Cass. civ. Sez. V, (ud. 09-10-2008) 05-11-2008, n. 26542

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente

Dott. MERONE Antonio – Consigliere

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.V.V., elettivamente domiciliato in Roma, Via A. Granisci 14, presso l’avv. GIGLIO Antonella, che lo rappresenta e difende, unitamente all’avv. Maurizio Leone, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende per legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 263/01/04 del 2/7/04;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 9/10/08 dal Relatore Cons. Dott. Paolo D’Alessandro;

Udito l’avv. Maurizio Leone;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
D.V.V. propone ricorso per Cassazione, illustrato da successiva memoria, in base a due motivi, contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che ha rigettato l’appello da lui proposto contro la pronuncia di primo grado che aveva a sua volta respinto i ricorsi proposti dal contribuente contro due cartelle di pagamento, impugnate sul presupposto del vizio di notifica dei rispettivi atti di accertamento.

Il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente deduce la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, u.c., dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 360 del 2003, nella parte in cui prevede che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale, hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica.

Il ricorrente in sostanza lamenta l’erroneità della sentenza per avere ritenuto valide le notifiche degli atti di accertamento effettuate, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., nei Comuni di Rapallo e di S. Giorgio a Cremano, in epoche in cui egli risultava, dai certificati anagrafici, residente a (OMISSIS).

1.1.- Il mezzo è fondato.

1.2.- Va premesso che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 2003, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, u.c., nella parte in cui prevede che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale, hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello della avvenuta variazione anagrafica, è stato espunto dall’ordinamento, con conseguente espansione della regola generale, secondo la quale l’effetto delle variazioni anagrafiche, ai fini delle notifiche, è immediato.

Invero, seppure, nella motivazione della sentenza, si afferma che il legislatore ben può prevedere che l’effetto della variazione, nei confronti dell’amministrazione finanziaria, non sia immediato, purché l’eventuale dilazione sia contenuta in termini ragionevoli, tale indicazione è appunto rivolta al solo legislatore, rimanendo escluso che l’interprete possa, per proprio conto, individuare un termine di dilazione degli effetti della variazione, non previsto dalla legge.

Il nuovo termine dilatorio di trenta giorni, introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 27, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto 2006, n. 248, non può d’altro canto certamente applicarsi riguardo a notificazioni eseguite prima della entrata in vigore del D.L..

1.3.- Ciò, posto, deve osservarsi, nel merito, che, quanto alla cartella n. (OMISSIS), il giudice tributario precisa che i relativi atti di accertamento risultano notificati, ex art. 140 c.p.c., presso la casa comunale di (OMISSIS), in data 21/12/01, pur avendo il contribuente trasferito la propria residenza in (OMISSIS) il 10/12/01. Lo stesso giudice ritiene tuttavia valida la notificazione, pur tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 2003, sul rilievo che il contribuente, nella successiva dichiarazione per l’anno 2001, presentata il 26/7/02, aveva indicato quello di Rapallo come domicilio fiscale al 31/12/01.

La decisione è evidentemente erronea.

Come già ricordato, per effetto della più volte citata sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 2003, ai fini delle notificazioni, le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente hanno effetto dal momento stesso della avvenuta variazione anagrafica e non, come previsto dall’originario testo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, u.c., dal sessantesimo giorno successivo.

Ne consegue pertanto che la notificazione ex art. 140 c.p.c., effettuata, undici giorni dopo la variazione anagrafica, nel comune di precedente residenza ((OMISSIS)) deve ritenersi radicalmente nulla, non rilevando che il contribuente, nel successivo modello unico per l’anno 2001, presentato nel luglio del 2002, abbia indicato, come residenza fiscale al (OMISSIS), il Comune di (OMISSIS), non potendo tale, in ipotesi non veritiera, dichiarazione spiegare alcun effetto rispetto ad una notificazione precedentemente effettuata.

Nemmeno, d’altro canto, assume alcun rilievo la circostanza che il D.V., nella diversa veste di rappresentante legale della A.P.M. s.a.s., di cui era socio al 55%, avesse impugnato i medesimi accertamenti, ritualmente notificati alla società ma non a lui come socio.

1.4.- Parimenti, quanto alla cartella n. (OMISSIS), gli atti di accertamento presupposti risultano notificati, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., in S. Giorgio a Cremano il 29/12/99 e il 10/11/98, laddove deve aversi per pacifico – essendo espressamente ammesso dai controricorrenti (a pag. 5 del controricorso) – che il D.V., in base al certificato anagrafico, è stato residente a (OMISSIS) dal (OMISSIS) al (OMISSIS).

Anche in tal caso, dunque, le notifiche risultano nulle, essendo privo di rilievo il fatto che il contribuente, nel successivo modello unico per l’anno 1999, presentato nel luglio 2000, abbia indicato il comune di S. Giorgio a Cremano come domicilio fiscale per l’anno 1999. 2.- Resta assorbito il secondo motivo, relativo a difetto di motivazione.

3.- La sentenza impugnata va pertanto cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento dei ricorsi introduttivi del contribuente.

La sopravvenienza, dopo il giudizio di primo grado, della sentenza di illegittimità costituzionale giustifica l’integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi del contribuente; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 9 ottobre 2008.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2008


Cass. civ. Sez. I, (ud. 19-09-2008) 30-10-2008, n. 26118

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere

Dott. GIULIANI Paolo – Consigliere

Dott. PANZANI Luciano – Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI PORTO MANTOVANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso l’avvocato ROMANELLI GUSTAVO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ARRI A. CLAUDIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 662/2003 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 22/08/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/09/2008 dal Consigliere Dott. GIANCOLA MARIA CRISTINA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, per delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Patrone Ignazio, per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 12 – 20.04.2000, il Tribunale di Brescia respingeva le domande proposte nel 1994, dal Ministero delle Finanze nei confronti del Comune di Porto Mantovano, volte al risarcimento dei danni derivati dalla erronea e tardiva notificazione di un avviso di rettifica per IVA in danno di un contribuente, dall’amministrazione statale demandata ai messi comunali, in base al disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60. Il Tribunale riteneva che con riferimento alle notificazioni di atti nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria, il Comune non fosse tenuto a rispondere dei danni arrecati dal messo comunale, ancorchè dipendente dell’ente locale.

