Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 26/02/2020) 08/07/2020, n. 14402

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36370-2018 proposto da:

ADER AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

FINANZIARIA INDUSTRIALE SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIRSO 26, presso lo studio dell’avvocato PIETRO BORIA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7441/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata il 04/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI RAFFAELE.

Svolgimento del processo
che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una decisione della CTP di Avellino, che aveva accolto il ricorso della contribuente s.r.l. “FINANZIARIA INDUSTRIALE” avverso una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria del 2015.

Motivi della decisione
che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2, e art. 26, comma 2; dell’art. 27 del reg. comunitario n. 910 del 2014; della decisione della commissione CEE n. 1506 del 2015, del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5, nonchè del D.P.R. n. 68 del 2005, recante il regolamento per l’utilizzo della pec., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto non era controverso che le cartelle sottese al preavviso impugnato fossero state notificate alla società contribuente via pec; secondo la CTR la notifica di dette cartelle sarebbe stata nulla in quanto il file contenente la cartella aveva un’estensione “pdf” anzicchè “p7m”, ritenendo che solo quest’ultima fosse in grado di garantire l’integrità del documento trasmesso, l’identificabilità del suo autore e la paternità dell’atto; al contrario, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento cartacea non comportava l’invalidità dell’atto, non essendo stata detta nullità espressamente sancita dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, ed essendo solo necessario che l’atto fosse inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo; e detti principi, elaborati con riferimento alle cartelle in formato cartaceo, valevano altresì per le cartelle in versione informatica; era poi errato ritenere che la cartella formato “pdf” (c.d. formato pades) non fosse equipollente al formato “p7m” (c.d. formato cades), avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito che le firme digitali del tipo cades e del tipo pades fossero equivalenti, si da essere entrambe ammissibili;

che la contribuente si è costituita con controricorso ed ha altresì presentato memoria;

che l’unico motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è fondato;

che invero la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 10266 del 2018) ha escluso la sussistenza di un obbligo esclusivo di usare la firma digitale in formato CADES, in cui il file generato si presenta con l’estensione finale “p7m”, rispetto alla firma digitale in formato PADES, nel quale il file sottoscritto mantiene il comune aspetto “nomefile.pdf”, atteso che anche la busta crittografica generata con la firma PADES contiene pur sempre il documento, le evidenze informatiche ed i prescritti certificati, si che anche tale ultimo formato offre tutte le garanzie e consente di effettuare le opportune verifiche, anche con riferimento al diritto comunitario, non essendo ravvisabili elementi obiettivi, nella dottrina e nella prassi, tali da far ritenere che solo la firma in formato CADES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa vigente nel nostro paese certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento, sia pure con le differenti estensioni “p7m” e “pdf”;

che è pertanto da ritenere che le 11 cartelle di pagamento, costituenti il presupposto della comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria impugnata dalla società contribuente, siano state ad essa regolarmente notificate a mezzo pec;

che, pertanto, il ricorso in esame va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Campania, sezione staccato di Salerno in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 12-02-2020) 23-06-2020, n. 12307

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6080/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

S.W., quale socio e ultimo legale rappresentante della cancellata Europa Distribuzione S.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche n. 101/1/12, depositata il 16 luglio 2012.

Sentita la relazione svolta nella udienza camerale del 12 febbraio 2020 dal Cons. Bruschetta Ernestino Luigi.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. che, con l’impugnata sentenza, la Regionale delle Marche, dopo aver dato conto della circostanza che la Provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso promosso dalla cancellata Europa Distribuzione S.r.l. avverso l’avviso di accertamento IVA IRPEG IRAP 2004, annullando i soli “rilievi 1 e 2” della ripresa; dopo aver accertato che l’avviso era stato notificato quando la Società contribuente era già stata cancellata dal registro delle imprese; in dispositivo, dopo aver respinto l’appello dell’ufficio, annullava in toto l’avviso perché, così era spiegato in motivazione, lo stesso era stato “notificato a soggetto inesistente”; e, per l’effetto, condannava l’amministrazione al rimborso delle spese a favore della cancellata Società contribuente;
  2. che l’ufficio ricorreva per un unico motivo, peraltro, nei confronti del solo S.W., quale ex socio e ultimo legale rappresentante della cancellata Società contribuente; esponendo, l’ufficio, che il Santilli si era così qualificato sin dall’originario ricorso;
  3. che il Santilli, pur intimato, non presentava difese;
  4. che l’ufficio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dopo aver osservato che l’appello, essendo stato notificato ad una Società cancellata, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile “per erronea vocatio in ius”, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 56 e dell’art. 2909 c.c., rimproverava alla Regionale di aver erroneamente annullato in toto l’avviso, senza cioè tenere in considerazione il giudicato formatosi a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui, quest’ultima, aveva rigettato il ricorso relativamente agli altri rilievi;
  5. che la sentenza deve essere cassata senza rinvio, atteso che, come sopra ricordato, l’avviso è stato notificato quando la Società contribuente era già stata cancellata; questo, sulla scorta del consolidato principio, per cui: “Nel processo tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto sia della capacità processuale della stessa sia della legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché, non sussistendo alcuna possibilità di prosecuzione dell’azione, la decisione impugnata mediante ricorso per cassazione deve essere annullata senza rinvio ex art. 382 c.p.c.” (Cass. sez. trib. n. 33278 del 2018; Cass. sez. trib. n. 5736 del 2016);
  6. che, in mancanza di avversaria costituzione, non deve farsi luogo ad alcun regolamento di spese processuali.

P.Q.M.

La Corte cassa, senza rinvio, l’impugnata sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020


Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 10-01-2020) 22-06-2020, n. 12052

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2788-2019 proposto da:
O.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI 51, presso lo studio dell’avvocato VALERIO SANTAGATA, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE MIRAGLIA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 2097/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 03/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Paola Vella.
Svolgimento del processo
che:
1. La Corte d’appello di Bologna ha dichiarato inammissibile l’appello del cittadino nigeriano O.J. contro il diniego della protezione internazionale, sussidiaria o umanitaria, perché proposto con ricorso notificato con modalità telematiche D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16, comma 3, oltre le ore 21,00 dell’ultimo giorno utile e quindi perfezionatosi, tardivamente, il giorno successivo;
2. il ricorrente ha proposto un motivo di ricorso per cassazione e il Ministero intimato si è costituito senza però svolgere difese;
3. a seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.
Motivi della decisione
che:
4. Il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 147 c.p.c., e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies, in relazione agli artt. 3, 24, 111 Cost., nonché Cedu, art. 6, per non avere la corte territoriale dato alla normativa suddetta un’interpretazione costituzionalmente orientata, tale da consentire al notificante il diritto di sfruttare interamente (sino alle ore 24) l’ultimo giorno utile per la notifica, essendo il limite delle ore 21 destinato solo a tutelare il riposo del destinatario della notifica;
5. il ricorso è fondato, avendo il Giudice delle Leggi dichiarato “l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies, (Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dal D.L. n. 90 del 2014, art. 45 bis, comma 2, lett. b), (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella L. n. 114 del 2014, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta”, osservando che “il divieto di notifica per via telematica oltre le ore 21 risulta, invero, introdotto allo scopo di tutelare il destinatario, per salvaguardarne, cioè, il diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) in cui egli sarebbe, altrimenti, costretto a continuare a controllare la propria casella di posta elettronica. Ciò giustifica la fictio iuris, contenuta nella seconda parte della norma, per cui il perfezionamento della notifica è differito, per il destinatario, alle ore 7 del giorno successivo, ma non giustifica la corrispondente limitazione nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente, al quale – senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta – viene, invece, impedito di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa: termine che l’art. 155 c.p.c., computa a giorni e che, nel caso di impugnazione, scade, appunto, allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno” (Corte Cost. sent. n. 75 del 9 aprile 2019);
6. la sentenza va quindi cassata con rinvio senza statuizione sulle spese, in assenza di difese del Ministero costituito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 30-01-2020) 24-06-2020, n. 12470

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4024-2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, ed Agenzia delle entrate – Riscossione, in persona del Presidente pro tempore, rappresentate e difese dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale sono domiciliate in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrenti –

contro

F.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5887/09/2018 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, Sezione staccata di SALERNO, depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/01/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

Svolgimento del processo
che:

1. In controversia relativa ad impugnazione degli estratti di ruolo relativi a tre cartelle di pagamento notificate a F.P., l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate Riscossione ricorrono per cassazione, sulla base di un unico motivo, nei confronti del predetto contribuente, che resta intimato, avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, accoglieva l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, rilevando l’irregolarità della notifica delle cartelle di pagamento in quanto effettuate direttamente a mezzo posta a persona diversa del destinatario senza il successivo invio della raccomandata informativa.

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Motivi della decisione
che:

1. Con il motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e dell’art. 139 c.p.c.. Sostiene la difesa erariale che la CTR era incorsa nella violazione della disposizione censurata per avere ritenuto necessario, ai fini del completamento della procedura notificatoria, nell’ipotesi – come quella in esame – di consegna della raccomandata postale contenete le cartelle di pagamento a famigliare convivente del destinatario, l’invio della raccomandata informativa.

2. Il motivo è manifestamente fondato.

3. Nella specie è incontroverso che l’agente della riscossione ha provveduto alla notifica diretta a mezzo del servizio postale, D.P.R. n. 602 del 1973 ex art. 26, delle cartelle di pagamento emesse sulla base dei ruoli oggetto di impugnazione.

4. Ciò precisato in punto di fatto, deve osservarsi in diritto che questa Corte è ferma nel ritenere che “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 in quanto tale forma “semplificata” di notificazione si giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018, Rv. 651834 – 01; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10037 del 10/04/2019, Rv. 653680 – 01, secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, mediante invio diretto della raccomandata con avviso di ricevimento da parte del concessionario, non è necessario l’invio di una successiva raccomandata informativa in quanto trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario, peraltro con esclusione della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, in quanto privo di efficacia retroattiva, e non quelle della L. n. 890 del 1982”).

5. In questa direzione, del resto, depone proprio il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, che consente agli ufficiali della riscossione di provvedere alla notifica della cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, precisando che in caso di notifica “nelle mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda” (comma 2) o al “portiere dello stabile dov’è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda” del destinatario, la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da tali soggetti, prevedendo lo stesso art. 26, il rinvio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, unicamente per quanto non regolato nello stesso articolo (cfr. Cass. n. 14196/2014, Cass. ord. n. 3254/16, Cass. n. 802 del 2018; conf. Cass. n. 12083 del 2016 e n. 29022 del 2017).

6. E d’altro canto, come affermato da Cass. n. 28872 del 12/11/2018, sopra citata, la Corte costituzionale, occupandosi della questione ha dichiarato, con la sentenza n. 175 del 2018, la conformità a Costituzione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, rilevando che “la semplificazione insita nella notificazione diretta”, consistente “nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c. e alla L. n. 890 del 1982, art. 3” e nella “mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica (cosiddetta CAN)”, “anche se (…) comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1982, non di meno (…) è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1” ha precisato il Giudice delle leggi che, seppure non sia prevista la relata di notifica, nella notificazione “diretta” ai sensi del citato art. 26 “c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo”. Inoltre, la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica (ma solo nel caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere), “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”.

7. Conclusivamente, con riferimento al caso concreto, in cui le cartelle di pagamento notificate per posta ordinaria risultano essere state consegnate a persone di famiglia, va ribadito che non sussisteva alcun obbligo per l’agente postale di procedere all’invio della raccomandata informativa al destinatario dell’atto. Pertanto, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR per ulteriore esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 05-11-2019) 12-06-2020, n. 11311

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 25433/2016 proposto da:

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.P.A., Direzione Regionale Lazio, società con socio unico soggetta ad attività di direzione e coordinamento di Equitalia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, via XXIV maggio 43, presso lo studio dell’avv. Paolo Puri, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1641/4/16 della CTR di Roma, depositata il 31/03/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2019 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI GIACALONE, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per la parte ricorrente l’Avv. MARIA CLAUDIA SPONTI per delega dell’avv. PAOLO PURI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1641/4/16, depositata il 31 marzo 2016, la CTR del Lazio, riformando la decisione di primo grado, in una causa avente ad oggetto il ricorso avverso l’intimazione di pagamento n. (OMISSIS), riferita alla cartella di pagamento n. (OMISSIS), limitatamente alla statuizione relativa alla tassa smaltimento rifiuti e al tributo provinciale 2008, ha accolto il ricorso originariamente proposto dalla contribuente.

In particolare, la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella di pagamento, eseguita a mezzo posta a mani del portiere dello stabile, senza il successivo invio della raccomandata informativa.

Avverso tale sentenza l’Equitalia Servizi di riscossione s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di impugnazione.

Nessuna attività difensiva è stata svolta in questa sede dalla società regolarmente intimata.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, nella parte in cui la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella di pagamento, effettuata a mezzo posta, mediante la consegna dell’atto al portiere dello stabile, quale soggetto abilitato al ritiro, perchè non seguita dall’invio della raccomandata informativa alla contribuente.

