Notifica per posta

Il testo del disegno di legge sulla Concorrenza è stato varato dal Governo nel febbraio 2015. In ottobre dello stesso anno la Camera dei Deputati lo ha approvato e ora è all’esame della Commissione Industria del Senato.

Nel disegno di legge  vengono affrontati vari temi tra i quali i servizi postali nel quale dal giugno 2017 Poste Italiane perderà l’esclusiva sugli atti giudiziari.


La notifica a mezzo PEC nel processo amministrativo è inesistente

Il Consiglio di Stato ritorna sui suoi (recenti) passi come una specie di gambero, per lo più incerto sulla direzione da seguire. Con la sentenza 20 gennaio 2016, n. 189 la Terza Sezione affronta la questione trita e ritrita della possibilità di notificare il ricorso introduttivo a mezzo posta elettronica certificata. Lo fa con uno straordinario revirement rispetto al proprio precedente arresto di settembre scorso, con il quale, rifacendosi ad altri precedenti, sembrava avesse definitivamente sopito il dibattito PEC si, PEC no, per l’ammissibilità di tale forma di notificazione anche nel processo amministrativo.
Nella sentenza del 14 settembre 2015 n. 4270, il Collegio ritiene di dover essere coerente con i suoi precedenti aderendo per relationem allo stesso Consiglio di Stato, Sez. VI n. 2682 del 28 maggio 2015 secondo il quale: “La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, c o. 2, del c.p.a. non può considerarsi ostativa alla validità ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (ed in particolare… gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dall’art. 25 co. 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale… a mezzo della posta elettronica certificata”.
“Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a. , disposizione che si riferisce a “forme speciali” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile.
“Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico –operative resta il DPCM al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato al c.p.a. , ciò non esclude però l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC”.
Con la sentenza di cui trattasi, invece, gli Inquilini di Palazzo Spada considerano le notificazioni a mezzo PEC nel processo amministrativo tamquam non esset, giustificando tale differenza rispetto al processo civile con la specialità del rito rinvenibile nelle disposizioni dettate in materia dal CPA, le quali rinviano, per l’ammissibilità, ad una regolamentazione specifica sulla quale vi è la mora del legislatore. Solo il Presidente del Collegio può rendere “esistente” la notifica a mezzo PEC attraverso una sua autorizzazione preventiva ex art. 52 del Codice del Processo Amministrativo, mancante nel caso di specie.
L’inesistenza, è una categoria non armonizzabile con il principio processualistico del raggiungimento dello scopo, proprio per via della mancanza della materia prima…l’esistenza dell’atto in nuce, che in tale ipotesi è negata. Con la conseguenza che anche l’eventuale costituzione in giudizio del destinatario dell’atto non varrebbe a sanarne il vizio.
Il Collegio ammette (e non concede) che anche vertendo in tema di nullità, la costituzione del notificato – diversamente dal processo civile – produrrebbe effetto ex nunc, restando quindi salve le decadenze già maturate, ivi compresa la scadenza del termine di impugnazione, che renderebbe irricevibile il ricorso per tardività qualora la costituzione del notificato avvenisse in data posteriore alla stessa.
Ma tale sentenza alimenta il disvalore dell’incertezza del diritto, considerando che il Collegio contraddice se stesso utilizzando le identiche disposizioni di legge in una specie di ossimoro ermeneutico, ora esaltando la portata dell’art. 1 della Legge n. 53/94 il quale, nel testo modificato dopo l’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo (dunque applicando il criterio cronologico per giustificarne la sopravvenuta vigenza rispetto alle disposizioni del CPA difformi) consente in via generale le notificazioni a mezzo PEC “in materia civile, amministrativa e stragiudiziale”, ora negandone l’applicazione al processo amministrativo in virtù di una autoreferenziale specificità, che nel diritto processuale ha meno ragione di esistere, visti i sempre maggiori punti di contatto tra i due riti.
Anche la necessità, invocata dal Collegio, di specifiche disposizioni tecniche ancora da approvare per il processo amministrativo appare debole come elezione unica ed esclusiva della sedes materiae, e trascura di considerare che la notificazione a mezzo posta elettronica certificata è già compiutamente disciplinata e pacificamente ammissibile, inserendosi in quella inarrestabile tendenza evolutiva dei canali di comunicazione.