Con sentenza del 2.04 – 22.08.2003, la Corte di appello di Brescia accoglieva l’impugnazione proposta dal Ministero delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate e conclusivamente condannava l’ente locale al risarcimento dei danni in favore dell’Agenzia delle Entrate, subentrata nel rapporto controverso, liquidandoli all’attualità in complessivi Euro 56.612,54, oltre agli interessi legali ex art. 1282 c.c.. La Corte distrettuale riteneva in sintesi:

che non potesse essere condiviso il presupposto della decisione impugnata, aderente ad un risalente arresto giurisprudenziale della Corte dei Conti, secondo cui la richiesta dell’amministrazione finanziaria di notifica di un atto d’imposizione fiscale determinasse l’inquadramento del messo comunale nell’organizzazione della stessa richiedente che, invece, in aderenza al principio affermato da questa Suprema Corte e pregevolmente argomentato, il Comune avrebbe dovuto rispondere del danno, in ragione della violazione del rapporto di preposizione gestoria intercorrente con l’Amministrazione finanziaria e qualificabile in termini di mandato ex lege, non essendo ravvisabile l’instaurazione di un rapporto di servizio diretto tra la medesima Amministrazione finanziaria ed i messi comunali, operanti alle esclusive dipendenze dell’ente locale che la richiesta dell’Amministrazione finanziaria di notificazione di un avviso di rettifica tributaria al contribuente, pervenuta al Comune di Porto Mantovano, il 22 dicembre 1989, avrebbe dovuto essere attuata secondo le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, che, invece, non solo erano rimaste inosservate ma, inoltre, si erano concluse con l’inoltro di una lettera raccomandata, il 12 gennaio 1990, dopo la scadenza del termine decadenziale del 30.12.1989, che in particolare la procedura concretamente seguita dal messo incaricato della notificazione, concretatasi tra l’altro nella affissione all’Albo pretorio, “preceduta” dalla reiterata apposizione di avvisi alla porta dell’abitazione del destinatario, dell’intero atto da notificare in luogo del prescritto avviso dell’avvenuto deposito di esso nella casa comunale, fosse o meno riconducibile all’art. 140 c.p.c., in ogni caso non era stata compiuta nel rispetto delle previste formalità nè esaurita in un solo giorno, come sarebbe stato possibile che con decisione del 1990, confermata dalla Commissione di secondo grado, il giudice tributario aveva accolto il ricorso del contribuente, riconoscendo fondata l’eccezione dallo stesso proposta di tardività della notificazione e di conseguente decadenza dell’Amministrazione finanziaria dalla pretesa fiscale che quanto alla determinazione del risarcimento, l’Amministrazione finanziaria poteva giovarsi della presunzione di corrispondenza del danno all’ammontare delle imposte e degli accessori al cui recupero l’avviso di rettifica era volto, a ciò aggiungendosi che nel ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria il contribuente si era limitato ad eccepire la tardità della notificazione dell’avviso, senza sollevare alcuna eccezione di merito avverso la pretesa impositiva che sul punto il Comune aveva opposto una generica contestazione, omettendo di dedurre e provare l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’obbligazione tributaria, ed anzi addossando alla controparte l’onere di provare la fondatezza della pretesa fiscale che il fallimento del contribuente era sopravvenuto dopo quattro anni dai fatti controversi, ragione per cui non poteva nemmeno ritenersi che il recupero del credito tributario non avrebbe potuto essere attuato prima dell’apertura della procedura concorsuale, nell’ambito della quale, del resto, il credito in questione avrebbe assunto collocazione privilegiata che sino alla data della pronuncia giudiziale, all’amministrazione statale competeva anche la rivalutazione del credito e, con decorrenza dal 31.12.1989, il ristoro del danno da lucro cessante per il ritardo nel pagamento, oltre agli interessi legali sulla somma finale, ai sensi dell’art. 1282 c.c., e con decorrenza dalla data dell’attuata liquidazione.

Avverso questa sentenza il Comune di Porto Mantovano ha proposto ricorso per Cassazione notificato il 16.04.2004, fondato su due motivi ed illustrato da memoria. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno resistito con controricorso notificato il 26.05.2004.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il Comune di Porto Mantovano denunzia:

“Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 137 c.p.c. e ss., (in specie art. 140) e ai rapporti inter organici tra amministrazioni diverse nonchè art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo dell’illogica, errata e contraddittoria motivazione e valutazione dei fatti”.

Contesta conclusivamente l’applicabilità del principio secondo cui il Comune deve rispondere dell’operato del messo comunale anche quando la notificazione sia avvenuta ad istanza di diverso ente pubblico e segnatamente dell’Amministrazione finanziaria. Sostiene, inoltre, che la notificazione doveva aversi per rituale, essendo avvenuta in ossequio alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e che comunque è mancata la precisazione delle modalità in concreto seguite dal messo municipale, cui ancorare la valutazione d’inosservanza delle prescrizioni legali.

Il motivo in tutti i suoi profili non ha pregio, sostanziandosi essenzialmente in critiche o generiche ed apodittiche o contrarie in linea meramente enunciativa, avulsa da concreti riferimenti a decisive risultanze istruttorie inficianti gli accertamenti in fatto compiuti dai Giudici di merito. In primo luogo, anche attenendosi all’orientamento ormai costante di questa Corte di legittimità – non smentito dall’evoluzione normativa e giurisprudenziale relativa al diverso tema del riparto di giurisdizione tra AGO e Giudice contabile relativamente ai giudizi di responsabilità amministrativa nei confronti dei messi notificatori dei Comuni (in tema, tra le altre, Cass. S.U. 200319662) – i Giudici di merito hanno ineccepibilmente qualificato come mandato ex lege il conferimento – attuato ratione temporis in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. a), (preceduto dal D.P.R. n. 645 del 1958, art. 38) – da parte dell’Amministrazione finanziaria al Comune di Porto Mantovano (R.D. n. 383 del 1934, art. 273, comma 4), del compito di procedere tramite i messi municipali alla notificazione dell’avviso tributario di rettifica nonchè escluso che tale iniziativa potesse sostanziarsi in un rapporto diretto tra l’amministrazione pubblica e i messi comunali, per essere questi dipendenti dell’ente locale e, quindi, per avere agito, anche nell’esecuzione del compito in questione, in adempimento degli obblighi derivanti dal loro rapporto di impiego con il Comune (Cass. SU 199002083; 199710929; 199805987; 199900360, 20020711, in tema cfr anche Cass. SU 200506409).