2. Il motivo è fondato e deve pertanto essere accolto.

Non risulta controverso, in fatto, che la cartella di pagamento sia stata spedita alla contribuente direttamente dall’agente di riscossione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, ricevuta e sottoscritta dal portiere in data 14 maggio 2009, senza che poi sia stata inviata alcuna raccomandata informativa alla destinataria dell’atto.

Si deve, in proposito, tenere presente che del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che “La cartella è notificata dagli ufficiali di riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2, o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

Come più volte affermato da questa Corte, la notifica della cartella di pagamento, eseguita ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, costituisce una modalità di notifica alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione. Essa si perfeziona alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza che sia necessario redigere un’apposita relazione di notificazione, nè inviare alcuna raccomandata informativa al destinatario, trovando applicazione le norme del regolamento postale relative agli invii raccomandati e non quelle relative alla notifica a mezzo posta di cui alla L. n. 890 del 1982, (v., tra le tante, Cass., Sez. 6-5 civ., n. 10037 del 10/04/2019; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 29710 del 19/11/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 28872 del 12/11/2018; Cass., Sez. L, n. 19270 del 19/07/2018; Cass., Sez. 5, n. 8293 del 04/04/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 12083 del 13/06/2016).

Tale soluzione interpretativa ha superato il vaglio della Corte costituzionale (Corte Cost., sentenza n. 175 del 23/07/2018), la quale ha ritenuto che tale forma “semplificata” di notificazione trova giustificazione nell’accentuato ruolo pubblicistico dell’agente per la riscossione, volto ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.

Secondo la Corte costituzionale, i rilevati scostamenti della disposizione in esame rispetto al regime ordinario della notificazione a mezzo posta, considerati nel loro complesso, segnano sì un arretramento del diritto di difesa del destinatario dell’atto, ma soddisfano il requisito dell’effettiva possibilità di conoscenza dell’atto, che costituisce il limite inderogabile alla discrezionalità del legislatore in materia. La medesima Corte ha aggiunto che lo scarto tra conoscenza legale e conoscenza effettiva, in concreto verificabile, è suscettibile di essere comunque riequilibrato mediante il ricorso alla rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c., che può essere richiesta da colui che assuma di non avere avuto, in concreto, conoscenza dell’atto, per causa a lui non imputabile, dimostrando, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di tale situazione.

La sentenza in questa sede impugnata ha, dunque, errato nel ritenere applicabile la disciplina prevista per la notificazione a mezzo posta dalla L. n. 80 del 1982, art. 7, (nel testo vigente ratione temporis, adattato, per le notifiche degli atti ai contribuenti, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60), posto che, nella specie, il concessionario ha fatto ricorso a tutta un’altra modalità di notificazione, quella “semplificata” di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, la quale, in applicazione della disposizione appena richiamata, deve ritenersi ritualmente perfezionata nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal portiere.

3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, nella parte in cui la CTR ha affermato l’intervenuta decadenza della pretesa impositiva, annullando l’intimazione di pagamento, mentre invece avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della relativa censura.

4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo, tenuto conto delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, che viene in questa sede cassata.

5. Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, nè risultano ulteriori profili controversi rilevanti ai fini della decisione, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c..

6. Come sopra evidenziato, la notificazione della cartella di pagamento deve ritenersi ritualmente effettuata, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento da parte del portiere in data 14 maggio 2009.

E’ incontestato che tale cartella non sia stata tempestivamente impugnata. L’intimata ha semplicemente fatto valere la ritenuta invalidità della stessa con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, notificata circa due anni dopo (v. ricorso per cassazione), senza chiedere di essere rimessa in termini (v. la statuizione della Corte costituzionale supra riportata).

L’accertata regolarità della notificazione della cartella di pagamento, non tempestivamente impugnata, rende pertanto incontestabile la pretesa tributaria in essa portata (v. da ultimo Cass., Sez. 5 civ., n. 19010 del 16/07/2019).

Nè può ritenersi che tra la data della notificazione della cartella di pagamento e la data di notificazione della intimazione di pagamento, effettuata circa due anni dopo, sia maturata alcuna decadenza, che dagli atti non risulta neppure specificamente prospettata.

Il ricorso proposto in primo grado dalla SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L. deve pertanto essere rigettato.

7. Ai fini della statuizione sulle spese, si deve precisare che la materia del contendere è in questa sede limitata al credito relativo alla tassa smaltimento rifiuti e al tributo provinciale per l’anno 2008, portati nella cartella di pagamento sopra descritta, essendo stato dichiarato già in primo grado il difetto di giurisdizione del giudice tributario in relazione ai crediti derivanti dal mancato versamento dei contributi previdenziali, portati nella stessa cartella, con una pronuncia sul punto passata in giudicato.

8. Le spese dei due gradi di merito devono essere compensate, tenuto conto della peculiarità della vicenda e del consolidarsi della giurisprudenza solo dopo che il contenzioso è insorto, anche a seguito della pronuncia della Corte costituzionale supra richiamata.

Nel presente giudizio di legittimità, le spese, liquidate in dispositivo, seguono invece la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo a carico dell’intimata.

P.Q.M.
la Corte:

– accoglie il primo motivo di ricorso e, dichiarato assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata;

– decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dalla SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L.;

– compensa tra le parti le spese dei due gradi di merito;

– condanna la SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 05-11-2019) 09-06-2020, n. 10954

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 25432/2016 proposto da:

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.P.A., Direzione Regionale Lazio, società con socio unico soggetta ad attività di direzione e coordinamento di Equitalia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, via XXIV maggio 43, presso lo studio dell’avv. Paolo Puri, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1640/4/16 della CTR del Lazio, depositata il 31/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2019 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI GIACALONE, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per la parte ricorrente l’Avv. MARIA CLAUDIA SPONTI per delega dell’avv. PAOLO PURI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1640/4/16, depositata il 31 marzo 2016, la CTR del Lazio, riformando la decisione di primo grado, in una causa avente ad oggetto il ricorso avverso l’intimazione di pagamento n. 0972011909616828, riferita alla cartella n. (OMISSIS), limitatamente alla statuizione relativa all’imposta di pubblicità dovuta per l’anno 2006, ha accolto il ricorso originariamente proposto dalla contribuente.

In particolare, la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella di pagamento, eseguita a mezzo posta a mani del portiere dello stabile, senza il successivo invio dalla raccomandata informativa.

Avverso tale sentenza l’Equitalia Servizi di riscossione s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di impugnazione.

Nessuna attività difensiva è stata svolta in questa sede dalla società regolarmente intimata.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, nella parte in cui la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella di pagamento, effettuata a mezzo posta, mediante la consegna dell’atto al portiere dello stabile, quale soggetto abilitato al ritiro, perchè non seguita dall’invio della raccomandata informativa alla contribuente.

2. Il motivo è fondato.

Non risulta controverso, in fatto, che la cartella di pagamento sia stata spedita alla contribuente direttamente dall’agente di riscossione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, ricevuta e sottoscritta dal portiere in data 4 giugno 2010, senza che poi sia stata inviata alcuna raccomandata informativa alla destinataria dell’atto.

Si deve, in proposito, tenere presente che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che “La cartella è notificata dagli ufficiali di riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2 o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

Come più volte affermato da questa Corte, la notifica della cartella di pagamento, eseguita ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, costituisce una modalità di notifica alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione. Essa si perfeziona alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza che sia necessario redigere un’apposita relazione di notificazione, nè inviare alcuna raccomandata informativa al destinatario, trovando applicazione le norme del regolamento postale relative agli invii raccomandati e non quelle relative alla notifica a mezzo posta di cui alla L. n. 890 del 1982 (v., tra le tante, Cass., Sez. 6-5 civ., n. 10037 del 10/04/2019; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 29710 del 19/11/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 28872 del 12/11/2018; Cass., Sez. L, n. 19270 del 19/07/2018; Cass., Sez. 5, n. 8293 del 04/04/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 12083 del 13/06/2016).

Tale soluzione interpretativa ha superato il vaglio della Corte costituzionale (Corte Cost., sentenza n. 175 del 23/07/2018), la quale ha ritenuto che tale forma “semplificata” di notificazione trova giustificazione nell’accentuato ruolo pubblicistico dell’agente per la riscossione, volto ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.

Secondo la Corte costituzionale, i rilevati scostamenti della disposizione in esame rispetto al regime ordinario della notificazione a mezzo posta, considerati nel loro complesso, segnano sì un arretramento del diritto di difesa del destinatario dell’atto, ma soddisfano il requisito dell’effettiva possibilità di conoscenza dell’atto, che costituisce il limite inderogabile alla discrezionalità del legislatore in materia. La medesima Corte ha aggiunto che lo scarto tra conoscenza legale e conoscenza effettiva, in concreto verificabile, è suscettibile di essere comunque riequilibrato mediante il ricorso alla rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c., che può essere richiesta da colui che assuma di non avere avuto, in concreto, conoscenza dell’atto, per causa a lui non imputabile, dimostrando, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di tale situazione.

La sentenza in questa sede impugnata ha, dunque, errato nel ritenere applicabile la disciplina prevista per la notificazione a mezzo posta dalla L. n. 80 del 1982, art. 7 (nel testo vigente ratione temporis, adattato, per le notifiche degli atti ai contribuenti, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60), posto che, nella specie, il concessionario ha fatto ricorso a tutta un’altra modalità di notificazione, quella “semplificata” di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, la quale, in applicazione della disposizione appena richiamata, deve ritenersi ritualmente perfezionata nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal portiere.

3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, nella parte in cui la CTR ha erroneamente affermato l’intervenuta decadenza della pretesa impositiva, annullando l’intimazione di pagamento, mentre invece avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della relativa censura.

4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo, tenuto conto delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, che viene in questa sede cassata.

5. Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, nè risultano altri profili controversi rilevanti ai fini della decisione, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c..

6. Come sopra evidenziato, la notificazione della cartella di pagamento deve ritenersi ritualmente effettuata, ai sensi D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento da parte del portiere in data 4 giugno 2010.

E’ incontestato che tale cartella non sia stata tempestivamente impugnata. L’intimata ha semplicemente fatto valere la ritenuta invalidità della stessa con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, notificata più di un anno dopo (v. ricorso per cassazione), senza chiedere di essere rimessa in termini (v. la statuizione della Corte costituzionale supra riportata).

L’accertata regolarità della notificazione della cartella di pagamento, non tempestivamente impugnata, rende pertanto incontestabile la pretesa tributaria in essa portata (v. da ultimo Cass., Sez. 5 civ., n. 19010 del 16/07/2019).

Nè può ritenersi che tra la data della notificazione della cartella di pagamento e la data di notificazione della intimazione di pagamento, effettuata circa un anno dopo, sia maturata alcuna decadenza, che dagli atti non risulta neppure specificamente prospettata.

Il ricorso proposto in primo grado dalla SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L. deve pertanto essere rigettato.

7. Ai fini della statuizione sulle spese, si deve precisare che la materia del contendere è limitata al credito relativo all’imposta di pubblicità per l’anno 2006, portato nella cartella di pagamento sopra descritta, essendo stato dichiarato già in primo grado il difetto di giurisdizione del giudice tributario, in relazione ai crediti derivanti dal mancato versamento dei contributi previdenziali, portati nella stessa cartella, con una pronuncia sul punto passata in giudicato.

8. Le spese dei due gradi di merito devono essere compensate, tenuto conto della peculiarità della vicenda e del consolidarsi della giurisprudenza solo dopo che il contenzioso è insorto, anche a seguito della pronuncia della Corte costituzionale supra richiamata.

Nel presente giudizio di legittimità, le spese, liquidate in dispositivo, seguono invece la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo a carico dell’intimata.

P.Q.M.
la Corte:

– accoglie il primo motivo di ricorso e, dichiarato assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata;

– decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dalla SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L.;

– compensa tra le parti le spese dei due gradi di merito;

– condanna la SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.700,00, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020


Cass. civ. Sez. VI – Lavoro, Ord., (ud. 04-12-2019) 04-06-2020, n. 10585

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24229-2018 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 23/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 29/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO CARLA.