Leggi: Consiglio di Stato, sez. III – sentenza 20 gennaio 2016 n. 189


Equitalia: la nuova cartella di pagamento

EquitaliaUna riprogettazione globale stilata dalla necessità di garantire “una migliore fruibilità del contenuto informativo allo scopo di assicurare maggiore chiarezza e trasparenza al contribuente”. Queste le motivazioni che si leggono nel provvedimento n. 27036/2016 con il quale l’Agenzia delle entrate ha approvato il nuovo modello delle cartelle di pagamento con i relativi fogli avvertenza (leggi a fondo pagina).
La riprogettazione, resasi obbligatoria anche a seguito della riforma del contenzioso tributario, renderà più chiare le indicazioni sulle cartelle notificate ai cittadini sia relativamente agli importi che alle modalità di assolvimento del debito.
Ad essere oggetto di intervento di razionalizzazione, infatti, oltre alla sezione “Dove e come pagare”, comprensiva di tutte le modalità di pagamento prima illustrate in due sezioni distinte, è anche la terminologia attinente alle somme spettanti ad Equitalia, con la sostituzione degli “oneri di riscossione” alla precedente parola “compensi”, nonché la sezione relativa al reclamo-mediazione.
In particolare, “per effetto della riformulazione dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 che disciplina l’istituto del reclamo-mediazione, è stata ridenominata la sezione ‘Presentazione del reclamo-mediazione e del ricorso’ in ‘Presentazione del ricorso’ ed è stato eliminato ogni riferimento alla pregressa disciplina che imponeva al contribuente di presentare, in via preliminare, un’istanza di reclamo-mediazione”.
In base alla nuova previsione normativa, infatti, per le controversie di valore non superiore a 20.000,00 euro, la presentazione del ricorso giurisdizionale produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.
Ad essere adeguato è, altresì, il riferimento al limite di valore della controversia, ai fini della costituzione in giudizio senza l’assistenza di un avvocato, elevato dai precedenti € 2.582,28 a € 3.000,00.
L’adozione del modello è obbligatoria per tutte le cartelle notificate ai contribuenti da parte di Equitalia, che proprio in questi giorni ha ufficializzato la modifica della propria struttura, attraverso la fusione delle tre aziende del gruppo (Equitalia Nord, Centro e Sud) in un’unica società, a decorrere con decorrenza 1 gennaio 2016.

Agenzia delle Entrate 27036-2016 Approvazione del nuovo modello di cartella di pagamento

Cartella esattoriale 2016


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 19-11-2015) 17-02-2016, n. 3067

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3344/2013 proposto da:

C.P. C.F. (OMISSIS), rappresentato e difeso da sè medesimo, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRO MENOTTI 24, presso il suo studio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza definitiva n. 13621/2012 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 04/07/2012 R.G.N. 66698/2008;

avverso l’ordinanza definitiva della CORTE DI APPELLO DI ROMA, depositata il 11/01/2013 R.G.N. 5391/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2015 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
Il Ministero della Giustizia, vittorioso in giudizio d’appello, ha notificato all’avv. C.P. un’ingiunzione di pagamento R.D. n. 639 del 1910, ex art. 3, per ottenere la restituzione delle spese processuali allo stesso corrisposte quale procuratore antistatario in base alla sentenza del Tribunale.

L’avv. C. ha proposto opposizione all’ingiunzione del Ministero ed il Tribunale, con sentenza del 4/7/2012, ha rigettato l’opposizione.

Con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., dell’11/1/2013 la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’avv. C. in quanto privo di ragionevole probabilità di accoglimento.

La Corte territoriale ha affermato la legittimità formale dell’ordinanza ingiunzione, essendo la firma riferibile al soggetto indicato quale direttore dell’ufficio che aveva emanato l’atto e comunque stante l’inessenzialità della sottoscrizione autografa come desumibile dalla possibilità che la firma autografa potesse essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del responsabile.

Ha rilevato, altresì, che l’ingiunzione era basata su sentenza di secondo grado esecutiva; che era irrilevante la circostanza della successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma su cui era fondata la sentenza posta a base dell’ingiunzione.

Ha osservato altresì, che legittimato passivo alla restituzione delle somme era l’avv. C. quale procuratore antistatario e che l’eccezione di compensazione sollevata dall’avv. C. per un dedotto mancato compenso per l’attività di vicepretore da lui svolta era basata su circostanze generiche.

Avverso l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., nonchè avverso la sentenza del Tribunale ricorre in Cassazione l’avv. C..

Il Ministero è rimasto intimato.

Motivi della decisione
Il ricorrente deduce, in primo luogo, che l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., è impugnabile ai sensi dell’art. 111 Cost e art. 360 c.p.c., u.c., pur nel silenzio del legislatore in quanto provvedimento decisorio, incidente su diritti tra cui quello all’impugnazione ed è definitivo.

Denuncia vizi propri di detta ordinanza ed in particolare con un primo motivo violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 348 ter c.p.c.. Lamenta la violazione del contraddittorio stante il mancato rinvio della causa davanti alla Corte d’appello per consentire all’appellante di esaminare la comparsa del Ministero, costituitosi il giorno prima della prima udienza con un fascicolo asserito quale “duplicato” di quello di primo grado corredato di nuovi documenti sui quali non c’era stato contraddittorio.

Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 348 ter c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto detta norma prevedeva che l’ordinanza dovesse essere succintamente motivata e che nella specie il provvedimento non aveva soddisfatto tale esigenza.

Ripropone le censure circa la regolarità formale dell’ordinanza ingiunzione, la mancanza di un capo condannatorio nella sentenza posta a base dell’ingiunzione e l’affermata irrilevanza del suo passaggio in giudicato, il difetto di legittimazione passiva del procuratore antistatario e, infine, l’infondatezza della motivazione di rigetto dell’eccezione di compensazione.

Il ricorrente poi propone contestualmente sette motivi avverso la sentenza del Tribunale. Logicamente prioritario è l’esame del ricorso proposto avverso l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c..