Ampio e logico conto, dunque, è stato dato delle ragioni sottese alla decisione (e così pure chiarito il discostamento da quelle di cui al richiamato, diverso e peraltro risalente arresto della Corte dei Conti), espressamente ricondotte, in aderenza al dettato normativo, al rapporto di dipendenza che astringe i messi municipali al Comune, nell’ambito della cui struttura organizzativa sono stabilmente e gerarchicamente inseriti, con conseguente sia assoggettamento al potere dell’ente di controllo e verifica dell’esatto adempimento degli obblighi inerenti al loro servizio e sia configurabilità delle connesse responsabilità.

In secondo luogo la Corte distrettuale, verificata anche la tempestività della richiesta della P.A. di notificazione dell’avviso rispetto al tempo occorrente per il relativo adempimento, ha del pari irreprensibilmente escluso che le modalità che in concreto il messo comunale aveva seguito fossero aderenti alle formalità imposte dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 comma 1, per la notificazione degli atti al contribuenti; ciò sia in rapporto a quanto prescritto dall’ivi richiamato art. 140 c.p.c., che in rapporto a quanto invece previsto in via residuale dalla lett. e) del cit. comma (in tema, cfr. tra le altre Cass. 199704587), rilevando in sintesi che in ogni caso era anche mancato il deposito dell’atto presso la casa comunale, l’avviso al contribuente di tale deposito, secondo le diverse forme imposte dai due tipi alternativi di notifica, e, quanto alla prima anche l’invio (e non la ricezione) della prescritta raccomandata con avviso di ricevimento in data anteriore alla scadenza del termine imposto a pena di decadenza per l’esperibilità della pretesa fiscale.

D’altra parte inammissibili perchè nuovi e comunque inconferenti si palesano i rilievi del Comune inerenti alla conoscenza che il contribuente aveva di fatto potuto avere dell’avviso fiscale o all’errore scusabile in cui era incorso il messo comunale, inidonei per un verso ad elidere il danno subito dalla Amministrazione per effetto della mancata tempestiva conoscenza legale dell’atto da parte del contribuente, acclarata dal Giudice tributario, e per altro verso la responsabilità contrattuale del Comune verso l’amministrazione statale, connessa al negligente svolgimento del demandatogli mandato ex lege.

Con il secondo motivo di ricorso il Comune deduce “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: errata valutazione del danno sotto il profilo della motivazione e dell’onere probatorio e in relazione agli artt. 1277 e 1244 c.c., in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 137 c.p.c. e ss., (in specie art. 140) e ai rapporti inter organici tra amministrazioni diverse nonchè art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo dell’illogica, errata e contraddittoria motivazione e valutazione dei fatti”, essenzialmente riferendosi alla prova del pregiudizio ed ai criteri applicati per la relativa liquidazione.

Anche tale motivo in tutte le sue articolazioni non è fondato.

Premesso che si verte in tema di responsabilità contrattuale (in tema cfr, Cass. SU 200200711; Cass. 200303397; 200411469), irreprensibilmente la Corte territoriale appare avere ritenuto non solo il Comune inadempiente all’incarico ricevuto e, quindi, tenuto a risarcire il danno subito dall’Amministrazione finanziaria, ma anche che quest’ultima tramite presunzioni aveva fornito, come era suo onere, la prova dell’esistenza e dell’entità del pregiudizio sofferto.

Come noto, infatti, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Spetta, pertanto, al Giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.

Nella specie, il ragionamento decisorio seguito dalla Corte distrettuale non appare affetto da alcuna illogicità o contraddittorietà laddove, anche in linea con i principi già ripetutamente affermati in questa sede (Cass. Su 198400878; Cass. 19960327, 199805263; 199805987; 200309370; 200411469), ha ritenuto dall’amministrazione finanziaria provati in via presuntiva l’esistenza e l’ammontare del danno in questione, correlandosi sia all’entità della pretesa fiscale dalla quale l’amministrazione era stata dichiarata decaduta dal giudice tributario e sia al tenore dell’impugnativa svolta dal contribuente in sede tributaria, muta in ordine a profili di merito della pretesa azionata in sede tributaria.

D’altra parte i Giudici di merito nell’esaminare le tesi difensive avverse, hanno rilevato l’assenza in punto di esistenza del danno di qualsiasi deduzione o prova contraria da parte del Comune, rilievo che rende meramente accademica e, quindi, inammissibile per difetto di interesse, la censura del medesimo ente locale inerente alla eccessiva gravosità dell’onere probatorio a suo carico teoricamente configurato dalla medesima Corte.

