Multe e atti giudiziari: arriva la gestione digitale delle notifiche

 L’Agcom ha avviato le procedure di consultazione sulle notifiche di multe e atti giudiziari da parte dei privati e le altre novità introdotte dalla legge sulla concorrenza

L’Autorità per le Garanzia nelle Comunicazioni è intervenuta affinché possa essere data presto attuazione alle numerose innovazioni normative introdotte dalla legge annuale per il mercato e la concorrenza. Si tratta di novità che involgono diversi ambiti, tra cui le modalità di esercizio del diritto di recesso (con costi noti a priori), l’acquisizione del consenso espresso e documentato per la fornitura dei servizi in abbonamento, nonché le modalità del sistema di notificazione dopo l’addio del monopolio di Poste Italiane.

Per dare seguito a quanto previsto dalla legge, come dichiarato in un comunicato stampa del 18 settembre (qui sotto allegato), l’Agcom ha deciso di avviare quanto prima un confronto con gli operatori così da assicurare che l’implementazione delle nuove norme sia efficace ed effettiva, in particolare quanto alle misure relative al settore postale. La legge sulla concorrenza (n. 124/2017) ha rappresentato un passaggio fondamentale per il completamento del processo di liberalizzazione dei servizi postali richiesto dall’UE, volto ad abolire qualunque forma di monopolio, di riserva e di diritti speciali nel settore postale e ad adottare tutte le misure necessarie alla completa apertura del mercato Agcom ha quindi approvato un documento di consultazione (qui sotto allegato), aperto alle osservazioni degli interessati, riguardante la regolamentazione del rilascio delle licenze per le notificazioni (di atti giudiziari e violazioni codice della strada) attraverso il servizio postale, un settore liberalizzato a seguito di eliminazione dell’esclusiva riconosciuta a Poste Italiane.

Nel documento sono esposti gli orientamenti che l’Autorità intende seguire nella regolamentazione, ad esempio i requisiti che gli operatori dovranno possedere per svolgere il servizio, nonché gli obblighi a cui saranno sottoposti per assicurare la massima correttezza nello svolgimento dell’attività, e sono altresì avanzate nuove proposte. Venuto meno il monopolio di Poste sui servizi di notificazione e comunicazioni circa atti giudiziari e multe, la legge ha stabilito che spetti ad Agcom, sentito il Ministero della giustizia ed entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, la determinare obblighi e requisiti per il rilascio delle licenze individuali per lo svolgimento del servizio. Gli obblighi dovranno rispettare parametri attinenti “alla sicurezza, alla qualità, alla continuità, alla disponibilità e all’esecuzione dei servizi medesimi”, i requisiti, invece, dovranno essere delineati alla luce delle richiamate nozioni di affidabilità, professionalità e onorabilità dei richiedenti.

Le “nuove” licenze andranno rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico e l’Autorità non manca di valutare che quanto stabilito andrà letto tenendo presente il decreto legislativo, di cui il Consiglio dei ministri ha recentemente approvato lo schema, recante disposizioni integrative e correttive al Codice dell’amministrazione digitale. Poiché il settore della licenza in materia di notifica a mezzo servizio postale si caratterizza per un regime più rigoroso rispetto a quella ordinaria, per l’Agcom appare necessario non solo richiamare in toto le previsioni applicabili a quest’ultima tipologia di licenza, ma anche specificare obblighi e requisiti aggiuntivi che andranno specificati con riferimento al servizio di notificazione. Lo stesso anche per quanto riguarda le norme sui titoli abilitativi (rilascio, diffida, sospensione e revoca del titolo, etc.). Tutto ciò allo scopo di tutelare l’interesse pubblico alla massima sicurezza e correttezza nello svolgimento di tale attività, ad esempio assicurando al destinatario della notificazione il diritto fondamentale a essere messo in grado di conoscere il contenuto dell’atto. All’uopo risulta necessario che l’operatore sia un soggetto qualificato affinché venga scongiurato ogni tipo di disservizio e criticità e andranno evitati procedimenti segmentati di notificazione.

Inoltre, va preservato anche l’interesse del mittente a poter scegliere l’offerta individuando, a priori, con garanzie di certezza e trasparenza, il soggetto al quale affidarsi anche al fine di determinare eventuali responsabilità. Trattandosi di attività delicata, per l’Autorità dovranno essere individuati operatori che rispondano ai menzionati requisiti di affidabilità, professionalità e onorabilità per tutte le tipologie di licenza a mezzo posta (in ambito regionale e nazionale, per atti giudiziari e per le multe) che dovranno esserci all’atto della presentazione della domanda e permanere per tutta la durata della licenza. La perdita anche di uno solo dei requisiti richiesti comporterà automaticamente la decadenza dalla licenza che verrà dichiarata dal Ministero dello sviluppo economico, il quale a tale scopo potrà svolgere controlli periodici per verificarne la permanenza.

Tra le soluzioni innovative che alcuni operatori stanno già proponendo all’utenza sempre più attratta dall’utilizzo dei servizi digitali, l’Autorità evidenzia la dematerializzazione e la digitalizzazione di fasi del procedimento di notificazione. Si tratta, ad esempio, della possibilità offerta ai destinatari di ritirare la posta raccomandata inesitata attraverso modalità digitali, scaricando l’invio digitalizzato connettendosi alla rete da qualsiasi punto e previa digitazione di apposite user id e password (e in un prossimo futuro, probabilmente, anche attraverso l’utilizzo del più semplice SPID). La gestione digitale di alcune fasi del procedimento di notifica e in particolare, di quella di recapito digitale dell’avviso di ricevimento, sembrerebbe in linea con le norme della legge 890/1982 che già prevedevano, in un diverso scenario tecnologico, la possibilità di utilizzare modalità alternative.

Laddove la modifica digitale fosse adottata anche soltanto per l’avviso di ricevimento degli atti giudiziari (uno degli aspetti più problematici dell’intera procedura di notifica), secondo l’Autorità il mercato dei servizi postali ne trarrebbe notevole giovamento, generando anche indubbi vantaggi per l’utenza servita grazie al possibile abbattimento dei costi relativi alla restituzione fisica al mittente. L’Agcom ritiene pertanto opportuno prevedere che, in sede di domanda per ottenere il rilascio della licenza il richiedente si impegni a realizzare, nel triennio successivo, un piano per la gestione digitale di alcune fasi del procedimento di notificazione. Continuità e disponibilità del servizio, secondo l’Autorità, potranno essere meglio garantiti introducendo obblighi quanto alla capillarità dei punti di raccolta e di consegna degli invii, nonché consentendo al destinatario di ritirare l’invio inesitato anche nelle ore pomeridiane.

Per ridurre al minimo l’onere del destinatario di recarsi presso una struttura fisica dell’operatore per ritirare la corrispondenza che non è stato possibile consegnare al destinatario, andrebbe prevista non solo un’adeguata diffusione dei punti di giacenza (con distribuzione omogenea in base alla popolazione e all’ambito territoriale), ma anche misure alternative, come la consegna su appuntamento, che assicurino, con continuità e certezza, la corretta gestione dell’invio inesitato attraverso il contatto con il cliente.

Ancora, al destinatario dovrà essere consentito di ritirare l’invio postale presso la struttura in cui è giacente (indicata nell’avviso) in un orario compreso almeno tra le ore 9.00 e le 19.00. A tal fine, le strutture dovranno essere aperte almeno due pomeriggi a settimana e almeno dalle ore 15.30 alle ore 19.00 oltre che il sabato mattina (orari e giorni compatibili con la normale attività lavorativa).

Leggi: AGCOM consultazione pubblica su regolamentazione del rilascio delle licenze 2017

Leggi: AGCOM Documento sulla regolamentazione del rilascio delle licenze 2017


Riunione Consiglio Generale del 02.12.2017

Ai sensi dell’art. 15 dello Statuto, viene convocata la riunione Consiglio Generale che si svolgerà sabato 2 dicembre 2017 alle ore 8:30 presso il Comune di Cesena (FC) – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2017;

2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2018;

3. Situazione economica/finanziaria;

4. Attività formativa 2017/2018;

5. Varie ed eventuali.

Leggi: Verbale Riunione Consiglio Generale del 02 12 2017


Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 18/07/2017) 22/09/2017, n. 22086

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sez. –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11570/2015 proposto da:

M.T.L. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTON GIULIO BARRILI 49, presso il Dott. DANIEL DE VITO, rappresentata e difesa dall’avvocato VALERIO FREDA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3919/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/10/2014.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/07/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito l’incidentale;

uditi gli avvocati Valerio Freda per la parte ricorrente e Fabio Tortora per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Svolgimento del processo
La M.T.L. s.r.l. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 74983, notificata il 9.2.2010, con la quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 20.759,00 per avere effettuato con la Cassa Arianese di Mutualità a r.l. transazioni finanziarie in contanti, senza il tramite di intermediari abilitati, in violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, convertito in L. n. 197 del 1991.

Resistendo il Ministero, il Tribunale di Ariano Irpino con sentenza n. 558/10 accoglieva l’opposizione, ritenendo estinta la sanzione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, per l’omessa notifica del verbale d’accertamento e di contestazione dell’illecito e la conseguente prescrizione ex art. 28 stessa legge.

L’appello principale del Ministero dell’Economia e delle Finanze era accolto dalla Corte distrettuale di Napoli, con sentenza n. 3919 del 3.10.2014.

I giudici del gravame escludevano, tra l’altro, la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, ritenendo provato documentalmente che il verbale di contestazione del 25 gennaio 2005 – che identificava come responsabili della violazione la società ed il suo rappresentante Ludovico Miele fosse stato notificato l’8 febbraio 2005 nei confronti della società MTL e, per essa, del suo legale rappresentante Miele. La Corte distrettuale riteneva pure infondata l’eccezione di prescrizione dell’azione e la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 (essendosi proceduto nei confronti della società, coobbligata in solido con l’autore materiale dell’infrazione, pur non essendosi, in realtà, irrogata sanzione a quest’ultimo per intervenuta decadenza).

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M.T.L. di M.L. e T. s.n.c., sulla base di otto motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale articolato in due motivi.

La causa, rimessa con ordinanza della seconda sezione civile al primo Presidente per il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte in ordine all’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 e 14, uc., è stata assegnata a queste S.U..

Il ministero ha depositato memoria.

Motivi della decisione
1. – Il primo motivo di ricorso principale denuncia l’omesso esame d’un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene parte ricorrente che la Corte d’appello, nell’escludere la decadenza del Ministero ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, per essere stata notificata la contestazione dell’illecito l’8 febbraio 2005 nei confronti della società MTL e, per essa, del suo legale rappresentante M.L., non avrebbe tenuto conto di tre fatti decisivi. E cioè che la notifica è avvenuta presso l’abitazione di M.L. e non presso la sede legale; che la relata indicava essere avvenuta la notificazione a quest’ultimo previa sua identificazione; e che la nullità di tale notificazione alla MTL sarebbe stata ammessa dallo stesso Ministero nel proprio atto d’appello. Fatti da cui, sostiene parte ricorrente, deriverebbe che la notificazione sarebbe avvenuta non alla società ma al suo legale rappresentante in proprio, quale autore materiale della violazione amministrativa.

2. – Il motivo è manifestamente infondato.

Premessa l’applicabilità alla fattispecie, ratione temporis, del testo dell’art. 145 c.p.c., comma 2, anteriore alla modifica apportatavi dalla L. n. 263 del 2005, è sufficiente osservare che in tema di notifiche a società prive di personalità giuridica, qualora non sia stata tentata la notificazione nella sede indicata nell’art. 19 c.p.c., secondo il disposto dell’art. 145, comma 2, la notificazione stessa non può essere eseguita secondo la forma sussidiaria di cui del citato art. 145, u.c. (cioè secondo le disposizioni degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.), ancorchè risulti indicata nell’atto la persona fisica del rappresentante della società, ma può ritualmente avvenire soltanto mediante consegna nelle mani dello stesso rappresentante, ovunque reperito, e non anche nelle mani di persona di famiglia dello stesso (Cass. nn. 1856/84, 8402/00 e 20104/06). E nella specie la notificazione è avvenuta, appunto, a mani proprio del legale rappresentante della MTL. Esclusa la nullità di tale notificazione è esclusa in partenza anche l’astratta proponibilità del ragionamento sillogistico avanzato da parte ricorrente, che da tale – insussistente invalidità intenderebbe dedurre che la contestazione sarebbe riferibile non alla società ma al suo legale rappresentante, quale autore del fatto illecito, il tutto attraverso la commistione concettuale tra l’atto, espressamente indirizzato alla società, e la relativa sua notifica.

3. – Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2943 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte territoriale erroneamente attribuito efficacia interruttiva del decorso della prescrizione quinquennale alla lettera di convocazione del 22 settembre 2009 indirizzata a tale M.A. e non alla MTL. 4. – Il motivo è infondato sotto due profili.

Quanto al primo, va osservato che l’accertamento della decorrenza, interruzione, sospensione della prescrizione costituisce indagine di fatto demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata e congrua motivazione e non inficiata da errori logici o di diritto (Cass. nn. 23821/10, 17157/02, 9016/02, 1710/68 e 2839/66).

Nella specie, la Corte territoriale ha fornito ampia – e dunque non sindacabile – giustificazione delle ragioni in virtù delle quali la lettera di convocazione del 22.9.2009 doveva ritenersi riferita anche alla posizione della MTL, società che insieme con altre era assistita dall’avv. Freda, estensore, a sua volta, di deduzioni difensive anche nell’interesse di M.A.. Sebbene non indirizzata alla MTL, tale missiva, ha osservato la Corte, faceva esplicito riferimento alla convocazione dei titolari di altre posizioni, tutte rappresentate dal medesimo legale, tra cui anche quella il cui identificativo numerico era riferibile alla MTL. Ne deriva che le repliche proposte al riguardo dalla parte ricorrente introducono e pretendono un accertamento di natura puramente fattuale, del tutto incompatibile con i limiti che l’ordinamento assegna al giudizio di legittimità.

Quanto al secondo profilo, si rileva che in base alla costante giurisprudenza di questa Corte il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13).

E nella specie il ricorso non contiene alcuna dimostrazione della presenza, nella sentenza impugnata, di affermazioni che espressamente o implicitamente contrastino con la corretta interpretazione dell’art. 2943 c.c., quale si desume dalla giurisprudenza di questa S.C. 5. – Il terzo mezzo d’impugnazione allega la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 6, 7 e 14, per avere la Corte d’appello escluso che la società odierna ricorrente, coobbligata in via solidale, potesse beneficiare dell’estinzione per l’intervenuta decadenza ex art. 14, u.c., Legge cit., riconosciuta, in favore dell’autrice materiale dell’illecito amministrativo, nel medesimo provvedimento ingiuntivo opposto. Richiama a sostegno Cass. nn. 23871/11 e 3879/12, in base alle quali la responsabilità solidale della società per gli illeciti amministrativi posti in essere dai suoi legali rappresentanti o dipendenti è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore dell’infrazione.

6. – Tale motivo solleva la questione rimessa a queste S.U., che sono chiamate a dirimere il contrasto di giurisprudenza formatosi sull’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, uc..

6.1. – L’interpretazione di tale norma, la quale dispone che l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto, ha dato luogo alla formazione di due distinti indirizzi sulla sorte dell’obbligazione gravante sull’obbligato solidale, allorchè si sia estinta quella a carico del trasgressore (è pacifico, invece, che l’estinzione dell’obbligazione di un responsabile in solido non produca pari effetti estintivi dell’obbligazione gravante sugli altri responsabili solidali: cfr. sentenze nn. 9830/00 e 9557/92).

Secondo un primo orientamento, espresso dalle sentenze nn. 23871/11 e 26387/08, dall’estinzione dell’obbligazione di colui che ha, in concreto, commesso la violazione amministrativa, deriva anche l’estinzione dell’obbligazione a carico del condebitore solidale, dovendosi riconoscere carattere principale all’obbligo incombente sul primo dei due soggetti. Ciò in virtù del rapporto di accessorietà e dipendenza della posizione dell’obbligato solidale rispetto a quella dell’autore materiale e principale della violazione, nei cui confronti il primo non avrebbe potuto esercitare il diritto di regresso previsto dallo stesso art. 6, al comma 4, una volta estintasi nei confronti di lui l’obbligazione sanzionatoria per mancata notificazione.

Ad esito opposto è pervenuta, invece, la sentenza n. 4342/13 (non massimata), secondo cui l’effetto estintivo della pretesa sanzionatoria è limitato, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., al soggetto nei cui confronti non sia stata eseguita la notifica. “In altre parole”, soggiunge tale pronuncia, “l’obbligato solidale per la sanzione amministrativa non equivale a un obbligato solidale nell’ipotesi d’insolvibilità del condannato. Deve dunque riconoscersi l’autonomia della posizione dei due obbligati, in relazione alla quale non esiste un legame necessario tra le due obbligazioni per cui l’una può sussistere anche se l’altra fosse estinta (Cass. S.U. 29.1.1994 n. 890)”.

A sua volta, la questione in esame incrocia il costante orientamento di questa Corte in base al quale il disposto della L. n. 689 del 1981, art. 7 (“l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi”) e quello dell’art. 6, u.c. (per cui l’obbligato solidale che ha pagato “ha diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’autore della violazione”) sono espressione del principio di personalità che governa la responsabilità nell’illecito amministrativo, per cui la morte dell’autore della violazione determina non solo l’intrasmissibilità agli eredi di lui dell’obbligo di pagare la somma dovuta per la sanzione, ma anche l’estinzione dell’obbligazione a carico dell’obbligato solidale. A tale ultimo riguardo, infatti, si afferma che ai sensi dell’art. 6 cit. questi non è un obbligato sussidiario per le ipotesi di insolvibilità del condannato o di pratica difficoltà di identificare l’autore della violazione – in quanto si tratta di obbligazione solidale nell’interesse esclusivo di uno solo degli obbligati, senza alcun riparto nei rapporti interni, a norma dell’art. 1298 c.c. – e neppure si può configurare, a suo carico, una responsabilità diretta per culpa in eligendo o in vigilando. Nell’affrontare l’obiezione che fa leva sulla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., detta giurisprudenza rileva la profonda distinzione tra la causa estintiva prevista dall’art. 7 e quella indicata nell’art. 14. Mentre, nella prima, la morte incide sull’illecito, facendolo venir meno a causa del carattere personale della responsabilità amministrativa disciplinata dalla L. n. 689 del 1981, nella seconda l’illecito permane, venendo meno soltanto la possibilità per la P.A. di applicare la sanzione, a causa di un ostacolo procedimentale di essenziale rilievo (perchè attinente all’esercizio del diritto di difesa) (così, in particolare, la sentenza n. 2064/94, la quale tuttavia non coglie la contraddizione tra la propria precedente affermazione, per cui l’obbligazione solidale sarebbe di tipo dipendente ex art. 1298 c.c., e la successiva conclusione raggiunta interpretando l’art. 14, u.c., nel senso della permanenza della responsabilità del coobbligato solidale nonostante si sia estinta l’obbligazione del trasgressore; in senso conforme, v. le sentenze nn. 5717/11, 1193/08, 2501/00 e 3245/97).