A seguito del manifestarsi di un contrasto in seno a questa Corte (tra l’orientamento espresso da Cass. n. 7273 del 2014 – secondo la quale l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter c.p.c., non è ricorribile per cassazione per difetto di definitività se emessa nell’ambito suo proprio, cioè per manifesta infondatezza nel merito, ma deve ritenersi ricorribile ove dichiari l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, avendo in tal caso carattere definitivo e valore di sentenza – ed il diverso orientamento espresso da Cass. n. 8940 del 2014, secondo la quale il ricorso per cassazione, sia ordinario che straordinario, non è mai esperibile avverso l’ordinanza che dichiari l’inammissibilità dell’appello ex artt. 348 bis e ter c.p.c., a prescindere dalla circostanza che essa sia stata emessa nei casi in cui ne è consentita l’adozione ovvero al di fuori di essi, ostando, quanto all’esperibilità del ricorso straordinario, la non definitività dell’ordinanza, dovendosi valutare tale carattere con esclusivo riferimento alla situazione sostanziale dedotta in giudizio non anche a situazioni aventi mero rilievo processuale, quali il diritto a che l’appello sta deciso con ordinanza soltanto nei casi consentiti nonchè al rispetto delle regole processuali fissate dagli articoli sopra richiamati) le SSUU di questa Corte con la recente sentenza n 1914/2016, cui questo Collegio intende dare continuità ed alla cui ampia ed esauriente motivazione ci si riporta, ha ritenuto l’impugnabilità ex art. 111 Cost., dell’ordinanza suddetta per vizi suoi propri consistenti in violazione della normativa processuale.

Con la sentenza citata le sezioni unite hanno affermato che, “avuto riguardo ai presupposti del ricorso per violazione di legge previsto dall’art. 111 Cost., comma 7, deve altresì escludersi che l’ordinanza in esame sia impugnabile con censure riguardanti il “merito” della controversia, giusta la previsione di ricorribilità per cassazione della sentenza di primo grado e quindi la non definitività, sotto questo profilo, dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.. La questione resta circoscritta pertanto alla ricorribilità (o meno) dell’ordinanza suddetta per vizi propri di carattere processuale, cioè alle ipotesi in cui, non essendo l’errore del giudice d’appello deducibile come motivo di impugnazione del provvedimento di primo grado, manca la possibilità di rimettere in discussione la tutela che compete alla situazione giuridica dedotta nel processo attraverso il ricorso per cassazione avverso la pronuncia di primo grado”.

Ciò premesso i due motivi d’impugnazione sopra esposti possono essere esaminati ma nei limiti sopra precisati.

Con riferimento al primo motivo nessuna violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa risulta verificatasi nella fattispecie in esame considerato che la decisione è stata emessa dalla Corte d’appello all’esito dell’udienza di trattazione nella quale le parti sono comparse ed hanno potuto esporre le loro richieste e difese come risulta da quanto riferito dallo stesso ricorrente, che ha affermato di aver anche eccepito la nullità del deposito di nuovi documenti da parte del Ministero.

Per quanto attiene, in particolare, alla produzione di detta documentazione di cui si duole il ricorrente la censura risulta del tutto generica non essendosi precisato neppure se e in che modo tale documentazione abbia inciso sulla decisione assunta dalla Corte o se sia stata esaminata.

In relazione al secondo motivo secondo cui l’ordinanza non sarebbe motivata occorre ribadire che, essendo il merito ridiscutibile attraverso il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado e non essendo pertanto in proposito configurabile la definitività richiesta per il ricorso ex art. 111 Cost., comma 7, le problematiche concernenti la motivazione dell’ordinanza impugnata possono essere affrontate in sede di impugnazione dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., non attraverso la denuncia di un errar in iudicando, quindi di un “vizio di motivazione” – o quel che resta di esso dopo l’ultima riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – bensì solo attraverso la denuncia di violazione della legge processuale che sancisce l’obbligo di motivazione, denuncia che è stata peraltro ammissibilmente proposta nei suddetti termini dall’odierno ricorrente. Sulla base della univoca giurisprudenza di queste sezioni unite, sia remota che più recente, non può pertanto esservi dubbio che la violazione del dovere di motivazione è riscontrabile solo nelle ipotesi di totale mancanza della motivazione dal punto di vista materiale e grafico ovvero nelle ipotesi ad esse assimilabili, ossia quando, pur essendovi una motivazione in senso materiale e grafico, essa non contiene una effettiva esposizione delle ragioni poste a base della decisione perchè propone contrasti irriducibili fra affermazioni inconciliabili ovvero si presenta perplessa o comunque risulta obiettivamente incomprensibile e quindi non idonea a rivelare la ratio decidendi, essendo peraltro necessario che tale situazione risulti esclusivamente dal medesimo testo della sentenza senza che sia necessario il raffronto con uno o più atti processuali” (cfr.

SSUUU citata).

Alla stregua di quanto sopra esposto deve affermarsi l’infondatezza del motivo di ricorso in esame, in quanto nella specie oggettivamente sussiste, dal punto di vista materiale e grafico, una motivazione della ordinanza impugnata, e tale motivazione non risulta di per sè (perciò prescindendo dal raffronto con la sentenza di primo grado e l’atto d’appello) illogica, contraddittoria o perplessa al punto di renderla incomprensibile.

Il secondo motivo deve essere pertanto, rigettato e, per quanto sopra espostoci motivo è inammissibile nella parte in cui censura la decisione della Corte d’appello nel merito. L’infondatezza dei motivi sopra esposti comporta il rigetto del ricorso proposto avverso l’ordinanza pronunciata dai giudici d’appello.