Quanto alla liquidazione del risarcimento, in primo luogo la Corte distrettuale appare avere adeguatamente e logicamente argomentato la svalutazione della tesi sostenuta dal Comune della compromissione totale o parziale delle possibilità della amministrazione finanziaria di recupero del credito in ragione del sopravvenuto fallimento del contribuente, riferendosi alla pluriennale distanza di tempo intercorsa tra la vicenda controversa e la successiva apertura della procedura concorsuale, in cui, comunque al credito fiscale sarebbe spettata collocazione privilegiata. In secondo luogo ineccepibile risulta pure la qualificazione del risarcimento dovuto dall’ente locale come debito non di valuta ma di valore (tra le numerose altre, Cass. 200209517), soggetto, dunque, anche al cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi, trattandosi di debito d’indole risarcitoria da inadempimento di un’obbligazione non pecuniaria (ma ex mandato) e non per legge direttamente rapportato all’entità della pretesa fiscale pregiudicata, ma a questa solo commisurato per equivalente pecuniario.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna del Comune soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, in favore delle parti intimate e controricorrenti.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di Porto Mantovano a rimborsare al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.000,00, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 29-09-2008) 27-10-2008, n. 25860

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLARUSSO Vincenzo – Presidente

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere

Dott. SCHERILLO Giovanna – Consigliere

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.L. – rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a mancata integrazione margine del ricorso dagli avv.ti Ruotolo Domenico e Daniela del foro di Verona ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via A. Bertoloni, n. 26, presso l’avv. Rulli M. Grazia;

– ricorrente –

contro

D.M. – rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al controricorso dall’avv. Mignone Roberto, presso il quale è elettivamente domiciliato in Salerno, alla via SS. Martiri Salernitani, n. 66;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno n. 2 del 12 gennaio 2004 – notificata il 10 febbraio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 settembre 2008 dal Consigliere Dott. Oddo Massimo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lo Voi Francesco, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 7 aprile 1993, B.L. convenne D.M. davanti al Tribunale di Salerno e, esponendo di essere figlia ed unica erede del padre B.G., deceduto il (OMISSIS), e che il convenuto, profittando della degenerazione delle facoltà cognitive e critiche del defunto, aveva da questo acquistato il 22 maggio 1989 al prezzo di L. 270 milioni, un locale commerciale in Salerno, il cui valore all’epoca del trasferimento era di L. 600 milioni, domandò la declaratoria della nullità o l’annullamento della compravendita stipulata dal suo dante causa perché compiuto in pregiudizio di un soggetto in stato d’incapacità naturale.

Si costituì il D. e, contestandone la fondatezza, chiese il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno per avergli la trascrizione della domanda dell’attrice impedito l’accensione di un mutuo.

Integrato il contraddittorio nei confronti di B.W., poi estromessa dal giudizio, nonché di L.G., B. A. e V., S. e G.M., rimasti contumaci, il Tribunale con sentenza del 31 agosto 2001 rigettò sia la domanda dell’attrice che quella riconvenzionale del convenuto.

La B. propose gravame avverso la decisione e la Corte di appello di Salerno il 12 gennaio 2004 dichiarò inammissibile l’impugnazione perchè, “anche al di là della notifica alle altre parti oltre il termine, perentorio, assegnato dal Giudice”, l’atto di integrazione del contraddittorio, disposto nella prima udienza dal consigliere istruttore, non era “stato affatto notificato ai signori G.A. S. e G., risultati trasferiti”.

La B. è ricorsa con due motivi per la cassazione della sentenza, l’intimato D. ha resistito con controricorso notificato il 14 maggio 2004 ed entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione sull’omessa notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio, avendo il Giudice dichiarato l’inammissibilità dello appello senza verificare se l’omissione fosse dipesa da fatto imputabile unicamente alla negligenza dell’ufficiale giudiziario, pur non avendo egli certificato l’attività svolta per verificare l’avvenuto trasferimento dei destinatati della notifica appreso da “alcuni vicini” e l’appellante avesse fatto istanza di offrire una prova orale e documentale della correttezza dell’indirizzo indicato nell’atto. Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., giacché, costituendo l’eventuale trasferimento dei destinatali della notifica una causa di omessa notificazione non addebitabile alla parte onerata, il Giudice doveva escludere la decadenza dell’appellante dal termine per integrare il contraddittorio e, secondo una interpretazione estensiva dell’art. 184 bis c.p.c., conforme al principio costituzionale dell’effettività del contraddittorio, doveva fissare un nuovo termine per l’integrazione.

Il primo motivo è inammissibile.

Nel caso in cui l’ufficiale giudiziario attesti il mancato rinvenimento del destinatario della notifica di un atto nel luogo (di residenza, dimora o domicilio) indicato dal richiedente e la notizia appresa dai vicini del suo trasferimento altrove, la prima attestazione ed il contenuto estrinseco della seconda sono assistite da fede fino a querela di falso, attenendo a circostanze frutto della diretta attività e percezione del pubblico ufficiale, mentre la notizia appresa dai terzi è assistita da una presunzione di veridicità iuris tantum (cfr.: Cass. civ., sez. 3^, sent. 11 aprile, 2000, n. 4590), che non consente al Giudice di disconoscere, in assenza di prova contraria risultante dagli atti del procedimento o fornita dalle parti, la regolarità dell’attività svolta dall’ufficiale giudiziario e gli effetti che ad essa ricollega l’ordinamento nel caso in cui si risolva nell’omessa notifica di un atto nel termine perentorio fissato dalla legge o stabilito dal Giudice.

La parte che in sede di legittimità si dolga dell’attendibilità attribuita dal Giudice all’attestazione dell’ufficiale giudiziario dell’impossibilità di effettuare la notificazione di un atto per non avere egli rinvenuto il suo destinatario nell’indirizzo indicato ed avere appreso dai vicini il suo trasferimento altrove è quindi onerata dal principio di autosufficienza del ricorso alla specificazione degli atti non esaminati od inadeguatamente valutati dal Giudice dai quali emerge il fondamento della sua doglianza e/o i mezzi richiesti nel giudizio a riprova di essa, elencandoli ed indicandone esattamente il tenore onde consentire una verifica della loro ammissibilità e decisività. A tanto non ha soddisfatto la ricorrente, atteso che la sua sola affermazione della legittimità della propria istanza di offrire valida prova orale e documentale”(nei termini che solo il prosieguo del gravame avrebbe potuto consentire)” dell’effettiva abitazione dei notificandi nell’indirizzo da lei indicato negli atti di integrazione del contraddittorio non consente di apprezzare la correttezza del contrario assunto della sentenza che l’appellante aveva omesso di dedurre e provare di non avere potuto provvedere alla notifica per fatti ad essa non imputabili.

Il secondo motivo è infondato.

