REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3344/2013 proposto da:
C.P. C.F. (OMISSIS), rappresentato e difeso da sè medesimo, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRO MENOTTI 24, presso il suo studio;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA C.F. (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza definitiva n. 13621/2012 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 04/07/2012 R.G.N. 66698/2008;
avverso l’ordinanza definitiva della CORTE DI APPELLO DI ROMA, depositata il 11/01/2013 R.G.N. 5391/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2015 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
Il Ministero della Giustizia, vittorioso in giudizio d’appello, ha notificato all’avv. C.P. un’ingiunzione di pagamento R.D. n. 639 del 1910, ex art. 3, per ottenere la restituzione delle spese processuali allo stesso corrisposte quale procuratore antistatario in base alla sentenza del Tribunale.
L’avv. C. ha proposto opposizione all’ingiunzione del Ministero ed il Tribunale, con sentenza del 4/7/2012, ha rigettato l’opposizione.
Con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., dell’11/1/2013 la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’avv. C. in quanto privo di ragionevole probabilità di accoglimento.
La Corte territoriale ha affermato la legittimità formale dell’ordinanza ingiunzione, essendo la firma riferibile al soggetto indicato quale direttore dell’ufficio che aveva emanato l’atto e comunque stante l’inessenzialità della sottoscrizione autografa come desumibile dalla possibilità che la firma autografa potesse essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del responsabile.
Ha rilevato, altresì, che l’ingiunzione era basata su sentenza di secondo grado esecutiva; che era irrilevante la circostanza della successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma su cui era fondata la sentenza posta a base dell’ingiunzione.
Ha osservato altresì, che legittimato passivo alla restituzione delle somme era l’avv. C. quale procuratore antistatario e che l’eccezione di compensazione sollevata dall’avv. C. per un dedotto mancato compenso per l’attività di vicepretore da lui svolta era basata su circostanze generiche.
Avverso l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., nonchè avverso la sentenza del Tribunale ricorre in Cassazione l’avv. C..
Il Ministero è rimasto intimato.
Motivi della decisione
Il ricorrente deduce, in primo luogo, che l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., è impugnabile ai sensi dell’art. 111 Cost e art. 360 c.p.c., u.c., pur nel silenzio del legislatore in quanto provvedimento decisorio, incidente su diritti tra cui quello all’impugnazione ed è definitivo.
Denuncia vizi propri di detta ordinanza ed in particolare con un primo motivo violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 348 ter c.p.c.. Lamenta la violazione del contraddittorio stante il mancato rinvio della causa davanti alla Corte d’appello per consentire all’appellante di esaminare la comparsa del Ministero, costituitosi il giorno prima della prima udienza con un fascicolo asserito quale “duplicato” di quello di primo grado corredato di nuovi documenti sui quali non c’era stato contraddittorio.
Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 348 ter c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto detta norma prevedeva che l’ordinanza dovesse essere succintamente motivata e che nella specie il provvedimento non aveva soddisfatto tale esigenza.
Ripropone le censure circa la regolarità formale dell’ordinanza ingiunzione, la mancanza di un capo condannatorio nella sentenza posta a base dell’ingiunzione e l’affermata irrilevanza del suo passaggio in giudicato, il difetto di legittimazione passiva del procuratore antistatario e, infine, l’infondatezza della motivazione di rigetto dell’eccezione di compensazione.
Il ricorrente poi propone contestualmente sette motivi avverso la sentenza del Tribunale. Logicamente prioritario è l’esame del ricorso proposto avverso l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c..
A seguito del manifestarsi di un contrasto in seno a questa Corte (tra l’orientamento espresso da Cass. n. 7273 del 2014 – secondo la quale l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter c.p.c., non è ricorribile per cassazione per difetto di definitività se emessa nell’ambito suo proprio, cioè per manifesta infondatezza nel merito, ma deve ritenersi ricorribile ove dichiari l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, avendo in tal caso carattere definitivo e valore di sentenza – ed il diverso orientamento espresso da Cass. n. 8940 del 2014, secondo la quale il ricorso per cassazione, sia ordinario che straordinario, non è mai esperibile avverso l’ordinanza che dichiari l’inammissibilità dell’appello ex artt. 348 bis e ter c.p.c., a prescindere dalla circostanza che essa sia stata emessa nei casi in cui ne è consentita l’adozione ovvero al di fuori di essi, ostando, quanto all’esperibilità del ricorso straordinario, la non definitività dell’ordinanza, dovendosi valutare tale carattere con esclusivo riferimento alla situazione sostanziale dedotta in giudizio non anche a situazioni aventi mero rilievo processuale, quali il diritto a che l’appello sta deciso con ordinanza soltanto nei casi consentiti nonchè al rispetto delle regole processuali fissate dagli articoli sopra richiamati) le SSUU di questa Corte con la recente sentenza n 1914/2016, cui questo Collegio intende dare continuità ed alla cui ampia ed esauriente motivazione ci si riporta, ha ritenuto l’impugnabilità ex art. 111 Cost., dell’ordinanza suddetta per vizi suoi propri consistenti in violazione della normativa processuale.