La conseguenza (sempre secondo Cass. n. 2064/94) è che, a differenza del caso di morte del trasgressore, nell’ipotesi contemplata dell’art. 14 cit., u.c., l’obbligato solidale che ha pagato la sanzione ha diritto di regresso per l’intero contro l’autore della violazione, il quale, ovviamente, potrà, nel relativo giudizio, sostenere la propria assenza di responsabilità in ordine alla violazione, determinando un accertamento giudiziale incidenter tamtum sul punto e con effetti solo nei rapporti interni (e non anche rispetto all’Amministrazione).

6.2. – Queste Sezioni Unite si sono occupate della solidarietà passiva nell’ambito dell’illecito amministrativo con la sentenza n. 890/94 (preceduta dalla n. 4405/91 della prima sezione civile), allorchè hanno affermato che l’identificazione del trasgressore non è un requisito di legittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato solidale, ancorchè necessaria per esperire l’azione di regresso della L. n. 689 del 1981, ex art. 6, ovvero ai fini della prova della violazione nel giudizio di opposizione o della valutazione della motivazione del provvedimento sanzionatorio o, infine, della contestazione dei presupposti della solidarietà, in relazione ai rapporti fra il trasgressore ed il coobbligato.

In tale occasione le S.U., riprendendo le motivazioni del parere del Consiglio di Stato n. 1523 del 1987, hanno precisato: a) che l’assoggettamento a sanzione dell’obbligato solidale (sia esso una persona fisica come l’imprenditore individuale o un soggetto collettivo) non presuppone necessariamente l’identificazione dell’autore della violazione alla quale la sanzione stessa si riferisce; b) che l’autonomia delle posizioni dei due obbligati si desume chiaramente dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c.; c) che dunque non vi è un legame necessario tra le due obbligazioni, l’una potendo sussistere anche se l’altra si è estinta; d) che, pertanto, l’identificazione dell’autore del fatto può assumere eventualmente carattere di necessità solo per finalità di ordine probatorio; e) che la previsione dell’azione di regresso di cui della L. n. 689 del 1991, art. 6, u.c., è autonoma rispetto alla responsabilità per la sanzione amministrativa e l’eventualità che ne Sia impossibile l’esercizio non può far venire meno l’obbligazione del debitore solidale.

Granitica, ne è scaturita la giurisprudenza successiva, la quale ha riaffermato che l’identificazione e l’indicazione dell’autore materiale della violazione non costituiscono requisito di legittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato solidale, in quanto la ratio della responsabilità di quest’ultimo non è quella di far fronte a situazioni d’insolvenza del trasgressore, bensì quella di evitare che l’illecito resti impunito quando sia impossibile identificare tale ultimo soggetto e sia, invece, facilmente identificabile l’obbligato solidale a norma della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1 (v. sentenze nn. 145/15, 11643/10, 24573/06, 2780/04, 4725/04, 18389/03, 7909/02, 357/00, 19861988/97, 1979-1982/97, 1969-1977/97, 1960/97, 1402/97, 1114/97, 590-606/97, 558-573/97 e 172/97).

6.3. – Ne risulta – occasionato dalle diverse e interagenti questioni sul tappeto – un quadro giurisprudenziale composito nelle premesse d’ordine sistematico e nelle soluzioni fornite, che trova riscontro nelle discordanti opinioni di dottrina sulla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c..

Secondo alcuni autori, infatti, detta norma si riferirebbe soltanto all’ipotesi di responsabilità correale o di mancata notificazione nei confronti del responsabile in solido; con la conseguenza che l’omessa contestazione o notificazione nei confronti dell’obbligato in via principale precluderebbe l’accertamento dell’illecito amministrativo anche nei confronti dell’obbligato solidale.

Altri motiva la soluzione opposta in considerazione del fatto che, diversamente, resterebbero non sanzionabili le violazioni commesse da un autore rimasto ignoto; e che l’obbligazione del responsabile solidale dipende non dalle sorti dell’obbligazione principale, ma dalla stessa commissione del fatto illecito.

In ogni caso, entrambe le posizioni avvertono come imprescindibile il coordinamento dell’art. 14, u.c., con la L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c.. Ipotizzata la sopravvivenza dell’obbligazione del responsabile in solido, nonostante l’estinzione di quella gravante sull’autore dell’illecito per mancata contestazione e tardiva od omessa notificazione, l’azione di regresso è ritenuta autonoma, fondata su di un normale rapporto di diritto privato e, dunque, esperibile nonostante il trasgressore resti liberato verso la P.A. Viceversa, nell’ambito della tesi che considera di natura dipendente l’obbligazione del responsabile solidale, assunta l’impossibilità del regresso per effetto dell’estinzione dell’obbligazione principale, se ne trae argomento per concludere che anche il responsabile in solido debba restare esentato dal pagamento della somma dovuta a titolo di sanzione.

6.4. – Regresso per l’intero ed estinzione dell’obbligazione del responsabile non destinatario di tempestiva notificazione – scilicet, della L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c. e art. 14, u.c. – costituiscono, pertanto, le due polarità (come tali dotate di cariche opposte) entro cui operano le alternative ricostruzioni sistematiche.

La prima muove dall’inquadramento del regresso, in quanto previsto per l’intero, nell’ambito della previsione dell’inciso finale dell’art. 1298 c.c., comma 1, che istituisce il nesso tra le due obbligazioni, principaliter e in via solidale, in chiave di accessorietà-dipendenza. Così allineata, la solidarietà di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6, al di là della ratio sottesa all’individuazione normativa delle categorie dei responsabili solidali, esprime soltanto il rafforzamento del credito dell’amministrazione sanzionante in un’ottica di pura garanzia. Benchè innestata in un ambito pubblicistico mirato alla sanzione, e dunque a finalità di tipo afflittivo, la solidarietà nell’illecito amministrativo opera, secondo tale impostazione, in senso dichiaratamente e interamente privatistico attraverso il diritto di regresso. Ne deriva di necessità la perdita di tale garanzia ove l’obbligazione del responsabile dell’illecito si sia estinta ai sensi dell’art. 14, u.c., detta legge, essendo quella del responsabile solidale ex art. 6 un’obbligazione dipendente, benchè non assistita nè da clausola di sussidiarietà nè da beneficio di escussione. Ulteriore corollario, la possibilità per l’obbligato principaliter evocato in regresso di far valere contro il solvens responsabile in solido l’eccezione di estinzione della propria obbligazione, in base alla piana applicazione dell’art. 1203 c.c., n. 3 (sul regresso ex art. 1299 c.c., quale fattispecie di surrogazione legale, con la conseguenza che al condebitore che ha pagato il debito comune sono opponibili non solo le eccezioni relative al rapporto interno di solidarietà, ma anche quelle opponibili al creditore, relativamente a limitazioni, decadenze e prescrizioni inerenti al diritto che ha formato oggetto di surrogazione, cfr. Cass. nn. 7217/09, 4507/01, 1818/81, 1744/72 e 1952/71).

La seconda opzione procede in senso inverso. L’espressa limitazione dell’effetto estintivo dell’obbligazione al solo soggetto nei cui confronti sia mancata la notifica tempestiva, è indice di una duplicità e dunque di un’autonomia di livelli: pubblicistico nel rapporto tra obbligato principaliter, obbligato in via solidale e P.A.; privatistico in quello intercedente tra i primi due nel caso di avvenuto pagamento da parte dell’obbligato solidale. Nel quale ultimo rapporto interno permane, intatto, il diritto di regresso per l’intero del solvens, a nulla rilevando, proprio in virtù di detta autonomia, la circostanza che l’obbligato in via principale sia esente da responsabilità verso l’Amministrazione. L’estinzione dell’obbligazione di quest’ultimo resta così vanificata quoad effectum, ma solo dal punto di vista economico e in linea eventuale, sempre che il regresso stesso non sia obbligatorio per legge.

6.4.1. – Meno sostenibile (e in effetti non riscontrata nè in dottrina nè nella giurisprudenza di questa Corte) l’ipotesi terza e mediana, in base alla quale pur restando in vita l’obbligazione verso la P.A. del responsabile solidale nonostante l’estinzione dell’obbligazione gravante sull’autore dell’illecito amministrativo, il primo perderebbe l’azione di regresso verso il secondo.

Vi si oppongono diverse considerazioni. In linea generale, rispetto alla solidarietà passiva il regresso costituisce (secondo la migliore e più recente dottrina) un profilo fondante e non già un accessorio della disciplina, e dunque non pare possibile prescinderne.

Intuitive ragioni di equità interpretativa, poi, escludono che il diritto di agire in regresso possa venir meno per un mero accidente – la mancata o intempestiva notificazione al trasgressore – per di più ascrivibile alla condotta della stessa P.A. creditrice. Nè ipotizzare un regime di eccezione per il caso di colpa di quest’ultima o almeno una più limitata exceptio doli generalis varrebbe a ricomporre il sistema. Dipendendo da tali (pur ragionevoli) correttivi pretori, questo ne risulterebbe eccessivamente in debito per potersi imporre quale soluzione auto-verificabile. Non senza osservare che il meccanismo di accertamento della responsabilità del coobbligato solidale ne risulterebbe appesantito, aprendosi alla possibilità di defatiganti questioni preliminari sull’adeguatezza del comportamento degli uffici pubblici.

Ancora, una cosa è la concreta efficacia del regresso, omogenea alla solidarietà quale tecnica di deviazione del rischio d’insolvenza, altra ne è l’esclusione de iure per fatto non imputabile all’obbligato solidale. Allocategli le conseguenze dell’illecito amministrativo senza possibilità di rivalsa interna, questi verrebbe ad essere parificato all’obbligato in via principale; ma a differenza di lui non avrebbe la possibilità di provare l’assenza di (una propria) colpa, restando tenuto alle più gravose condizioni di cui ai primi tre commi della L. n. 689 del 1981, art. 6. Il che esporrebbe una siffatta ricostruzione a fondati dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo dell’art. 3 Cost..

Nè varrebbe replicare che anche l’obbligato in solido può confutare l’esistenza dell’illecito sotto ogni profilo, oggettivo e soggettivo. Non altrimenti bilanciata sul piano sostanziale mediante l’attribuzione del regresso per l’intero, la minore vicinanza alla prova del responsabile in solido rispetto all’autore dell’illecito segnalerebbe una recessione di difesa, anch’essa di dubbia legittimità in base all’art. 24 Cost..

Inoltre, il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 12, comma 1 (codice delle assicurazioni private), vietando le assicurazioni che abbiano ad oggetto il trasferimento del rischio di pagamento delle sanzioni amministrative, suggerisce che neppure all’Amministrazione sia dato dirottarne irretrattabilmente e in maniera potestativa il peso economico.

Infine, nessuna delle (pur diverse) premesse sistemiche delle tesi sopra richiamate sarebbe compatibile con soluzioni terze, che ammettessero come possibile la responsabilità in solido deprivata della valvola del regresso. Infatti, l’obbligazione solidale dipendente presuppone, inalienabile, il regresso per l’intero; e per contro, l’autonomia dei due livelli di rapporto sterilizza la propagazione effettuale dell’uno (P.A./responsabile in via principale) all’altro (responsabile solidale/autore dell’illecito), e dunque l’estinzione del primo rapporto, operante a livello pubblicistico, non sarebbe argomento spendibile per dimostrare l’estinzione (anche) del secondo, rilevante a livello privatistico.

7. – Questi essendo i termini essenziali del contrasto, la conferma dell’indirizzo seguito dalle S.U. del 1994 procede attraverso alcune puntualizzazioni in chiave sistematica.

In quell’occasione le S.U., chiamate a risolvere la questione della permanenza o non della responsabilità solidale nel caso in cui l’autore dell’illecito amministrativo fosse rimasto ignoto, istituirono un nesso tra l’autonomia delle due obbligazioni (in via principale e in via solidale) e la conclusione affermativa. Nesso che, però, a ben vedere è tutt’altro che coessenziale alla soluzione raggiunta, ove si consideri che anche nell’illecito di diritto civile la solidarietà non richiede affatto che tutti gli obbligati siano noti (cfr. in motivazione Cass. n. 3630/04). Conclusione, questa, del tutto pacifica che a sua volta non richiede di aderire alla tesi per cui l’obbligazione solidale consta di una pluralità di rapporti obbligatori individuali. Il che suggerisce di non postulare, ma di verificare ed eventualmente fondare altrimenti la ridetta autonomia.

L’affermazione più durevole di S.U. n. 890/94, da allora in poi riprodotta costantemente nella giurisprudenza delle sezioni semplici, è che la ratio della responsabilità solidale L. n. 689 del 1981, ex art. 6, non è quella di far fronte a situazioni d’insolvenza dell’autore della trasgressione, bensì di evitare che l’illecito resti impunito. Detta asserzione, la quale attrae la responsabilità in solido L. n. 689 del 1981, ex art. 6, verso un orizzonte di tipo punitivo-repressivo che fa premio sulla pura esigenza di garanzia, è in sè esatta perchè segna la distanza con le omologhe previsioni degli artt. 196 e 197 c.p. (o della L. n. 4 del 1929, artt. 9 e 10), che contemplano un’obbligazione sostitutiva solo “in caso di insolvibilità del condannato”; ma la sua enunciazione, o meglio quanto ordinariamente se ne è dedotto, si presta ad un possibile equivoco.

Dall’art. 1293 c.c., in base al quale la solidarietà passiva non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse, si desume anche l’ovvia proposizione reciproca per cui l’assenza di modalità distinte, a sua volta, non esclude la solidarietà. E allora affermare che la previsione dell’art. 6 cit. non mira a rimediare all’insolvenza del responsabile principale, non vuol dire ancora nulla sulla possibilità di declinare al singolare o al plurale il rapporto obbligatorio dei vari soggetti responsabili, e di trarre conclusioni sul tema in oggetto.

Piuttosto, è vero che la solidarietà ex art. 6 cit. opera per facilitare la riscossione a prescindere dall’effettiva insolvenza dell’obbligato principale, e che la P.A. ha il potere di rivolgersi direttamente ed esclusivamente al terzo obbligato in solido, ove lo ritenga maggiormente e più facilmente solvibile, e di sanzionare lui soltanto a sua insindacabile scelta. Ragion per cui deve escludersi che la L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 2, imponga di irrogare la sanzione congiuntamente al trasgressore e ai coobbligati solidali.

Detto principio è ben espresso da Cass. nn. 4342/13, 4688/09, 23783/04 e 1144/98, in base alle quali il vincolo intercorrente tra l’autore materiale della violazione e la persona giuridica di cui è prevista la responsabilità solidale consente all’autorità amministrativa competente di agire contro ambedue gli obbligati oppure contro uno o l’altro, ferma restando la necessità che il soggetto in concreto chiamato a rispondere si sia visto contestare o notificare la violazione, così da essere in grado di far pervenire alla P.A. ogni possibile deduzione difensiva.

Coerente a ciò è quanto chiarito da Cass. nn. 7884/11, 16661/07 e 10798/98, secondo cui il vincolo che intercede, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, tra l’autore materiale della violazione e la persona giuridica di cui è prevista la responsabilità solidale, assume rilevanza nel solo caso in cui l’Amministrazione se ne avvalga in concreto (irrogando la sanzione anche al corresponsabile in solido), e non quando la contestazione risulti mossa nei confronti del solo autore materiale. A quest’ultimo, pertanto, non è riconosciuto alcun interesse a rappresentare, in sede di opposizione all’ordinanza ingiunzione, la mancata contestazione (anche) al coobbligato solidale. Infatti, l’effetto estintivo della pretesa sanzionatoria è limitato al soggetto nei cui confronti non è stata eseguita la notifica (L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c.).

Altrettanto consequenziale e del tutto pacifico è che legittimato ad opporsi all’ordinanza d’ingiunzione sia il solo soggetto contro cui è emesso il provvedimento. Così, è stato affermato che il conducente del veicolo col quale sia stata commessa l’infrazione al codice della strada non è legittimato ad opporsi all’ingiunzione emessa soltanto a carico del proprietario del mezzo, responsabile in solido della violazione, trovando, in questo caso, la legittimazione a ricorrere fondamento nell’esistenza di un interesse giuridico alla rimozione di un atto del quale il ricorrente sia destinatario, mentre il fatto di essere esposto ad una eventuale azione di regresso integra un semplice interesse di fatto (Cass. nn. 18474/05 e 6549/93; in senso analogo, in materia di sanzione irrogata dall’allora Ministero del Tesoro su proposta della Consob, Cass. nn. 5139/07 e 23783/04; v. ancora, in altre materie, Cass. nn. 17617/11, 14098/06, 10681/06, 19284/05, 11763/04, 13283/03, 12240/03, 15830/02, 16154/01, 14635/01, 13588/01, 3543/98, 2816/98, 1910/98, 12515/97, 7718/97, 5833/97, 6573/96 e 1318/92).

Ma – il punto è da precisare – l’autonomia delle posizioni dei soggetti a vario titolo responsabili non vuol dire che la stessa P.A. non debba procedere nei confronti di tutti, come si desume inequivocabilmente dai primi due commi dello stesso art. 14 sulla contestazione immediata o sulla notificazione, che devono avvenire nei confronti dei trasgressori e dei coobbligati solidali; il che conferma il generale principio di obbligatorietà dell’azione contro tutti i responsabili (direttamente desumibile, a sua volta, dai principi costituzionali di uguaglianza, buon andamento della pubblica amministrazione e doverosità della funzione pubblica).

Se dunque la P.A. deve procedere congiuntamente entro il termine di decadenza di cui all’art. 14, comma 2, contro tutti i soggetti obbligati che le siano noti, ma poi può sanzionare isolatamente entro il termine di prescrizione fissato dall’art. 28 solo alcuni di loro a sua libera scelta, vuol dire che il rapporto sanzionatorio non è unitario (nel senso di inscindibile), ma è declinabile al plurale come in ogni caso di solidarietà (e in tal senso depongono, del resto, i precedenti di S.U. n. 20935/09 e nn. 18075/04, 5833/97, 6573/96 e 1318/92, che escludono ogni ipotesi di litisconsorzio necessario; contra la sola n. 415/98).

8. – Sebbene coessenziale al funzionamento di tale responsabilità in solido, il regresso per l’intero previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c., non appare elemento sufficiente a inclinare verso una ricostruzione dell’obbligo, gravante sui responsabili solidali, in chiave di accessorietà-dipendenza rispetto all’obbligazione del trasgressore.

