in lingua tedesca, non essendo condivisibile la giurisprudenza che esclude l’applicazione dell’art. 122 c.p.c., alla procura.

3. Avverso la sentenza del tribunale W.C. ha proposto ricorso per cassazione su sette motivi illustrati da memoria, cui il comune di Firenze ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 83 comma 1 e 2, c.p.c., in relazione all’affermazione da parte della sentenza impugnata che la procura per l’instaurazione di un giudizio di merito necessiti, oltre che dell’indicazione dei nomi delle Parti, anche dell’oggetto della lite e del numero di ruolo (quest’ultimo attribuito, peraltro, in sede di costituzione).

2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 157 c.p.c., comma 1, art. 112 c.p.c., per avere il giudice d’appello – investito di eccezione di nullità della procura alle liti – pronunciato tale nullità come insanabile, senza che l’insanabilità venisse dedotta.

3. Con il terzo motivo si indica poi violazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, per avere il giudice d’appello rilevato un vizio della procura senza aver prima provveduto, come imposto da detta norma, a formulare l’invito a produrre altra procura idonea a sanare ex tunc la costituzione.

4. I primi tre motivi, investendo profili strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Alla luce dell’inammissibilità di essi per le ragioni di cui in prosieguo, si determina assorbimento degli ulteriori profili in essi trattati, nonchè pari assorbimento degli altri motivi aventi ad oggetto, tra l’altro, le questioni concernenti la lingua e la congiunzione dell’autentica alla procura rispetto agli atti, oltre ad altro, prevalentemente a fine di riproposizione di aspetti non esaminati.

4.1. Appare, in argomento, necessario anzitutto richiamare che, come si evince da statuizione alla p. 3 dell’impugnata sentenza, il tribunale ha esaminato, sulla base di eccezione del comune di Firenze secondo cui “la procura …. (non) è materialmente unita al ricorso” (p. 2), la (procura in questione come “speciale” (p. 3) separata dal ricorso stesso. Trattasi di giudizio, seppur succinto, in fatto, derivante dall’esame degli atti quali sussistenti al momento, non riesaminabile in sede di legittimità. Peraltro, di tanto si dà atto anche in ricorso (p. 7) ove la procura è qualificata come “rilasciata con scrittura privata autenticata” da non “accosta(re) a quella… semplicemente autenticata dal difensore.

4.2. In secondo luogo, è necessario notare come – in evidente stretta interdipendenza rispetto al predetto accertamento in fatto – il tribunale abbia accertato che “effettivamente” (avverbio che si spiega in funzione dell’avere in precedenza la sentenza fatto riferimento a eccezione del comune sul punto – v. infra) “nella procura speciale… non vi è alcuna specifica indicazione della causa per la quale il mandato è stato rilasciato, la quale causa non viene indicata nè per l’oggetto, nè per numero di ruolo” (p. 3). Trattasi, anche in questo caso, di accertamento fattuale. Il comune di Firenze – come si dà atto nella sentenza – aveva eccepito che “la procura… non contiene gli estremi del procedimento/atto a cui si riferisce” (p. 2).

4.3. Ciò posto, nell’ambito del primo motivo in particolare (ove la procura è ritualmente trascritta), il ricorrente, oltre a diffondersi su una presunta – ma insussistente per quanto detto – confusione del tribunale tra procura in calce o a margine e procura speciale separata dall’atto processuale, richiama che, in applicazione dell’art. 83 c.p.c., comma 3, e consolidata giurisprudenza, la procura speciale debba contenere gli elementi identificativi della causa (p. 12) e deduce che la procura in questione li conterrebbe, affidandosi a un precedente in materia lavoristica (Cass. 14/9/2010 n. 20784) secondo cui sono speciali anche le procure che si riferiscono non a una sola causa ma a una “serie specifica di cause, caratterizzate dalla materia trattata o dalla sede territoriale o altrimenti” (così in ricorso p. 13); quanto ai rilievi del tribunale, secondo cui nel mandato “non vi è alcuna specifica indicazione della causa per la quale il mandato è stato rilasciato, la quale causa non viene indicata nè per l’oggetto, nè per numero di ruolo”, il ricorrente – oltre a stigmatizzare che il numero di ruolo non può essere noto prima della costituzione in giudizio – cita altra sentenza del tribunale di Firenze che, per diversa lite dello stesso trasgressore in cui si è utilizzata la medesima procura, ha ritenuto la indicazione inequivoca della controversia mediante l’indicazione dei nomi delle parti (in particolare, della controparte comune di Firenze).