Svolgimento del processo
Che:

1. con sentenza n. 23 pubblicata il 29.1.2018 la Corte d’appello di Genova ha respinto l’appello di G.R., confermando la pronuncia di primo grado, di rigetto della domanda proposta dal predetto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate Riscossioni per la declaratoria di nullità, annullabilità o inefficacia dell’iscrizione ipotecaria su alcuni immobili di sua proprietà, a seguito del mancato pagamento di cartelle aventi ad oggetto crediti di natura tributaria e previdenziale;

2. la Corte territoriale ha ritenuto legittima la notifica della comunicazione di iscrizione ipotecaria a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento inviata direttamente dall’agente di riscossione e di conseguenza irrilevante la mancanza della relata di notifica; parimenti legittima ha giudicato la notifica degli avvisi d’addebito da parte dell’Inps con le medesime modalità;

3. ha escluso la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, rilevando che le cartelle, quali atti prodromici su cui si fonda l’iscrizione ipotecaria, erano specificamente richiamate nella comunicazione opposta, senza che vi fosse necessità di allegazione delle stesse; ha rilevato come non fosse stata contestata la rituale notifica delle cartelle e degli avvisi di addebito, di cui il G. aveva quindi materiale disponibilità, sicchè nessuna violazione del diritto di difesa era ipotizzabile;

4. la Corte di merito ha ritenuto inammissibile la censura sulla mancata indicazione nelle cartelle di pagamento del dettaglio di calcolo degli interessi addebitati ed ha rilevato che, decorso il termine perentorio di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, fosse preclusa la contestazione della pretesa contributiva e dei relativi accessori;

5. ha affermato che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 76, nel testo applicabile ratione temporis, non precludesse l’iscrizione ipotecaria per un credito complessivo inferiore a 120.000,00 Euro, ma unicamente l’espropriazione immobiliare; ha escluso la violazione del limite (pari a 20.000,00 Euro) fissato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, comma 1-bis sul rilievo che dovessero considerarsi tutti i crediti iscritti a ruolo a cui si riferisce l’iscrizione ipotecaria (nel caso di specie per l’importo complessivo di Euro 43.700,28), senza alcuna distinzione tra crediti di natura previdenziale, tributaria o di altra natura;

6. avverso tale sentenza G.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate Riscossione è rimasta intimata;

7. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Motivi della decisione
Che:

8. col primo motivo di ricorso G.R. ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto per illegittimità della notifica diretta dell’agente di riscossione ed illegittima assenza della relata di notifica;

9. ha richiamato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 comma 1, D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 193 del 2001, art. 1, comma 1, lett. c), sostenendo come a far data dall’1.7.1999 l’esattore non fosse più abilitato alla notifica mediante invio diretto della lettera raccomandata con avviso di ricevimento;

10. col secondo motivo di ricorso il G. ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata applicazione dell’art. 7, L. n. 212 del 2000 per mancato rilievo del vizio di allegazione degli atti tributari richiamati per relationem;

11. col terzo motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2; ha sostenuto che la mancata indicazione del procedimento di computo degli interessi e delle singole aliquote su base annuale rendesse nulla la cartella esattoriale e gli atti equiparati, tra cui l’iscrizione ipotecaria;

12. col quarto motivo di ricorso il G. ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973,artt. 76 e 77; ha affermato che l’iscrizione ipotecaria, in quanto strumento preordinato all’esecuzione forzata, soggiace ai limiti stabiliti per quest’ultima dall’art. 76 cit. e dunque non può essere iscritta se l’importo del credito non consente di procedere all’espropriazione;

13. il primo motivo è inammissibile;

14. costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, a cui si intende dare continuità, quello in forza del quale “In tema di riscossione di contributi previdenziali, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (Cass. n. 19270/18; sez. 6 n. 8423/19; cfr. anche Cass. n. 14834/17 e n. 14327/09 relativa a cartella esattoriale emessa per la riscossione di sanzioni amministrative; Cass. n. 29710/18; n. 17248/17; n. 6395/14 in tema di riscossione delle imposte);

15. neppure il secondo motivo può trovare accoglimento; questa Corte ha già affermato (cfr. Cass. sez. 6 n. 8423/19; cfr. anche Cass. n. 22018/17 con riferimento al fermo amministrativo) che il preavviso di iscrizione ipotecaria emesso sulla base di cartelle di pagamento relative a crediti per contributi previdenziali è correttamente motivato mediante il richiamo agli atti presupposti, che, in quanto già destinati alla stessa parte, sono da questa conosciuti o conoscibili e non necessitano perciò di allegazione all’atto impugnato;

16. anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto costituisce indirizzo consolidato di questa Corte quello secondo cui le questioni sul merito della pretesa contributiva, tra cui rientrano i criteri di calcolo degli interessi, devono farsi valere in sede di opposizione D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 24 (cfr. Cass. n. 25757/08; n. 25208/09);

17. il quarto motivo è infondato;

18. questa Corte ha statuito che in tema d’iscrizione ipotecaria relativa a debiti tributari, ai fini del raggiungimento della soglia minima di ottomila Euro, prevista dal D.P.R. n. 602 del 1972, artt. 76 e 77 (nella formulazione “ratione temporis” vigente), è necessario considerare tutti i crediti iscritti a ruolo, anche quelli non tributari, e specificamente quelli previdenziali (cfr. Cass. n. 18550/17; n. 20055/15; n. 2190/14); deve quindi escludersi la violazione del citato art. 77, tenuto conto dell’importo del credito complessivo per cui è stata iscritta l’ipoteca (Euro 43.700,28);

19. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;

20. non luogo a provvedere sulle spese posto che l’Agenzia delle entrate Riscossione è rimasta intimata;

21. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 19-11-2019) 28-05-2020, n. 10131

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10661/2012, proposto da N.M., rappresentata e difesa dall’Avvo. Nunzio Santi Di Paola ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Catania, Corso Italia, n. 171;

– ricorrente –

CONTRO

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

-controricorrente-

e CONTRO

Serit Sicilia S.p.a., già Montepaschi Se.ri.t. S.p.a., Agente della riscossione per la Provincia di Catania, in persona del legale rappresentante p.t.

-parte intimata-

avverso la sentenza n. 211/17/11 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, emessa il 17/2/2011, depositata il 7 luglio 2011 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 19 novembre 2019 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

Svolgimento del processo
CHE:

1. la Sig.ra N.M. ricorre con sei motivi per la cassazione della sentenza n. 211/17/11 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia (di seguito C.T.R.), depositata il 7 luglio 2011 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’Ufficio e riformato la sentenza di primo grado della Commissione Tributaria Provinciale di Catania, in controversia relativa all’impugnazione della cartella di pagamento n. 293 2002 00619005 per IRPEF, ILOR, S.S.N., oltre accessori, per gli anni d’imposta 1995 e 1996, con cui la contribuente deduceva la decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo per mancata notifica, seppur indicata in cartella, del prodromico avviso di accertamento entro i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43;

2. la C.T.R., con la sentenza impugnata, rilevava, in primo luogo, che, in relazione alla tempestività dell’appello dell’Ufficio con riferimento al termine annuale, l’eccezione della contribuente andasse disattesa, poichè la raccomandata di spedizione del plico contenente l’appello era stata spedita un anno e quarantatrè giorni dopo il deposito della sentenza di primo grado; in secondo luogo, che fosse ammissibile la produzione, da parte dell’Ufficio, per la prima volta in grado d’appello, della documentazione relativa agli avvisi di accertamento richiamati nella cartella esattoriale impugnata, poichè la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8489/2009, aveva affermato che nel processo tributario di appello fosse possibile produrre nuovi documenti sui quali si era dibattuto in primo grado; in terzo luogo che, per quanto riguardava l’esame dell’idoneità della documentazione, al fine di dimostrare la notificazione degli avvisi di accertamento, l’Ufficio avesse assolto all’onere probatorio concernente l’avvenuta notifica degli avvisi stessi, il cui contenuto era ininfluente ai fini della decisione, attesa la mancata impugnazione degli atti impositivi;

3. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 19 novembre 2019, ai sensi dell’ art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Motivi della decisione
CHE:

1.1. con il primo motivo di ricorso, la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2712 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la contribuente la C.T.R. avrebbe dovuto rigettare l’appello proposto dall’Ufficio, in quanto l’Agenzia delle Entrate, al fine di provare la notifica degli avvisi di accertamento, aveva prodotto delle semplici copie fotostatiche, illeggibili e non conformi all’originale, che l’appellata N.M. aveva contestato nelle controdeduzioni in secondo grado;

la ricorrente deduce che, anche in tema di contenzioso tributario, la produzione di documenti in copia fotostatica costituisce un mezzo di prova idoneo, soltanto se la controparte non ne contesti la conformità all’originale, come previsto dall’art. 2712 c.c., stante che, in caso di contestazione, il giudice ha l’obbligo di disporre la produzione del documento originale;

con il sesto motivo, da trattare congiuntamente al primo, perchè connesso, la ricorrente censura la nullità della sentenza impugnata per insufficiente motivazione, in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

secondo la ricorrente, la sentenza presenterebbe un vizio di motivazione in relazione all’accoglimento dell’appello per (presunta) regolare notifica degli avvisi di accertamento, provata dall’Ufficio mediante la produzione di copie fotostatiche di una serie non meglio specificata di avvisi di ricevimento non conformi all’originale ed espressamente contestati;

1.2. i motivi sono infondati e devono essere rigettati;

1.3. invero, il disconoscimento della conformità della copia all’originale di scrittura non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata originale e non obbliga il giudice a procedere a verificazione e neppure alla acquisizione dell’originale;

in tal caso, infatti, il giudice deve procedere all’esame delle difformità dedotte, valutando se esse siano o meno probanti di una effettiva difformità tra fotocopia e originale, valutazione avvenuto nel caso in esame;

come è stato detto, “in tema di prova documentale, il disconoscimento, ai sensi dell’art. 2719 c.c., della conformità tra una scrittura privata e la copia fotostatica, prodotta in giudizio non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata, previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2, in quanto, mentre quest’ultimo, in mancanza di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all’art. 2719 c.c., non impedisce al giudice di accertare la conformità della copia all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni” (Sez. 5 -, Sentenza n. 14950 del 08/06/2018, Rv. 649366 – 01);

2.1. con il secondo motivo di ricorso, la contribuente censura la violazione e la falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, artt. 14 e 3, in materia di notificazione di atti a mezzo posta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo la ricorrente, nel caso di specie, la notifica degli avvisi di accertamento, in relazione alla documentazione prodotta dall’Ufficio, non può che essere nulla perché, non solo non è possibile verificare l’apposizione della relata di notifica sull’originale dell’atto, mai prodotto dall’Agenzia delle Entrate, nè in primo nè in secondo grado, ma risulta evidente dalla fotocopia come la relata sia nulla in quanto non vi è alcuna apposizione del timbro e della firma di colui che abbia consegnato il plico presso l’Ufficio postale ai fini della notifica;

con il terzo motivo di ricorso la contribuente censura la violazione e la falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8 in materia di notificazione di atti a mezzo posta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo la ricorrente tutti gli adempimenti che impone la norma violata, con particolare riferimento alla ricerca delle persone abilitate a ricevere l’atto, non sono stati rispettati da nessuno dei due avvisi di ricevimento riprodotti;

con il quarto motivo, la ricorrente censura la violazione e la falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 3, ultimo capoverso, in materia di notificazione di atti a mezzo posta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo quanto sostenuto dalla contribuente, in nessun avviso di ricevimento sarebbe leggibile la data di deposito dell’atto notificato in assenza del destinatario presso l’ufficio postale, data fondamentale, poiché dalla stessa comincia a decorrere il termine per la restituzione del plico al mittente in caso di mancato ritiro da parte del destinatario;

2.2. i motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati e vanno rigettati.

2.3. nel caso di specie, la stessa ricorrente afferma che la notifica è avvenuta direttamente a mezzo del servizio postale (vedi pag.9 del ricorso); costituisce ormai principio consolidato di questa Corte quello secondo cui, nell’ipotesi in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione diretta a mezzo posta dell’atto impositivo, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982 (ex multis, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8293 del 04/04/2018);

pertanto, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato l’avviso di liquidazione o di accertamento senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 c.p.c.;

ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto, pervenuto all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 9111 del 06/06/2012, Rv. 622974);

nel caso di specie, il giudice di appello dà atto che l’Ufficio ha prodotto gli avvisi di ricevimento che, da un lato, riportano il numero delle raccomandate e, dall’altro, la data di spedizione e le annotazioni di immissione dell’avviso in cassetta e del deposito della raccomandata presso l’Ufficio postale;

la C.T.R. ha, quindi, concluso nel senso che fossero presenti tutte le annotazioni richieste ai fini della validità della notifica, che doveva ritenersi perfezionata per compiuta giacenza, decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza, nel caso di specie avvenuta mediante immissione dell’avviso in cassetta;

3.1. con il quinto motivo di ricorso, la contribuente contesta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, in materia di notificazione di atti a mezzo posta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

nel ricorso si rileva la nullità della sentenza per il mancato invio della seconda raccomandata informativa al contribuente, come previsto dalla legge a seguito della sentenza n. 346/1998 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del dettato normativo di cui sopra, nella parte in cui non prevedeva che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, venisse data notizia delle formalità compiute al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento;

3.2. il motivo è infondato e deve essere rigettato;