Il ricorrente ha, altresì, proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale formulando sette motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa motivazione ovvero motivazione solo apparente (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Rileva che, contrariamente a quanto affermato dal giudice, l’ingiunzione non era formalmente legittima per la mancanza della vidimazione, la mancata individuazione del soggetto che l’aveva emessa nonchè del responsabile del procedimento.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Deduce che la sentenza posta a base dell’ingiunzione non era passata in giudicato con la conseguenza che il credito non era liquido ed esigibile e che inoltre detta sentenza era priva di un capo di condanna restitutorio contenendo soltanto una pronuncia di incompetenza del giudice, ma il Tribunale nulla aveva osservato in merito.

Con il terzo motivo denuncia violazione dell’art 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n 3). Lamenta che la sentenza posta a base dell’ingiunzione era stata emessa tra soggetti diversi ai quali egli era estraneo.

Con il quarto motivo l’avv. C. denuncia “falsità dei presupposti argomentativi, con vizio di motivazione che è solo apparente ed abnorme, mancata pronuncia su un punto centrale del processo in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Lamenta che la Corte non si era pronunciata su motivi specifici ed in particolare che nelle more era intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l’illegittimità della L. n. 254 del 1975, art. 69, comma 6, circa la competenza del giudice di sorveglianza; che nella specie il rapporto era ancora sub iudice e dunque era applicabile al giudizio, con la conseguenza dell’infondatezza della sentenza della Corte d’appello posta a base dell’ingiunzione.

Con il quinto motivo denuncia ulteriore illogicità della motivazione, violazione dell’art. 1173 c.c.. Lamenta che la Corte, pur dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 341/2006, aveva ancora utilizzato una sentenza che poggiava soltanto su una norma dichiarata incostituzionale.

Con il sesto motivo rileva che il difensore anche se antistatario non è parte del giudizio e dunque nei suoi confronti non può fare stato una sentenza emessa tra altri.

Con il settimo motivo denuncia vizio di motivazione relativa all’eccezione di compensazione.

I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono inammissibili e comunque infondati.

I motivi attinenti alla regolarità formale dell’ordinanza ingiunzione risultano inammissibili non avendo il ricorrente depositato detta ordinanza in violazione dell’art. 369 c.p.c., produzione tanto più necessaria considerato che il Tribunale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha ritenuto che l’ordinanza indicasse il soggetto che l’aveva sottoscritta, i responsabile del procedimento, il destinatario dell’atto, i termini entro cui ottemperare e come ricorrere e dunque i dati identificativi previsti dalla legge tali da consentire una difesa al destinatario.

Sono ugualmente inammissibili le censure che hanno quale presupposto l’esame della sentenza della Corte d’appello di Roma posta a base dell’ingiunzione in violazione dell’art. 369 c.p.c.. Il Tribunale ha, peraltro, fornito corretta motivazione della sua decisione osservando che l’eccezione di mancanza di un capo condannatorio era irrilevante trattandosi, comunque, di sentenza esecutiva di secondo grado e che la circostanza che la sentenza era fondata su norma (L. n. 354 del 1975, art. 69, comma 6) poi dichiarata incostituzionale (sent. Corte Cost. n. 341/2006) non ne faceva venire meno l’efficacia nè poteva essere messa in discussione in questa sede. Le doglianza del ricorrente sono, del resto, infondate poichè il credito del Ministero era ben individuato nella sentenza del Tribunale di Roma, poi riformata, e dunque si trattava di credito restitutorio, a seguito della riforma della sentenza del Tribunale, certo senza la necessità di ulteriori accertamenti. Deve rilevarsi, inoltre, che qualora la sentenza della Corte d’appello con cui era stata dichiarata l’incompetenza del giudice adito ai sensi dell’art. 69 citato avesse già contenuto un capo restitutorio relativo alle spese processuali liquidate dal Tribunale, il Ministero avrebbe potuto procedere direttamente all’esecuzione, senza la necessità di dover ricorrere alla procedura di cui al R.D. citato ed emettere un’ordinanza ingiunzione opponibile.

Deve osservarsi, altresì, che non esiste alcun vizio di motivazione o di omessa pronuncia con riferimento alla intervenuta sentenza della Corte Costituzionale di dichiarazione di illegittimità dell’art. 69 citato avendo il Tribunale esaminato la questione ed escluso qualsiasi rilevanza nel presente giudizio dell’avvenuta pronuncia di illegittimità costituzionale poichè questa non faceva venire meno l’efficacia della sentenza della Corte d’appello fino all’eventuale diverso esitò nell’ulteriore grado del giudizio.

Quanto all’eccezione di difetto di legittimazione passiva non essendo l’avv. C. parte del giudizio va rilevato che il Tribunale ha correttamente rilevato che il ricorrente, quale procuratore antistatario, era tenuto alla restituzione delle somme pagate per spese processuali. Tale decisione è conforme ai principi affermati da questa Corte (cfr. Cass. n., 10827/2007, n. 8215/2013) secondo cui “In tema di distrazione delle spese, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., allorchè sia riformata la sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna alle spese in favore del difensore della parte vittoriosa dichiaratosi antistatario, ad essere tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è il medesimo difensore distrattario, come titolare di un rapporto instauratosi con la parte già soccombente”.