La responsabilità solidale in tema di illecito amministrativo è tutt’altro che nuova nell’ordinamento. Quella della persona rivestita di autorità o incaricata della direzione o della vigilanza nonchè delle persone giuridiche private per le violazioni commesse dal rappresentante, dall’amministratore o dal dipendente era già contemplata della L. n. 4 del 1929, art. 12 (sulla repressione delle violazioni finanziarie) e della L. n. 706 del 1975, art. 3, comma 2 (sul sistema sanzionatorio delle norme che prevedono contravvenzioni punibili con l’ammenda); così la responsabilità del proprietario del veicolo era prevista sia della L. n. 317 del 1967, art. 3, comma 1 (recante modificazioni al sistema sanzionatorio delle norme in tema di circolazione stradale e delle norme dei regolamenti locali), sia della L. n. 706 del 1975 (riferendosi, quest’ultima, al più generico concetto di “cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione”). Ed ulteriori ipotesi di solidarietà erano e sono previste, poi, in materia tributaria e dal codice della strada.

Ciò che in passato restava non disciplinato era il regresso per l’intero, su cui tali precedenti, pur senza minimamente escluderlo, nulla disponevano.

La non parziarietà dell’obbligazione nel rapporto interno fra il trasgressore e il corresponsabile solidale, rapporto che sorge se ed in quanto quest’ultimo abbia pagato la somma dovuta a titolo di sanzione, non basta a ricondurre la fattispecie all’inciso finale dell’art. 1298 c.c., comma 1 e ad innescare la relativa deduzione sillogistica sulla natura dipendente di tale solidarietà. Infatti, l’obbligazione ex art. 6 non è contratta nell’interesse dell’autore della violazione o di qualsivoglia altro consorte (come avviene nelle ipotesi di garanzia fideiussoria, generalmente richiamata nel commentare l’ultimo inciso dell’art. 1298 c.c., comma 1, garanzia che sebbene negoziata con il creditore è pur sempre funzionale all’interesse del debitore principale, che diversamente non potrebbe accedere al credito). Tale obbligazione, invece, è prevista ex lege nel solo ed esclusivo interesse della P.A. creditrice, al duplice scopo di agevolare la riscossione della somma dovuta e di evitare che l’illecito resti impunito (interessi, questi ultimi, che evidentemente non sono riferibili al trasgressore).

Il regresso per l’intero, dunque, nell’assolvere la sua funzione di allocare definitivamente il peso economico della sanzione sull’autore del fatto illecito, e di definire così gli effetti delle due responsabilità, quella in via principale e quella in via solidale, nulla predica sulla natura, dipendente o autonoma, dell’obbligazione solidale nel rapporto esterno con l’Amministrazione.

Pressochè nullo, poi, è l’apporto derivante dai casi di obbligatorietà del regresso.

Già previsto nel settore bancario e in quello dell’intermediazione finanziaria, rispettivamente, dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145, comma 10 e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9, l’obbligatorietà del regresso è stata abrogata dal D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 1, comma 53, lett. n). Essa permane, tuttavia, in base dello stesso D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, comma 4, per le violazioni commesse dai consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede; sicchè, in definitiva, si è in presenza di una disciplina troppo discontinua, disorganica e dipendente dall’interferenza di altri fattori (la tutela dei soci o dei risparmiatori) per offrirsi a considerazioni di carattere generale.

Se ne deve concludere che, quantunque stabilito per l’intero e coessenziale alla tenuta stessa del sistema, il regresso operi ad un livello esclusivamente privatistico di riequilibrio interno, che non comunicando con quello di rilevanza pubblicistica concernente il rapporto obbligatorio tra l’Amministrazione e tutti i suoi debitori per effetto della violazione commessa, non autorizza illazioni sulla natura dipendente o autonoma della solidarietà di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6.

Non senza osservare, benchè l’argomento non possa certo accreditarsi come decisivo, che la L. n. 689 del 1981 (così come la L. n. 317 del 1967 e L. n. 706 del 1975) non qualifica l’obbligazione di pagamento della sanzione come obbligazione di “carattere civile”, al contrario di quanto invece stabilivano della L. n. 4 del 1929, art. 3, cpv. e art. 5, comma 3. E dunque almeno ciò è lecito chiosare – nulla si frappone alla possibilità di valorizzare all’interno del rapporto obbligatorio con l’Amministrazione aspetti propriamente pubblicistici.

8.1 – A differenza di quanto si è appena visto per la L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c., l’art. 14, u.c., stessa legge trova perfetta corrispondenza testuale nei precedenti della L. n. 317 del 1967, art. 7, comma 3 e della L. n. 706 del 1975, art. 6, comma 3. Applicando il criterio interpretativo c.d. del legislatore consapevole (id est, la clausola generale esclusiva), la lettera di tale (iterata) disposizione dovrebbe intendersi nel senso di escludere l’effetto estintivo per tutti i soggetti coobbligati, in via principale o solidale, nei cui confronti la notificazione sia invece avvenuta nel termine di legge.

Vi sarebbe, a ben vedere, un’isolata previsione legislativa di pari significato nel D.Lgs. n. 231 del 2007, in materia di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, di recente modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2017. L’art. 65, comma 10, come appena sostituito, stabilisce che, in relazione alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dagli artt. 58 e 63 del medesimo decreto, la responsabilità solidale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6, sussiste anche quando l’autore della violazione non è univocamente identificabile, ovvero quando lo stesso non è più perseguibile ai sensi della legge medesima. Tuttavia tale disposizione non vale per le sanzioni previste per i restanti illeciti contemplati dallo stesso D.Lgs., per cui appare arduo attribuirvi una portata generale e un’efficacia risolutiva. Salvo osservare che l’ipotesi di un’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., nel senso della permanenza dell’obbligazione di garanzia, trova, se non una conferma, almeno una sponda legislativa.

8.1.1. – Inappagante il solo dato letterale delle norme in materia, è dunque ancor più necessario ricercare l’orizzonte di senso entro cui opera il sistema.

Una prima, pur ovvia considerazione, è che l’individuazione delle categorie di soggetti responsabili in solido non è neutra, ma esprime un giudizio legislativo di disvalore operato nell’area intermedia tra correalità ed estraneità al fatto. Similmente a quanto avviene nell’ambito della responsabilità civile c.d. aggravata, anche in quella in esame è la relazione con la res adoperata o col soggetto danneggiante a fondare l’attribuzione della responsabilità solidale. Assistita dal regresso per l’intero, quest’ultima assicura, ad un tempo, che la repressione sia agevolata e che i relativi effetti economici ricadano in via definitiva sull’autore del fatto.

Eppure è innegabile che lo strumento dell’obbligazione solidale, per quanto di risalente e consolidata applicazione in materia, appaia prima facie spurio all’interno di un sistema sanzionatorio basato sul principio di personalità. Sistema che comunque opera in maniera dissonante rispetto alle regole civilistiche degli artt. 1292 e segg. e art. 2055 c.c. sulla solidarietà passiva, sol che si consideri che tra più autori del medesimo illecito amministrativo non vi è neppure rapporto interno, sia perchè ciascun concorrente soggiace all’intera sanzione, sia perchè il pagamento da parte di uno non estingue l’obbligazione degli altri (cfr. Cass. nn. 2088/00 e 18365/06).

La previsione di soggetti obbligati in solido ma non in via succedanea costituisce una scelta intermedia tra correalità e mera garanzia. Tant’è che – è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte – conseguenze precipuamente sanzionatorie, come il fermo amministrativo e la confisca, permangono a carico definitivo non del trasgressore, ma dell’obbligato solidale proprietario della res servita o destinata a commettere la violazione (cfr. per un caso di confisca a danno dell’obbligato solidale la sentenza n. 17398/08; v. anche la n. 7666/97, che pure afferma espressamente che destinatari delle sanzioni amministrative accessorie sono anche i soggetti obbligati in solido a norma della L. n. 689 del 1981, art. 6). Segno che anche l’obbligato in solido può soggiacere ad una propria, ancorchè accessoria, sanzione, pur essendo altri l’autore dell’illecito amministrativo. Un’ottica, quest’ultima, che sia pure in larga approssimazione potrebbe definirsi “plurisanzionatoria”.

Inoltre, in tutte le ipotesi previste dai primi tre commi della L. n. 689 del 1981, art. 6, fra il trasgressore e la persona fisica o giuridica con lui obbligata in solido intercorre un nesso che può essere più o meno stretto, coinvolgere rapporti di lavoro o assetti societari ed essere tale, comunque, da rendere il momento sanzionatorio parimenti (anche se non ugualmente) afflittivo per tutti i coobbligati a prescindere dall’an e dal quo modo del regresso. Che per plurime ed ottime ragioni può anche mancare del tutto (salvo le ipotesi residuali di regresso obbligatorio).

L’effettiva collocazione finale del peso economico della sanzione dipende da variabili che l’ordinamento non può nè ha interesse di regola a controllare nel concreto. Ciò che, invece, esso ha interesse a mantenere ferma è la possibilità del regresso, senza la quale lo strumento della solidarietà risulterebbe insanabilmente alterato nei suoi stessi presupposti.

Oltre e più che rafforzare il credito in funzione recuperatoria della somma dovuta dall’autore del fatto, il meccanismo della solidarietà, dunque, mostra oggettivamente di irrobustire la capacità reattiva e afflittiva del sistema sanzionatorio, sì da amplificarne l’efficacia deterrente (cfr. le sentenze nn. 3879/12 e 12264/07, le quali, pur affermando che la responsabilità solidale per gli illeciti commessi dai legali rappresentanti o dipendenti delle società è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione, ammettono che essa risponda anche alla finalità “di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui).

Attraverso forme estese di responsabilità aggravata (fino al limite estremo della responsabilità oggettiva prevista dell’art. 6, comma 3), il sistema mira a dissuadere quelle condotte (in vigilando o in eligendo) che possano agevolare la violazione delle norme amministrative. Il principio di personalità non ne risulta nè contraddetto nè attenuato, ma certamente ricondotto alla sua reale e naturale funzione garantistica, che non esclude la visione dell’illecito come fatto di rilevanza sociale piuttosto che quale mero episodio della vita del singolo.

Conclusione, quest’ultima, che appare coerente alle linee evolutive del più generale settore della responsabilità, che ormai ammette forme di incidenza diretta anche sugli enti collettivi (si pensi alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001).

Se dunque all’interno del sistema dell’illecito amministrativo la solidarietà non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche e soprattutto uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione, l’obbligazione del corresponsabile solidale possiede una propria indubbia autonomia; e non dipendendo da quella principale, non si estingue con questa.

Ne deriva un’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., del tutto coerente alla sua lettera, che limita l’effetto estintivo alla sola obbligazione del soggetto nei cui confronti sia stata omessa la notificazione tempestiva. E si conferma la tesi che distingue tra loro, rendendoli non comunicanti, i due livelli di operatività del rapporto, quello pubblicistico necessario tra l’Amministrazione e tutti i soggetti oblati, e quello privatistico eventuale, nel quale attraverso l’azione di regresso si trasferisce l’aggravio economico della sanzione principale sul trasgressore. Con la conseguenza che il regresso a favore del solvens già obbligato solidalmente, non inquadrandosi nello schema della surrogazione legale ex art. 1203 c.c., n. 3, ma derivando da un’espressa norma coessenziale alla tenuta del sistema della responsabilità amministrativa, opera al riparo dall’eccezione di estinzione per mancata notifica nel termine di legge, rilevante solo nel primo dei suddetti rapporti.

9. – Tale soluzione, che esclude l’ipotesi d’una solidarietà di tipo dipendente e lascia in vita il regresso nonostante l’estinzione dell’obbligazione del responsabile in via principale, non costituisce una dissimmetria rispetto all’indirizzo costante seguito da questa Corte per il caso, solo apparentemente simile, della morte del trasgressore avvenuta prima del pagamento della sanzione.

Nel nostro ordinamento l’illecito amministrativo nasce e si struttura nella sua autonomia mediante successive leggi di depenalizzazione di omologhe fattispecie di reato. La norma della L. n. 689 del 1981, art. 7, in base alla quale l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi, era presente tal quale nei rispettivi della L. n. 317 del 1967, art. 4 e L. n. 706 del 1975, e si coordina oggi con il principio della natura personale della responsabilità amministrativa (L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1), al pari e a somiglianza di quella penale (art. 27 Cost., comma 1). Ed è stata poi richiamata nei rispettivi del D.P.R. n. 454 del 1987, art. 23, comma 1 e D.P.R. n. 148 del 1988, in materia valutaria.

Da ciò la giurisprudenza di questa Corte ha tratto che tale principio si rende applicabile a tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale, e trova la sua ragione giustificativa nel carattere afflittivo di tali sanzioni che le riconduce all’ambito del diritto punitivo, accentuandone quindi – la stretta inerenza alla persona del trasgressore (così la sentenza n. 10823/96; conformi, le nn. 7515/96 e 12853/97).

Dunque, la morte dell’autore della violazione determina, in base ad una libera e risalente scelta di politica legislativa, il venir meno in radice dell’interesse dello Stato ad accertare la responsabilità stessa e ad applicare il relativo trattamento sanzionatorio. Ciò che in tal caso si estingue è lo stesso illecito, al pari dell’estinzione del reato prevista dall’art. 150 c.p., nell’ipotesi di morte del reo prima della condanna. Di riflesso, viene meno l’intero apparato “plurisanzionatorio” di cui si è appena detto, ormai privo della sua primigenia e fondativa giustificazione.

Ma al di là del distinguo appena proposto tra estinzione dell’illecito ed estinzione del relativo trattamento sanzionatorio (che pure potrebbe legittimamente criticarsi per il fatto che sia l’art. 7, sia la L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., parlano solo e allo stesso modo della “obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione”), il venir meno anche della responsabilità solidale nel caso di morte del trasgressore deriva ineluttabilmente dalla circostanza che, comunque, il regresso non potrebbe più essere esercitato. Ammetterne la conservazione verso gli eredi contraddirebbe l’esplicita esclusione dell’obbligazione di pagamento dal fenomeno successorio, non ipotizzabile a corrente alternata e a seconda della persona del creditore (e tenuto ulteriormente conto del fatto che il regresso, come si è innanzi detto, riguarda l’aspetto privatistico della sequenza obbligatoria generata dalla commissione dell’illecito).

Ben diverso, invece, è il caso in cui la morte dell’autore del fatto non preceda ma segua temporalmente il pagamento della sanzione da parte del coobbligato solidale. In tal caso, al momento dell’apertura della successione si è già estinta l’obbligazione verso la P.A., con il che la stessa applicabilità della L. n. 689 del 1981, art. 7, non è più revocabile in ipotesi; ed è già entrata a far parte del patrimonio ereditario del trasgressore la soggezione di lui al potere di regresso del solvens. E dunque più nulla si frappone al fenomeno successorio.

10. – Sulla base di quanto fin qui considerato si enuncia il seguente principio di diritto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1: “all’interno del sistema dell’illecito amministrativo la solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione. Pertanto, l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale, per cui, non dipendendone, essa non viene meno nell’ipotesi in cui quest’ultima, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c. si estingua per mancata tempestiva notificazione; con l’ulteriore conseguenza che l’obbligato solidale che abbia pagato la sanzione conserva l’azione di regresso per l’intero, ai sensi del citato art. 6, u.c., verso l’autore della violazione, il quale non può eccepire, all’interno di tale ultimo rapporto che è invece di sola rilevanza privatistica l’estinzione del suo obbligo verso l’Amministrazione”.

11. – Il quarto motivo denuncia l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra la parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, relativamente alla prova delle violazioni, non avendo la Corte territoriale considerato che non sono stati acquisiti agli atti i libri sociali e i registri informatici, e che la prima nota di cassa, su cui si fonda il verbale della polizia tributaria, non costituisce scrittura obbligatoria e non contiene la prova della violazione contestata.

12. – Il motivo è infondato.

Ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, costituisce motivo di ricorso per cassazione l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale riformulazione della norma, com’è noto, è stata interpretata da queste S.U. nel senso: a) che l’omesso esame deve avere ad oggetto un “fatto storico”, non un punto o una questione; e b) che il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v. sentenza n. 8053/14).

Sempre queste S.U. hanno poi ulteriormente precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così, in motivazione, la sentenza n. 19881/14).

Ne consegue che in sede di legittimità non è data ora (come del resto non era altrimenti data allora, vigente il testo precedente dell’art. 360 c.p.c., n. 5) la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un “fatto storico”, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete.

12.1. – Nello specifico, costituisce una mera torsione verbale qualificare come “fatto storico”, il cui esame sarebbe stato omesso, la mancata considerazione di ciò, che le operazioni contestate non integrerebbero un trasferimento di denaro contante, non potendo la relativa prova trarsi delle “prime note cassa”, che non costituiscono scritture contabili obbligatorie. Si tratta, ad evidenza, di una critica mossa proprio e solo alla valutazione della prova del fatto storico, decisivo e discusso, dell’avvenuto trasferimento di denaro contante tramite la Cassa Arianese di Mutualità; sicchè non è stato omesso alcun esame del fatto, ma quest’ultimo è stato semplicemente apprezzato in maniera opposta alle aspettative della parte odierna ricorrente.

13. – Il quinto motivo espone la violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, art. 4, commi 1 e 2 e art. 6, commi 1 e 4-bis, in relazione al disposto di cui all’art. 106 Testo Unico Bancario. Si sostiene che la Cassa Arianese di Mutualità rientrava tra i soggetti potenzialmente abilitati ad effettuare le operazioni oggetto di contestazione, in quanto (1) svolgente in prevalenza attività di concessione di finanziamenti e (2) iscritta nell’apposito elenco tenuto dal(l’allora) Ministero del Tesoro ai sensi dell’art. 6, comma 1, di detta legge.

14. – Anche tale motivo non ha pregio.

Ai sensi del D.L. n. 143 del 1991, convertito in L. n. 197 del 1991, applicabile alla fattispecie ratione temporis, le operazioni di trasferimento di denaro contante possono essere effettuate unicamente dai soggetti abilitati ex lege ai sensi dell’art. 4, comma 1 stesso D.L., ovvero per effetto di un apposito provvedimento amministrativo dell'(allora) Ministro del Tesoro, ricorrendo, in quest’ultimo caso i requisiti indicati nel comma 2 di detto articolo.