4.4. Il motivo – al pari delle conseguenziali argomentazioni del secondo e terzo motivo – rinviene la sua inammissibilità nella circostanza che l’accertamento relativo al sussistere di una inequivoca indicazione di una controversia nella procura (o, se si vuole, di una serie di controversie, posto che il contravventore deduce di avere più pendenze nei confronti del comune) è un accertamento in fatto, non sindacabile in cassazione se non nei limiti dell’omesso esame di fatto storico dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5, non predicabile nel caso di specie, in cui la procura risulta esaminata.

4.5. Solo per completezza – e a prescindere dalla questione relativa al numero di “ruolo”, ove probabilmente l’espressione potrebbe essere riferita al numero del verbale di contravvenzione – può, avendosi presente che il testo della procura di cui trattasi reca esclusivamente le indicazioni delle denominazioni delle parti “a tutti gli effetti del procedimento di cui sopra” (indicazione questa non riferita, come notato dal tribunale, ad alcunchè), richiamarsi che il precedente giurisprudenziale lavoristico anzidetto è citato impropriamente, posto che in quel caso “la procura speciale alle liti” era “rilasciata non per una singola causa ma per una serie di controversie… caratterizzate da unitarietà di materia o collegate tra loro da specifiche ed oggettive ragioni di connessione” (cosi nella massima ufficiale). Nel caso di specie, la procura e rilasciata per il solo “procedimento di cui sopra”, indicato soltanto quanto all’identità della controparte e, quindi, in assenza di indicazioni di materia o altra specificazione (quale avrebbe potuto essere, ad es., il riferimento a opposizioni a tutte le contravvenzioni riportate dal trasgressore alla guida di veicoli in (OMISSIS) a Firenze in un determinato periodo), onde si è del tutto al di fuori dell’ipotesi predetta.

4.6. Acclarato quanto innanzi, la complessiva inammissibilità dei primi tre motivi va chiarita alla luce di almeno taluni ulteriori profili sollevati con il secondo e il terzo motivo, relativi alla ritenuta insanabilità non dedotta e alla non attivazione della sanatoria ex art. 182 c.p.c.. Limitando ogni considerazione sul primo aspetto all’afferire al iura novit novit curia la statuizione circa la natura della nullità della procura comunque ritualmente eccepita, va nuovamente richiamato, in ordine al secondo aspetto, quanto esposto in premessa nel senso che, in sede di costituzione, appunto, il comune di Firenze ha dedotto specificamente la mancanza degli estremi della lite nella procura separata in violazione dell’art. 83 c.p.c., (cfr. sentenza p. 2).

4.7. Alla luce di ciò, quale che fosse la tipologia di nullità, ad avviso del ricorrente il giudice avrebbe dovuto attivare il disposto dell’art. 182 c.p.c., comma 2, nel testo in vigore dal 04/07/2009 e applicabile ratione temporis al procedimento avviato successivamente. Tale norma prescrive che, “quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”.