Infine il settimo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza il Tribunale ha affermato che l’eccezione di compensazione era fondata su circostanze generiche relative ad un dedotto mancato compenso per l’attività di vicepretore svolta dall’avv. C. non meglio specificate e documentate nè suscettibili di prova testimoniale.

A fronte di tali rilievi il ricorrente ha omesso di riportare il contenuto dei propri scritti fin dal primo grado al fine di dimostrare che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, egli aveva allegato e provato tutti i fatti posti a fondamento dell’eccezione di compensazione; non riporta neppure il contenuto, quantomeno nei tratti salienti, dei documenti dai quali, a suo dire, sarebbe stato possibile ricavare l’attività dallo stesso svolta, non quantifica le somme che a suo dire aveva diritto a percepire, nè indica i criteri per la determinazione.

Per le considerazioni che precedono i ricorsi devono essere rigettati. Nulla per spese non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi, nulla per spese Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2016


Giornata di Studio Sarteano (SI) – 31.03.2016

Locandina Sarteano 2016LA NOTIFICA ON LINE

Giovedì 31 marzo 2016

Comune di Sarteano (SI)

Sala Mostre
Piazza Domenico Barzagli
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Sarteano (SI)

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2015 con rinnovo anno 2016 già pagato al 31.12.2015. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2016 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


 Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2016 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio).


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Sarteano 2016 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), né è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Fontana Lazzaro

Serv. Notifiche del Comune di Monterorro al Mare (SP)

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2016

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Sarteano 2016

Vedi: Video della Giornata di Studio

Vedi: Fotografie della Giornata di Studio

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura

Scarica: Documentazione fiscale 2016

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 10-12-2015) 03-02-2016, n. 2133

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5499/2014 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato GIUSTINIANI GIOVANNI, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.F. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 27 presso lo studio dell’Avvocato GIOFFRE’ MARIA ANTONIA che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3527/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato Giovanni Giustiniani difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Giuseppe Fadda (delega avvocato Giuffrè) difensore del controricorrente che si riporta agli scritti.

Svolgimento del processo
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“con la sentenza impugnata la Corte di Appello ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal Sig. G.P., perchè la notifica dell’atto di citazione in appello risultava essere tardiva, in quanto effettuata il 15/02/2013, ossia oltre il termine c.d. breve, di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., posto che la sentenza di primo grado era stata notificata, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, presso la cancelleria del Tribunale di Monza (non avendo in primo grado l’avvocato dell’odierno ricorrente eletto domicilio nel circondario del Tribunale) in data 07/12/2012;

per la cassazione della sentenza ricorre il Sig. C.P., affidando le sorti dell’impugnazione a quattro motivi di ricorso;

l’intimato resiste con controricorso;

preliminarmente occorre verificare la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata da parte resistente nel controricorso, ritualmente notificato e depositato, con la quale il resistente deduce che la notifica del ricorso, effettuata in data 20/02/2014, sarebbe tardiva, poichè avvenuta oltre i termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., posto che in data 28/10/2013 sarebbe stata ritualmente notificata la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano all’odierno ricorrente, presso il suo procuratore costituito Avv. Marco Parolari, domiciliato ex lege presso la cancelleria della Corte di Appello (non avendo egli eletto domicilio nel circondario dell’Autorità procedente);

l’eccezione appare fondata e si propone che venga accolta, per le ragioni di cui appresso.

Il resistente ha depositato, unitamente al controricorso, una copia conforme all’originale della sentenza impugnata, la quale contiene una relazione di notificazione del seguente tenore a richiesta come in atti, io sottoscritto Ufficiale Giudiziario addetto all’Ufficio Unico della Corte d’Appello di Milano, ho notificato copia autentica della sentenza n. 3527/13 emessa dalla Corte d’Appello di Milano a C.P., rappresentato e difeso dall’avv. Marco Parolari ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Cernusco Lombardone (LC) Via del Lago di Como e dello Spluga n. 4 ed entrambi domiciliati ex lege presso la cancelleria della Corte d’Appello di Milano;

fatto salvo il principio per cui la legge riconnette l’effetto particolare della decorrenza del termine breve per l’impugnazione ai sensi degli artt. 325 e 326 c.p.c., solo quando la notificazione della sentenza sia eseguita al procuratore costituito ai sensi dell’art. 170 c.p.c., comma 1, e art. 285 c.p.c., non essendo idonea quella effettuata alla parte personalmente (cfr. Cass., 1 giugno 2010, n. 13428), nel caso di specie tale principio deve essere coordinato con l’altro orientamento consolidato di questa Corte secondo cui la notifica della sentenza alla parte presso il procuratore costituito è equivalente a quella eseguita al procuratore stesso ed è, pertanto, idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione, oltre che per il notificante (cfr. Cass. S.U., 13 giugno 2011, n. 12898), certamente per il notificato (Cfr. Cass., 2 aprile 2009, n. 8071 ed altre successive).