In seguito alle decisioni della Corte costituzionale n. 477 del 2000, nn. 28 e 97 del 2004 e n. 154 del 2005, nel caso, in cui il Giudice dell’impugnazione abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio, è sufficiente e necessario al fine del rispetto del termine assegnato per la notifica dell’atto alle parti pretermesse che entro detto termine l’atto sia consegnato all’ufficiale giudiziario e, conseguentemente, la parte notificante non incorre nella decadenza correlata alla sua inosservanza ove, in caso di iniziale esito negativo della notifica per causa alla stessa non imputabile, provveda senza ingiustificata soluzione di continuità allo svolgimento di tutte le ulteriori attività occorrenti al perfezionamento del procedimento notificatorio di cui è onerata, anche se questo avvenga oltre la data stabilita dal Giudice (cfr.: Cass. civ., sez. 5^, sent. 12 marzo 2008, n. 6547; Cass. civ., sez. 2^, sent. 19 marzo 2007, n. 6360).

Nel caso di esito negativo della notifica per causa alla stessa imputabile o di ingiustificata soluzione di continuità delle ulteriori attività occorrenti alla notifica, la parte onerata non si sottrae, quindi, alla decadenza dal termine assegnatole ed all’inammissibilità dell’impugnazione che ne deriva a norma dell’art. 331 c.p.c., giacchè la fissazione di un nuovo termine per l’integrazione del contraddittorio equivarrebbe alla concessione di una proroga di un termine perentorio, espressamente vietata espressamente dall’art. 153 c.p.c.. E’ vero che a tale divieto è stato ritenuto possibile derogare, peraltro non in ragione dell’applicabilità anche alla fase di proposizione delle impugnazioni dell’istituto della rimessione in termini, che l’art. 184 bis c.p.c., limita alla fase istruttoria, bensì della rilevanza da riconoscere, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 331 c.p.c., ad una situazione di forza maggiore certa ed obiettiva, che abbia impedito alla parte l’osservanza del termine stesso, dovendo escludersi che la sanzione di inammissibilità dell’impugnazione prevista per la sua inosservanza, in quanto rivolta a colpire l’incuria e la negligenza della parte, possa tradursi in danno il soggetto che provi di non essere stata in grado di rispettare il termine fissato dal Giudice per fatti ad essa non imputabili.

A tale fine, tuttavia, deve tenersi conto che il termine per l’integrazione del contraddittorio viene concesso non soltanto per il conferimento dell’incarico all’ufficiale giudiziario, ma anche per lo svolgimento di tutte le attività ad esso prodromiche, quali le indagini di stato civile ed anagrafiche eventualmente necessarie per individuare i soggetti destinatari della notifica ed il luogo ove questa deve essere eseguita, ed è normalmente stabilito dal Giudice in misura di tale ampiezza da permettere alla parte anche di rimediare eventuali errori nei quali sia incorsa nella notificazione dell’atto (Cass. civ., sez. 1^, sent. 14 ottobre 2005, n. 20000).

Di tal che, se la notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio sia mancata per avere la parte onerata richiesto la notifica all’ufficiale giudiziario, come in specie, due giorni prima della scadenza del termine fissato per l’adempimento senza alcun preventivo accertamento della residenza, del domicilio o della dimora dei notificandi, facendo affidamento sull’avvenuta notifica di altro atto del procedimento in epoca remota, e la parte si sia successivamente astenuta da qualsiasi altra attività diretta al perfezionamento di essa senza prospettare nessun ostacolo al loro compimento, non è ravvisabile alcuna situazione di forza maggiore che abbia impedito alla parte l’osservanza dell’onere del quale era gravata.

Al contrario nel suo comportamento è ravvisabile una colpevole negligenza sia perché si è posta in condizione di verificare l’esito della notifica soltanto all’atto o dopo la scadenza del termine stabilito dal Giudice, nonostante l’incognita di una variazione nel lungo periodo dell’abitazione dei destinatari e l’agevole possibile riscontro dell’attuale loro residenza anagrafica e sia perché si è disinteressata della negatività di tale esito facendo ingiustificatamente incorrere il processo in una stasi che proprio la fissazione del termine perentorio per l’integrazione era diretta ad evitare.

All’inammissibilità od infondatezza dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2.800,00, di cui Euro 100,00, per spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 settembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2008


Cass. civ. Sez. V, (ud. 09-07-2008) 03-10-2008, n. 24622

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente

Dott. CICALA Mario – Consigliere

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE ed AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 sono elettivamente domiciliati;

– ricorrenti –

contro

C.C.A. – COOPERATIVA CUSTODI AUTOMOBILI S.C.A.R.L., con sede in (OMISSIS), in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 04 della Commissione Tributaria Regionale di Genova – Sezione n. 17, in data 25/01/2005, depositata il 24/02/2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09 luglio 2008 dal Relatore Cons. Dott. Antonino Di Blasi;

Vista la richiesta scritta del Sostituto Procuratore Generale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
La società contribuente, impugnava in sede giurisdizionale la cartella esattoriale, portante carico tributario, derivante da avviso di rettifica IVA, – relativo all’anno 1994 -, in precedenza notificato e non impugnato.

L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Genova, accoglieva il ricorso, con decisione che veniva confermata in appello dalla CTR. In particolare, quest’ultima, riteneva di dover confermare l’operato dei Giudici di primo grado, – che avevano annullato la cartella esattoriale -, anzitutto, in accoglimento della preliminare eccezione, secondo cui il presupposto avviso di accertamento non era stato regolarmente notificato a mani delle persone, abilitate alla ricezione ex art. 145 c.p.c., di poi, anche per le ragioni di merito, esplicitate nell’appellata decisione.

Con ricorso notificato l’11-15 aprile 2006, il Ministero e l’Agenzia hanno chiesto la cassazione dell’impugnata decisione.

L’intimata, non ha svolto difese in questa sede.

Con istanza 30.01.2007, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso, per manifesta fondatezza, ex art. 375 c.p.c..