3.3. è opportuno premettere che, come si è detto, nel caso in esame, l’Ufficio si è avvalso della possibilità di provvedere direttamente alla notifica degli atti impositivi a mezzo del servizio postale, come ammesso dalla stessa ricorrente (vedi pag. 9 del ricorso);

la L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 20, modificando la L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14, ha aggiunto, per quanto qui interessa, la previsione che la notificazione degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente “può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica può essere effettuata, come già previsto, a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla medesima L. n. 890 del 1982;

a decorrere, pertanto, dal 15 maggio 1998 (data di entrata in vigore della citata L. n. 146 del 1998), è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere “direttamente” alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale (Cass. n. 15284 del 2008);

ciò significa che il notificante è abilitato alla notificazione dell’atto senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ferma restando, ovviamente, quella dell’ufficiale postale), e, quindi, a modalità di notificazione semplificata, alla quale, pertanto, non si applicano le disposizioni della L. n. 890 del 1982, concernenti le sole notificazioni effettuate a mezzo posta tramite gli ufficiali giudiziali (o, eventualmente, i messi comunali e i messi speciali autorizzati), bensì le norme concernenti il servizio postale “ordinario”;

tuttavia, in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto, il regolamento postale (nel caso di specie, la circolare n. 70/2001 oggetto: poste – condizioni generali del servizio postale – D.M. 9 aprile 2001, su g.u. n. 95 del 24.4.2001), contenente la disciplina del servizio postale ordinario, si limitava a prevedere, all’art. 32, che, per gli “invii a firma” (tra cui le raccomandate), “in caso di assenza all’indirizzo indicato, il destinatario e le altre persone abilitate a ricevere l’invio” potevano “ritirarlo presso l’ufficio postale di distribuzione, entro i termini di giacenza previsti dall’art. 49”;

nessuna disposizione di detto regolamento conteneva, quindi, una regola analoga a quella dettata in materia di notifiche effettuate a mezzo posta dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, sul momento in cui si dovesse ritenere pervenuto al destinatario un atto, che l’agente postale avesse depositato in giacenza presso l’ufficio postale a causa della impossibilità di recapitarlo per l’assenza del medesimo destinatario o di altra persona abilitata;

pertanto, come chiarito da questa Corte, “in tema di notificazione dell’atto impositivo effettuata a mezzo posta direttamente dall’Ufficio finanziario, al fine di garantire il bilanciamento tra l’interesse del notificante e quello del notificatario, deve farsi applicazione in via analogica della regola dettata dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, secondo cui la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di rilascio dell’avviso di giacenza, ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore, decorrendo da tale momento il termine per l’impugnazione dell’atto notificato”(Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2047 del 02/02/2016);

quindi, nel caso di specie, per il perfezionamento della notifica con il meccanismo della cd. “compiuta giacenza”, deve farsi ricorso, in via analogica, alla regola dettata nella L. n. 890 del 2002, art. 8, comma 4, con la conseguenza che la notifica deve intendersi perfezionata decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza del deposito presso l’Ufficio Postale, in quanto il regolamento del servizio di recapito non prevedeva la spedizione di una raccomandata contenente l’avviso di giacenza;

secondo la ricorrente, la notifica degli avvisi di accertamento, richiamata nella cartella esattoriale impugnata, non si sarebbe perfezionata per il mancato invio della lettera raccomandata informativa, prevista dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 346 del 1998;

invero, la Corte costituzionale, con sentenza 23 settembre 1998, n. 346, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 890 del 1982, art. 8, nella parte in cui non prevede che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione, ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento;

tuttavia, la sentenza della Corte Costituzionale riguarda la diversa modalità di notificazione a mezzo posta curata dall’Ufficiale Giudiziario, alla quale si applica la disciplina di cui alla L. n. 890 della 1982, compreso la norma in oggetto (vedi Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17598 del 28/07/2010, che ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria regionale che aveva ritenuto valida la notifica dell’invito al contraddittorio endoprocedimentale ai fini dell’accertamento con adesione D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5, effettuata con raccomandata, non ritirata presso l’ufficio postale, senza che ad essa fosse seguito l’invio della raccomandata informativa previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, così come modificato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998);

il differente iter notificatorio si spiega con la diversità delle fattispecie poste a confronto, comportando la notifica diretta a mezzo del servizio postale un procedimento più agile e semplificato, a tutela delle ragioni del fisco di preminente interesse pubblico;

come evidenziato di recente dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. 23 luglio 2018, n. 175, che ha ritenuto legittimo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nonostante la mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica -CAN- e l’inapplicabilità della L. n. 890 del 1982, art. 7, come modificato con la L. n. 31 del 2008), il ragionevole bilanciamento degli interessi pubblici e privati è comunque garantito dal fatto che colui, che assuma in concreto la mancanza di conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile, può chiedere la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., ove comprovi, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di detta situazione (nel caso di specie neanche dedotta dalla ricorrente);

in conclusione, deve affermarsi il seguente principio: “nella notifica degli atti tributari, effettuata L. n. 890 del 1982, ex art. 14, in caso di mancato recapito della raccomandata all’indirizzo del destinatario, la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza e di deposito presso l’Ufficio Postale (o dalla data di spedizione dell’avviso di giacenza, nel caso in cui l’agente postale vi abbia provveduto, sebbene non tenuto a tanto – cfr. Cass. sent. n.,2047/2016), in quanto, per il procedimento notificatorio suddetto, si applicano le norme del regolamento del servizio di recapito postale, che non prevedono la spedizione di una raccomandata contenente l’avviso di giacenza”;

per quanto fin qui detto, il ricorso va complessivamente rigettato;

la ricorrente è condannata al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo;

nulla deve disporsi in ordine alle spese nei confronti del concessionario, che è rimasto intimato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020


Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 27/02/2020) 29/05/2020, n. 10308

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 8679/2019 proposto da:

E.H., rappresentato e difeso dall’Avv. Lucia Paolinelli, come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con la stessa elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’Avv. Enrica Inghilleri.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di ANCONA n. 1762/2018, pubblicata in data 16 agosto 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/02/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

Svolgimento del processo
1. E.H., nato in (OMISSIS), ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 2 maggio 2017, che, al pari della Commissione territoriale competente, aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il richiedente ha dichiarato che il padre era morto in seguito ad un attentato terroristico di (OMISSIS) alla stazione di (OMISSIS), e di avere lasciato la Nigeria per il rifiuto di aderire alla setta degli (OMISSIS).

3. La Corte di appello di Ancona ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocate, sulla base delle dichiarazioni del richiedente giudicate non credibili; della mancanza di un effettivo rischio nell’ipotesi di rientro nel Paese d’origine e dell’assenza di lesioni di diritti umani.

4. E.H. ricorre in cassazione con due motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo E.H. deduce che la Corte di appello di Ancona sia incorsa nella violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, per avere escluso la protezione umanitaria, senza verificare e valorizzare la situazione di grave instabilità politica e sociale attualmente presente in Nigeria, poichè essendo la protezione umanitaria una misura atipica e residuale era necessaria l’indagine sull’esistenza di una situazione vulnerabile valutando le condizioni oggettive del Paese di provenienza.

1.1 Nella sostanza, la questione posta è se sia configurabile o meno tra le ragioni di vulnerabilità che giustificano l’adozione del permesso umanitario le situazioni di conflitto per grave instabilità politica e sociale, anche se non riconducibili nell’alveo normativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ipotesi quest’ultima che si configura quando gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria (Cass., 2 ottobre 2019, n. 24647) e raggiungono un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte di Giustizia, causa C-285/12, Diakitè, sentenza 30 gennaio 2014 e causa C-465/07, Elgafaji, sentenza 17 febbraio 2009).

1.2 Ed ancora se sia sufficiente ad escludere il diritto al riconoscimento della protezione umanitaria, l’insussistenza delle condizioni richieste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per la protezione sussidiaria, sia avuto riguardo ai requisiti oggettivi della gravità ed intensità del conflitto interno o internazionale, sia avuto riguardo alla correlazione tra la situazione personale del richiedente e il contesto oggettivo del paese di provenienza.

1.3 Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non definisce i “gravi motivi” di carattere umanitario che possono impedire il rientro del richiedente nel suo paese di origine.

Gli stessi sono stati ricondotti ora a fattori soggettivi di vulnerabilità, quali particolari motivi di salute, ragioni di età, un significativo percorso di integrazione nel nostro paese; ora a fattori oggettivi di vulnerabilità, legati a guerre civili, catastrofi naturali, trattamenti degradanti ed altre gravi e reiterate violazioni dei diritti umani nel Paese di origine.

1.4 Come di recente affermato delle Sezioni Unite di questa Corte, “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza” (Cass., Sez. U., 213 novembre 2019, n. 29549).

In primo luogo, il giudice, ai fini dell’accertamento delle condizioni per il riconoscimento di un titolo di soggiorno fondato su ragioni umanitarie, deve procedere alla valutazione della situazione vissuta nel Paese di origine da parte del richiedente, ai fini di verificare se sussista una effettiva privazione dei diritti umani cui il richiedente si troverebbe esposto ove rimpatriato.

In secondo luogo, il giudice deve prendere in esame la situazione personale, relazionale e lavorativa nel Paese di accoglienza e la correlazione tra i due contesti deve essere attuata al fine di verificare se il peggioramento delle condizioni personali e sociali in caso di rientro sia tale da determinare un’incolmabile sproporzione nella titolarità e nell’esercizio dei diritti fondamentali al di sotto del parametro della dignità personale (Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

1.5 La conclusione argomentativa è nel senso della stretta correlazione tra le situazioni di vulnerabilità e la condizione personale vissuta o subita dal richiedente nel Paese di provenienza, ovvero la protezione umanitaria è volta a tutelare situazioni di gravi violazioni dei diritti umani dalle quali il richiedente sia stato necessitato ad allontanarsi, che perdura nel Paese di origine, con la conseguenza che, in linea di principio, non rilevano situazioni di vulnerabilità che non derivino da una condizione personale vissuta o subita in quel contesto geografico, politico o sociale.

1.6 Diversamente potrebbe sostenersi con riguardo all’accertamento che il giudice deve compiere con riguardo alle situazioni di cosiddetto “conflitto a bassa intensità sociale”, ovvero in tutte quelle situazioni in cui l’accertamento che il giudice deve svolgere, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, riguarda il riscontro di un fattore oggettivo, ovvero di una condizione di privazione o forte limitazione dei diritti umani dovuta ad una situazione caratterizzata dal predominio di fazioni o milizie private tali da ingenerare violenza diffusa ancorchè non generalizzata oppure da una condizione di generale o quanto meno prevalente sopraffazione verso un particolare gruppo sociale.

In questi casi, infatti, in cui rilevano fattori oggettivi di vulnerabilità, il puntuale accertamento delle condizioni oggettive del Paese di rientro assume rilievo probatorio centrale, mentre perde di rilievo la condizione personale del richiedente rispetto alle ragioni umanitarie. La circostanza che la valutazione che il giudice deve operare è di natura oggettiva, comporta come conseguente corollario che, in queste situazioni, si può prescindere da una valutazione comparatistica, che prenda in esame la situazione personale, relazionale e lavorativa del richiedente e il suo percorso di integrazione nel Paese di accoglienza.

1.7 In proposito, le pronunce di questa Corte sono sostanzialmente concordi nel configurare i “gravi motivi”, come elementi derivanti dalla situazione sociale, politica, o ambientale del Paese d’origine del richiedente riconducibili sotto lo specifico profilo causale o eziologico alle condizioni personali del richiedente, pur non essendo richiesto un pericolo persecutorio o di danno grave (Cass. 24 giugno 2013, n. 15756/2013, 28 novembre 2017 n. 28336).

1.8 Poichè gli enunciati principi trovano applicazione anche nel caso in esame, si ritiene opportuno trattare il presente ricorso in pubblica udienza.

P.Q.M.
rimette la causa in pubblica udienza.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020


Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 09-01-2020) 26-05-2020, n. 9867

Sanzioni amministrative – Notificazione – Art. 201 codice della strada – Messo comunale – Qualificazione giuridica – Appalto a soggetti privati – Legittimità

Possono essere nominati messi per la notificazione anche i dipendenti di società private

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28405-2018 proposto da:

D.M.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI SERANTONI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FIRENZE in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA SANSONI, GIANNA ROGAI;

– controricorrente –

nonché contro

EQUITALIA CENTRO SPA GIA’ EQUITALIA CERIT SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 557/2018 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 23/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2020 dal Consigliere Dott. OLIVIERI STEFANO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale CARDINO ALBERTO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
In totale riforma della decisione del Giudice di Pace di Firenze n. 1416/2013, che aveva accolto la opposizione proposta da D.M.M. avverso il “preavviso di fermo amministrativo” comunicato da Equitalia Cerit s.p.a., n. q. di Concessionario per la riscossione del Comune di Firenze, sul presupposto della inesistenza della notifica dei verbali di accertamento infrazione delle norme del Codice della strada e delle cartelle di pagamento, eseguita da incaricati dipendenti della società ATI TNT Post Italia s.p.a. anzichè da Poste Italiane, il Tribunale di Firenze in grado di appello, con sentenza in data 23.2.2018 n. 557 ha accolto la impugnazione principale del Comune e la impugnazione incidentale di Equitalia Centro s.p.a. (subentrata ad Equitalia Cerit s.p.a.), rilevando come alcuna norma di legge prevedesse la necessità di un rapporto di lavoro subordinato tra il “messo comunale” e l’ente locale, sicchè bene quest’ultimo poteva incaricare anche soggetti esterni all’Amministrazione pubblica del servizio di notificazione, e rilevando altresì che, quanto alla notifica dei VAV era nuova -e quindi inammissibile- la eccezione del D.M. relativa alla mancata prova offerta dal Comune della preesistente attribuzione della qualifica di “messo comunale” agli incaricati della TNT e che il Giudice di Pace era incorso in ultrapetizione laddove aveva ritenuto inesistenti le notifiche delle cartelle di pagamento anche in base alla mancanza di prova dell’incarico di notifica affidato dalla Concessionaria Equitalia al personale TNT sebbene tale eccezione non fosse stata svolta dal D.M. in primo grado. Quanto alla facoltà del Concessionario di delegare l’attività di notifica delle cartelle la stessa trovava titolo nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e nel D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 45.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione da D.M.M. con due motivi.