Il fatto che l’art. 6, comma 1, detto D.L. preveda che l’esercizio in via prevalente di una o più delle attività di cui all’art. 4, comma 2, sia riservato agli intermediari iscritti in apposito elenco tenuto dal Ministro del tesoro, che si avvale dell’Ufficio italiano dei cambi, il quale dà comunicazione dell’iscrizione alla Banca d’Italia e alla CONSOB; e che il comma 4-bis dello stesso art. 6 consenta agli intermediari di cui ai commi 2 e 2-bis esercenti l’attività alla data di entrata in vigore del decreto di continuare ad esercitarla a condizione che ne diano comunicazione all’Ufficio italiano dei cambi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, non elide, contrariamente a quanto opina parte ricorrente, la necessità del provvedimento di abilitazione. Al contrario, l’inserzione del soggetto nell’elenco degli intermediari finanziari tenuto dall’Ufficio italiano dei cambi è condizione necessaria per l’abilitazione alle operazione di trasferimento di denaro contante, come del resto dimostra la lettera dell’art. 6, comma 1, che tale attività riserva, e non già attribuisce, agli intermediari iscritti nel ridetto elenco.

15. – Il sesto motivo espone l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato riconoscimento della carenza dell’elemento soggettivo ovvero della sussistenza di un errore scusabile, per l’oggettiva difficoltà d’interpretazione delle disposizioni anzidette. Parte ricorrente lamenta, in particolare, che la Corte distrettuale abbia inquadrato la corrispondente censura d’appello nell’ambito dell’esimente della L. n. 689 del 1981, art. 3 cpv., mentre la società ricorrente aveva evidenziato che l’errore incolpevole investiva non già il divieto, ma il fatto storico che la Cassa Arianese di Mutualità possedesse la qualifica di soggetto intermediario abilitato.

16. – Strettamente connesso il settimo mezzo, che ripropone la medesima doglianza sotto il profilo della nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente.

17. – Entrambi i suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

In primo luogo va rilevato che l’errore sul divieto rientra nella L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1, ed è di regola irrilevante, mentre l’errore sul fatto è disciplinato dal comma 2 del medesimo articolo, ed ha efficacia scriminante se non dipende da colpa. Pertanto, la censura, lì dove lamenta che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente attratto sotto l’art. 3, cpv. legge cit. l’errore riguardante “il fatto storico del possesso da parte della CAM della qualifica di intermediario abilitato” (v. pag. 26 del ricorso), mostra di essere formulata in maniera non giuridicamente consequenziale.

Ciò a parte, è decisivo osservare che la sentenza impugnata, pur richiamando espressamente solo dell’art. 3, comma 1 Legge cit., ha in realtà esaminato diffusamente anche l’asserito errore sul fatto, escludendolo sulla base di molteplici considerazioni (v. pagg. 17-18 della sentenza impugnata), tutt’altro che apparenti (la società ingiunta non si era neppure posta il problema di verificare se la CAM fosse in possesso dell’abilitazione per le operazioni di trasferimento di denaro contante, perchè più semplicemente ne ignorava l’illiceità; era poco probabile che detta società conoscesse la nota dell’Ufficio italiano cambi, peraltro giudicata non rilevante a tal fine, da cui la stessa società aveva infondatamente dedotto la sussistenza dell’abilitazione; le indagini penali e il successivo decreto di archiviazione avevano riguardato altro, ossia il reato di attività bancaria abusiva; non vi era stata una vera e propria prassi della CAM tale da ingenerare l’errore, che ad ogni modo non era nè incolpevole nè inevitabile per la sola asserita usualità della condotta vietata; del pari dubbio che la società sapesse di una precedente ispezione della Banca d’Italia presso la CAM e del suo esito, e in ogni caso tale ispezione era del tutto irrilevante perchè anteriore di circa sette anni rispetto a quella da cui erano scaturite le contestazioni oggetto di causa).

Per il resto, sui generali limiti del controllo di legittimità ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si ripropongono valide e intatte le osservazioni svolte supra al paragrafo 12.

18. – Con l’ottavo motivo si censura, infine, in base all’art. 360 c.p.c., n. 5, la statuizione di rigetto del motivo d’appello incidentale con cui l’odierna ricorrente aveva chiesto ridursi la sanzione irrogata. Ciò in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che la sanzione irrogata corrisponde al 5% dell’importo complessivo delle operazioni contestate.

19. – La censura è manifestamente infondata, atteso che la Corte territoriale ha espressamente esaminato il suddetto motivo d’impugnazione incidentale e l’ha respinto proprio osservando che, a fronte di una sanzione edittale massima pari al 40% del valore della transazione, la percentuale del 5% applicata in concreto era proporzionale ed equa, tenuto conto anche della gravità soggettiva della violazione.

20. – Il rigetto del secondo motivo del ricorso principale assorbe l’esame del primo motivo del ricorso incidentale (violazione o falsa applicazione dell’art. 2943 c.c.) espressamente condizionato all’ipotesi di accoglimento della ridetta censura dell’impugnazione principale.

21. – Il secondo motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte d’appello, in altre precedenti cause d’opposizione ad ingiunzioni emesse a carico della Cassa Arianese di Mutualità e dei suoi soci, aveva disposto la condanna alle spese della parte opponente. Pertanto, in costanza delle medesime questioni processuali e sostanziali, la soccombenza della parte privata avrebbe dovuto condurre alla condanna di quest’ultima alle spese.

22. – Il motivo è infondato.

Lo stare decisis non è una regola ma una direttiva di tendenza, immanente nell’ordinamento, in relazione alla quale non è consentito discostarsi da un’interpretazione del giudice di legittimità, investito istituzionalmente della funzione della nomifilachia, senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative: cfr. Cass. S.U. n. 13620/12); e dunque esso non è argomento idoneo a vincolare il giudice di merito alle proprie precedenti decisioni.

Inoltre, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (v. ex multis, Cass. nn. 8421/17, 15317/13 e 5386/03).

E nella specie la Corte distrettuale ha compensato le spese facendo correttamente leva sull’esistenza di contrasti giurisprudenziali, in sede di legittimità, sull’interpretazione delle più volte citate norme della L. n. 689 del 1981.

23. – In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti.

24. – Applicato ratione temporis (il giudizio è iniziato nel 2010) il testo dell’art. 92 c.p.c., comma 2, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 132 del 2014, convertito in L. n. 162 del 2014, ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, derivanti dal contrasto di giurisprudenza sull’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

25. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono le condizioni per il raddoppio del: contributo unificato a carico della sola parte ricorrente principale (per quanto concerne il Ministero ricorrente incidentale, il medesimo obbligo non può trovare applicazione, poichè le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo: v. Cass. nn. 1778/16 e 5955/14).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa integralmente le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017


Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 23/05/2017) 22/09/2017, n. 22080

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez. –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19192-2014 proposto da:

I.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. CAMOZZI 1, presso lo studio dell’avvocato DELFO MARIA SAMBATARO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21 presso l’Avvocatura Comunale, rappresentata e difesa dall’avvocato RODOLFO MURRA;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4735/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 27/02/2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

uditi gli avvocati Delfo Maria Sambataro e Rodolfo Murra.

Svolgimento del processo
1. I.F. ha agito in giudizio nei confronti di Roma Capitale e di Equitalia Sud S.p.A. – Agente della Riscossione dei Tributi per la Provincia di Roma, proponendo opposizione all’esecuzione contro una cartella di pagamento notificatagli per sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada.

L’opponente ha dedotto di non avere ricevuto la notificazione del verbale di accertamento posto a base della cartella di pagamento impugnata.

Il Giudice di Pace di Roma ha dichiarato inammissibile la domanda.

Il Tribunale di Roma ha rigettato l’appello ed ha confermato la decisione del primo giudice, con condanna dell’appellante I. al pagamento delle spese del grado in favore di entrambi gli appellati.

2. Per la cassazione di tale sentenza I.F. ha proposto ricorso con un motivo.

Roma Capitale ha resistito con controricorso.

Equitalia Sud S.p.A. non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso è stato assegnato alla terza sezione civile e fissato per la trattazione all’udienza del 21 settembre 2016.

All’esito di questa udienza, il Collegio, con ordinanza interlocutoria n. 21957 depositata il 28 ottobre 2016, ha disposto la trasmissione degli atti al primo presidente per la rimessione alle Sezioni Unite.

Fissata l’udienza dinanzi a queste ultime, Roma Capitale ha depositato memoria difensiva.

Entrambi i procuratori hanno partecipato alla discussione orale.

Motivi della decisione
1.Con l’unico motivo il ricorrente denunzia falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 23 e segg. e “ingiusta disapplicazione” dell’art. 615 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Evidenzia di avere proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., dinanzi al Giudice di Pace di Roma, avverso la cartella di pagamento n. (OMISSIS), notificata in data 17 febbraio 2012, relativa a contravvenzioni per violazioni del codice della strada, per l’importo complessivo di Euro 133,00, deducendo l’omessa notificazione del verbale di accertamento e quindi, tra l’altro, la mancata formazione del titolo esecutivo e l’estinzione del diritto di credito per le sanzioni amministrative.

Censura, quindi, la sentenza impugnata che, confermando quella di primo grado, ha reputato inammissibile l’opposizione, in quanto tardiva ai sensi della L. n. 689 del 1981, artt. 23 e segg., ed ha escluso la proponibilità dell’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ..

Il ricorrente sostiene che l’opposizione all’esecuzione, ai sensi della norma appena citata, è rimedio esperibile in via autonoma e senza limiti di tempo quando si contesti la legittimità dell’iscrizione a ruolo per difetto del titolo esecutivo, in alternativa all’opposizione da proporsi ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 23 (peraltro abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 7).

Vengono richiamate diverse pronunce di legittimità favorevoli all’assunto del ricorrente.

1.1.Roma Capitale ribadisce la soluzione dei giudici di merito, assumendo che, nell’ipotesi in esame, l’unica opposizione proponibile sia quella c.d. recuperatoria, che va avanzata nel termine di sessanta o di trenta giorni (a seconda della disciplina applicabile ratione temporis) decorrente dalla notificazione della cartella di pagamento.

Anche la controricorrente cita, a conforto, diverse pronunce di legittimità.

2.L’ordinanza interlocutoria n. 21957 del 28 ottobre 2016 ha chiesto la rimessione a queste Sezioni Unite, dando atto della difformità di orientamenti nella giurisprudenza della Corte, riassunta nei seguenti termini:

– in base ad alcune pronunzie (soprattutto della seconda sezione civile, nell’ambito della quale l’indirizzo appare consolidato), l’opposizione proposta avverso la cartella di pagamento notificata dall’agente della riscossione sulla base di verbali di accertamento di infrazioni al codice della strada, e volta a contestare che detti verbali non siano stati notificati affatto, o non lo siano stati nel termine previsto dall’art. 201 C.d.S., comma 1, costituisce contestazione dell’inesistenza del titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione esattoriale, e quindi va qualificata come opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., in quanto diretta a negare l’esistenza del titolo esecutivo, e pertanto non è soggetta a termini. Si citano, in questo senso, tra le altre, sez. 2, ord. n. 4814 del 25 febbraio 2008; sez. 2, sent. n. 29696 del 29 dicembre 2011; tra le più recenti: sez. 6 – 2, ord. n. 19579 del 30 settembre 2015; sez. 2, sent. n. 3751 del 25 febbraio 2016; sez. 2, sent. n. 14125 dell’11 luglio 2016;

– per altre pronunzie, invece (soprattutto della terza sezione civile, nell’ambito della quale tale indirizzo pare ormai consolidato), la contestazione dell’omessa o tardiva notificazione del verbale di accertamento dell’infrazione nel termine di cui all’art. 201 C.d.S., comma 1, anche se introdotta come opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., va comunque (ri)qualificata come opposizione “recuperatoria” ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22, e quindi è soggetta al relativo termine, in quanto le contestazioni basate su fatti impeditivi della formazione del titolo esecutivo, debbono essere fatte valere con il mezzo predisposto dall’ordinamento per impedire questa formazione, al cui utilizzo l’interessato -che non abbia avuto conoscenza del procedimento- è ammesso allorquando riceva quella conoscenza, imponendosi una sua automatica rimessione in termini; con la conseguenza che, se la parte ha conoscenza del (preteso) titolo esecutivo soltanto con la cartella di pagamento o con l’intimazione di pagamento, deve proporre l’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 (o dell’art. 204 bis C.d.S.), e non l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., comma 1, con cui non si possono dedurre fatti inerenti la formazione del titolo esecutivo. Si citano, in questo senso, tra le più recenti: sez. 3, n. 1985 del 29 gennaio 2014; sez. 3, n. 12412 del 16 giugno 2016; sez. 3, n. 15120 del 22 luglio 2016; sez. 3, n. 16282 del 4 agosto 2016.

L’ordinanza interlocutoria evidenzia come alla base del contrasto giurisprudenziale stanno diverse questioni, con implicazioni di sistema idonee ad influenzare la decisione in un senso o nell’altro, quali l’individuazione dell’oggetto delle opposizioni ad ordinanze-ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative e dell’oggetto e dei limiti dell’opposizione all’esecuzione, nonchè i rapporti tra i due rimedi oppositivi ed i limiti in cui gli stessi possano eventualmente sovrapporsi o debbano vicendevolmente escludersi; ed ancora, i limiti del relativo potere del giudice di qualificazione dell’opposizione, tenuto conto anche del fatto che “in pratica, nella stragrande maggioranza dei casi, vengono proposte opposizioni fondate cumulativamente su plurimi e diversi motivi di distinta natura (talvolta anche incompatibili, o avanzati in via gradata tra loro) in genere senza adeguata qualificazione”.

Il Collegio della terza sezione civile ha quindi trasmesso gli atti al primo presidente per la rimessione alle Sezioni Unite al fine di dirimere il descritto contrasto giurisprudenziale ed anche al fine di affermare il principio di diritto da seguire nel risolvere la corrispondente questione di massima di particolare importanza, così ritenuta per la frequenza statistica della tipologia del contenzioso e per le implicazioni sistematiche della soluzione da adottare.

3. Malgrado queste innegabili implicazioni sistematiche, va premesso che oggetto della presente pronuncia è esclusivamente la questione posta dal ricorso, concernente la qualificazione dell’azione da esercitarsi da parte del destinatario di una cartella di pagamento notificata dall’agente della riscossione per il pagamento di sanzioni amministrative relative a violazioni del codice della strada, quando l’interessato intenda dedurre che il verbale di accertamento dell’infrazione non gli sia stato notificato o sia stato notificato invalidamento ovvero oltre il termine di legge.

Ne consegue l’altra premessa, concernente la normativa di riferimento. Questa è costituita dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, artt. 201, 203 e 204 bis (Codice della Strada) e succ. mod. e dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 7.

Il meccanismo disciplinato da queste norme per sanzionare gli illeciti previsti dal codice della strada è parzialmente diverso da quello disciplinato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689 per gli altri illeciti amministrativi e l’applicazione delle relative sanzioni; di tali differenze occorre tenere conto nell’individuare la soluzione della questione posta a queste Sezioni Unite.

3.1. Sia nel sistema delineato dal D.Lgs. n. 285 del 1992 che in quello che risulta dopo l’intervento di semplificazione del D.Lgs. n. 150 del 2011 le differenze vengono meno soltanto se l’interessato fa ricorso al prefetto avverso la contestazione, ai sensi dell’art. 203 C.d.S., ed il prefetto emette l’ordinanza-ingiunzione ai sensi del successivo art. 204; contro l’ordinanza ingiunzione può essere proposto ricorso al giudice e, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, si applica l’art. 6, che disciplina l’opposizione alle ordinanze-ingiunzione emesse anche ai sensi della L. n. 689 del 1981 (analogamente a quanto accadeva nel vigore dell’art. 205 C.d.S., il cui terzo comma rinviava per il giudizio di opposizione contro l’ordinanza-ingiunzione del prefetto alla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23).

In alternativa al ricorso al prefetto, l’interessato si può avvalere del ricorso al giudice di pace ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, impugnando direttamente il verbale di accertamento di violazione del codice della strada, così come previsto dal testo attuale dell’art. 204 bis C.d.S., sostituito dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, che ha diversamente disciplinato l’analogo rimedio comunque già contemplato dal testo previgente dell’art. 204 bis (prima inserito dal D.L. 27 giugno 2003, n. 151, art. 4, come modificato dall’allegato alla L. 1 agosto 2003, n. 214 con decorrenza dal 13.08.2004, poi modificato dalla L. 29 luglio 2010, n. 120, art. 39 con decorrenza dal 13.08.2010).

Se il destinatario della contestazione non si avvale nè del ricorso al prefetto nè del ricorso al giudice di pace il verbale di accertamento diviene definitivo.

3.2. Rispetto al sistema delineato dalla L. n. 689 del 1981, la peculiarità rilevante ai fini della decisione è data dall’efficacia di titolo esecutivo che il verbale di accertamento acquista, in deroga alla L. n. 689 del 1981, art. 17, come previsto dall’art. 203 C.d.S., u.c., per l’ipotesi in cui l’interessato non si avvalga del ricorso al prefetto nè effettui il pagamento in misura ridotta.

Per risolvere il contrasto evidenziato dall’ordinanza di rimessione occorre occuparsi del(la modalità di formazione del) titolo esecutivo costituito dal verbale di accertamento di violazione del codice della strada, dei suoi rapporti con la pretesa sanzionatoria dell’ente impositore e dei rimedi concessi al privato per reagire a questa pretesa.

4. Quanto alla formazione del titolo esecutivo costituito dal verbale di accertamento, va premesso che si tratta di un “titolo esecutivo” del tutto peculiare; esso consente all’ente che irroga la sanzione di avviare la riscossione coattiva, iscrivendo al ruolo esattoriale le somme pretese per la sanzione amministrativa e gli accessori.

Questa idoneità del verbale di accertamento viene meno, ai sensi dello stesso art. 203 C.d.S., in caso di ricorso al prefetto (a cui può eventualmente seguire la formazione dell’ordinanza-ingiunzione, che è titolo esecutivo stragiudiziale, di provenienza e contenuto differenti) ovvero in caso di pagamento in misura ridotta (che chiude la vicenda in sede amministrativa). Coerentemente con la disciplina dettata dall’art. 203 C.d.S., il ricorso al giudice di pace ai sensi dell’art. 204 bis C.d.S. (ed, oggi, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7) contro il verbale di accertamento non impedisce che questo acquisti efficacia esecutiva, tanto è vero che è possibile soltanto la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato rimessa al giudice dell’opposizione, ai sensi dell’art. 204 bis C.d.S. previgente, comma 3 ter (oggi ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 5, richiamato dall’art. 7, comma 6). Questa efficacia -in mancanza di sospensione- consente all’ente impositore di procedere all’iscrizione a ruolo, anche in pendenza di giudizio di opposizione. Peraltro, nel caso di rigetto dell’opposizione, la sentenza, sostituendosi al verbale come titolo esecutivo sulla base del quale iniziare (o proseguire) la riscossione coattiva, determina l’importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo ed il massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata.