Il nuovo testo normativo ha effettivamente imposto una possibilità di sanatoria sia per il difetto sia per la nullità della procura al difensore, con un preciso dovere del giudice di assegnare alla parte interessata un termine perentorio per la sanatoria stessa, onde il rispetto del termine perentorio all’uopo assegnato dal giudice è idoneo a sanare retroattivamente sia la mancanza assoluta sia una qualunque difformità del mandato defensionale per il giudizio di merito rispetto al modello legale, superandosi in tal modo i precedenti orientamenti giurisprudenziali in tema di sanabilità soltanto di alcuni vizi e di incensurabilità, in sede di giudizio di legittimità, della mancata concessione del termine, non più configurabile come potere discrezionale del giudice. In tal senso questa corte ha affermato nell’interpretazione della predetta norma che il giudice non può dichiarare l’invalidità della costituzione di questa senza aver prima provveduto – in adempimento del dovere imposto dall’art. 182 c.p.c., comma 1, – a formulare l’invito a produrre il documento mancante (o a rinnovare quello viziato); tale invito, nel caso in cui non sia stato rivolto dal giudice istruttore, deve essere fatto dal collegio, od anche dal giudice dell’appello, poichè la produzione o rinnovazione, effettuata nel corso del giudizio di merito anche d’appello, sana ex tunc la irregolarità della costituzione (in questo senso v. tra le recenti, anche per richiami, Cass. n. 6041 del 13/03/2018 oltre che Cass. sez. U n. 26338 del 07/11/2017; per fattispecie rette dalla precedente formulazione dell’art. 182 c.p.c., peraltro, v. Cass. 22559 del 04/11/2015 – che tiene conto della novella – e Cass. n. 3181 del 18/02/2016, n. 4485 del 25/02/2009.e n. 8435 del 11/04/2006). Tale lettura soltanto dell’art. 182 c.p.c., del resto, rende la pronuncia di inammissibilità della domanda giudiziaria per mancanza di mandato a un legale abilitato, con conseguente restrizione all’accesso a un tribunale, proporzionata allo scopo avuto di mira dalla norma di assicurare la difesa tecnica e, quindi, coerente con l’art. 6 c.e.d.u.: gli organi giudiziari degli stati membri sottoscrittori della c.e.d.u., nell’interpretazione della legge processuale, infatti, devono evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dall’art. 6 di detta convenzione (cfr. ad es. Corte e.d.u., Brualla Gomez de la Torre c. Spagna, 19/12/1997; Guerin c. Francia, 29/07/1998; Perez de Rada Cavanilles c. Spagna, 28/10/1998; Zednik c. Repubblica Ceca, 28/06/2005; oltre numerose altre più recenti; e v. Cass. sez. U cit.).

4.8. Fermo tutto quanto innanzi, i motivi di ricorso (il terzo, in particolare) non si fanno carico di considerare che, come emerge dallo stesso ricorso e dalla sentenza impugnata (p. 2), il comune di Firenze nel caso di specie aveva esso sollevato la questione di nullità della procura, nullità non rilevata d’ufficio e non sanata spontaneamente dalla parte privata nella successiva evoluzione processuale, essendosi l’odierno ricorrente limitato a discutere dei profili giuridici di cui innanzi. In tale situazione i predetti principi in tema di applicabilità dell’art. 182 c.p.c., vanno contemperati con l’altro principio (per cui v. Cass. n. 11898 del 28/05/2014 e sez. U n. 4248 del 04/03/2016) secondo il quale, mentre ai sensi dell’art. 182 c.p.c., il giudice che rileva d’ufficio un difetto di rappresentanza deve promuovere la sanatoria, assegnando alla parte un termine di carattere perentorio, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze di carattere processuale, nel diverso caso come quello in esame – in cui l’eccezione di difetto di rappresentanza sia stata tempestivamente proposta da una parte, l’opportuna documentazione va prodotta immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto o comunque assegnato dal giudice, giacchè sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire.

4.9. Ne deriva che, nel caso in esame, non è legittimamente predicabile quanto sostenuto nel terzo motivo, con conseguente inammissibilità complessiva dell’argomento, essendo stato l’ordine ex art. 182 c.p.c., reso inutile dalla già chiaramente formulata eccezione del comune di Firenze, che imponeva al trasgressore di attivarsi per la sanatoria, in mancanza della quale la nullità diveniva insanabile, assumendo la parte che non abbia inteso adeguare tempestivamente la documentazione procuratoria all’eccezione della controparte il rischio che quest’ultima, in qualunque stato e grado del processo essa sia ancora esaminabile, possa essere condivisa in sede di decisione.

5. Stante l’assorbimento degli altri motivi, concernenti questioni in tema di autenticazione della procura e, altri profili sollevati dal tribunale ad abundantiam, inidonei a inficiare quanto innanzi, in definitiva il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

P.Q.M.
la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100 per esborsi ed Euro 510 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della seconda sezione civile, il 26 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018