Resiste con controricorso illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, il Comune di Firenze. Non ha svolto difese l’intimata Equitalia Centro s.p.a. cui il ricorso è stato notificato in data 24.9.2018.

Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte instando per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione
Con il primo motivo ed il secondo motivo (con i quali si deduce: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973 e succ. modifiche, dell’art. 137 c.p.c. e succ., dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) il ricorrente censura la statuizione della sentenza di appello che ha ritenuto conforme alla disciplina normativa prevista, rispettivamente, per la notifica delle cartelle di pagamento da parte del Concessionario, poi Agente del servizio di riscossione, e per la notifica dei verbali di contestazione di infrazione alle norme del Codice della strada, le notifiche dei predetti atti eseguite dal personale dipendente della società privata TNT Post Italia s.p.a..

I motivi sono infondati.

Preliminarmente occorre rilevare come il ricorrente venga a confondere i due distinti profili:

a) della inesistenza delle notifiche in quanto eseguite da personale dipendente di una società privata anzichè dagli agenti postali b) della omessa prova, da parte del Comune di Firenze e di Equitalia Centro s.p.a., dei provvedimenti attributivi al predetto personale della qualifica abilitativa di “messo comunale” e di “messo notificatore”.

Orbene per quanto concerne la questione sub lett. b), il Tribunale ha rilevato come si trattasse di questione nuova, sollevata dal D.M. per la prima volta nella comparsa di costituzione in grado di appello e dunque inammissibile ex art. 345 c.p.c.; ha rilevato altresì -accogliendo l’appello incidentale di Equitalia- che la medesima questione, limitatamente alla notifica delle cartelle di pagamento, era stata rilevata illegittimamente “ex officio” dal Giudice di Pace, incorso in ultrapetizione, ed aveva annullato la decisione di prime cure anche su tale punto.

Tali statuizioni non vengono specificamente censurate dal ricorrente che si limita ad insister che correttamente il Giudice di Pace aveva accertato la inesistenza delle notifiche in quanto eseguite da una società privata, fatto questo che lo stesso Comune ed Equitalia avevano espressamente riconosciuto (questione attinente al profilo indicato sub lett. a), aggiungendo inoltre che la mancanza di un preesistente atto di nomina del personale della società privata attributivo della qualifica necessaria all’esercizio delle competenze notificatorie era rilevabile fin dal primo grado avendo il Giudice di pace evidenziato che gli atti di nomina prodotti riguardavano soggetti diversi da quelli che avevano eseguito la notifica delle cartelle di pagamento (cfr. ricorso sub motivo 1), osservazione tuttavia che non vale a formulare una idonea critica alla statuizione di inammissibilità della eccezione nuova e di annullamento della sentenza di prime cure per ultrapetizione, altro essendo la valutazione delle risultanze probatorie relative ai documenti “hinc et inde” prodotti, ed altro invece la riferibilità e pertinenza di tale valutazione ai fini della dimostrazione dei fatti -e soltanto di quei fatti- che risultano controversi in quanto inerenti a questioni dedotte nell’oggetto del giudizio (e non anche quindi ad altre questioni che avrebbe dovuto essere veicolate attraverso l’attività allegatoria propria delle domande ed eccezioni da svolgersi nel rispetto delle preclusioni delle fasi processuali).

Ferma tale premessa, la censura prospettata dal ricorrente in ordine alla inesistenza delle notifiche dei verbali di accertamento delle violazioni delle norme stradale e delle cartelle di pagamento è infondata, non venendo dedotte dal ricorrente questioni in diritto diverse da quelle analoghe già esaminate e risolte dal precedente di questa Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 22167 del 05/09/2019 le cui argomentazioni sono condivise dal Collegio e possono brevemente riassumersi nei seguenti passaggi motivazionali:

il servizio di notificazione dei verbali di accertamento infrazione e delle relative cartelle di pagamento, non è disciplinato in modo vincolato dalle norme di legge che non impongono una determinata forma di notifica, nè una predeterminazione soggettiva dell’agente notificatore: 1) quanto alle cartelle di pagamento, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, dispone che alla notifica (in alternativa: a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, con modalità telematica posta elettronica certificata-, mediante consegna a mani proprie, nelle altre modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60) procede l’ufficiale delle riscossione od “altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale”, e il D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 45, dispone che “1. Il concessionario, per la notifica delle cartelle di pagamento e degli avvisi contenenti l’intimazione ad adempiere, può nominare uno o più messi notificatori.

2. Il messo notificatore esercita le sue funzioni nei comuni compresi nell’ambito del concessionario che lo ha nominato e non può farsi rappresentare nè sostituire.”; 2) quanto ai VAV, il D.Lgs. n. 285 del 1999, art. 201, Codice della strada prevede che “3. Alla notificazione si provvede a mezzo degli organi indicati nell’art. 12, dei messi comunali o di un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione, con le modalità previste dal codice di procedura civile, ovvero a mezzo della posta, secondo le norme sulle notificazioni a mezzo del servizio postale. Nelle medesime forme si effettua la notificazione dei provvedimenti di revisione, sospensione e revoca della patente di guida e di sospensione della carta di circolazione. Comunque, le notificazioni si intendono validamente eseguite quando siano fatte alla residenza, domicilio o sede del soggetto, risultante dalla carta di circolazione o dall’archivio nazionale dei veicoli istituito presso il Dipartimento per i trasporti terrestri o dal P.R.A. o dalla patente di guida del conducente”;

la legge, peraltro, non dà una definizione generale di “messo comunale” o di “messo notificatore, ciò che consente di affermare “che la qualifica di “messo comunale” prescinde dal rapporto giuridico che lega il messo al Comune. Potranno dunque aversi messi che siano dipendenti della p.a.; messi che siano funzionari non dipendenti; messi che siano mandatari dell’amministrazione; messi che siano appaltatori di servizi per l’amministrazione….” (si veda anche Corte cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza interlocutoria n. 18578 del 02/08/2013, in motivazione) – “in mancanza di norme di legge che impongano l’adozione dell’uno piuttosto che dell’altro tipo di rapporto, l’amministrazione comunale resta libera di scegliere la formula contrattuale più consona al pubblico interesse” essendo quindi permesso all’amministrazione comunale anche “appaltare a soggetti privati l’esecuzione dei compiti del messo comunale, ivi compresa la notificazione dei verbali di accertamento delle infrazioni al codice della strada” ad analoghe conclusioni può pervenirsi anche in relazione al rapporto che viene ad istituirsi, in funzione della notifica delle cartelle, tra Concessionario/Agente della riscossione ed “altro soggetto” da quello abilitato alla notifica, dovendo ulteriormente osservarsi che, nella specie, neppure può escludersi -in difetto di alcun chiarimento al proposito fornito dal ricorrente- se il personale TNT Post Italia s.p.a., utilizzato da Equitalia Centro s.p.a. per la notifica delle cartelle, fosse stato incaricato direttamente dalla Concessionaria o invece detenesse già la qualifica abilitativa di “messo comunale” in quanto posto a disposizione dal Comune in virtù di apposita convenzione stipulato con Equitalia;

La questione della incompatibilità della nomina di messi comunali e di messi notificatori conferita a personale dipendente di società di diritto privato, con la forma richiesta dalla legge di notifica a mezzo posta è del tutto generica, atteso che la problematica evidenziata implica la coesistenza della duplice condizione per cui la notifica debba ex lege essere eseguita “esclusivamente” mediante il servizio postale cd. universale e nella specie sia stata invece eseguita attraverso modalità diverse relative a servizio di recapito privato: ebbene, se da un lato, la censura si prospetta carente sul punto, non assolvendo al requisito della compiuta descrizione dei fatti ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che il ricorrente neppure indica quale forma di notifica dei VAV e delle cartelle sia stata seguita in concreto (forme della notifica a mani proprie del codice di procedura civile od invece a mezzo posta; e in quest’ultimo caso se la notifica sia stata eseguita mediante consegna del plico all’Ufficio postale ex L. n. 890 del 1982 o invece mediante servizio di posta privata: risultando evidente che alcuna inesistenza o vizio di nullità della notifica potrebbe ravvisarsi nella prima ipotesi, in cui l’incaricato della notifica si limita a consegnare materialmente l’atto notificando affinchè venga spedito a mezzo posta ordinaria -cfr. Corte cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15347 del 21/07/2015-), dall’altro lato i precedenti giurisprudenziali invocati dal ricorrente si riferiscono a discipline normative in materia di atti tributari e giudiziari che prevedevano in modo vincolato che le notifiche venissero eseguite per motivi di ordine pubblico esclusivamente da Poste Italiane s.p.a. nelle forme tipizzate previste per la spedizione delle raccomandate (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 27021 del 19/12/2014; id. del 07/09/2018).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 12-12-2019) 14-02-2020, n. 3754

Nella sentenza n. 3754 del 14 febbraio 2020 la Corte di Cassazione afferma che la più recente giurisprudenza di legittimità, innovando rispetto ad un precedente orientamento, ritiene che la comunicazione di avvenuto deposito nella casa comunale di un avviso di accertamento, in caso di irreperibilità relativa del destinatario, dev’essere inviata a quest’ultimo con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, adempimento indispensabile al fine di assicurare l’effettiva conoscibilità, da parte del destinatario, dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale; la Corte aggiunge che, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio, è necessario che la parte fornisca la prova dell’effettivo e regolare invio dell’avviso di ricevimento relativo alla raccomandata di inoltro della comunicazione di avvenuto deposito (c.d. “C.A.D.”) e detta verifica presuppone l’esibizione in giudizio del relativo avviso, fermo restando che le modalità d’invio e ricezione di detta seconda raccomandata dovranno essere verificate secondo le norme del regolamento postale applicabile.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19671-2018 proposto da:

Z.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI RAGUSA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4854/12/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di PALERMO SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata il 12/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI RAFFAELE.

Svolgimento del processo
che il contribuente Z.F. propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Sicilia, sezione staccata di Catania, di rigetto dell’appello da lui proposto avverso una sentenza della CTP di Ragusa, che aveva dichiarato inammissibile per tardività il suo ricorso avverso un avviso di accertamento IRPEF, IVA ed IRAP 2009.

Motivi della decisione
che il ricorso è affidato a due motivi;

che, con il primo motivo, il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, dell’art. 140 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, artt. 8, 4 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non essendo condivisibile quanto sostenuto dalla CTR, secondo cui, per la ritualità della notifica, era richiesta solo la prova della spedizione della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito e non la prova del suo ricevimento da parte del destinatario;

che, con il secondo motivo, il contribuente lamenta violazione artt. 149 e 160 c.p.c.; art. 6 Statuto del contribuente ed artt. 3 e 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’amministrazione finanziaria era tenuta ad assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati; al riguardo, dal combinato disposto della L. n. 809 del 1982, art. 14 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 emergeva l’imprescindibilità del rinvio all’art. 140 c.p.c., alla stregua del quale, se non era possibile eseguire la consegna di un atto per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nel precedente art. 139, l’ufficiale doveva depositare la copia nella casa del Comune dove la notificazione doveva eseguirsi; affiggere avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione del destinatario e dare notizia a quest’ultimo per raccomandata con avviso di ricevimento, si che la notifica si perfezionava per il destinatario con il ricevimento della raccomandata informativa, che consentiva la verifica che l’atto fosse pervenuto nella sua sfera di conoscibilità; e la mancanza di tale avviso determinava la nullità dell’attività notificatoria eseguita;

che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;

che i due motivi di ricorso proposti dal contribuente, da trattare congiuntamente, siccome strettamente correlati fra di loro, sono fondati;

che, invero, la più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 2683 del 2019; Cass. n. 5077 del 2019; Cass. n. 16601 del 2019), innovando rispetto ad un precedente orientamento (cfr., ex multis, Cass. n. 4043 del 2017), ritiene che la comunicazione di avvenuto deposito nella casa comunale di un avviso di accertamento, in caso di irreperibilità relativa del destinatario, dev’essere inviata a quest’ultimo, ai sensi della L. n. 890 del 1992, art. 8, comma 4, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento; e detto adempimento è stato ritenuto indispensabile sia dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 258 del 2012) che dal legislatore (art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e)), al fine di assicurare l’effettiva conoscibilità, da parte del destinatario, dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale; era peraltro necessaria una lettura omogenea ed unitaria del sistema di notificazione a mezzo dell’ufficiale giudiziario diretta ovvero a mezzo del servizio postale, si che, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio, di cui alla citata L. n. 890 del 1992, art. 8, è necessario che la parte fornisca la prova dell’effettivo e regolare invio dell’avviso di ricevimento relativo alla raccomandata di inoltro della comunicazione di avvenuto deposito (c.d. “C.A.D.”); e detta verifica presuppone l’esibizione in giudizio del relativo avviso, fermo restando che le modalità d’invio e ricezione di detta seconda raccomandata dovranno essere verificate secondo le norme del regolamento postale applicabile;

che, nella specie, non è contestato che l’Agenzia delle entrate non ha prodotto copia dell’avviso di ricevimento, attestante l’avvenuto invio al contribuente della comunicazione di avvenuto deposito (c.d. C.A.D.), si che la notifica dell’avviso di accertamento impugnato è da ritenere non essersi mai perfezionata, con conseguente accoglimento del ricorso del contribuente e declaratoria di legittimità dell’impugnazione da lui proposta avverso l’avviso di accertamento IRPEF, IVA ed IRAP anno 2009;

che la sentenza impugnata va pertanto cassata e gli atti rimessi alla CTP di Ragusa, perché esamini il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento IRPEF, IVA ed IRAP anno 2009;

che, tenuto conto dell’evoluzione giurisprudenziale verificatasi in materia, appare equo compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso del contribuente; cassa la sentenza impugnata e rimette gli atti alla CTP di Ragusa, affinché esamini il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento IRPEF, IVA ed IRAP anno 2009, con compensazione integrale delle spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 18-12-2019) 22-05-2020, n. 9429

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22022/2014 R.G. proposto da:

A.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Bottacchiari, elettivamente domiciliato nel suo studio in Roma, via Oslavia n. 28, int. 3;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio depositata il 6 febbraio 2014, n. 700/39/14.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 dicembre 2019 dal Cons. Dott. Leuzzi Salvatore.