Con la sentenza citata le sezioni unite hanno affermato che, “avuto riguardo ai presupposti del ricorso per violazione di legge previsto dall’art. 111 Cost., comma 7, deve altresì escludersi che l’ordinanza in esame sia impugnabile con censure riguardanti il “merito” della controversia, giusta la previsione di ricorribilità per cassazione della sentenza di primo grado e quindi la non definitività, sotto questo profilo, dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.. La questione resta circoscritta pertanto alla ricorribilità (o meno) dell’ordinanza suddetta per vizi propri di carattere processuale, cioè alle ipotesi in cui, non essendo l’errore del giudice d’appello deducibile come motivo di impugnazione del provvedimento di primo grado, manca la possibilità di rimettere in discussione la tutela che compete alla situazione giuridica dedotta nel processo attraverso il ricorso per cassazione avverso la pronuncia di primo grado”.
Ciò premesso i due motivi d’impugnazione sopra esposti possono essere esaminati ma nei limiti sopra precisati.
Con riferimento al primo motivo nessuna violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa risulta verificatasi nella fattispecie in esame considerato che la decisione è stata emessa dalla Corte d’appello all’esito dell’udienza di trattazione nella quale le parti sono comparse ed hanno potuto esporre le loro richieste e difese come risulta da quanto riferito dallo stesso ricorrente, che ha affermato di aver anche eccepito la nullità del deposito di nuovi documenti da parte del Ministero.
Per quanto attiene, in particolare, alla produzione di detta documentazione di cui si duole il ricorrente la censura risulta del tutto generica non essendosi precisato neppure se e in che modo tale documentazione abbia inciso sulla decisione assunta dalla Corte o se sia stata esaminata.
In relazione al secondo motivo secondo cui l’ordinanza non sarebbe motivata occorre ribadire che, essendo il merito ridiscutibile attraverso il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado e non essendo pertanto in proposito configurabile la definitività richiesta per il ricorso ex art. 111 Cost., comma 7, le problematiche concernenti la motivazione dell’ordinanza impugnata possono essere affrontate in sede di impugnazione dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., non attraverso la denuncia di un errar in iudicando, quindi di un “vizio di motivazione” – o quel che resta di esso dopo l’ultima riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – bensì solo attraverso la denuncia di violazione della legge processuale che sancisce l’obbligo di motivazione, denuncia che è stata peraltro ammissibilmente proposta nei suddetti termini dall’odierno ricorrente. Sulla base della univoca giurisprudenza di queste sezioni unite, sia remota che più recente, non può pertanto esservi dubbio che la violazione del dovere di motivazione è riscontrabile solo nelle ipotesi di totale mancanza della motivazione dal punto di vista materiale e grafico ovvero nelle ipotesi ad esse assimilabili, ossia quando, pur essendovi una motivazione in senso materiale e grafico, essa non contiene una effettiva esposizione delle ragioni poste a base della decisione perchè propone contrasti irriducibili fra affermazioni inconciliabili ovvero si presenta perplessa o comunque risulta obiettivamente incomprensibile e quindi non idonea a rivelare la ratio decidendi, essendo peraltro necessario che tale situazione risulti esclusivamente dal medesimo testo della sentenza senza che sia necessario il raffronto con uno o più atti processuali” (cfr.
SSUUU citata).
Alla stregua di quanto sopra esposto deve affermarsi l’infondatezza del motivo di ricorso in esame, in quanto nella specie oggettivamente sussiste, dal punto di vista materiale e grafico, una motivazione della ordinanza impugnata, e tale motivazione non risulta di per sè (perciò prescindendo dal raffronto con la sentenza di primo grado e l’atto d’appello) illogica, contraddittoria o perplessa al punto di renderla incomprensibile.
Il secondo motivo deve essere pertanto, rigettato e, per quanto sopra espostoci motivo è inammissibile nella parte in cui censura la decisione della Corte d’appello nel merito. L’infondatezza dei motivi sopra esposti comporta il rigetto del ricorso proposto avverso l’ordinanza pronunciata dai giudici d’appello.
Il ricorrente ha, altresì, proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale formulando sette motivi.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa motivazione ovvero motivazione solo apparente (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Rileva che, contrariamente a quanto affermato dal giudice, l’ingiunzione non era formalmente legittima per la mancanza della vidimazione, la mancata individuazione del soggetto che l’aveva emessa nonchè del responsabile del procedimento.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Deduce che la sentenza posta a base dell’ingiunzione non era passata in giudicato con la conseguenza che il credito non era liquido ed esigibile e che inoltre detta sentenza era priva di un capo di condanna restitutorio contenendo soltanto una pronuncia di incompetenza del giudice, ma il Tribunale nulla aveva osservato in merito.
Con il terzo motivo denuncia violazione dell’art 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n 3). Lamenta che la sentenza posta a base dell’ingiunzione era stata emessa tra soggetti diversi ai quali egli era estraneo.