Motivi della decisione
La Corte;

Visto il ricorso, come sopra proposto e notificato, con cui l’impugnata decisione viene censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 145 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e per omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, nonchè per motivazione apparente ed illogica, violazione dell’art. 100 c.p.c., D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ed omessa motivazione su punto decisivo della controversia;

Vista la richiesta del Sostituto Procuratore Generale;

Considerato che l’impugnazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze è a ritenersi inammissibile, in quanto non è stato parte nel giudizio di appello – cui ha partecipato solo l’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS) – ed il ricorso risulta notificato l’11-15 aprile 2006, quindi, dopo la data dell’1 gennaio 2001, a decorrere dalla quale l’Agenzia delle Entrate è subentrata all’Amministrazione delle Finanze nei rapporti giuridici già facenti capo a quest’ultima;

Ritenuto che i Giudici di appello hanno confermato la decisione di primo grado, con argomentazione non coerente con il consolidato orientamento giurisprudenziale e sulla base di generiche espressioni di condivisione della decisione di primo grado;

Considerato, infatti, sotto il primo profilo, che l’affermazione della CTR – secondo la quale la notifica della cartella era a ritenersi nulla, per essere stata effettuata a mani di un socio e non già di alcuno dei soggetti contemplati nell’art. 145 c.p.c., si pone in contrasto con il principio secondo cui “La disposizione dell’art. 46 c.c., secondo cui, qualora la sede legale della persona giuridica sia diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima, vale anche in tema di notificazione, con conseguente applicabilità dell’art. 145 c.p.c.; ne consegue che, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica presso la sede legale o quella effettiva, è sufficiente che il consegnatario sia legato alla persona giuridica stessa da un particolare rapporto che, non dovendo necessariamente essere di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, eventualmente provvisorio o precario, di ricevere la corrispondenza – sicché, qualora dalla relazione dell’Ufficiale Giudiziario o postale risulti in alcuna delle predette sedi la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede stessa, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere alle sue dipendenze, non era addetta neppure alla ricezione di atti, per non averne mai ricevuto incarico alcuno” (Cass. n. 12754/2005, n. 11804/2002);

Considerato, altresì, per l’altro aspetto, che la mera espressione di condivisione della decisione di primo grado nel merito, non assolve all’obbligo motivazionale, non risultando indicati i concreti elementi utilizzati, al fine di riconoscere la legittimità e fondatezza delle doglianze della contribuente;

Considerato, in proposito, che costituisce principio consolidato e condiviso, sia quello secondo cui “la motivazione di una sentenza per relationem ad altra sentenza, è legittima quando il giudice, riportando il contenuto della decisione evocata, non si limiti a richiamarla genericamente ma la faccia propria con autonoma e critica valutazione” (Cass. n. 1539/2003; n. 6233/2003; n. 2196/2003; n. 11677/2002), sia pure quell’altro secondo cui è configurabile l’omessa motivazione, “quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logico- giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento (Cass. n. 890/2006, n. 1756/2006, n. 2067/1998);

Considerato, in buona sostanza, che le espressioni adoperate dalla C.T.R. non solo appaiono inadeguate sotto il profilo giuridico e della coerenza logico formale, rivelando un sintomo d’ingiustizia nella soluzione della questione di fatto, ma pure rivelano decisive pretermissioni di elementi, che ove esaminate e valutate, avrebbero, ragionevolmente, potuto indurre ad un diverso decisum;

Considerato, conclusivamente, che il ricorso va, per tali ragioni, accolto, con assorbimento di ogni altro profilo di doglianza, e, per l’effetto cassata l’impugnata sentenza, la causa va rinviata ad altra sezione della C.T.R. della Liguria, la quale, procederà al riesame e, attenendosi ai richiamati principi, pronuncerà, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, motivando congruamente.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio, ad altra sezione della C.T.R. della Liguria.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2008.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2008


Cass. pen. Sez. VI, (ud. 17-06-2008) 01-10-2008, n. 37354

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGINIO Adolfo – Presidente

Dott. OLIVA Bruno – Consigliere

Dott. SERPICO Francesco – Consigliere

Dott. MILO Nicola – rel. Consigliere

Dott. COLLA Giorgio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) E.A., nato (OMISSIS);

2) F.M., nato (OMISSIS);

3) D.R., nato (OMISSIS);

4) FI.Ma., nato (OMISSIS);

avverso la sentenza 25/10/2007 della Corte d’Appello di Torino;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e i ricorsi;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Nicola Milo;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DELEHAYE E., che ha concluso per il rigetto dei ricorsi di E. e F. e l’annullamento senza rinvio per D. e Fi. per non avere commesso il fatto;

udito il difensore di p.c. avv. R. Borasio, che ha concluso per il rigetto o l’inammissibilità dei ricorsi;

uditi i difensori dei ricorrenti avv. MUSSA C. (per E. e F.), avv. C. Rossa e avv. M. Pellerino (per D. e Fi.), che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con riferimento al solo aspetto che è oggetto della sollecitata verifica di legittimità, va rilevato, in punto di fatto, che, a seguito di gravame del P.M., la Corte d’Appello di Torino, con sentenza 25/10/2007, in riforma – tra l’altro – della decisione assolutoria con formula di merito (fatto non costituisce reato) emessa – il 7/4/2006 – dal locale Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti di E.A., F.M., D.R. e Fi.Ma. in ordine al reato di abuso d’ufficio rubricato originariamente sotto il capo a), perchè estinto per prescrizione.

L’addebito mosso agli imputati è di avere, l’ E. quale sindaco di (OMISSIS), il F. quale segretario generale, il D. e il Fi. quali componenti della Giunta comunale, adottato, tra il 1995 e il 1999, una serie di atti, in palese violazione di legge, finalizzati a danneggiare la dirigente del detto Comune, Dr.ssa B.M., invisa ai detti amministratori, la quale venne esonerata dalle funzioni esercitate (vice segretario, collaborazione esterna con l’Associazione dei Comuni) e assegnata – il 5/10/1999 -all’Ufficio Studi, istituito con decreto sindacale del successivo 3 novembre, a cui faceva seguito la Delib. Giunta 1 dicembre 1999, Ufficio rimasto assolutamente inoperativo, tanto che, nel 2001, a seguito del commissariamento del Comune, la B. venne destinata a sovrintendere anche la ripartizione commercio.