Svolgimento del processo
CHE:

– Il contribuente propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe, di rigetto del gravame di merito avverso la sentenza della CTP di Napoli, che aveva ne aveva respinto il ricorso avente ad oggetto due cartelle esattoriali tese, l’una a recuperare l’Irpef, l’altra l’Irap e l’IVA, con riferimento all’anno 2005;

– Il ricorso per cassazione della contribuente è affidato a sette motivi;

– L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Motivi della decisione
CHE:

Con il primo motivo si contesta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, art. 137 c.p.c. e s.s. e art. 156 c.p.c., per avere la CTR trascurato di apprezzare la giuridica inesistenza delle notificazioni delle cartelle di pagamento, invero ambedue sprovviste di “relata di notifica”;

Con il secondo motivo si censura la nullità della sentenza d’appello o del procedimento per violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè art. 132 c.p.c., avendo la CTR tralasciato di considerare la mancanza assoluta delle relata di notificazione delle cartelle di pagamento, omettendo di pronunciarsi sul punto, di valutare le prove presenti agli atti, di offrire una motivazione;

Con il terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, commi 1 e 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7, per avere le CTR mancato di considerare che le cartella di pagamento non contengono alcuna motivazione circa le pretese erariali, che rimangono incomprensibili;

Con il quarto motivo si censura la nullità della sentenza d’appello o del procedimento per violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè art. 132 c.p.c., avendo la CTR tralasciato di considerare la mancanza assoluta di motivazione delle cartelle di pagamento, omettendo di valutare le prove presenti agli atti e di pronunciarsi sulle deduzioni svolte al riguardo dalla contribuente;

Con il quinto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nonchè art. 137 c.p.c. e s.s., per avere la CTR trascurato di considerare l’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento costituente atto presupposto della cartella esattoriale;

Con il sesto motivo si censura la violazione o falsa applicazione dell’art. 2313 c.c., per avere la CTR trascurato di considerare che A.G. beneficia della limitazione di responsabilità ricavabile dalla norma in parola e non è tenuto a rispondere delle imposte riguardanti la società;

Con il settimo motivo si contesta la nullità della sentenza d’appello o del procedimento per violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè art. 132 c.p.c., avendo la CTR omesso di pronunciarsi sul punto della pretesa tributaria concernente l’inerenza alla sola società delle imposte oggetto della pretesa tributaria;

I primi due motivi di ricorso sono logicamente connessi, adombrando ambedue il profilo dell’inesistenza della notifica delle cartelle di pagamento e dell’irritualità del proc la nullità della sentenza d’appello o del procedimento per violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè art. 132 c.p.c., avendo la CTR tralasciato esso notificatorio; essi si offrono ad una trattazione unitaria che ne rivela l’infondatezza;

Secondo il condiviso orientamento di questa Corte in tema di notifica a mezzo posta della cartella esattoriale emessa per la riscossione di imposte o sanzioni amministrative, trova, infatti, applicazione il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, per il quale la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore – come accaduto nel caso di specie – di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, come risulta confermato per implicito dal citato art. 26, pen. comma, secondo il quale l’esattore è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione (v. Cass. n. 16949 del 2014; Cass. n. 14327 del 2009; Cass. n. 14105 del 2000);

Questa Corte ha soggiunto che in tema di notifica della cartella esattoriale del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, seconda parte, la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione e della relativa data è assolta mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, non essendo necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento, la quale, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve, anche in omaggio al principio di cd. vicinanza della prova, ritenersi ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il contribuente dimostri di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. n. 33563 del 2018; Cass. n. 15795 del 2016);

Il terzo e il quarto motivo di ricorso, logicamente connessi, sono suscettibili di trattazione unitaria; essi non hanno pregio e vanno disattesi;

Per il tramite della terza censura la contribuente agita la questione dell’assenza di motivazione della pretesa erariale, dacchè la cartella “limitandosi a riportare alcuni dati numerici” la renderebbe incomprensibile;

Mediante il quarto mezzo la contribuente insiste sul deficit di motivazione della cartella, essendosi la CTR “limitata ad affermare genericamente che “la cartella contiene tutti gli elementi perchè il contribuente potesse esercitare il diritto di difesa””, a ncorchè secondo la prospettazione della ricorrente – le cartelle non indicassero “i dati utilizzati dall’Ufficio per determinare gli importi iscritti a ruolo, le motivazioni poste alla base delle relative pretese creditorie e, in generale, le logiche seguite dal medesimo Ufficio”;

Il terzo motivo è palesemente inammissibile per difetto di autosufficienza perchè, in mancanza di trascrizione dell’impugnata cartella nel corpo del ricorso, non è concessa a questa Corte la possibilità di verificare la corrispondenza del contenuto dell’atto rispetto a quanto asserito dal contribuente; ciò comporta il radicale impedimento di ogni attività nomofilattica, la quale presuppone appunto la certa conoscenza del tenore della cartella in discorso (Cass. n. 16010 del 2015; Cass. n. 8569 del 2013; e Cass. n. 14784 del 2015);

Va data continuità al principio, recentemente espresso da questa Corte, secondo cui “in tema di processo tributario, ove si censuri la sentenza della Commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di una cartella di pagamento – la quale è atto amministrativo e non processuale – il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve trascrivere testualmente il contenuto dell’atto impugnato che assume erroneamente interpretato o pretermesso dal giudice di merito al fine di consentire alla Corte di cassazione la verifica della doglianza esclusivamente mediante l’esame del ricorso” (v. Cass. n. 28570 del 2019);

Il quarto motivo di ricorso – contrassegnato d’inammissibilità per le medesime ragioni or ora esposte – contrasta per di più, nella parte in cui contesta la violazione dell’art. 112 c.p.c., con l’evidenza del corpo motivazionale della sentenza d’appello, che invero dà conto della menzione in cartella dei tributi dovuti, dell’anno di riferimento, dell’importo da pagare, dell’ente che ha iscritto a ruolo il tributo;

Il quarto mezzo, nella parte in cui lamenta il vizio scaturente dal mancato esame di prove fornite, si rivela una volta di più insufficiente trascurando di indicare, finendo per perorare – ancora una volta inammissibilmente – un differente ricostruzione dei fatti di causa;

Non miglior sorte, sul piano dell’ammissibilità, il quarto motivo rivela in rapporto alla contestata violazione dell’art. 132 c.p.c., posto che l’obbligo di motivazione è violato soltanto qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017);

Infondato è anche il quinto ed ultimo motivo di ricorso, per il cui tramite si lamenta l’inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento su cui si incentra la cartella oggetto di controversia;

L’inesistenza è contraddetta dalla circostanza accertata dalla CTR in base alla quale il contribuente, ricevuto detto atto presupposto, ha formulato richiesta di adesione;

L’accertamento con adesione è strumento che postula la piena consapevolezza dell’oggetto della pretesa fiscale da parte contribuente, che non a caso è indotto a tentare un accordo con il fisco al fine di evitare una lite tributaria;

Vi è inoltre da ribadire che “In tema di notificazione degli avvisi di accertamento tributario, l’omessa riproduzione della relazione di notifica nella copia consegnata al destinatario non comporta nè l’inesistenza della notificazione, ove non sorgano contestazioni circa l’esecuzione della stessa come indicata nell’originale dell’atto, nè la nullità, prevista invece nella diversa ipotesi di difformità del contenuto delle due relate, bensì una mera irregolarità” (Cass. n. 11134 del 2017; Cass. n. 1532 del 2002);

Il sesto motivo di ricorso è fondato e va accolto nei limiti che seguono, con assorbimento del settimo;

Detto mezzo agita la questione relativa alla limitazione di responsabilità del ricorrente in rapporto alle obbligazioni fiscali dell’ente (Costruzioni A. di O.M. s.a.s.) correlate alla cartelle esattoriali oggetto di causa;

Per vero, la censura appare fondata limitatamente alla cartella esattoriale n. (OMISSIS), volta al recupero dell’IVA e dell’Irap non corrisposta dalla società di persone;

Giova, infatti, affermare il seguente principio di diritto: “In tema di società in accomandita semplice, la norma giuscivilistica contemplata dall’art. 2313 c.c., nel prevedere che i soci accomandanti rispondono per le obbligazioni sociali limitatamente alla quota conferita, vale anche per le obbligazioni di natura tributaria, e, segnatamente, per quelle relative all’IVA e all’Irap dovute dalla società medesima”;

Per converso, il principio anzidetto non può all’evidenza affasciare le obbligazioni personali del socio accomandante, nel cui novero si iscrive quella afferente l’Irpef dovuta con riferimento al reddito di partecipazione maturato nell’anno 2005 dal socio A.G., segnatamente acclusa nella cartella di pagamento n. (OMISSIS);

L’Agenzia controricorrente ha chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere in ragione della, a suo dire, intervenuta rinuncia “nelle controdeduzioni dinanzi alla CTR” della “pretesa creditoria in ordine all’Imposta ICA ed Irap accertate in capo alla società”;

L’adottabilità di detta pronuncia è, tuttavia, esclusa nel caso di specie, in quanto la cartella di pagamento è ancora in essere e non ne consta nè l’annullamento nè la revoca;

Come chiarito da questa Corte “alla cessazione della materia del contendere non può ricorrersi allorchè l’interesse fatto valere in giudizio non risulti pienamente composto e tra le parti rimangano profili di contrasto” (v. Cass. n. 6002 del 2001), non rilevando che a perpetuarlo sia stata un’omessa pronuncia del giudice d’appello o la mancata rituale formalizzazione della rinuncia alla pretesa avanza, della revoca dell’atto esecutivo o del suo annullamento;

Il ricorso va, in ultima analisi, accolto soltanto con riferimento al sesto motivo, assorbito il settimo e rigettati gli altri; la sentenza d’appello va cassata limitatamente alla pretesa fiscale fatta valere con la cartella n. (OMISSIS), dovendo essere confermata per il resto;

Non occorrendo ulteriori accertamenti di merito va accolto, altresì, nei termini or ora riportati l’originario ricorso del contribuente avverso detta cartella n. (OMISSIS), che dev’essere conseguentemente annullata;

Le spese vanno compensate per soccombenza reciproca;

P.Q.M.
La Corte rigetta i primi cinque motivi, accoglie il sesto motivo di ricorso, assorbito il settimo; cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente avverso la cartella di pagamento n. (OMISSIS), disponendone l’annullamento. Spese compensate per soccombenza reciproca.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 18 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 22 maggio 2020


Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 07-01-2020) 19-05-2020, n. 9137

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1949/2016 proposto da:

Arena Npl One Srl, quale mandataria di doBank Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Guidobaldo Del Monte 61, presso lo studio dell’avvocato Amato Giuseppe Romano, rappresentata e difesa dall’avvocato Iannucci Egidio, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

D.L.G., D.L.N., D.L. Cereali di G.D.L. & C. Snc, D.L. Cereali di G.D.L. & Company Snc, F.M.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 215/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 30/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/01/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento;

udito l’Avvocato Sansoni Antonio con delega scritta per la ricorrente, che si riporta agli atti.

Svolgimento del processo
1. – Il Tribunale di Larino revocava il decreto ingiuntivo emesso su ricorso di Banca di Roma s.p.a. e, in accoglimento della domanda riconvenzionale degli opponenti, D.L. Cereali di G.D.L. & C. s.n.c. (obbligata principale), D.L.G. e F.M.R. (fideiussori), condannava l’istituto di credito al pagamento, in favore della società ingiunta, della somma di Euro 20.262,05: importo, quest’ultimo, riferito a quanto indebitamente riscosso dalla banca a titolo di interessi anatocistici.