Con il quarto motivo l’avv. C. denuncia “falsità dei presupposti argomentativi, con vizio di motivazione che è solo apparente ed abnorme, mancata pronuncia su un punto centrale del processo in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Lamenta che la Corte non si era pronunciata su motivi specifici ed in particolare che nelle more era intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l’illegittimità della L. n. 254 del 1975, art. 69, comma 6, circa la competenza del giudice di sorveglianza; che nella specie il rapporto era ancora sub iudice e dunque era applicabile al giudizio, con la conseguenza dell’infondatezza della sentenza della Corte d’appello posta a base dell’ingiunzione.
Con il quinto motivo denuncia ulteriore illogicità della motivazione, violazione dell’art. 1173 c.c.. Lamenta che la Corte, pur dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 341/2006, aveva ancora utilizzato una sentenza che poggiava soltanto su una norma dichiarata incostituzionale.
Con il sesto motivo rileva che il difensore anche se antistatario non è parte del giudizio e dunque nei suoi confronti non può fare stato una sentenza emessa tra altri.
Con il settimo motivo denuncia vizio di motivazione relativa all’eccezione di compensazione.
I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono inammissibili e comunque infondati.
I motivi attinenti alla regolarità formale dell’ordinanza ingiunzione risultano inammissibili non avendo il ricorrente depositato detta ordinanza in violazione dell’art. 369 c.p.c., produzione tanto più necessaria considerato che il Tribunale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha ritenuto che l’ordinanza indicasse il soggetto che l’aveva sottoscritta, i responsabile del procedimento, il destinatario dell’atto, i termini entro cui ottemperare e come ricorrere e dunque i dati identificativi previsti dalla legge tali da consentire una difesa al destinatario.
Sono ugualmente inammissibili le censure che hanno quale presupposto l’esame della sentenza della Corte d’appello di Roma posta a base dell’ingiunzione in violazione dell’art. 369 c.p.c.. Il Tribunale ha, peraltro, fornito corretta motivazione della sua decisione osservando che l’eccezione di mancanza di un capo condannatorio era irrilevante trattandosi, comunque, di sentenza esecutiva di secondo grado e che la circostanza che la sentenza era fondata su norma (L. n. 354 del 1975, art. 69, comma 6) poi dichiarata incostituzionale (sent. Corte Cost. n. 341/2006) non ne faceva venire meno l’efficacia nè poteva essere messa in discussione in questa sede. Le doglianza del ricorrente sono, del resto, infondate poichè il credito del Ministero era ben individuato nella sentenza del Tribunale di Roma, poi riformata, e dunque si trattava di credito restitutorio, a seguito della riforma della sentenza del Tribunale, certo senza la necessità di ulteriori accertamenti. Deve rilevarsi, inoltre, che qualora la sentenza della Corte d’appello con cui era stata dichiarata l’incompetenza del giudice adito ai sensi dell’art. 69 citato avesse già contenuto un capo restitutorio relativo alle spese processuali liquidate dal Tribunale, il Ministero avrebbe potuto procedere direttamente all’esecuzione, senza la necessità di dover ricorrere alla procedura di cui al R.D. citato ed emettere un’ordinanza ingiunzione opponibile.
Deve osservarsi, altresì, che non esiste alcun vizio di motivazione o di omessa pronuncia con riferimento alla intervenuta sentenza della Corte Costituzionale di dichiarazione di illegittimità dell’art. 69 citato avendo il Tribunale esaminato la questione ed escluso qualsiasi rilevanza nel presente giudizio dell’avvenuta pronuncia di illegittimità costituzionale poichè questa non faceva venire meno l’efficacia della sentenza della Corte d’appello fino all’eventuale diverso esitò nell’ulteriore grado del giudizio.
Quanto all’eccezione di difetto di legittimazione passiva non essendo l’avv. C. parte del giudizio va rilevato che il Tribunale ha correttamente rilevato che il ricorrente, quale procuratore antistatario, era tenuto alla restituzione delle somme pagate per spese processuali. Tale decisione è conforme ai principi affermati da questa Corte (cfr. Cass. n., 10827/2007, n. 8215/2013) secondo cui “In tema di distrazione delle spese, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., allorchè sia riformata la sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna alle spese in favore del difensore della parte vittoriosa dichiaratosi antistatario, ad essere tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è il medesimo difensore distrattario, come titolare di un rapporto instauratosi con la parte già soccombente”.
Infine il settimo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza il Tribunale ha affermato che l’eccezione di compensazione era fondata su circostanze generiche relative ad un dedotto mancato compenso per l’attività di vicepretore svolta dall’avv. C. non meglio specificate e documentate nè suscettibili di prova testimoniale.
A fronte di tali rilievi il ricorrente ha omesso di riportare il contenuto dei propri scritti fin dal primo grado al fine di dimostrare che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, egli aveva allegato e provato tutti i fatti posti a fondamento dell’eccezione di compensazione; non riporta neppure il contenuto, quantomeno nei tratti salienti, dei documenti dai quali, a suo dire, sarebbe stato possibile ricavare l’attività dallo stesso svolta, non quantifica le somme che a suo dire aveva diritto a percepire, nè indica i criteri per la determinazione.
Per le considerazioni che precedono i ricorsi devono essere rigettati. Nulla per spese non avendo il Ministero svolto attività difensiva.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi, nulla per spese Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2016