In particolare, con riferimento alla questione posta dal resistente va richiamato e ribadito il principio di diritto per il quale “ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione la notifica della sentenza alla parte presso il procuratore costituito – ancorchè eseguita nel luogo ove questi deve considerarsi elettivamente domiciliato a norma del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, – deve considerarsi equivalente alla notifica al procuratore stesso ai sensi degli artt. 170 e 285 c.p.c., soddisfacendo, l’una e l’altra forma di notificazione, l’esigenza di assicurare che la sentenza sia portata a conoscenza della persona professionalmente qualificata ad esprimere un parere tecnico sulla convenienza e l’opportunità della proposizione del gravame”. (così Cass., 28 aprile 2000, n. 5449), con la precisazione per la quale il procuratore va indicato per nome e cognome e come destinatario, in tale qualità, della notificazione presso la cancelleria del giudice a quo, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, onde potere ritenere che permanga, in forza di queste specificazioni, un collegamento tra la parte, il suo procuratore e il domicilio reale di quest’ultimo, in modo che il procuratore possa avere conoscenza dell’atto a lui destinato (arg. ex Cass. 19 marzo 2004, n. 5563, nonchè, di recente, Cass. 27 febbraio 2014, n.2698). Poichè nel caso di specie la relazione di notificazione della sentenza impugnata contiene il riferimento a …

a C.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Marco Parolari …, in applicazione dei principi di diritto appena richiamati, non può farsi distinzione tra notificazione al procuratore domiciliatario per la parte e notificazione alla parte presso il procuratore domiciliatario (cfr. anche Cass. 15 giugno 2004, n. 11257; 24 novembre 2005, n. 24795; 18 aprile 2014, n. 9051).

Pertanto, essendo stata la sentenza notificata come sopra in data 28 ottobre 2013, risulta tardiva la notificazione del ricorso in data 20 febbraio 2014″.

La relazione è stata notificata come per legge.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione. Giova precisare che la documentazione prodotta dal ricorrente ai sensi dell’art. 372 c.p.c., consistente nella nota rilasciata dal funzionario presso la Corte d’Appello di Milano – cancelleria centrale civile del 6 maggio 2015 – con la quale si comunica la mancata ricezione della notificazione della sentenza della stessa Corte d’Appello n. 3527/13 -, è superata, oltre che dalla relazione di notificazione a firma dell’Ufficiale giudiziario indicata nella relazione, da altra nota dello stesso funzionario di cancelleria del 6 novembre 2015, depositata dal resistente – con la quale “facendo seguito ed a rettifica della precedente comunicazione resa in data 6/5/14 …” si conferma l’avvenuta notificazione presso la cancelleria della sentenza anzidetta, in data 28 ottobre 2013.

Resta così confermata tale ultima data come quella dell’avvenuta notificazione presso la cancelleria ai sensi e per gli effetti del R.D. n. 37 del 1934, art. 82.

Occorre allora verificare se, come sostenuto dal ricorrente nella memoria in atti, il resistente, già appellato, avrebbe dovuto effettuare la notificazione, ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione della sentenza d’appello, all’avvocato dell’appellante, all’epoca l’avv. Marco Parolari, presso l’indirizzo PEC del medesimo, che, a detta del ricorrente, sarebbe stato indicato in atti e comunicato al suo ordine di appartenenza.

La norma di riferimento è costituita dall’art. 125 c.p.c., comma 1, come modificata dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, (prima della sostituzione attuata dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 45 bis, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114), ai sensi della quale, nell’atto di parte “il difensore deve, altresì, indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicata la proprio ordine e il proprio numero di fax”. Soltanto se tale adempimento risulta eseguito, è possibile la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata. Orbene, nell’atto di citazione in appello – la cui lettura è possibile a questa Corte perchè necessaria per delibare l’ammissibilità del ricorso – si legge che l’appellante è “giudizialmente assistito e rappresentato dall’avv. Marco Parolari, c.f. …, con studio in Cernusco Lombardone (LC) – via Spluga n. 4, ivi elettivamente domiciliato (fax …, email marco.parolari(at)lecco.pecavvocati.it, per le comunicazioni di Cancelleria ex art. 134 c.p.c., comma 3, e art. 136 c.p.c., comma 3)…”. Testuale è pertanto la mancata indicazione di un indirizzo di posta elettronica certificata utilizzabile per le notificazioni ad istanza di parte e testuale è l’elezione di domicilio in luogo diverso dalla sede della Corte d’Appello.

Nè vi è luogo a dibattere dell’ambito applicativo della norma del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, convertito nella L. n. 221 del 2012, che prevede la domiciliazione digitale, poichè questa è stata inserita dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, comma 1, lett. b), convertito nella L. n. 114 del 2014, non applicabile nel caso di specie.

Ne consegue la validità della notificazione della sentenza effettuata presso la Cancelleria della stessa Corte d’Appello, anche ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, secondo quanto già esposto nella relazione.

Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore del resistente, nell’importo complessivo di Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si da atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 3 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2016