2. – Contro la pronuncia di primo grado proponeva appello Unicredit Credit Management Bank s.p.a., già Aspra Finance s.p.a., e per essa, quale mandataria, Unicredit Credit Management Bank s.p.a.. In particolare, nell’atto di gravame l’appellante deduceva che la Banca di Roma, dopo aver assunto la denominazione sociale di Capitalia, era stata oggetto di una fusione per incorporazione in Unicredit s.p.a. e che quest’ultima aveva concluso un’operazione di cessione di crediti in blocco in favore di Aspra Finance, a sua volta successivamente incorporata in Unicredit Credit Management Bank.

La Corte di appello di Campobasso, con sentenza del 30 settembre 2015, dichiarava inammissibile il gravame. Rilevava che l’appellante non aveva dato prova della propria legitimatio ad causam, osservando come nessuna rilevanza assumesse la mancata contestazione di controparte circa l’asserita fusione, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio.

3. – Contro la pronuncia della Corte molisana ricorre per cassazione Arena NPL One s.r.l., e per essa, quale mandataria, do Bank s.r.l.. Il ricorso si fonda su quattro motivi. Gli intimati non hanno svolto difese. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
1. – Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Lamenta la ricorrente che il giudice distrettuale avrebbe deciso la causa senza che sul punto della legittimazione fosse stata proposta una eccezione e senza che ad essa istante fosse stata data la possibilità di dedurre sul punto. La ricorrente dubita, in particolare, che il giudice del gravame potesse rilevare d’ufficio la questione relativa alla legittimazione all’impugnazione della sentenza di primo grado, in assenza di deduzioni in merito da parte della controparte.

Col secondo mezzo è lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 e 24 Cost.. La banca istante sottolinea l’importanza del principio per cui occorre assicurare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie ed evidenzia come il canone del giusto processo vada inteso in modo tale da assicurare alla parte processuale la possibilità di difendersi e di svolgere le proprie argomentazioni sulle questioni atte a definire il giudizio: ciò che nella fattispecie non era avvenuto.

Il terzo mezzo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c.. La ricorrente rimarca come l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, non sia rilevabile d’ufficio e debba essere tempestivamente sollevata dalla parte interessata. Deduce, inoltre, che l’attore non debba dar prova della titolarità del rapporto nel caso in cui il convenuto l’abbia esplicitamente riconosciuta o abbia impostato la sua difesa su argomenti logicamente incompatibili col suo disconoscimento.

Con il quarto motivo è opposta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.. Ricorda la banca istante che in allegato alla memoria di replica in appello erano stati prodotti gli atti pubblici che davano conto dei vari passaggi societari; la produzione era stata ritenuta tardiva dalla Corte di Campobasso, la quale, però, così operando, non aveva fatto retta applicazione del principio per cui, dovendo essere la legittimazione ad processum verificabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio, risulta essere irrilevante il momento del processo nel quale sia fornita la pertinente prova documentale.

2. – Occorre anzitutto avvertire che D.L.N. non è stato parte del giudizio di appello: onde il ricorso per cassazione proposto nei suoi confronti è inammissibile (Cass. 30 maggio 2017, n. 13584; Cass. 2 ottobre 2014, n. 20789).

3. – I quattro motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per i profili di connessione che presentano, sono fondati nei termini che seguono.

3.1. – La Corte di merito ha dichiarato inammissibile l’impugnazione rilevando come la banca appellante non avesse provato le vicende societarie che avrebbero dovuto dar ragione della legittimazione della medesima e ha aggiunto, con riferimento alla “asserita fusione”, che la mancata contestazione di controparte non assumeva rilevo, dal momento che la questione era rilevabile d’ufficio.

Il giudice distrettuale, come sopra si è visto, ha indicato le diverse vicende che, secondo la banca appellante, avrebbero radicato, in capo ad essa, la legittimazione a impugnare la sentenza di primo grado. Sono indicate, a tal fine, una cessione di crediti in blocco e due fusioni per incorporazione.

La prima di queste si assume essere intervenuta nel corso del giudizio di primo grado: la sentenza è stata tuttavia pronunciata nei confronti dell’incorporata (posto che, tra l’altro, la fusione di società, in pendenza di una causa della quale sia parte la società fusa od incorporata, non determina l’interruzione del processo: Cass. Sez. U. 3 maggio 2010, n. 10653).

L’effetto determinato dalla fusione abilita comunque l’incorporante a disporre del diritto controverso. Nel caso in esame è stata posta in atto una cessione ex art. 58 t.u.b..

Va allora ricordato che nel caso di trasferimento di un’azienda bancaria (o di un ramo di azienda), il cessionario, nelle controversie aventi ad oggetto rapporti compresi in quell’azienda (o ramo d’azienda), assume la veste di successore a titolo particolare, con applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 111 c.p.c. (Cass. 26 agosto 2014, n. 18258; Cass. 3 maggio 2010, n. 10653).

Quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, il cessionario è naturalmente legittimato a impugnare la sentenza ex art. 111 c.p.c., comma 4. In presenza dell’indicato trasferimento, dunque, Aspra Finance ben avrebbe potuto appellare la pronuncia del Tribunale di Larino.

Se, poi, la società cessionaria dei crediti sia incorporata in altra, la legittimazione attiva e passiva all’impugnazione spetta alla società incorporante: infatti, in ipotesi di fusione per incorporazione ex art. 2504 bis c.c. (nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 6 del 2003), intervenuta in corso di causa, la legittimazione attiva e passiva all’impugnazione spetta alla sola società incorporante cui sono stati trasferiti i diritti e gli obblighi della società incorporata e che prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione facenti capo alla società incorporata, salva la possibilità della controparte di notificare l’atto di impugnazione anche nei confronti di quest’ultima, nel caso in cui, nonostante l’iscrizione nel registro delle imprese, non sia stata resa edotta della intervenuta fusione (Cass. 24 maggio 2019, n. 14177). Nella fattispecie è stato proprio prospettato che a impugnare la sentenza sia stata l’incorporante Unicredit Credit Management Bank.

Si spiega, allora, come, in tesi, la divisata fusione per incorporazione legittimasse la nominata Unicredit alla proposizione del gravame.

3.2. – Tanto premesso sull’astratta titolarità, in capo all’appellante, del diritto a impugnare la sentenza di primo grado, occorre osservare che ha errato la Corte di merito nel ritenere irrilevante la mancata contestazione della controparte sul punto. E’ infatti ben vero che il difetto di legittimazione dell’appellante è rilevabile d’ufficio; è tuttavia affermato da questa S.C. con riferimento al ricorso per cassazione – e il principio appare senz’altro spendibile anche per l’appello – che la società la quale impugna la pronuncia emessa nei confronti di un’altra società, della quale affermi di essere successore (a titolo universale o particolare), è tenuta a fornire la prova documentale della propria legittimazione, ma sempre che il resistente l’abbia contestata (Cass. Sez. U. 18 maggio 2006, n. 11650, richiamata da Cass. 2 marzo 2016, n. 4116, secondo cui, con riferimento alla legittimazione a proporre ricorso per cassazione “il dovere di dare prova documentale, nelle forme previste dall’art. 372 c.p.c., della dedotta legittimazione sussiste nel caso che tale qualità sia oggetto di contestazione da parte del resistente, il quale può – esplicitamente o implicitamente – riconoscerla”).

E’ stata la stessa Corte di appello a dare atto della circostanza per cui gli intimati D.L. Cereali s.n.c. e D.L.G. non avevano contestato, in sede di gravame, la complessa vicenda, esposta nella citazione di appello, che aveva portato alla successione dell’odierna ricorrente alla Banca di Roma; e tale rilievo trova conferma nell’esame della comparsa di risposta depositata dagli appellati in fase di gravame (cui questa Corte ha evidentemente accesso, stante la natura processuale del vizio denunciato).

La Corte di merito avrebbe dovuto quindi prendere atto che la qualità di successore dell’originaria convenuta e opposta in capo a Unicredit Credit Management Bank era incontroversa tra l’appellante e gli appellati costituiti in giudizio e tale, quindi, da non poter essere più negata nella pronuncia da rendersi in sede di gravame.

3.3. – Il tema in contestazione non è tuttavia esaurito, in quanto al giudizio di appello aveva partecipato, restando però contumace, anche F.M.R..

Ora, è senz’altro vero che l’odierna ricorrente non può pretendere di sostenere la propria legittimazione nei confronti dell’odierna intimata sulla base della documentazione prodotta nel giudizio di gravame: detta documentazione è infatti tardiva, siccome prodotta contestualmente al deposito della memoria di replica in appello. In base a una giurisprudenza formatasi prima ancora della disciplina di cui alla L. n. 353 del 1990, infatti, la prova della legittimazione processuale dell’appellante non può essere data oltre la precisazione delle conclusioni e la rimessione della causa al collegio, ossia dopo che la trattazione orale della causa è stata chiusa (Cass. 4 dicembre 2014, n. 25655); d’altro canto, con riferimento alla disciplina vigente, questa Corte esclude che la produzione dei nuovi documenti suscettibili di avere ingresso in appello ex art. 345 c.p.c., comma 3, possa attuarsi al momento del deposito degli scritti conclusionali (cfr. Cass. 10 maggio 2019, n. 12574).

E’ anche vero, però, che la Corte di merito, pur non potendo ovviamente ricavare dalla contumacia di F.M.R. la mancata contestazione, da parte di quest’ultima, della legittimazione dell’appellante Unicredit Credit Management Bank, avrebbe dovuto comunque apprezzare il significato che assumeva, anche nei confronti della detta appellata, la condotta di non contestazione riferibile a D.L. Cereali s.n.c. e D.L.G., costituiti in giudizio. Premesso che tra i diversi appellati sussisteva un litisconsorzio facoltativo (essendo i medesimi tenuti, in solido, all’adempimento del medesimo debito per cui era stato richiesto ed emesso il decreto ingiuntivo), la mancata contestazione della legittimazione, da parte della società D.L. Cereali e di D.L.G., andava difatti valutata come elemento atto a fondare ex art. 116 c.p.c., comma 1, il libero convincimento del giudice quanto alla sussistenza della legittimazione della banca appellante nei confronti di F.M.R., che era rimasta contumace.

La situazione processuale in esame presenta dei tratti che l’avvicinano a quella che si determina in presenza della confessione resa da uno dei litisconsorti in caso di litisconsorzio facoltativo: confessione che, pur conservando valore di prova legale in capo al confitente (diversamente da quanto accade nell’ipotesi di litisconsorzio necessario: art. 2733 c.c., comma 3) è, con riferimento agli altri, liberamente apprezzabile dal giudice (Cass. 4 maggio 2004, n. 8458). Si tratta, nell’ipotesi di non contestazione, di attribuire una portata più estesa, sul piano soggettivo – ma nei termini attenuati di una valutazione discrezionale rimessa al giudice – a una determinata condotta (non propriamente a una prova, come accede invece nell’ipotesi della confessione), che ha portata vincolante, nel giudizio, con riguardo al solo soggetto cui essa è riferibile; in tale prospettiva quel che rileva è non già la non contestazione del contumace (che, come è ovvio, è irrilevante giuridicamente), ma altra circostanza: e cioè la possibilità che la non contestazione del litisconsorte assurga, in concreto, a dato espressivo della oggettiva veridicità del fatto non contestato.

Sul punto mette conto di rilevare, del resto, come la possibilità di valorizzare la condotta di non contestazione tra litisconsorti sia stata già riconosciuta da questa Corte, se pure con riferimento a un’ipotesi di litisconsorzio necessario. E’ stato infatti affermato, in materia di responsabilità per sinistro stradale, che la mancata contestazione, ad opera della compagnia assicuratrice, della responsabilità del proprio assicurato, rimasto contumace, se pure non esonera l’attore dell’assolvimento dell’onere probatorio a suo carico, evenienza ipotizzabile solo quando il difetto di contestazione sia riferibile alle parti avversarie regolarmente costituite in giudizio, può nondimeno assumere rilievo come mera circostanza di fatto liberamente apprezzabile dal giudice (Cass. 19 ottobre 2016, n. 21096).

In conclusione, dunque, l’errore in cui è incorso il giudice di appello nel privare di rilievo della condotta di non contestazione posta in essere dalle parti costituite ha avuto ripercussioni sull’intero giudizio, coinvolgendo anche la posizione della appellata contumace: proprio la mancata contestazione da parte della società D.L. e di D.L.G. (che avevano l’interesse e la concreta possibilità di operare quella confutazione, che invece non ebbe luogo) dovevano indurre la Corte di merito a ritenere reale la vicenda successoria prospettata da Unicredit Credit Management anche nei confronti di F.M.R..