Il meccanismo è differente da quello che si mette in atto quando sia impugnata l’ordinanza-ingiunzione, la quale, in caso di rigetto dell’opposizione, rimane l’unico titolo esecutivo idoneo a fondare la riscossione coattiva.

Le differenze emergono dalle previsioni della L. n. 689 del 1981, art. 23 (oggi, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 12) e art. 204 bis C.d.S., comma 5, (oggi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, comma 11).

La disciplina differente si spiega perchè il verbale di accertamento di violazione del codice della strada acquista l’efficacia esecutiva con una modalità di formazione semplificata rispetto a quella prevista per l’ordinanza – ingiunzione.

Quest’ultima costituisce titolo esecutivo -come sancito dalla L. n. 689 del 1981, art. 18, u.c., primo inciso, – solo dopo che il funzionario o l’agente che ha accertato la violazione abbia presentato il rapporto ai sensi del citato art. 17 della stessa legge e l’autorità competente abbia provveduto ai sensi del successivo art. 18, determinando la somma dovuta per la violazione ed ingiungendone il pagamento.

Il verbale di accertamento non contiene un’ingiunzione di pagamento. Esso ha portata ricognitiva dell’obbligo di pagare la somma dovuta a titolo di sanzione amministrativa, che nasce autonomamente dalla commissione dell’infrazione al codice della strada. Per effetto dell’accertamento ed in caso di mancato pagamento in misura ridotta, è la legge a fissare la somma da pagare, come determinata dall’art. 203 C.d.S., u.c., ed a consentirne la riscossione mediante ruolo esattoriale, anche ai sensi del sopravvenuto D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 17, oltre che della L. n. 689 del 1981, art. 27.

Stando al testo dell’art. 203 C.d.S., nonchè al testo dell’art. 204 bis C.d.S. (ed, oggi, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7), perchè il verbale di accertamento costituisca “titolo esecutivo” è sufficiente l’omesso ricorso alla tutela amministrativa e l’omesso pagamento in misura ridotta da parte del trasgressore, poichè la somma da iscrivere a ruolo è predeterminata per legge.

Il verbale di accertamento -definito dal codice della strada come “titolo esecutivo” – è provvedimento dell’amministrazione che, dotato di efficacia esecutiva, consente la formazione del ruolo esattoriale, il quale, a sua volta, “costituisce titolo esecutivo” per l’espropriazione forzata (arg. D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 49), sia in caso di opposizione dinanzi all’autorità giudiziaria sia in caso di mancata opposizione del verbale di accertamento.

4.1. Gli articoli del codice della strada da ultimo citati non si occupano direttamente della notificazione del verbale di accertamento nè degli effetti della mancata notificazione.

Questi ultimi sono previsti dall’art. 201 C.d.S., comma 5, che -con disposizione analoga a quella contenuta nella L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., – sancisce che “l’obbligo di pagare la somma dovuta per la violazione, a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, si estingue nei confronti del soggetto a cui la notificazione non sia stata effettuata nel termine prescritto”.

La norma, letteralmente interpretata, delinea un fatto estintivo di quell’obbligo che, come si è detto, sorge a carico del trasgressore per effetto della commissione dell’illecito amministrativo. La regola in esame ha portata sostanziale. In sintesi, la notificazione del verbale di accertamento, per come delineata dal legislatore nella norma apposita, non è presupposto di esistenza del titolo esecutivo. Piuttosto, è fatto costitutivo del (mantenimento del) diritto dell’amministrazione ad ottenere il pagamento della sanzione, in quanto l’omessa notificazione estingue questo diritto.

Si tratta di un fatto estintivo del diritto di credito per sanzione amministrativa che, pur operando sul piano sostanziale, non attiene al rapporto, ma all’agire dell’amministrazione, impedendo non tanto la formazione del titolo esecutivo stragiudiziale quanto il completamento della fattispecie sostanziale che dà luogo alla pretesa sanzionatoria e che consente la riscossione coattiva.

4.2. D’altronde, non vi è nel codice della strada altra norma che affermi che la notificazione del verbale di accertamento costituisca presupposto per la venuta ad esistenza del corrispondente titolo esecutivo stragiudiziale.

Piuttosto, al menzionato art. 201, comma 5, va correlato l’incipit dell’art. 203 C.d.S., u.c. nei termini che seguono.

Alla disposizione che individua la fattispecie complessa dal punto di vista sostanziale, al maturarsi della quale si determina l’effetto favorevole per l’amministrazione, si collega una modalità procedimentale di formazione di un “titolo esecutivo” del tutto peculiare. Questa modalità prevede un atto di accertamento proveniente dall’amministrazione alla quale appartiene l’organo accertatore, cui non segua una manifestazione di volontà contraria del destinatario della sanzione, nella forma del ricorso al prefetto o all’autorità giudiziaria ordinaria.

4.3. Nel sistema che ne risulta la notificazione tempestiva del verbale di accertamento attiene quindi alla modalità di formazione del titolo esecutivo, ma la violazione dell’obbligo di notificazione tempestiva che incombe sull’amministrazione non impedisce la venuta ad esistenza del “titolo esecutivo”, piuttosto dà luogo ad un titolo esecutivo viziato formalmente, perchè è stato invalido od irregolare il suo procedimento di formazione.

Se si guarda alla (tempestiva) notificazione del verbale di accertamento dal punto di vista procedurale -prescindendo per il momento dalle conseguenze dell’art. 201 C.d.S., comma 5, di cui sopra e su cui si tornerà- essa si configura come requisito di validità del titolo esecutivo che, pur esistente e dotato di efficacia esecutiva, se non notificato, resta tuttavia contestabile, malgrado l’iscrizione al ruolo esattoriale che ne è seguita, perchè colui che avrebbe dovuto contestarlo non è stato messo in condizione di conoscere l’accertamento. Il verbale è provvedimento (ed anche titolo) esecutivo pur non essendo definitivo l’accertamento in esso contenuto.

Che la notificazione tempestiva non sia un requisito di esistenza, ma soltanto di validità nei termini appena esposti, è reso più evidente dalla considerazione dell’ipotesi della notificazione del verbale di accertamento effettuata oltre il termine di legge. In questa situazione, non essendo stata impedita la conoscenza della contestazione da parte del destinatario della sanzione, la mancata proposizione del ricorso al prefetto ed il mancato pagamento in misura ridotta non potrebbero non dare luogo all’esecutività del provvedimento sanzionatorio, non solo esistente ma anche notificato; laddove l’eventuale ricorso al giudice di pace per fare valere la tardività della notificazione non impedirebbe, di per sè, come detto sopra, l’efficacia esecutiva del titolo stragiudiziale, pur invalidamente formato.

Analoga è la situazione determinata dalla nullità della notificazione del verbale di accertamento.

Orbene, nel sistema delineato dal codice della strada (ed, oggi, dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7) il rimedio tipico per fare valere i vizi del titolo esecutivo costituito dal verbale di accertamento va individuato nell’opposizione a questo verbale, senza alcuna distinzione tra diversi vizi di forma (non essendovi un apparato normativo che -pur tenendo conto delle debite differenze- consenta di distinguere tra inesistenza, da un lato, e nullità o tardività della notificazione dall’altro, come è per il decreto ingiuntivo, secondo giurisprudenza oramai consolidata). In particolare, la violazione delle regole di formazione del titolo stragiudiziale deve essere fatta valere col rimedio tipico, sia che si tratti di violazioni che abbiano impedito del tutto la conoscenza della contestazione sia che si tratti di violazioni che questa conoscenza abbiano consentito, ma abbiano comunque viziato il titolo, irregolarmente formato.

4.4. Non osta alla conclusione raggiunta l’obiezione, di ordine sistematico, fatta propria dai sostenitori del contrario orientamento, secondo cui, seguendo il ragionamento che la sorregge, si finisce per trattare il titolo stragiudiziale de quo alla stregua di un titolo giudiziale, quanto ai rimedi oppositivi disponibili in capo all’interessato, che venga attinto dalla minaccia dell’esecuzione coattiva (id est, della riscossione coattiva delle somme iscritte a ruolo), dal momento che -dalla ricostruzione di cui sopra- consegue che con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. può fare valere soltanto i fatti estintivi od impeditivi sopravvenuti, non tanto (o non solo) alla formazione del titolo, quanto alla sua definitività.

Il titolo stragiudiziale di che trattasi, oltre ad essere connotato dalle peculiarità su evidenziate, non è affatto equiparabile a quelli contemplati dai nn. 2 e 3 dell’art. 474 cod. proc. civ.. Non vi è dubbio che la legge n. 689 del 1981 ed, ancor di più, il codice della strada pongano l’ente impositore in una posizione differenziata e privilegiata, che si giustifica in quanto la formazione del titolo esecutivo e l’iscrizione al ruolo esattoriale non trovano causa in rapporti di diritto privato, ma nella commissione di illeciti amministrativi.

Il modello di riferimento è costituito dall’accertamento tributario. L’avviso di accertamento o di liquidazione del tributo va notificato, così come va notificato il provvedimento che irroga le sanzioni, ma la notificazione omessa od invalida non impedisce l’iscrizione al ruolo di tributo e sanzioni, cioè la formazione, sia pur invalida, di un titolo esecutivo (fatta salva la possibilità di impugnare l’atto adottato precedentemente unitamente all’atto successivo notificato, di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, u.c.).

La tutela del privato non è più compressa rispetto a quella assicurata per reagire alla formazione degli altri titoli esecutivi di natura stragiudiziale aventi causa in rapporti di diritto privato.

Non va perso di vista il dato normativo per il quale, per contrastare il titolo stragiudiziale di che trattasi, l’ordinamento mette a disposizione dell’interessato un rimedio “speciale”, appositamente destinato ad evitare che divenga definitivo l’accertamento consacrato nel verbale di contestazione della violazione del codice della strada.

L’opposizione di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 e art. 204 bis C.d.S. (ed oggi di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, artt. 6 e 7) è rimedio omnicomprensivo e idoneo alla delibazione da parte del giudice ordinario di qualsivoglia vizio dell’atto sanzionatorio, compresi i vizi che attengono al procedimento seguito per la sua formazione.

5. Una volta escluso che l’omessa (o la tardiva o l’invalida) notificazione del verbale di accertamento impedisca la formazione del titolo esecutivo, influenzando piuttosto la regolarità formale dell’azione della p.a., va esclusa la possibilità di esperire l’opposizione all’esecuzione, ove fondata sulla causa petendi della (asserita) mancanza di titolo esecutivo.

Resta tuttavia da verificare la praticabilità del rimedio dell’art. 615 cod. proc. civ. per dedurre il fatto contemplato dall’art. 201 C.d.S., comma 5, considerato di per sè, quale fatto estintivo del diritto di credito ovvero quale fatto impeditivo del diritto ad agire esecutivamente in capo alla p.a..

6. Prima di affrontare quest’ultima verifica, pare opportuno dare conto degli orientamenti seguiti dalla giurisprudenza di legittimità nel ricostruire i rapporti tra l’opposizione di cui all’art. 615 cod. proc. civ. e l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione (o, più specificamente, al verbale di accertamento delle violazioni del codice della strada).

Nella giurisprudenza meno recente costituisce ius receptum l’affermazione per la quale avverso l’iscrizione a ruolo e la notificazione della cartella esattoriale per la riscossione di una sanzione amministrativa va esperita l’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 in caso di mancata preventiva notificazione del provvedimento sanzionatorio (così, tra le altre, Cass. S.U. 10 gennaio 1992, n. 190; Cass. S.U. 23 novembre 1995, n. 12107; Cass. 26 agosto 1996, n. 7830; 2 settembre 1997, n. 8380; 11 dicembre 1998, n. 12487; 11 febbraio 1999, n. 1149; 15 febbraio 199, n. 1227; 14 giugno 1999, n. 5852; 30 agosto 1999, n. 9138; 29 ottobre 1999, n. 12192; 27 novembre 1999, n. 13242; 25 gennaio 2000, n. 799).

L’orientamento è dato per consolidato anche dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 489 del 13 luglio 2000, la quale, per come è fatto palese dalla relativa motivazione, non lo smentisce affatto, ma anzi, dandone atto (mediante i richiami della giurisprudenza delle stesse Sezioni Unite, in particolare di Cass. S.U. n. 190/1992 cit.), lo conferma per l’ipotesi qui in esame dell’omessa od irregolare notificazione del provvedimento sanzionatorio (o del verbale di accertamento della violazione al codice della strada). Perciò, finisce per contrapporre, al rimedio tipico, il rimedio dell’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. come esperibile qualora l’interessato voglia far valere fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo (che le stesse Sezioni Unite individuano in “morte del soggetto passivo, pagamento, prescrizione”).

Nello stesso senso si esprime, per un lungo periodo, la giurisprudenza successiva (sia delle Sezioni Unite, con le sentenze del 13 luglio 2000, n. 491 e del 18 agosto 2000, n. 562, sia delle sezioni ordinarie, tra le altre, con le sentenze del 9 marzo 2001, n. 3449 e del Cass. 27 settembre 2001, n. 12098).

Lungo le medesime linee direttrici si muovono, oltre a Cass. 7 maggio 2004, n. 8695 e Cass. 15 febbraio 2005, n. 3035, le sentenze del 18 luglio 2005, n. 15149 e del 20 aprile 2006, n. 9180, impropriamente citate a sostegno dell’orientamento favorevole alla proponibilità dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. per dedurre il vizio di omessa od invalida notificazione del verbale di accertamento della contravvenzione al codice della strada.

Ed invero, sia l’una che l’altra -sintetizzando il percorso, del tutto univoco, svolto dalla giurisprudenza di legittimità su richiamata-ribadiscono che il rimedio praticabile quando sia mancata la notificazione dell’ordinanza ingiunzione o del verbale di accertamento di violazione del codice della strada è l’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, mentre l’opposizione all’esecuzione è il rimedio da praticare quando si contestino fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo.

Le motivazioni svolgono argomentazioni coerenti con questa conclusione. Le massime ufficiali tratte dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo possono tuttavia indurre perplessità laddove inseriscono, tra le ipotesi che legittimano l’esperimento dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., la contestazione della “legittimità dell’iscrizione al ruolo per mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione stessa” (massima di Cass. n. 15149/05 cit., sub b) ovvero la contestazione della “legittimità dell’iscrizione a ruolo per omessa notifica della stessa cartella, e quindi per la mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo” (massima di Cass. n. 9180/06 cit., sub b). Tuttavia, nessuna delle due sentenze confuta l’elaborazione giurisprudenziale precedente, che viene da entrambe espressamente confermata; in particolare, nessuna delle due sentenze inserisce tra i casi di “mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione” al ruolo esattoriale quello della mancanza o della tardività o dell’invalidità della notificazione del verbale di accertamento di violazione al codice della strada; con l’espressione in parola entrambe le decisioni si riferiscono a fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo, che, operando sul piano del rapporto (e non dell’atto), abbiano estinto il diritto di credito dell’ente impositore (quale è la prescrizione, considerata da Cass. n.15149/05) ovvero -si può aggiungere, malgrado il concetto non sia esplicitato nelle motivazioni delle sentenze in esame- fatti che abbiano estinto il diritto di agire esecutivamente, ma sempre in epoca successiva alla formazione del titolo esecutivo.

Giova precisare, infatti, che a quest’ultima eventualità è riferito il precedente di cui a Cass. 12 aprile 2002, n. 5279. Questa decisione distingue tra vizi che attengono alla formazione del titolo, sulla base del quale il ruolo è stato formato (da dedurre con l’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981), e fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo, che però hanno reso illegittima l’iscrizione a ruolo (da dedurre con l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ.). Nel caso posto all’attenzione della Corte un fatto estintivo sopravvenuto di tale secondo tipo è stato individuato nella “intervenuta decadenza dell’amministrazione dalla pretesa creditoria per non aver tempestivamente provveduto alla formazione del ruolo ed all’invio dello stesso all’Intendenza di finanza competente”. E’ evidente che quest’ultimo vizio non possa essere dedotto altrimenti che con l’opposizione all’esecuzione, in quanto prescinde del tutto dalla notificazione del provvedimento sanzionatorio, che anzi presuppone, così come presuppone un fatto che si è verificato tra questa notificazione e la formazione del ruolo esattoriale (al quale il destinatario può reagire solo dopo che il ruolo gli sia stato reso noto mediante la notificazione della cartella di pagamento).

La giurisprudenza successiva ripete la massima tratta da Cass. n. 15149/05 e ne fa coerente applicazione (cfr., tra le altre, Cass. 13 marzo 2007, n. 5871).

6.1. Piuttosto, con riferimento all’opposizione al verbale di accertamento delle violazioni del codice della strada, proposta, per dedurne l’omessa o la tardiva od invalida notificazione, dopo la notificazione della cartella esattoriale, emerge un contrasto giurisprudenziale relativo a questione diversa da quella del rapporto tra questa opposizione e l’opposizione all’esecuzione.

Questo contrasto ha riguardato la durata del termine per la proposizione dell’opposizione c.d. recuperatoria (espressione, sulla quale si tornerà), individuato in trenta ovvero in sessanta giorni (decorrenti dalla notificazione della cartella di pagamento), a seconda che si ritenesse applicabile il regime generale della L. n. 689 del 1981, art. 22 ovvero quello speciale dell’art. 204 bis C.d.S., ma sempre nel presupposto che fosse esclusa l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. (cfr., tra le prime, Cass. 7 agosto 2007, n. 17312, cui sono seguite numerose altre). La questione ha perso di attualità dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, avendo gli artt. 6 e 7 fissato lo stesso termine di decadenza di trenta giorni per proporre opposizione.

6.2. Il rimedio dell’opposizione all’esecuzione è invece individuato come praticabile contro la cartella esattoriale, per dedurre il vizio di notificazione del verbale di accertamento, a far data dal precedente costituito da Cass. ord. 25 febbraio 2008, n. 4814 (non massimata), al quale è seguita la sentenza di cui a Cass. 29 dicembre 2011, n. 29696 (non massimata): la prima distingue tra nullità della notificazione del verbale (che ritiene vizio deducibile col rimedio tipico dell’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981) ed inesistenza di detta notificazione (che ritiene vizio impeditivo della formazione del titolo esecutivo, da dedurre con opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ.); la seconda non distingue le due fattispecie, argomentando piuttosto in base al disposto dell’art. 201 C.d.S., comma 5, reputato norma che individua un fatto estintivo sopravvenuto alla formazione del titolo, quindi da fare valere ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. (secondo quanto si assume affermato dal precedente costituito da Cass. n. 9180/06, citata in motivazione).