Notifica postale

In relazione alla notificazione effettuata mediante l’utilizzo di una raccomandata A.R. ordinaria c’è una interessante sentenza della Corte di Cassazione che prende in esame proprio il problema della determinazione del momento in cui la notificazione si intende perfezionata per il destinatario. La Sentenza di Cassazione n. 2047/2016 prende in considerazione la notificazione postale di atti tributari effettuata direttamente dall’ufficio che adotta l’atto a mezzo di raccomandata A.R. ordinaria e precisa che pur non potendosi applicare le norme della legge 890/1982, dovendo fare riferimento a quanto previsto nel regolamento postale di cui al D.M. 01.10.2008, che dispone in merito all’attività di consegna delle raccomandate ordinarie ma nulla dice in merito all’attività di notificazione, si debba procedere, in assenza di specifiche norme emanate dal legislatore, ad una interpretazione che consenta di contemperare gli interessi del notificante con quelli del notificato. Così la sentenza richiamata pur avendo escluso che si applichino in via diretta le norme della legge 890/1982 ritiene che tali disposizioni vadano applicate in via analogica, cioè che si debba comunque fare riferimento ai principi in essa contenuti. La conclusione è quindi che nel caso in cui la raccomandata A.R. sia stata restituita perché il destinatario non ne ha curato il ritiro, si debba comunque fare riferimento ai 10 giorni dal rilascio dell’avviso di giacenza di cui all’art. 25 del citato DM. Se la preoccupazione è quella di disporre dell’avviso di giacenza lasciato dal postino la prova dell’avviso in questione è riportata sulla raccomandata A.R., ritornata dopo la giacenza. Sulla busta è infatti annotata dal postino la data di rilascio dell’avviso contrassegnata dalla dicitura “avvisato il” e dalla data e siglata dal portalettere. Se la dicitura manca si può richiedere all’ufficio postale che tale indicazione sia riportata sulla busta. Per quanto sia comprensibile che la mancanza di specifiche norme per la notificazione postale effettuata mediante una raccomandata A.R. ordinaria, abbia determinato il ricorso al Messo Comunale nei casi di compiuta giacenza, in assenza di norme apposite e di un orientamento giurisprudenziale specifico, la sentenza 2047/2016 risolve finalmente il problema in modo condivisibile.


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 10-12-2015) 02-02-2016, n. 2047

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente – Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere – Dott. CIGNA Mario – Consigliere – Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere – Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente: ordinanza sul ricorso 22318-2013 proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis; – ricorrente – e contro L.C.; – intimato – avverso la sentenza n. 31/02/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO del 14/11/2012, depositata il 18/02/2013; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in Cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta;

L’Agenzia delle Entrate ricorre contro il sig. L.C. per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, riformando la decisione di primo grado, ha annullato l’avviso di accertamento con cui l’Ufficio aveva rettificato i redditi del contribuente per l’anno 2005. In particolare, per quanto qui interessa la Commissione Tributaria Regionale ha disatteso l’eccezione dell’Ufficio di tardività del ricorso introduttivo del contribuente. In proposito il giudice territoriale ha accertato in fatto che il plico postale contenente l’atto impostavo era stato ritirato dal contribuente presso l’ufficio postale in data 4.1.2011 e quindi ha affermato che questa (e non la data – anteriore – in cui era spirato il termine di dieci giorni dall’invio della raccomandata contenente l’avviso di giacenza) era la data a cui ancorare il dies a quo del termine per l’impugnazione.

Il ricorso dell’Agenzia si fonda su un solo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con il quale si denuncia la violazione della L. n. 890 del 1982, artt. 8 e 14, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, nonché la falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6 in cui sarebbe incorso il giudice territoriale. Secondo la difesa erariale la decisione gravata violerebbe la disposizione, contenuta nella L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, alla cui stregua “La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2 ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”. La doglianza appare fondata, con le seguenti precisazioni.

Va premesso che, secondo quanto riferisce la stessa ricorrente a pag. 9 del ricorso, per la notifica dell’atto impugnato l’Ufficio si avvalse della possibilità di procedere alla notifica diretta per posta L. n. 890 del 2002, ex art. 14. Nella specie non è quindi direttamente applicabile il disposto della L. n. 890 del 2002, art. 8, giacché, come questa Corte ha chiarito nella sentenza n. 17598/10, nel caso di notifica per posta effettuata direttamente dall’Ufficio, “il notificante è abilitato alla notificazione dell’atto senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ferma restando, ovviamente, quella dell’ufficiale postale), e, quindi, a modalità di notificazione semplificata, alle quali, pertanto, non si applicano le disposizioni della L. n. 890 del 1982, concernenti le sole notificazioni effettuate a mezzo posta tramite gli ufficiali giudiziali (o, eventualmente, i messi comunali e i messi speciali autorizzati), bensì le norme concernenti il servizio postale ordinario”.

Peraltro il regolamento del servizio di recapito adottato con D.M. 1 ottobre 2008, contenente la disciplina del servizio postale ordinario, si limita a prevedere che gli “invii a firma” (tra cui le raccomandate) che non sia stato possibile recapitare per assenza del destinatario o di altra persona abilitata al ritiro vengano consegnati presso l’ufficio postale di distribuzione (art. 24), ove i medesimi rimangono in giacenza per trenta giorni a decorrere dal giorno successivo al rilascio dell’avviso di giacenza (art. 25); nessuna disposizione di detto regolamento contiene – né, in considerazione dell’oggetto del regolamento, avrebbe ragione di contenere – una regola (analoga a quella dettata in materia di notifiche effettuate a mezzo posta dalla L. n. 890 del 2002, art. 8, comma 4) sul momento in cui si debba ritenere pervenuto al destinatario un atto che l’agente postale abbia depositato in giacenza presso l’ufficio postale a causa della impossibilità di recapitarlo per l’assenza del medesimo destinatario o di altra persona abilitata. Sotto altro aspetto, non pare possibile evocare, nella specie, il principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che la data a cui si ritiene pervenuta al destinatario una comunicazione trasmessa per posta raccomandata ordinaria va individuata in quella del rilascio dell’avviso di giacenza, con conseguente irrilevanza del periodo legale del compimento della giacenza e di quello intercorso tra l’avviso di giacenza e l’eventuale ritiro da parte del destinatario (Cass. 6527/03, in tema di comunicazione di licenziamento, Cass. 27526/13, in tema di disdetta del contratto di locazione).