4. – La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Campobasso, la quale statuirà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso con riferimento alla posizione di D.L.N.; con riguardo alle altre parti intimate accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i primi tre motivi e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Campobasso, in diversa composizione, anche per le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020


Cass. civ., Sez. VI – 3, Ord., (data ud. 21/11/2019) 18/05/2020, n. 9049

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 13598 del ruolo generale dell’anno 2018, proposto da:

R.S.E., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa dall’avvocato Sebastiano Cesarò (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

CERVED CREDIT MANAGEMENT S.p.A., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del rappresentante per procura V.T., in rappresentanza di ISLAND REFINANCING S.r.l. (P.I.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa dall’avvocato Ivan Chiaramonte (C.F.: CHR VNT 68C14 C351C);

– controricorrente –

nonchè RISCOSSIONE SICILIA S.p.A., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Catania n. 4289/2017, pubblicata in data 16 ottobre 2017;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 21 novembre 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Svolgimento del processo
Che:

R.S.E. ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., nel corso di una procedura esecutiva immobiliare promossa nei suoi confronti da Cerved Credit Management S.p.A., in rappresentanza di Island Refinancing S.r.l., nella quale era intervenuta Riscossione Sicilia S.p.A..

L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Catania.

Ricorre la R., sulla base di sei motivi.

Resiste con controricorso Cerved Credit Management S.p.A., in rappresentanza di Island Refinancing S.r.l..

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altra società intimata.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

La società controricorrente ha fatto pervenire memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, a mezzo posta.

Il Collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Motivi della decisione
Che:

1. Non può prendersi in considerazione la memoria inviata dalla società controricorrente a mezzo posta (cfr. in proposito Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8835 del 10/04/2018, Rv. 648717 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7704 del 19/04/2016, Rv. 639477 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 182 del 04/01/2011, Rv. 616374 – 01: “l’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito della memoria, perchè il deposito di quest’ultima è esclusivamente diretto ad assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo – rispetto alla udienza di discussione – ritenuto necessario dal legislatore, e che l’applicazione del citato art. 134, finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare, con lesione del diritto di difesa delle controparti”) e, di conseguenza, le argomentazioni in essa contenute.

2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 139 e 140 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver il Tribunale accertato la residenza effettiva del destinatario in base ad una valutazione ex post e tenendo conto esclusivamente delle modalità con cui è avvenuta la notifica e ritenuto valida sia la notifica del precetto sia la notifica del pignoramento”.

Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “Motivo in subordine in caso di rigetto del motivo sub 1 violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 139 e 140 c.p.c., e degli artt. 2699 e 2700, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver il Tribunale ritenuto che la relata di notifica faccia fede fino a querela di falso in ordine alla corrispondenza tra il luogo di notifica e quello di residenza del destinatario”.

Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2699 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver onerato il ricorrente di prove gravanti sulla controparte e per non aver valutato le prove indiziarie unitariamente e nella loro sintesi”.

I primi quattro motivi del ricorso esprimono una censura sostanzialmente unitaria, sono logicamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono in parte inammissibili ed in parte manifestamente infondati.

La ricorrente deduce che le notificazioni dell’atto di precetto e dell’atto pignoramento sarebbero entrambe nulle, in quanto eseguite ai sensi dell’art. 140 c.p.c., presso un indirizzo in cui ella non aveva affatto la propria residenza. Sostiene, in particolare, che la nullità deriverebbe dalla circostanza (pacifica) che la propria residenza anagrafica si trovava altrove e di aver comunque dimostrato che nel luogo in cui erano state effettuate le notificazioni non aveva residenza, neanche di fatto.

Orbene, in primo luogo, si deve rilevare che la stessa ricorrente non richiama specificamente, nel ricorso, il contenuto rilevante delle relazioni di notificazione degli atti di precetto e pignoramento sui cui fonda le proprie censure e che pur indica tra gli atti allegati al ricorso (ivi inclusa la parte che riguarda l’attestazione delle vicende relative all’invio della comunicazione di giacenza dell’atto presso la casa comunale a mezzo lettera raccomandata, alle quali in sostanza non attribuisce concreto rilievo nelle proprie argomentazioni), il che comporta la sostanziale violazione del requisito di ammissibilità del ricorso previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

In fatto, il tribunale ha in realtà ritenuto, valutando le prove acquisite agli atti e tenendo conto dei fatti storici rilevanti, che la presunzione derivante dagli accertamenti compiuti dall’ufficiale giudiziario in ordine alla residenza effettiva (quindi non coincidente con quella anagrafica) della destinataria della notificazione (desumibile dalla circostanza che lo stesso aveva riferito di avere reperito la relativa porta di abitazione ed aveva quindi effettuato gli adempimenti prescritti dall’art. 140 c.p.c.), non fosse superata dalle prove contrarie offerte dall’opponente.

Si tratta di un accertamento di fatto sostenuto da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non censurabile nella presente sede.

Sotto il profilo in esame le censure contenute nel ricorso si risolvono pertanto, nella sostanza, in una contestazione del suddetto accertamento di fatto ed in una inammissibile richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove.

In diritto, poi, la decisione impugnata è conforme ai principi affermati da questa Corte in ordine alla valenza da attribuire alle risultanze anagrafiche e agli accertamenti compiuti dall’ufficiale giudiziario sull’effettiva residenza del destinatario della notificazione, in base ai quali “nel caso in cui la notifica venga effettuata, nelle forme previste dall’art. 140 c.p.c., nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, costituisce mera presunzione, superabile con qualsiasi mezzo di prova (e senza necessità di impugnare con querela di falso la relazione dell’ufficiale giudiziario), che in quel luogo si trovi la residenza effettiva (o la dimora o il domicilio) del destinatario dell’atto, sicchè compete al giudice del merito, in caso di contestazione, compiere tale accertamento in base all’esame ed alla valutazione delle prove fornite dalle parti, ai fini della pronuncia sulla validità ed efficacia della notificazione” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8011 del 26/08/1997, Rv. 507124 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7604 del 17/07/1999, Rv. 528721 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5884 del 14/06/1999, Rv. 527451 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 6233 del 23/06/1998, Rv. 516699 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 24416 del 16/11/2006, Rv. 593350 – 01; cfr. altresì: Sez. 2, Sentenza n. 14388 del 29/07/2004, Rv. 575067 – 01) mentre, d’altra parte, “ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario assume rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, con la conseguenza che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni”, e in relazione a ciò “il relativo apprezzamento costituisce valutazione demandata al giudice di merito e sottratta al controllo di legittimità, ove adeguatamente motivata” (in tal senso, cfr.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 17040 del 12/11/2003, Rv. 568113 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 19416 del 28/09/2004, Rv. 578427 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6101 del 20/03/2006, Rv. 588371 01; Sez. L, Sentenza n. 26985 del 22/12/2009, Rv. 611187 01; Sez. 3, Sentenza n. 11550 del 14/05/2013, Rv. 626244 01; Sez. 1, Sentenza n. 21896 del 25/09/2013, Rv. 627698 01; Sez. 3, Sentenza n. 17021 del 20/08/2015, Rv. 636300 01; Sez. 3, Ordinanza n. 19387 del 03/08/2017, Rv. 645385 01).

Non può ritenersi sussistere, dunque, alcuna violazione delle norme indicate dalla ricorrente.

3. Con il quinto motivo del ricorso si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 139 e 140 c.p.c., dell’art. 156 c.p.c., per aver ritenuto priva di rilievo la questione della nullità della notifica del pignoramento per raggiungimento dello scopo”.

Il motivo è manifestamente infondato.

Accertata la regolarità della notificazione dell’atto di precetto, correttamente il giudice del merito ha ritenuto irrilevante accertare quella del successivo atto di pignoramento, in quanto – con riguardo a quest’ultima – la stessa proposizione dell’opposizione attesta la conoscenza dell’atto da parte dell’opponente e ne determina quindi la sanatoria per raggiungimento dello scopo; non risultano del resto ragioni di nullità degli atti successivi e conseguenti al pignoramento, in relazione alla data in cui tale conoscenza e la relativa sanatoria si sono verificate (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 26157 del 12/12/2014, Rv. 633693 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 19498 del 23/08/2013, Rv. 627585 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 24527 del 02/10/2008, Rv. 604734 – 01).

4. Con il sesto motivo del ricorso si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 139 e 140 c.p.c., dell’art. 480, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver ritenuto irrilevante la nullità del precetto affermando che la ricorrente non aveva subito alcun danno dalla nullità della notifica del precetto”.

Il motivo è inammissibile.

Le censure con esso dedotte non possono assumere alcun rilievo ai fini della decisione, essendo stata esclusa la nullità della notificazione dell’atto di precetto.

5. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.
La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 6.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2020


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 12-09-2019) 09-03-2020, n. 6562

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10574-2014 proposto da:

EQUITALIA CENTRO S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato SANTE RICCI, rappresentata e difesa dagli Avvocati MAURIZIO CIMETTI e GIUSEPPE PARENTE;

– ricorrente –

contro

L.C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli Avvocati ALCEO CATAUDELLA e MARIA NICOLETTA PELLEGRINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 119/9/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della TOSCANA, depositata il 17/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 9/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Svolgimento del processo
che:

Equitalia Centro S.p.A. propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 83/2/2011 della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze in accoglimento del ricorso proposto da L.C.R. contro cartella di pagamento IRPEF IRAP IVA 2005-2006, fondando quest’ultimo le sue pretese sull’incompletezza della cartella allo stesso notificata, in quanto mancante di alcune pagine;

il contribuente resiste con controricorso.

Motivi della decisione
Che:

1.1. con l’unico mezzo si censura la sentenza denunciando, in rubrica, “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 156 c.p.c.” lamentando il Concessionario che la C.T.R. avrebbe dato rilievo alla circostanza che “la cartella notificata, mancando di talune pagine, che… Equitalia non ha integrato, è sicuramente nulla e priva di effetti”, pur avendo il Concessionario assolto all’onere probatorio, sullo stesso incombente, mediante produzione del referto di notifica della cartella, spettando invece al contribuente la dimostrazione della circostanza che la notifica della cartella fosse avvenuta in modo incompleto;

1.2. va premesso che in tema di riscossione delle imposte, ove il concessionario notifichi la cartella esattoriale nelle forme ordinarie o comunque con messo notificatore, anzichè con raccomandata con avviso di ricevimento, per la prova della notificazione, come nel caso di specie, è sufficiente la produzione della relata, della matrice o dell’estratto di ruolo, non sussistendo un onere di produzione della cartella (cfr. Cass. nn. 23039/2016, 6395/20140);

1.3. come è noto, inoltre, secondo il principio generale di c.d. vicinanza della prova, la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato), in ipotesi anche avvalendosi di testimoni, che al momento dell’apertura il plico era in realtà privo di contenuto;

1.4. va richiamato quindi l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, secondo cui in tema di notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova (cfr. Cass. n. 16528/2018; conforme Cass. n. 18252/2013);

1.5. è opportuno inoltre considerare che, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 4, “il Concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”;

1.6. nel caso di specie il Giudice di merito ha ritenuto che il contribuente abbia provato l’incompletezza della notificazione, essendo stata prodotta in giudizio copia della cartella di pagamento notificata, mancante di alcune pagine concernenti aspetti identificativi fondamentali della pretesa posta in riscossione, ed essendosi invece limitato il Concessionario a produrre la relata di notifica priva, tuttavia, dell’attestazione della conformità della copia notificata all’originale;

1.5. va richiamato, allora, l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario secondo il quale le dichiarazioni dell’ufficiale giudiziario (o messo notificatore, come nella specie) non fanno fede fino a querela di falso della regolarità intrinseca e completezza dell’atto ricevuto per procedere alla notifica nè della corrispondenza della copia notificata all’originale, non essendo questa l’attività giudiziaria che egli compie e deve compiere, sì che la presunzione di conformità tra originale e copia dell’atto notificato viene meno se il destinatario produce quest’ultimo incompleto, nè perciò può ipotizzarsi un contrasto tra le due rispettive relate (atti pubblici), entrambe originali, dell’ufficiale giudiziario – una apposta sulla copia notificata, l’altra sull’originale dell’atto notificato – proprio perchè non spetta all’ufficiale giudiziario effettuare alcun controllo intrinseco, e quindi, se la copia dell’atto notificato non corrisponde all’originale, è sulla copia che il destinatario fa affidamento e su cui può difendersi (Cass. nn. 6017 del 2003, 21555/2006, 14686 del 2007, 18127/2008, 20993/2013, 23420/2014);

1.6. stante la nullità della cartella (atto unilaterale recettizio formato e notificato dalla controparte) in conseguenza della sua accertata incompletezza, posto che la cartella esattoriale che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente (circostanza su cui nulla è stato dedotto o è comunque emerso nel giudizio), ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione (cfr. Cass. nn. 21804/2017, 28276/2013), ed avendo in particolare lamentato il contribuente la mancata indicazione dei criteri in base ai quali era stato richiesto il pagamento della somma portata dalla cartella, delle modalità di determinazione degli interessi applicati e del responsabile del procedimento, il ricorso deve essere pertanto respinto;

2. la ricorrente, soccombente, va condannata in favore del controricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata, sulla base del valore della controversia e dell’attività difensiva spiegata, come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020