Il Giudice distrettuale, all’esito di un’approfondita analisi dei vari atti amministrativi adottati e sulla base delle testimonianze acquisite agli atti, evidenziava che “l’affrettata scelta di assegnare la B. all’Ufficio Studi non ancora costituito, quindi l’istituzione ex novo di detta struttura organizzativa in via d’urgenza, da parte del sindaco e poi da parte della Giunta… nascondeva di fatto la volontà di allontanare anche fisicamente dal palazzo comunale la funzionaria, senza con ciò mirare al raggiungimento… di un fine di pubblico interesse, essendo stato conseguito con tale scelta l’esatto contrario in termini di pubblica utilità”.

Hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, gli imputati. Il D. e il Fi. hanno denunciato la violazione della legge processuale, con riferimento all’art. 521 c.p.p., comma 2 e art. 522 c.p.p., avendo la sentenza ricostruito la vicenda relativa all’istituzione dell’Ufficio Studi in maniera difforme da quella oggetto di contestazione. Tutti, poi, hanno dedotto la violazione della legge penale e di altre norme di cui si deve tenere conto nell’applicazione della stessa, sostenendo, con argomentazioni varie e articolate, che nella loro condotta sarebbe difettato il requisito della “violazione di legge o di regolamento” e, quindi, uno degli elementi strutturali del reato contestato, e hanno lamentato, inoltre, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

I ricorsi non sono fondati.

La doglianza di natura processuale del D. e del Fi. è priva di pregio.

Osserva, invero, la Corte che per aversi mutamento del fatto, con conseguente violazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 c.p.p., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa. Conseguentemente l’indagine volta ad accertare la violazione del principio richiamato non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale tra contestazione e sentenza, ma deve tenersi conto della concreta possibilità avuta dall’imputato, attraverso l’iter del processo, di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione, circostanza quest’ultima verificatasi nella specie nel corso della lunga e approfondita istruttoria dibattimentale, con l’effetto che la denunciata violazione della regola processuale deve ritenersi del tutto insussistente.

Quanto al merito della vicenda, deve rilevarsi che la sentenza impugnata fa buon governo della legge penale e della normativa di riferimento, chiarendo che gli imputati, nel rispettivo ruolo ricoperto, posero in essere, nel disporre l’assegnazione della dr.ssa B. all’istituendo Ufficio Studi e la successiva istituzione dello stesso presso il Comune di Carmagnola, una serie di violazioni di legge, con l’unico intento, concretamente conseguito, di emarginare la detta funzionaria che, per il suo spirito di indipendenza da qualsiasi pressione politica, non era gradita all’Organo esecutivo del Comune e al segretario generale F., che affiancava ed ispirava l’azione del primo. Non manca la sentenza, inoltre, di motivare sotto il profilo fattuale, in maniera adeguata e logica, la conclusione alla quale perviene in relazione al ritenuto abuso d’ufficio posto in essere dagli imputati, illecito – però – dichiarato estinto per prescrizione. I corrispondenti motivi di ricorso non tolgono valenza agli argomenti in fatto e diritto su cui riposa la sentenza di merito.

Quanto alla deduzione difensiva, fatta anche nel corso dell’odierna discussione orale, del D. e del Fi. circa la loro asserita buona fede e l’errore scusabile sulla legge extrapenale, essendosi essi limitati a prendere parte all’atto deliberativo della Giunta, ritenendolo perfettamente regolare, e circa il connesso vizio di motivazione su tali specifici punti della sentenza di merito, va osservato che, stante la causa estintiva del reato, non è rilevabile in questa sede il denunciato vizio della sentenza impugnata, perché, pur a volerlo ritenere meritevole di una qualche considerazione, ciò comporterebbe l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito, il che è incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p., comma 1, per intervenuta estinzione del reato.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali. Non essendo stata mai pronunciata, nei precedenti gradi di merito, la condanna degli imputati per il reato loro ascritto, non possono porsi a loro carico, almeno allo stato, le spese sostenute dalla costituita parte civile, spese che dovranno essere liquidate, in base al relativo esito, nell’eventuale giudizio civile che potrà instaurarsi tra le parti contrapposte.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2008.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2008


Cass. pen. Sez. feriale, (ud. 26-08-2008) 01-09-2008, n. 34503

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni – Presidente

Dott. ESPOSITO Antonio – Consigliere

Dott. KOVERECH Oscar – Consigliere

Dott. MACCHIA Alberto – Consigliere

Dott. GAZZARA Santi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) R.P. N. IL (OMISSIS);

2) S.J. N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 17/01/2008 CORTE APPELLO di PALERMO;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MACCHIA ALBERTO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FEBBRARO Giuseppe, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
OSSERVA

Con sentenza del 17 gennaio 2008, la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Termini Imerese, Sezione distaccata di Cefalù, il 5 maggio 2007 nei confronti di R.P. e S.J., ha escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, confermando la pena di mesi sei di reclusione ed Euro 300,00, di multa inflitta nei confronti del predetti quali imputati del delitto di furto di capi di abbigliamento commesso con destrezza.

Propone ricorso per cassazione il difensore deducendo vari motivi di ricorso. Nel primo, riproponendo questione già sollevata e disattesa nel gravame di merito, rileva che, contrariamente all’assunto della Corte territoriale doveva essere ritenuta valida la dichiarazione di domicilio effettuata dagli imputati presso il consolato tedesco contestando la fondatezza della tesi secondo la quale la elezione di domicilio avvenga in Italia. Pertanto, le notificazioni dovevano essere effettuate presso il domicilio dichiarato dagli imputati, e cioè presso il consolato tedesco. Si contesta, poi, la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 4, e si lamenta, infine, che i giudici dell’appello, pur eliminando l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, abbiano mantenuto inalterato il trattamento sanzionatorio, senza svolgere sul punto adeguata motivazione.