Ancora, mentre la successiva Cass. 25 febbraio 2016, n. 12412 torna sull’argomento dell’inesistenza del titolo esecutivo per ritenere esperibile l’opposizione all’esecuzione quando sia mancata la notificazione del verbale di accertamento, la più recente Cass. 11 luglio 2016, n. 14125 ribadisce la tesi della sopravvenuta estinzione del titolo (e/o del diritto), accomunando in questo effetto sia l’ipotesi dell’omessa che quella della tardiva od invalida notificazione del verbale di accertamento, cui perciò ritiene possibile reagire con opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ..

7. Queste Sezioni Unite ritengono che vada disatteso quest’ultimo orientamento, vada ribadito il principio di diritto già espresso dal precedente, pure a Sezioni Unite, del 10 gennaio 1992, n. 190 e vada confermato l’orientamento successivamente precisato dalle stesse Sezioni Unite con le sentenze 13 luglio 2000, n. 489 e n. 491 e con la sentenza 10 agosto 2000, n. 562 ed, infine, riassunto nella massima tratta da Cass. sez. 1, 18 luglio 2005, n. 15149, confermata da diverse alte decisioni successive, tra cui, da ultimo, quelle indicate nell’ordinanza interlocutoria (n. 1985 del 29 gennaio 2014 e n. 12412 del 16 giugno 2016; nonchè, sia pure con argomentazioni in parte differenti, n. 15120 del 22 luglio 2016 e n. 16282 del 4 agosto 2016).

Le ragioni per le quali questo orientamento è valido anche in presenza delle norme dell’art. 201 C.d.S., comma 5, e art. 203 C.d.S., u.c., si evincono da quanto detto sopra a proposito del fatto estintivo contemplato dalla prima e della modalità di formazione del titolo esecutivo stragiudiziale contemplate dalla seconda.

S’impongono al riguardo le seguenti precisazioni.

7.1. La prima precisazione attiene al modo di operare del fatto estintivo dell’obbligo di pagare la somma dovuta per la violazione, a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, previsto dall’art. 201 C.d.S., comma 5, e costituito dalla omessa od intempestiva notificazione del verbale.

Si è già detto che si tratta di un fatto estintivo dell’obbligo di pagamento (obbligo, che sorge per legge al momento della commissione dell’illecito) e che non attiene direttamente alle vicende del credito che ne è oggetto, bensì all’agire amministrazione nella formazione dell’atto sanzionatorio.

La notificazione tempestiva si viene perciò a configurare come elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria.

La sua mancanza, quindi, non è equiparabile agli altri fatti estintivi dell’obbligazione di pagamento di diritto comune, come la prescrizione, la morte dell’obbligato ed il pagamento.

Il fatto estintivo non è successivo al sorgere della pretesa sanzionatoria della p.a. ed, a maggior ragione, non è successivo alla formazione del titolo esecutivo, ma contestuale all’una ed all’altro.

Sciogliendo quindi la riserva sopra formulata a proposito della deducibilità di questo fatto estintivo con opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., va affermato che esso non rientra tra i fatti successivi alla formazione del titolo esecutivo che, estinguendo il diritto di credito consacrato in questo titolo (di natura giudiziale o stragiudiziale), fanno venire meno il diritto di agire esecutivamente.

Una volta divenuto definitivo l’accertamento contenuto nel verbale non opposto è preclusa la verifica della sussistenza dei fatti costitutivi/impeditivi della pretesa sanzionatoria in esso consacrata, tra cui anche la notifica/omessa notifica del verbale.

7.2. La seconda precisazione attiene all’ambito oggettivo di operatività del giudizio di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada.

Sebbene sia con riferimento a quest’ultimo che, più in generale, con riferimento all’oggetto del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa si discuta se esso riguardi soltanto (la legittimità del)l’atto od anche il rapporto di credito (e le sue vicende), non è qui necessario approfondire i termini del dibattito, malgrado le sollecitazioni dell’ordinanza di rimessione.

Non vi è dubbio che, attenendo la notificazione tempestiva al fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria, questa rientri nell’oggetto del giudizio di opposizione al verbale di accertamento.

L’azione diretta all’autorità giudiziaria ordinaria per dedurre il fatto estintivo/impeditivo costituito dalla omessa, tardiva od invalida notificazione del verbale di accertamento allora è quella attualmente disciplinata dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7.

Se l’interessato non è stato posto in condizioni di fruire di questa azione, la stessa dovrà essere esercitata nel termine di trenta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, non potendo operare la decadenza se non a seguito della conoscenza dell’atto sanzionatorio da impugnare (cfr. Cass. 4 agosto 2016, n. 16282). Peraltro, ove questo atto sia stato conosciuto dall’interessato a seguito di notificazione valida, ma intervenuta oltre il termine dell’art. 201 C.d.S., l’azione dovrà essere esercitata nel termine di trenta giorni decorrente dalla notificazione (tardiva) del verbale di accertamento, non essendovi ragioni di tutela del destinatario della sanzione che impongano di attendere la notificazione della cartella di pagamento.

E’ vero che l’opposizione tipica si deve estrinsecare nella proposizione di un motivo di opposizione tendente ad inficiare la sussistenza delle condizioni di legge per emettere il provvedimento sanzionatorio, ma queste non attengono soltanto al merito della sanzione ma anche al procedimento di formazione del titolo che consente la riscossione esattoriale una volta divenuto definitivo (cfr. già Cass. S.U. 10 gennaio 1992, n. 190). Se il procedimento è viziato per omessa, invalida o tardiva notificazione del verbale di accertamento, il rimedio sarà appunto quello dell’opposizione a questo verbale ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7.

Se proposta come opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., la stessa azione va diversamente qualificata dal giudice adito, essendo a questi riservata l’attività di qualificazione della domanda, tenuto conto della causa petendi e del petitum esposti dalla parte.

7.3. S’impone tuttavia un’ulteriore precisazione, che serve a chiarire un punto non affrontato nei precedenti giurisprudenziali su citati come espressione dell’orientamento qui preferito, e che involge anche una questione terminologica.

L’azione esercitata dopo la notificazione della cartella di pagamento per dedurre il vizio di notificazione del verbale di accertamento, come sopra delineata, non è un’azione “recuperatoria” in senso proprio.

Tale, infatti, si configura l’azione che venga esperita contro l’ordinanza-ingiunzione non notificata, oggi ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, recuperando, appunto, dopo la notificazione della cartella di pagamento, il mezzo di tutela del quale la parte non si è potuta tempestivamente avvalere per l’omessa od invalida notificazione dell’ordinanza-ingiunzione.

In questa eventualità, il destinatario dell’ingiunzione (e della cartella) può “recuperare” tutte le difese che avrebbe potuto svolgere avverso l’ordinanza-ingiunzione, sia sul piano formale (riguardanti perciò il procedimento di formazione del titolo) sia sul piano sostanziale (riguardanti perciò la pretesa sanzionatoria).

Viceversa, quando viene “recuperata”, dopo la notificazione della cartella di pagamento, l’azione oggi disciplinata dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7 per dedurre l’omessa od invalida notificazione del verbale di accertamento, non vi è spazio per lo svolgimento di difese diverse da questa, specificamente per difese nel merito della pretesa sanzionatoria. Infatti, se l’amministrazione -che è onerata della relativa prova, in ragione della natura di fatto costitutivo riconosciuto alla notificazione tempestiva- non dimostra di avere eseguito tempestivamente e validamente la notificazione del verbale di accertamento, la pretesa sanzionatoria è estinta. In sintesi, ciò che viene “recuperato” è la possibilità per il destinatario della pretesa di dedurre il fatto estintivo/impeditivo dell’omessa od invalida notificazione. Questa considerazione consente di superare la perplessità, fatta propria dall’ordinanza di rimessione, dell’idoneità della notificazione della cartella di pagamento, che si fondi su un verbale di accertamento di infrazione al codice della strada, a consentire la contestazione nel merito di quest’ultimo. E’ sufficiente al “recupero” di che trattasi il richiamo del verbale di accertamento nei suoi termini identificativi. Infatti, se, per contro, l’amministrazione dimostri di avere ottemperato validamente alla notificazione, l’opposizione non potrà che essere dichiarata inammissibile: ogni difesa, anche di merito, è preclusa poichè si sarebbe dovuta svolgere nel termine di trenta giorni decorrente da quella notificazione.

In conclusione va affermato il seguente principio di diritto: “L’opposizione alla cartella di pagamento, emessa ai fini della riscossione di una sanzione amministrativa pecuniaria comminata per violazione del codice della strada, va proposta ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 7 e non nelle forme della opposizione alla esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., qualora la parte deduca che essa costituisce il primo atto con il quale è venuta a conoscenza della sanzione irrogata in ragione della nullità o dell’omissione della notificazione del processo verbale di accertamento della violazione del codice della strada. Il termine per la proponibilità del ricorso, a pena di inammissibilità, è quello di trenta giorni decorrente dalla data di notificazione della cartella di pagamento”.

8. Pare opportuno infine svolgere, a chiarimento di questioni poste sia dall’ordinanza di rimessione che dai sostenitori dell’orientamento contrario a quello qui preferito, le seguenti notazioni conclusive.

Il destinatario della cartella di pagamento che non abbia ricevuto la notificazione del verbale di accertamento non è affatto privato di tutela nei confronti dell’amministrazione, soltanto che questa va esercitata entro un termine di decadenza di durata pari a quello del quale si sarebbe potuto avvalere ove, ricevendo la notificazione, avesse inteso contestare la conformità a diritto dell’irrogazione della sanzione.

Nè è da discutere del venir meno della possibilità di “recupero” del pagamento in misura ridotta, perchè, per quanto detto sopra, con riferimento alle infrazioni al codice della strada, non è data possibilità alternativa tra l’estinzione della pretesa sanzionatoria e l’inammissibilità dell’opposizione tardiva.

8.1. Restano ovviamente esperibili anche dal destinatario della cartella di pagamento basata su verbali di accertamento di violazione del codice della strada o soggetto passivo della riscossione coattiva i rimedi oppositivi ordinari degli artt. 615 e 617 cod. proc. civ..

Così, col primo, come detto, potranno essere dedotti tutti i fatti estintivi sopravvenuti alla definitività del verbale di accertamento, tra cui evidentemente la prescrizione ai sensi dell’art. 209 C.d.S. e della L. n. 689 del 1981, art. 28 richiamato (quando la cartella di pagamento sia stata notificata oltre i cinque anni dalla violazione). In tale eventualità, la deduzione dell’omessa od invalida notificazione del verbale di accertamento non è fatta come motivo di opposizione a sè stante (riferito cioè al fatto estintivo contemplato dall’art. 201, comma 5, che va fatto valere nel termine di trenta giorni secondo quanto sopra), ma riguarda l’idoneità dell’atto notificato ad interrompere la prescrizione. Evidente è allora la deducibilità della mancanza di questo (e di altri) atti interruttivi, senza limiti di tempo, in applicazione appunto dell’art. 615 cod. proc. civ..

Parimenti, saranno contestabili con quest’ultimo rimedio tutte le pretese di pagamento dell’amministrazione e dell’agente della riscossione che trovino ragione in fatti precedenti l’iscrizione a ruolo ma successivi all’emissione del verbale di accertamento, in quanto la relativa deduzione non ne sarebbe stata possibile anche se la notificazione di questo fosse stata regolarmente eseguita.

8.2. Ancora, non si può escludere che, come già affermato da questa Corte a Sezioni Unite in riferimento all’analogo sistema degli accertamenti e delle impugnazioni tributarie (cfr. Cass. S.U. 4 marzo 2008, n. 5791), l’omessa notificazione dell’atto presupposto venga dedotta come ragione di invalidità (derivata) dell’atto esecutivo successivo. Tuttavia, nel sistema delle opposizioni esecutive secondo il regime ordinario, l’irregolarità della sequenza procedimentale dà luogo ad un vizio deducibile ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ., quindi nel termine di venti giorni decorrente dal primo atto del quale l’interessato abbia avuto conoscenza legale.

8.3. Infine, pur non essendo la questione rilevante per la decisione sul ricorso, va osservato che non è senza conseguenze la circostanza che l’azione venga esperita dall’interessato a seguito della ricezione di una cartella di pagamento (ovvero di un altro atto successivo esecutivo), che si assuma aver costituito il primo atto per il cui tramite sia stata acquisita la conoscenza della sanzione amministrativa.

La doglianza di regola va rivolta contro i legittimati passivi individuati, oggi, dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, comma 5.

Tuttavia, la considerazione che, nell’eventualità dell’accoglimento, venga meno anche l’atto dell’agente della riscossione e che comunque questo sia stato causa immediata dell’opposizione legittima passivamente quest’ultimo, senza peraltro dare luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario (cfr. Cass. S.U. 25 luglio 2007, n. 16412) e ne consente, in caso di soccombenza, anche la condanna alle spese in favore dell’opponente (cfr. Cass. ord. 6 febbraio 2017, n. 3101).

9. Venendo a trattare del ricorso, il motivo, formulato ed illustrato nei termini sopra esposti, è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Esso è infondato nella parte in cui assume la possibilità di esperire il rimedio dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. per dedurre l’omessa notificazione del verbale di accertamento della violazione del codice della strada quale fatto estintivo della pretesa sanzionatoria, dovendosi fare applicazione del principio di diritto sopra enunciato.

Poichè il tribunale ha accertato la proposizione dell’opposizione oltre il termine di legge, senza che sul punto la sentenza sia censurata, è corretta in diritto la conferma dell’inammissibilità già dichiarata dal giudice di pace.

Soltanto, a parziale correzione della motivazione della sentenza impugnata, va escluso il riferimento all’opposizione L. n. 689 del 1981, ex artt. 23 e segg. e va sostituito con il riferimento all’opposizione D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 7, in quanto la cartella di pagamento è stata notificata all’ I. ed il giudizio è stato da questi iniziato dopo l’entrata in vigore di quest’ultima norma (cfr. Cass. 16 giugno 2016, n. 12412).

9.1. Il motivo è inammissibile per la parte in cui assume che l’azione proposta in primo grado dall’ I. ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. fosse volta anche a far valere la prescrizione della sanzione e la non debenza delle maggiorazioni ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 27.

Su entrambe le questioni il ricorso è redatto in violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4 e n. 6 poichè non riporta adeguatamente il contenuto degli atti introduttivi dei due gradi di merito nè indica con completezza e pertinenza le norme di diritto su cui le dette doglianze si fondano.

In particolare, non sono note le ragioni poste a fondamento della asserita eccezione di prescrizione (i cui termini temporali, quanto alla data di commissione dell’illecito ed alla decorrenza del termine quinquennale fino alla notificazione della cartella di pagamento, non risultano da alcun punto del ricorso), non è fatto alcun cenno alle norme che prevedono il regime prescrizionale applicabile e mancano del tutto le indicazioni circa il contenuto dell’atto di appello e le relative conclusioni su questa specifica questione.

Analogamente è a dirsi quanto all’asserita deduzione di ingiusta applicazione della maggiorazione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 27 (sulla cui debenza anche in caso di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, peraltro, questa Corte si è espressa di recente con le sentenze 1 febbraio 2016, n. 1884 e 20 ottobre 2016, n. 21259).

Ancora, va evidenziato che il giudice non si è pronunciato nè sull’una nè sull’altra questione, senza che il ricorrente abbia avanzato la censura di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ. e art. 360 cod. proc. civ., n. 4.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Il contrasto giurisprudenziale giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.
La Corte, decidendo a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017


AVVISO DI MOBILITA’ ESTERNA VOLONTARIA (Messi Notificatori) – Comune di Novara

AVVISO DI MOBILITA’ ESTERNA VOLONTARIA, AI SENSI DELL’ART. 30 DEL D.LGS. 30.3.2001 N° 165 E S.M.I., PER LA COPERTURA DI N° 1 POSTO DI COLLABORATORE SERVIZI AUSILIARI (CON MANSIONI DI MESSO NOTIFICATORE) CATEGORIA GIURIDICA B3

 SCADENZA PRESENTAZIONE DOMANDE:

11 OTTOBRE 2017 

E’ indetta una procedura di mobilità esterna volontaria per la copertura a tempo pieno ed indeterminato di n° 1 posto di COLLABORATORE SERVIZI AUSILIARI (CON MANSIONI DI MESSO NOTIFICATORE) – CATEGORIA GIURIDICA B3.

Leggi: Bando mobilità Messo Notificatore – Comune di Novara


Anche l’avvocato pubblico deve usare il badge?

Quattro avvocati pubblici (dipendenti di una A.S.L. campana) nel 2016 si vedevano consegnare dal datore di lavoro il tesserino magnetico marcatempo, con l’obbligo di timbratura contenuto in apposito provvedimento, pena l’adozione di misure disciplinari; costoro, invocando il particolare status dei legali e le peculiari modalità con le quali veniva svolta la prestazione lavorativa nell’interesse dell’Ente, gravavano allora l’atto dinanzi al TAR. I legali sostenevano, nell’impugnativa, che un uso indiscriminato del sistema di rilevazione delle presenze avrebbe inevitabilmente comportato una implausibile limitazione dei profili di autonomia professionale e di indipendenza indiscutibilmente riconosciuti dal vigente ordinamento (anche) agli avvocati dipendenti delle Amministrazioni pubbliche.

Nel procedimento era intervenuta ad adiuvandum, a sostegno dei ricorrenti, anche una organizzazione sindacale. Il TAR campano con sentenza n. 1368 del 30 agosto 2017 (sotto riportata) ha respinto il ricorso. Dopo aver premesso che della questione, in generale, la giurisprudenza amministrativa aveva già avuto modo di occuparsi (il Consiglio di Stato, con decisione n. 2434 del 7 giugno 2016 ha infatti osservato che le prerogative di autonomia ed indipendenza non sono lese da ordini di servizio riconducibili alla verifica funzionale del rispetto degli obblighi lavorativi di diligenza e correttezza nei confronti del datore di lavoro, che obbligano ovviamente anche l’avvocato iscritto all’elenco speciale), i giudici salernitani hanno rilevato che con gli atti contestati non si realizza affatto una “indebita ingerenza” nell’esercizio intrinseco della prestazione d’opera intellettuale propria della professione forense, e cioè “nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente”, ai sensi dell’art. 23 Legge n. 247 del 2012 (cioè la normativa generale sulla professione di avvocato), ma, semplicemente, si sottopone l’attività a forme di controllo estrinseco, doverose e coerenti con la partecipazione dell’ufficio dell’avvocato dell’ente pubblico all’organizzazione amministrativa dell’ente stesso.

Leggi: TAR campano – sentenza n. 1368 del 30 agosto 2017 


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 09-05-2017) 19-09-2017, n. 21667

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10318-2015 proposto da:

CALABRA MACERI & SERVIZI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CRISCUOLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENZO DA CERI 195, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO PUGLIESE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 1709/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 05/02/2015 R.G.N. 1819/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/05/2017 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato RACCUGLIA TOMMASO per delega Avvocato CRISCUOLO FABRIZIO;

udito l’Avvocato OLIVA MARGHERITA per delega Avvocato PUGLIESE ALBERTO.

Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1709 del 2014, accogliendo l’appello proposto da F.A. nei confronti della società Calabria Maceri e Servizi spa, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza tra le parti, rigettava la domanda proposta in primo grado da quest’ultima.

2. Il Tribunale in accoglimento della domanda proposta dalla suddetta società aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato il 25 luglio 2008 al F., dipendente della stessa, con qualifica e mansioni di autotrenista, il quale, durante un periodo di assenza dal lavoro per malattia, aveva svolto attività lavorativa incompatibile con la infermità riportata a seguito dell’infortunio sul lavoro del (OMISSIS) (contusione a spalla e polso sinistro, con infermità dichiarata dall’INAIL fino all'(OMISSIS)).

3. Secondo il Tribunale dalle risultanze dell’attività investigativa disposta dalla datrice di lavoro era emerso che il F. aveva svolto, durante il periodo di malattia, attività lavorativa presso l’esercizio commerciale “(OMISSIS)” del figlio, dove si recava con la propria autovettura, si occupava dell’apertura e chiusura del negozio, spostava carichi pesanti e vasi con piante.

Ciò era emerso, in particolare, dall’escussione del teste Fi., che aveva svolto le indagini, dal fascicolo fotografico versato in atti, dalle stesse deposizioni testimoniali dei soggetti sentiti su richiesta del lavoratore.

4. La Corte d’Appello, ritenuta la conformità dell’appello all’art. 434 c.p.c., e rigettata l’istanza di declaratoria di inammissibilità ex art. 436-bis e 348-bis c.p.c., accoglieva l’impugnazione del lavoratore.

Nella contestazione si diceva che nei giorni indicati, dopo le 15,00, il F. aveva svolto attività contrastanti con l’infortunio denunciato (“nei giorni (OMISSIS), dalle ore 15 in poi, Ella ha commesso il seguente fatto: nei giorni indicati, nonostante Lei fosse assente per infortunio, come da certificazione medica, svolgeva comunque attività contrastanti, con l’infortunio da Lei accusato, presso l’attività commerciale “(OMISSIS)””, pag. 7 sentenza di appello), senza indicare tuttavia in cosa si sarebbe concretizzata tale attività.

Ciò, senza poter dare luogo ad inefficacia del licenziamento per genericità dei motivi, perchè la censura contenuta nella memoria di costituzione in primo grado, non veniva reiterata in appello, si riverberava sul campo di indagine dei fatti posti a fondamento del recesso datoriale che, in base al principio di immutabilità dei motivi del licenziamento disciplinare, non può estendersi oltre alla verifica delle circostanza che le attività svolte dal F. nei giorni, e negli orari, indicati nella contestazione di addebito, fossero espressione, di per sè, di fraudolenta simulazione di malattia.

Su questa premessa, la Corte d’Appello rilevava che dalla documentazione in atti e dalle prove testimoniali assunte in primo grado, non poteva pervenirsi alla conclusione che l’attività svolta dal lavoratore, oggetto della contestazione, fosse indicativa di simulazione della malattia diagnosticata dall’INAIL (contusione spalla e polso sinistro).

Dal fascicolo fotografico elaborato dalla società di investigazioni private, su cui deponeva il teste fi., risultavano come comportamenti suscettibili di assumere astrattamente rilievo ai fini della presente indagine: il F. alla guida di un auto, o che teneva in mano un sacchetto con la scritta “(OMISSIS)” riempita solo per 1/5 di materiale di natura sconosciuta, o intento a spostare qualche piccola piantina, o intento nell’abbassare la saracinesca dell’esercizio commerciale funzionante con dispositivo elettronico mediante l’inserimento di una chiave.

In ragione della diagnosi, tali condotte non potevano ritenersi espressione di simulazione di malattia, mentre lo svolgimento dell’attività lavorativa del F., consistente nel guidare camion con l’obbligo di scarico delle merci da questo trasportate, era incompatibile con lo stato contusivo diagnosticato.

Le asserzioni del teste Fi., secondo cui il F. sarebbe stato visto spostare carichi pesanti e vasi con piante presso l’esercizio commerciale del figlio, oltre che contrastare con le fotografie, non trovavano conferma nelle deposizioni degli altri testi.

5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la società datrice di lavoro, prospettando tre motivi di ricorso.

6. Resiste con controricorso F.A..

7. La ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., nonchè dell’art. 437 c.p.c., comma 2, e conseguente applicazione dell’art. 348-bis c.p.c., in ordine all’inammissibilità dell’appello (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4).

2. La società censura la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello per la mancanza di specificità dei motivi e dell’indicazione delle modifiche che venivano richieste rispetto alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado.

Il giudice di secondo grado rilevava che il lavoratore appellante non si era limitato al mero richiamo delle tesi sostenute in primo grado, ma aveva censurato in modo espresso la sentenza con specifico riferimento al giudizio di disvalore, incidenza sui doveri di correttezza e lealtà, gravità del comportamento contestato al lavoratore dalla datrice di lavoro, espresso dal giudicante, indicando gli elementi da cui si deve desumere la prova dell’illogicità dello stesso e chiedendo, in ragione di ciò, il rigetto della declaratoria di legittimità del licenziamento spiegato con il ricorso introduttivo.

La Corte d’Appello riteneva che da ciò discendeva non solo la conformità del gravame allo schema dell’art. 434 c.p.c., ma anche il rigetto della domanda di declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 436-bis c.p.c..

Assume la ricorrente che tale statuizione contrasta con le disposizioni invocate, come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, atteso che nel ricorso in appello veniva indicato un solo generico motivo di contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, senza nessuna specificazione sui capi della sentenza in contestazione, sulle modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto, sul perchè della contraddittorietà, sul rapporto di causa ed effetto fra violazione dedotta ed esito della lite.

L’appellante non aveva riportato neppure in modo succinto l’argomentazione di primo grado e quali parti si potevano ritenere gravate da vizi tali da chiederne la riforma. Il lavoratore, con l’atto d’appello, si limitava a riportare all’interno del ricorso in appello una sola frase della sentenza di primo grado individuandola in “pag. 6 riga 10 e seg.” 3. Il motivo di ricorso è inammissibile.

3.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’art. 434 c.p.c., comma 1, nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata (Cass., n. 2143 del 2015).

Peraltro (Cass., n. 2814 del 2016), ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice.

3.2. Tuttavia, occorre ricordare che questa Corte, allorquando sia denunciato un “error in procedendo”, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; ma, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (ex multis, Cass., n. 2771 del 2017).

Allorchè – come nella specie – si censuri la statuizione del giudice di secondo grado di rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità, nonchè la mancata adozione di ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. e dunque la esclusione della ragionevole probabilità di non accoglimento dell’impugnazione, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi dell’appello di cui si assume la mancanza di specificità o la riferibilità a una valutazione prognostica di non fondatezza (cfr., Cass., n. 20405 del 2006, n. 11738 del 2016).

L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone, infatti, comunque l’ammissibilità del motivo.

3.3. La ricorrente limitandosi a dedurre ciò che non sarebbe stato indicato nell’atto di appello (cfr., pag. 11 del ricorso per cassazione), e la mancanza di riferimenti nell’appello alla sentenza di primo grado se non per una frase (cfr. pag. 13 del ricorso per cassazione), non prospetta le censure in modo conforme ai principi sopra richiamati.

Nè tale onere può essere supplito dalla riproduzione nel controricorso dell’appello, atteso che spetta al ricorrente la riproduzione, insieme ad una critica ragionata, dei passi dell’appello di cui si assume l’inammissibilità in ragione delle disposizioni invocate.

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto error in procedendo.

Vizio di ultrapetizione in violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere il giudice di appello pronunciato oltre il limite delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti.

Deduce la ricorrente che il lavoratore nel primo grado di giudizio, ma soprattutto nel secondo, non aveva censurato la motivazione contenuta nella contestazione degli addebiti, essendo così incorso il giudice di appello nella violazione dell’art. 112 c.p.c., laddove ha affermato che la stringata contestazione di addebiti non risponde al canone di completezza della descrizione del comportamento che dava luogo al licenziamento.

La Corte d’Appello, affermava che si esponeva che nei quattro giorni indicati (recte: (OMISSIS)) dopo le 15, il sig. F. aveva svolto attività contrastanti con l’infortunio denunciato, senza tuttavia indicare in cosa si sarebbero concretizzate tali attività.

Il vizio denunciato trovava conferma nel fatto che il Tribunale aveva affermato che la contestazione dell’addebito, di cui vi era copia in atti, appariva essere sufficientemente specifica, poichè nella stessa erano stati indicati con chiarezza i fatti addebitati, ovvero l’avvenuto svolgimento, durante il periodo di tempo specificamente indicato ovvero nei giorni (OMISSIS), di attività in contrasto con l’infortunio denunciato presso l’esercizio commerciale “(OMISSIS)”, con conseguente piena garanzia del diritto di difesa del lavoratore.

Tale statuizione non aveva costituito oggetto di impugnazione in appello, venendo così acclarata la specificità e sufficienza dei contenuti della contestazione disciplinare, con la conseguente violazione da parte della Corte d’Appello del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c..

5. Il motivo non è fondato La statuizione della Corte d’Appello censurata dalla ricorrente (e cioè che la stringata contestazione non rispondeva al canone di completezza della descrizione del comportamento che dava luogo alla sanzione espulsiva) è seguita dalla seguente affermazione “Tale rilievo – sebbene non possa condurre a pronuncia di inefficacia del licenziamento per genericità dei motivi, perchè la censura, contenuta nella memoria di costituzione in primo grado, rigettata dal giudicante, non è stata riproposta con l’atto di appello – riverbera i propri effetti sul campo di indagine dei fatti posti a fondamento del recesso datoriale che, in base al principio di immutabilità dei motivi di licenziamento disciplinare, che risponde alla medesima garanzia del diritto di difesa del lavoratore, non può estendersi oltre alla verifica della circostanza che le attività svolte dal sig. F. nei cinque giorni, e negli orari, indicati nella contestazione di addebito siano espressione, di per sè, di fraudolenta simulazione di malattia”.

Detta statuizione, dunque, posta in continuità logica giuridica con quella censurata, pone in evidenza che la Corte d’Appello ha dato rilievo alla contestazione non per rilevarne la mancanza di completezza, ma al fine di operare la valutazione degli elementi fattuali per verificare la sussistenza della giusta causa, nei limiti della stessa, senza, dunque, incorrere nei vizi dedotti.

La Corte d’Appello, quindi, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità sul rilievo disciplinare dello svolgimento dell’attività lavorativa durante la malattia, ha vagliato le attività svolte dal lavoratore “comunque contrastanti con l’infortunio da lei accusato, presso l’attività commerciale (OMISSIS)” (secondo la contestazione), risultanti dagli atti di causa, escludendo che potessero integrare giusta causa di licenziamento.

6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione di norme di diritto, degli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla statuizione “in presenza peraltro di uno stato di malattia accertato dall’INAIL che, in quanto cristallizzato in certificati che costituiscono atti pubblici, non poteva essere revocato in dubbio senza previo accertamento della falsità ideologica”.

La Corte d’Appello avrebbe confuso la questione di “falsità ideologica” del certificato medico attestante lo stato di malattia, con la condotta contestata e sanzionata, che invece rientrava nella violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli obblighi specifici contrattuali di diligenza e fedeltà, come emergeva dalla esaustiva e specifica contestazione disciplinare di aver svolto altra attività “pregiudicante” lo stato di infortunio e non anche “attività lavorativa” con conseguente legittimità del licenziamento irrogato.

La società datrice di lavoro ribadisce la esaustività e specificità della contestazione disciplinare, di aver svolto altra attività pregiudicante lo stato di infortunio e non anche attività lavorativa, come acclarato dalla sentenza di primo grado, con conseguente legittimità del licenziamento.

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in materia, la datrice di lavoro deduce che la mansione svolta costituiva il collegamento tra l’infortunio denunciato e il rispetto dei doveri generali di correttezza e buona fede, nonchè degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, posto che nel caso in esame, svolgendo il F. le mansioni di autista e non contestando la condotta di avere guidato l’auto con il braccio infortunato, trasportando pesi e carichi di grossa entità, il lavoratore aveva violato le citate norme.

L’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore, infatti, ha un contenuto più ampio di quello di cui all’art. 2105 c.c., dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extra lavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro.

7. Il motivo non è fondato.

Come già osservato nella sentenza Cass., n. 24812 del 2016, nel puntualizzare i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia, è ricorrente nella casistica giudiziaria la fattispecie del licenziamento per svolgimento di attività lavorativa in costanza di malattia.

7.1. Che nella specie le attività di cui si asseriva il contrasto con l’infortunio fossero state ricondotte dalla datrice di lavoro ad attività lavorativa, come qualificata la domanda dal Tribunale, si rileva dal dedotto (nella contestazione) svolgimento delle stesse presso l’attività commerciale “(OMISSIS)”.

Occorre, altresì, precisare che si evince dalla sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro (cfr., pag. 2 della sentenza di secondo grado), dal ricorso per cassazione (cfr., pag. 3 del ricorso, in cui si riporta il contenuto della sentenza del Tribunale), dal controricorso (cfr., pag. 2 del controricorso del lavoratore), e dalla memoria della società ricorrente (pag. 4, in cui si richiama la sentenza n. 24671 del 2016)” laddove è stata confermata la legittimità del licenziamento irrogato ad un lavoratore che assente da un’azienda in stato di malattia aveva lavorato in una pizzeria svolgendo attività inerente l’ordinazione dei pasti, il servizio, la stesura e la riscossione del conto. Insomma, un caso esattamente analogo a quello in esame, atteso che il controricorrente non contesta lo svolgimento di altra attività lavorativa durante il periodo di infortunio e, comunque, provata dalla documentazione fotografica dell’investigatore privato”, che la sentenza di primo grado nel dichiarare la legittimità del licenziamento irrogato per giusta causa in ragione dello svolgimento di attività lavorativa durante la malattia, così qualificava la contestazione. Nè tale qualificazione risulta dal presente ricorso essere stata censurata dalla società, in via di eccezione, nel giudizio di secondo grado, che ha validato, sia pure pervenendo ad un diverso esito del giudizio, la medesima.

Ed infatti, la società, pur affermando che la contestazione disciplinare avrebbe riguardato lo svolgimento di altra attività pregiudicante lo stato di infortunio e non anche attività lavorativa (pag. 19 ricorso), non deduce, di avere contestato in appello la suddetta qualificazione della domanda fatta dal giudice di merito, riportando la eventuale relativa eccezione, per cui per tale profilo il motivo è inammissibile in ragione della novità della questione.

7.2. Tanto premesso, si osserva che nel caso di specie i principi che informano la valutazione, cui la Corte territoriale si è attenuta, sono consolidati: lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sè sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolenta simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l’attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore (v. ex plurimis Cass. n. 17625 del 2014, citata Cass., n. 24812 del 2016).

Inoltre, l’espletamento di attività extralavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento derivi un’effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia solo messa in pericolo dalla condotta imprudente (v. Cass., n. 16465 del 2015), con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessariamente ex ante, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato (citata Cass., n. 24812 del 2016).

7.3. La soluzione concreta delle singole controversie è però in effetti e di necessità condizionata dall’accertamento compiuto dai giudici di merito, a loro spettando sia la ricostruzione delle risultanze fattuali, sia la valutazione dell’incidenza dell’attività sulla malattia nei termini sopra indicati dalla giurisprudenza di legittimità richiamata, valutazione che, se congruamente motivata, è incensurabile in questa sede.

7.4. Nel caso in esame, la Corte d’Appello, con adeguata valutazione delle risultanze fattuali, in considerazione della quale il vaglio di legittimità si arresta, ha escluso una necessaria rilevanza disciplinare dello svolgimento di attività lavorativa durante la malattia e, passando ad esaminare le attività (“contrastanti con l’infortunio denunciato”, come affermato nella contestazione), svolte dal lavoratore nei giorni (OMISSIS), in ragione delle risultanze processuali, ha ritenuto che le stesse non fossero indicative di simulazione della malattia diagnosticata dai sanitari dell’INAIL (contusione a spalla e polso destro), e non integravano violazione di buona fede e correttezza e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, atteso che non evidenziano simulazione della malattia nè ne ritardavano la guarigione.

Nel fascicolo fotografico elaborato su domanda della Calabra Maceri e Servizi spa, dalla SE.FY. investigazioni private, su cui deponeva il teste Fi., risultavano come comportamenti suscettibili di assumere astrattamente rilievo ai fini della presente indagine: il F. alla guida di un auto, o che teneva in mano un sacchetto con la scritta “(OMISSIS)” riempita solo per 1/5 di materiale di natura sconosciuta, o intento a spostare qualche piccola piantina, o intento nell’abbassare la saracinesca dell’esercizio commerciale funzionante con dispositivo elettronico mediante l’inserimento di una chiave.

In ragione della diagnosi, tali condotte – la guida dell’automobile e il compimento di attività non particolarmente faticose come sopra indicate – non potevano ritenersi espressione di simulazione di malattia (peraltro non essendovi stata la prescrizione di particolari dispositivi o cure quali uso di tutori o immobilismo), mentre lo svolgimento dell’attività lavorativa del F., consistente nel guidare camion con l’obbligo di scarico delle merci da questo trasportate, era incompatibile con lo stato contusivo diagnosticato.

Le asserzioni del teste Fi., secondo cui il F. sarebbe stato visto spostare carichi pesanti e vasi con piante presso l’esercizio commerciale del figlio, oltre che contrastare con le fotografie, non avevano trovato conferma nelle deposizioni degli altri testi i quali si erano limitati a riferire della presenza del lavoratore presso il negozio, dove al più trattava con i clienti o semplicemente li accoglieva.

7.5. Pertanto, rilevava la Corte d’Appello non vi era incompatibilità tra le suddette attività e il recupero delle energie lavorative, che peraltro, non veniva contestata dalla datrice di lavoro con la missiva di avvio del procedimento disciplinare.

8. Il ricorso deve essere rigettato.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

10. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2017


L’attività formativa dell’Associazione – anno 2018

Formazione ANNAIl «Progetto per la valorizzazione del Messo Comunale» è una iniziativa dell’Associazione A.N.N.A. che ha come obbiettivo principale quello di riqualificare la figura ed il ruolo del Messo Comunale e tutte le figure che svolgono l’attività  di notificazione, attraverso la conoscenza dei principi fondamentali del Procedimento notificatorio.

L’Associazione attraverso tale iniziativa, che si svolge su tutto il territorio nazionale, intende dare il proprio contributo affinché l’applicazione delle norme che regolano il Procedimento notificatorio sia la più uniforme possibile .