Tale principio, fondato sul disposto degli artt. 1334 e 1335 c.c., concerne l’efficacia da attribuire alla comunicazione degli atti negoziali unilaterali e non si attaglia alla ipotesi di notificazione L. n. 890 del 1982, ex art. 14. Ciò non solo per il rilievo che altro è una comunicazione e altro è una notificazione (quale comunque deve ritenersi, pur in assenza dell’intervento di un agente notificatore, quella di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 14, il testo del quale letteralmente esordisce con le parole “La notificazione”); ma anche perché il menzionato art. 14 fa riferimento ad atti notificati “al contribuente” e, pertanto, la disciplina del procedimento notificatorio ivi previsto non può essere ricostruita senza considerare la portata del disposto della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 1 (Statuto del contribuente), alla cui stregua “l’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati.

Ora, se è vero che lo stesso comma fa salve “le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari”, è innegabile che, quando una disposizione espressa manchi, il principio di effettiva conoscenza deve orientare l’interprete e, nel caso che ci occupa, non consente di ancorare il momento di perfezionamento della notifica (dal quale decorrono termini, brevi e tassativi, per l’impugnazione degli atti impositivi) al compimento di un adempimento – il rilascio dell’avviso di giacenza – nel qual è certo che il destinatario dell’atto non ne ha conoscenza (non essendo stato reperito dall’agente postale) incolpevolmente (non avendo ancora avuto la possibilità di recarsi a ritirare l’atto presso l’ufficio postale).

Una ricostruzione del sistema che trasponga alla notifica L. n. 890 del 1982, ex art. 14 i principi elaborati dalla giurisprudenza con riferimento alla presunzione di conoscenza degli atti ricettizi risulterebbe dunque irrimediabilmente in contrasto con l’art. 24 Cost. (cfr. C. cost. n. 346/98: “la funzione propria della notificazione è quella di portare l’atto a conoscenza del destinatario, al fine di consentire l’instaurazione del contraddicono e l’effettivo esercizio del diritto di difesa. Compete naturalmente al legislatore, nel bilanciamento tra l’interesse del notificante e quello del notificatario, determinare i modi attraverso i quali tale scopo possa realizzarsi individuando altresì i rimedi per evitare che il diritto di agire in giudizio del notificante sia paralizzato da circostanze personali – come ad esempio l’assenza dalla abitazione o dall’ufficio – riguardanti il destinatario della notificazioni…..non sembra in ogni caso potersi dubitare che la discrezionalità del legislatore incontri un limite nel fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell’atto e l’oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti, non potendo ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell’atto notificatogli.”).

Per converso non appare convincente la soluzione, adottata nella sentenza gravata, di ancorare il momento del perfezionamento della notifica al ritiro dell’atto presso l’Ufficio postale; ciò non solo perché in tal modo si rimetterebbe al destinatario la scelta del momento da cui far decorrere il termine di impugnazione dell’atto notificato, ma soprattutto perché il “bilanciamento tra l’interesse del notificante e quello del notificatario” a cui fa riferimento lo stralcio sopra trascritto della sentenza della Corte costituzionale n. 346/98 non consente di comprimere l’interesse del notificatore al punto da consentire al destinatario dell’atto di impedire gli affetti della notifica L. n. 890 del 1982, ex art. 14, omettendo di recarsi a ritirare l’atto presso l’ufficio postale. Si ritiene quindi, in definitiva, che il suddetto bilanciamento debba rinvenirsi facendo applicazione – non diretta ma analogica – della regola dettata nella L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, secondo cui “La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2 ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”; peraltro, poiché il citato regolamento del servizio di recapito adottato non prevede la spedizione di una raccomandata contenete l’avviso di giacenza, ma soltanto, all’art. 25, il “rilascio dell’avviso di giacenza”, la regola da applicare per individuare la data di perfezionamento della notifica L. n. 890 del 1982, ex art. 14, in caso di mancato recapito della raccomandata all’indirizzo del destinatario, è quella che la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza (o, nel caso o in cui l’agente postale abbia, ancorché non tenuto, trasmesso l’avviso di giacenza tramite raccomandata, dalla data di spedizione di quest’ultima), ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore. Poiché la sentenza gravata ha fatto applicazione della diversa regola secondo cui la notificazione si avrebbe per eseguita dalla data del ritiro del piego, anche se posteriore al decorso di dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata contenete l’avviso di giacenza, la stessa va cassata con rinvio (non è possibile procedere in sede di legittimità al diretto esame degli atti, di carattere extraprocessuale, relativi alla notifica dell’atto impositivo). Si propone la cassazione con rinvio della sentenza gravata. Che il contribuente non si è costituito in questa sede; che la relazione è stata notificata alla ricorrente; che non sono state depositate memorie difensive; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide gli argomenti esposti nella relazione; che, pertanto, il ricorso va accolto e la sentenza gravata va cassata con rinvio al giudice territoriale, che si atterrà al principio di diritto enunciato nella relazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza gravata e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che regolerà anche le spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2016