L’informatizzazione della pubblica amministrazione è certamente una delle principali sfide che Stato, Regioni ed Enti locali si trovano ad affrontare in questo momento storico. L’impatto della tecnologia sull’amministrazione pubblica ed i servizi ai cittadini è di enorme portata, ma per risultare veramente efficace il processo di informatizzazione necessita di un gran numero di strumenti normativi, tecnici ed organizzativi. Gli effetti dello sviluppo e della diffusione dell’innovazione tecnologica sulla produzione documentaria sono oramai rilevanti (basti pensare a quelli derivanti dall’introduzione della firma elettronica e del servizio di posta elettronica certificata che hanno reso possibile la formazione, la trasmissione e la ricezione di documenti informatici a valenza giuridica e forza probatoria), il che rende necessari l’attivazione di sistemi di gestione elettronica e lo sviluppo di soluzioni di natura archivistica, organizzativa e tecnologica, capaci di garantire la conservazione nel tempo e la fruizione della memoria digitale.

Di fronte a tale situazione, A.N.N.A. si propone di fornire un contributo alla soluzione delle problematiche connesse alla produzione e conservazione dei documenti e degli archivi informatici; problematiche che, se non affrontate correttamente, rischiano di provocare la perdita irreversibile di gran parte del patrimonio archivistico che sarà  prodotto in futuro dalle amministrazioni pubbliche e dalle imprese.

Le giornate di studio, di carattere prevalentemente pratico, affrontano la materia delle notifiche attraverso l’analisi, lo sviluppo ed il coordinamento delle norme procedurali. Particolare attenzione viene prestata alla compilazione dei moduli operativi, anche in relazione alle conseguenze derivanti dall’evoluzione giurisprudenziale che spesso sopperisce a lacune legislative ovvero ne determina ulteriori dubbi e difficoltà  sull’applicabilità  delle norme. Si tratterrà , inoltre, in maniera approfondita della Notifica On Line

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà  ad effettuare l’esame di idoneità  per le persone che verranno indicate al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (Art. 1, comma 158 e ss.).

I docenti sono operatori di settore che, con una collaudata metodologia didattica, assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

PRIMO SEMESTRE  2018

Data Luogo Tipologia
Venerdì 2 Febbraio Montagnana (PD) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 8 Febbraio Udine Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Martedì 3 Aprile Zola Predosa (BO) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Martedì 10 Aprile Fara in Sabina (RI) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Mercoledì 18 Aprile Montecchio Emilia (RE) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 20 Aprile Imperia Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Lunedì 23 Aprile Lainate (MI) Giornata di Studio per Agenti Notificatori

SECONDO SEMESTRE  2018

Data Luogo Tipologia
 Venerdì 28 Settembre  Calatabiano (CT) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 19 Ottobre  Conversano (BA) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 26 Ottobre  Formia (LT) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 8 Novembre  Ancona Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 9 Novembre  Cesena FC)
Giornata di Studio per Agenti Notificatori

Giornata di Studio Cesena (FC) – 10.11.2017

Locandina GdS Cesena FC 2017LA NOTIFICA ON LINE

Venerdì 10 novembre 2017

Comune di Cesena (FC)

Municipio
Piazza del Popolo 10
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con la collaborazione del Comune di Cesena (FC)

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già è socio A.N.N.A. (persona fisica già è iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2016 con rinnovo anno 2017 già pagato al 31.12.2016. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.

€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON E’ ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2018 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.

€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON E’ iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (**) (***) per il primo partecipante
  • € 160,00  (**) (***) per il secondo partecipante
  • €  70,00   (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2018 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio) e per un massimo di numero 10 dipendenti. Dall’11° dipendente si riprende con la quota di € 200,00 ecc. 


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie, comprensive dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: Codice IBAN: IT06 T030 6234 2100 0000 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento sul Conto Corrente n. 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio
Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti

Causale: G.d.S. Cesena 2017 o numero fattura elettronica

(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico, la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993, ed è comprensiva di € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità  successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà  seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Fontana LazzaroFontana Lazzaro

Resp. Servizio Notifiche dell’Unione Colline Matildiche (RE)

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2017

Scarica: Depliant GdS Cesena FC 2017

Vedi: Video della Giornata di Studio

Vedi: 

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS Cesena 2017

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2017

  1. Comunicazione Associazione Senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000)
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza
  6. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione
  7. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  8. Documento di identità  personale del Legale Rappresentante pro tempore

Giornata di Studio Ancona – 9.11.2017

Locandina GdS Ancona 2017LA NOTIFICA ON LINE

Giovedì 9 novembre 2017

CIRCOLO SOTTUFFICIALI MARINA MILITARE

Via XXIX SETTEMBRE 1

ANCONA

 Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già  socio A.N.N.A. (persona fisica già  iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2016 con rinnovo anno 2017 già  pagato al 31.12.2016. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.

€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON E’ ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2018 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.

€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON E’ iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (**) (***) per il primo partecipante
  • € 160,00  (**) (***) per il secondo partecipante
  • €  70,00   (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2018 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio) e per un massimo di numero 10 dipendenti. Dall’11° dipendente si riprende con la quota di € 200,00 ecc. 


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie, comprensive dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: Codice IBAN: IT06 T030 6234 2100 0000 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento sul Conto Corrente n. 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio
Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti

Causale: G.d.S. Ancona 2017 o numero fattura elettronica

(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico, la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993, ed è comprensiva di € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità  successiva.

L’Associazione rilascerà  ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà  costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla Giornata di Studio deve essere effettuata tramite l’invio del Modulo di partecipazione cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà  seguire il versamento della quota di iscrizione. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

COME ARRIVARE:

La sede della Giornata di Studio è raggiungibile dalla stazione ferroviaria con la linea autobus n.1, 1/3, 1/4 direzione centro, ma anche a piedi in 15-20 minuti; chi arriva in auto può parcheggiare su via XXIX Settembre, nel park Traiano sempre sulla stessa via molto vicino, nelle vicinanze c’è anche il Park Cialdini, oppure al Park Archi, un po’ più lontano (via Marconi), ma molto economico.

Docente:

Durì Francesco

Resp. Servizio Notifiche del Comune di Udine

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività  del Messo Comunale e attività  dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità  normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà  ad effettuare l’esame di idoneità  per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà  di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività  di formazione anno 2017

Scarica: Depliant G.d.S. Ancona 2017

Vedi: Video della Giornata di Studio

Vedi: 

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS Ancona 2017

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica e dovrà essere allegata la Determina Dirigenziale
Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2017
  1. Comunicazione Associazione Senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000)
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza
  6. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione
  7. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  8. Documento di identità  personale del Legale Rappresentante pro tempore

Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 07-06-2017) 06-09-2017, n. 20863

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14171-2016 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA B. TORTOLINI, 34, presso lo studio dell’avvocato NATALIA PAOLETTI, rappresentato e difeso dagli avvocati STEFANO PELLEGRINO e ROBERTO PELLEGRINO;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA C.F. (OMISSIS), in persona del Procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO COLLA’ RUVOLO;

– controricorrente –

nonché contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10700/15/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata l’01/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/06/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON. Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del Presidente e del Relatore.

Svolgimento del processo
che:

Con sentenza in data 16 novembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello proposto da A.S. avverso la sentenza n. 23777/21/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ne aveva respinto il ricorso contro la cartella di pagamento IRAP, IRPEF ed altro, IVA ed altro 20052006. La CTR osservava in particolare che erano infondate le eccezioni, riproposte quali motivi di appello, di nullità della notifica degli avvisi di accertamento “presupposti” dell’atto esattivo impugnato, di nullità della cartella esattoriale oggetto della lite per carenza del suo contenuto motivazionale (calcolo dei crediti erariali posti in esecuzione) ed infine di decadenza dal potere impositivo/esattivo.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo tre motivi.

Resistono con controricorso l’Agenzia delle entrate ed Equitalia Servizi di Riscossione spa, quale incorporante di Equitalia Sud spa.

Motivi della decisione
che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b) bis, art. 24 Cost., L. n. 212 del 2000, art. 6, nonchè vizio motivazionale, poichè la CFR ha affermato il rituale perfezionamento della procedura notificatoria degli atti impositivi “presupposti” della cartella di pagamento impugnata, in particolare evidenziando, per un verso la mancata prova della spedizione della “raccomandata informativa” non essendo avvenuta la consegna/ricezione diretta di detti atti, appunto come specificamente previsto dalla prima disposizione legislativa evocata, per altro verso l’insussistenza della qualità di “familiare” della persona ricevente detti atti impositivi.

La censura è infondata.

Va anzitutto ribadito che “In tema di notificazione a mezzo del servizio postale, eseguita mediante consegna dell’atto a persona di famiglia che conviva, anche temporaneamente, con il destinatario, il rapporto di convivenza, almeno provvisorio, può essere presunto sulla base del fatto che il familiare si sia trovato nell’abitazione del destinatario ed abbia preso in consegna l’atto da notificare, onde non è sufficiente, per affermare la nullità della notifica, la mancata indicazione della qualità di convivente sull’avviso di ricevimento della raccomandata, il cui contenuto, in caso di spedizione diretta a mezzo piego raccomandato, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 3, è quello prescritto dal regolamento postale per la raccomandata ordinaria e non già quello previsto dall’art. 139 c.p.c.” (Sez. 5, Sentenza n. 15973 del 11/07/2014, Rv. 632118 01).

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tale principio di diritto, peraltro essendo in fatto ammesso dallo stesso ricorrente che la persona ricevente gli atti impositivi in questione era effettivamente la compagna convivente del figlio a sua volta pacificamente convivente del contribuente.

Peraltro risulta accertato in fatto, quindi non ulteriormente sindacabile in questa sede, che la previsione speciale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b) bis, sia stata pienamente rispettata dal messo notificatore, il quale ha attestato, con validità probatoria fino a querela di falso, l’avvenuta spedizione della “raccomandata informativa” da questa disposizione legislativa prevista nel caso, come quello di specie, in cui l’atto notificando non sia stato consegnato direttamente al destinatario.

Va tuttavia sul punto precisato, in diritto, che tale disposizione prevede esclusivamente la spedizione di una “lettera raccomandata”, non quindi di una raccomandata con avviso di ricevimento, sicchè le prove valutate dal giudice tributario di appello ossia le attestazioni del messo notificatore correlative al punto di fatto de quo ne risultano pienamente adeguate.

Con il secondo mezzo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione della L. n. 241 del 2000, art. 3, L. n. 212 del 2000, art. 7, e vizio motivazionale, poichè la CTR ha escluso la sussistenza dell’eccepito “vizio proprio” della cartella esattoriale impugnata consistente nella mancata indicazione del criterio di calcolo dei crediti erariali esposti nella medesima.

La censura è infondata.

Vi è infatti da rilevare che, basandosi l’atto esattivo impugnato sulla rilevata rituale notificazione degli atti impositivi correlativi, la sua motivazione non può che essere riferita agli stessi, come del resto è pienamente legittimo (cfr. in senso analogo, Sez. 5^, Sentenza n. 21177 del 08/10/2014, Rv. 632486 – 01), sicchè dall’integrazione sostanziale di tale complesso di atti impositivi ed esattivi il contribuente ha potuto senz’altro esattamente apprendere i termini, anche quantitativi, della pretesa erariale e quindi è stato messo in grado di esercitare il suo diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Esprimendosi la sentenza impugnata in questo stesso senso è dunque corretta anche su tale punto.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, e di vizio motivazionale, poichè la Commissione tributaria regionale ha respinto la sua eccezione di decadenza dell’agenzia fiscale dal potere impositivo, peraltro fraintendendola ossia riferendola alla fase della riscossione e quindi ai termini decadenziali per l’emissione della cartella esattoriale, invece che alla fase dell’accertamento e pertanto agli analoghi termini legalmente fissati per la notifica degli atti impositivi “presupposti”.

La censura è infondata.

Ancorché riferibile l’eccezione de qua non alla cartella di pagamento impugnata, bensì agli avvisi di accertamento, comunque la stessa si palesa preclusa dalla mancata impugnazione degli stessi, nonostante la loro rituale notificazione rilevatasi nei giudizi di merito e, per i profili di competenza, anche in questa sede di legittimità.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000 per ciascuna parte controricorrente oltre spese prenotate a debito per l’Agenzia delle entrate e oltre Euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge per l’Agente della riscossione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2017


Rischia la reclusione chi falsifica o altera le email

La Cassazione conferma la condanna per una dipendente comunale che ha falsificato la notifica di ricezione di una mail

Rischia il carcere chi falsifica le mail oppure l’avvenuta ricezione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, V sezione penale, nella sentenza n. 39768/2017 (sotto riportata) con cui ha confermato la condanna a otto mesi di reclusione, sospesi con la condizionale, a una donna che aveva falsificato la notifica di ricezione di una mail.
In particolare, l’imputata era stata condannata ex art. 617-sexies c.p. (Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche) poiché, in quanto dipendente comunale, aveva formato falsamente e inviato alla persona interessata, facendone così uso, la notifica di avvenuta lettura della e-mail di convocazione, in realtà mai pervenuta alla stessa, per un colloquio per il posto di agente di Polizia Municipale.
Tutto questo allo scopo di occultare la propria responsabilità relativamente all’invio di tale comunicazione all’indirizzo e-mail errato, errore che aveva determinato l’esclusione della concorsista dalla graduatoria.
La condotta del delitto punito dall’art. 617-sexies c.p., precisano i giudici, consiste nel formare, falsamente, in tutto o in parte, il testo di una comunicazione informatica o telematica, ovvero nell’alterare, sopprimere, in tutto o in parte, il contenuto di una comunicazione informatica o telematica vera, anche se solo occasionalmente intercettata, allo scopo di procurarsi un vantaggio o di arrecare ad altri un danno.
Il reato, pur inserito nel corpo della sezione dedicata ai delitti contro l’inviolabilità dei segreti, delinea una particolare figura di falso, caratterizzata in ragione del suo oggetto: il dolo richiesto per l’ipotesi delittuosa in esame è specifico e consiste infatti nella coscienza e volontà di procurarsi direttamente o indirettamente un vantaggio, non necessariamente di carattere patrimoniale, o di recare ad altri un danno.
Deve poi essere oggettivamente riscontrabile, in conseguenza dell’azione del soggetto agente, la materiale alterazione o soppressione dell’informazione attinta. Occorre infine che dell’alterazione compiuta l’agente abbia fatto uso o abbia semplicemente tollerato un uso a opera di altri; deve quindi esservi stata consapevolezza della diffusione esterna di una rappresentazione informativa non genuina o non corrispondente a verità.
Inutile per la ricorrente insistere sulla mancanza del “corpo del reato” (che avrebbe potuto essere solo un documento informatico) e sulla mancata ispezione tecnica e verifica peritale dei personal computer sia della denunciante, sia della denunciata, senza la quale non avrebbe potuto ritrarsi alcuna certezza circa la pretesa falsificazione informatica.
La prova della falsificazione del documento informatico, prosegue il provvedimento, può essere ricavata da un esame tecnico diretto delle memorie dei due computer interessati e tuttavia può essere raggiunta, in modo convincente e oltre ogni ragionevole dubbio, anche sulla base di elementi probatori differenti da una perizia tecnica, che dimostrino in modo certo l’avvenuta alterazione.
Nella fattispecie gli elementi di prova raccolti e analizzati confortavano comunque, al di là del ragionevole dubbio, la ritenuta sussistenza della falsificazione, pertanto è legittima la condanna della donna posto che la cornice edittale prevista dalla norma punisce il colpevole con la reclusione da uno a quattro anni.

Leggi: Carcere per chi falsifica le mail – Cassazione sentenza n. 39768/2017 


Giornata di Studio Lainate (MI) – 18.10.2017

Locandina GdS Lainate 2017LA NOTIFICA ON LINE

Mercoledì 18 ottobre 2017

Comune di Lainate (MI)

Villa Litta

Cortile Nobile

Sala degli Specchi

Largo Vittorio Veneto, 12

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Lainate (MI)

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2016 con rinnovo anno 2017 già pagato al 31.12.2016. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.

€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON E’ ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2018 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.

€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON E’ iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 160,00  (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • €  70,00   (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2018 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio) e per un massimo di numero 10 dipendenti. Dall’11° dipendente si riprende con la quota di € 200,00 ecc. 


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie, comprensive dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: Codice IBAN: IT06 T030 6234 2100 0000 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento sul Conto Corrente n. 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio
Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti

Causale: G.d.S. Lainate 2017 o numero fattura elettronica

(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico, la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993, ed è comprensiva di € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Fontana LazzaroFontana Lazzaro

Resp. Servizio Notifiche dell’Unione Colline Matildiche (RE)

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità  per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà  di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività  di formazione anno 2017

Scarica: Depliant GdS Lainate 2017

Scarica: Piantina Come arrivare

Vedi: Fotografie della Giornata di Studio

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS Lainate (MI) 2017

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2017

  1. Comunicazione Associazione Senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000)
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza
  6. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione
  7. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  8. Documento di identità personale del Legale Rappresentante pro tempore

Notifica via pec non valida se non contiene file con estensione .p7m

E’ stato stabilito dalla CTP di Reggio Emilia che non ha validità la notifica di un atto impositivo avvenuta via PEC, se l’atto in essa contenuto ha l’estensione pdf e non quella p7m.
Il motivo è che solo quest’ultima estensione garantisce l’integrità e l’immodificabilità del documento informatico, nonché l’identificabilità del suo autore con firma digitale.
La sentenza che l’ha stabilita è la n.204/2017 che ha affrontato per la prima volta la questione sull’estensione del file che contiene l’atto impositivo, soprattutto considerando che oltre alle cartelle nei prossimi mesi anche gli avvisi di accertamento saranno notificati via Posta Elettronica Certificata.
Nel caso specifico, una società si era vista notificare diverse cartelle di pagamento, alcune delle quali via PEC. Tuttavia, il file telematico della cartella di pagamento scelto dall’agente della riscossione era il pdf.
E’ stato dunque ribadito che la notifica via PEC non è valida se avviene, come nella fattispecie, tramite messaggio di posta elettronica certificata che contenga il file della cartella con questa estensione, poiché con la notifica via PEC in formato pdf, non viene prodotto l’originale della cartella, ma solo una copia elettronica senza valore perché priva di attestato di conformità da parte di un Pubblico Ufficiale.
Al contrario, l’estensione p7m del file notificato, che rappresenta la cosiddetta busta crittografica contenente al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica, può attestare la certificazione della firma.
Nei casi in cui venga a mancare questa estensione del file, la notificazione via PEC delle cartelle di pagamento viene considerata non valida con annullamento derivato delle cartelle stesse.

Leggi: CPT RE 204-2017 (Notifica) (atto firmato PDf e non P7M)