Il ricorso è manifestamente infondato. A proposito del primo motivo, va infatti qui ribadito che deve essere ritenuta invalida ed inidonea agli scopi di legge l’elezione di domicilio presso una ambasciata od un consolato straniero, non essendo consentito procedere a notificazione in detti luoghi, caratterizzati da extraterritorialità (Cass., Sez. 3, 27 giugno 2007, Musaraj; Cass., Sez. 2, 13 gennaio 1986, Chasar). Le restanti censure si rivelano, da un lato, del tutto generiche, dall’altro inconsistenti, avuto riguardo alla più che esauriente motivazione che i giudici del merito hanno svolto per asseverare la sussistenza della aggravante della destrezza – alla luce della più che consolidata giurisprudenza consolidatasi sul punto – ed in merito alla determinazione di mantenere inalterato il trattamento sanzionatorio stabilito nella sentenza di primo grado;

trattamento che i giudici a quibus hanno, con motivazione incensurabile nella presente sede, reputato adeguato alla vicenda ed ai parametri di legge, stante il mantenuto giudizio di equivalenza che ha “sterilizzato”, agli effetti della pena, il risalto della residua circostanza aggravante.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 26 agosto 2008.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 29-04-2008) 29-08-2008, n. 21816

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.I., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CARLO MIRABELLO 14, presso lo studio dell’avvocato MARINO GIANCARLO, che la difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3126/05 del Giudice di pace di ROMA del 18.1.05, depositata il 24/01/05;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 29/04/08 dal Consigliere Dott. MIGLIUCCI Emilio;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. UCCELLA Fulvio, che ha concluso per la manifesta fondatezza del ricorso, con ogni ulteriore provvedimento come per legge.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
V.I. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di Pace di Roma dep. il 24 gennaio 2005 che aveva rigettato l’opposizione dalla medesima proposta avverso il verbale di contravvenzione elevato per violazione dell’art. dell’art. 146 C.d.S..

Il Giudice di Pace riteneva provato in base al verbale di contravvenzione, che l’opponente aveva proseguito la marcia nonostante che la lanterna semaforica proiettasse al momento del suo passaggio luce rossa.

Non ha svolto attività difensiva l’intimato.

Attivatasi procedura ex art. 375 cod. proc. civ., il Procuratore Generale ha inviato richiesta scritta di accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza.

Deve, infatti, accogliersi l’unico motivo con cui la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 cod. proc. civ., n. 3) nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5),avendo la sentenza basato il proprio convincimento sull’efficacia fino querela di falso del verbale di contravvenzione, la cui veridicità poteva essere inficiata da un eventuale errore nella percezione della realtà.

Occorre considerare che con riferimento al verbale di accertamento di una violazione del codice della strada, l’efficacia di piena prova fino a querela di falso, che ad esso deve riconoscersi – ex art. 2700 cod. civ., in dipendenza della sua natura di atto pubblico – oltre che quanto alla provenienza dell’atto ed alle dichiarazioni rese dalle parti, anche relativamente “agli altri fatti che il pubblico ufficiale che lo redige attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”, non sussiste nè con riguardo ai giudizi valutativi che esprima il pubblico ufficiale, nè con riguardo alla menzione di quelle circostanze relative a fatti i quali, in ragione delle loro modalità di accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obbiettivo, ed abbiano pertanto potuto dare luogo ad una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento, come nell’ipotesi in cui quanto attestato dal pubblico ufficiale concerna non la percezione di una realtà statica (come la descrizione dello stato dei luoghi, senza oggetti in movimento), bensì – come appunto nella specie – l’indicazione di un corpo o di un oggetto in movimento, con riguardo allo spazio che cade sotto la percezione visiva del verbalizzante (Cass. 457/2006;

1408/2005, 3522/1999).

Il giudicante,erroneamente attribuendo efficacia di prova munita di fede privilegiata al verbale di contravvenzione ex art. 2700 cod. civ., ha ritenuto provati i fatti senza compiere i necessari accertamenti, non ammettendo la prova testimoniale articolata dall’opponente.

Il ricorso va accolto;

La sentenza va cassata,con rinvio,anche per le spese della presente fase, al Giudice di Pace di Roma in persona di altro magistrato.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese della presente fase, al Giudice di Pace di Roma in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 05-06-2008) 28-08-2008, n. 21778

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere

Dott. TROMBETTA Francesca – Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONSERRATO 34, presso lo studio dell’avvocato ARACHI TOMMASO, che lo difende unitamente all’avvocato UGO VESCIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA SPA, in persona del procuratore Speciale Dott.ssa S.B., elettivamente domiciliata in ROMA VIA D. CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato NUCCI FRANCESCO, che la difende unitamente all’avvocato LORENZO CASONI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 1206 bis/03 del Tribunale di FIRENZE, Sez. Stralcio depositata il 18/04/03 (R.G. 94/99);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/08 dal Consigliere Dott. Emilio MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato NUCCI Francesco, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 11685/1997 la Corte di Cassazione annullava con rinvio l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Firenze ai sensi della L. n. 794 del 1942, art. 30, relativamente al credito per prestazioni professionali azionato con decreto ingiuntivo dall’avv. P.G. nei confronti della Telecom Italia s.p.a. che aveva proposto opposizione;

riassunto dalla Telecom Italia s.p.a il giudizio di rinvio, che era celebrato in contumacia del P., questi con provvedimento emesso dal Tribunale di Firenze l’11 aprile 2003, veniva condannato restituire le somme percepite in più rispetto al credito di cui era stato riconosciuto titolare.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il P. sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso Telecom Italia s.p.a. che ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione
Va innanzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente secondo cui, essendosi il giudizio di rinvio svoltosi secondo il rito ordinario, il provvedimento aveva natura di sentenza, natura che era confermata dal tipo di numerazione dell’atto: pertanto era suscettibile del rimedio impugnatorio dell’appello.

Al riguardo occorre considerare che il provvedimento impugnato è stato emesso all’esito del giudizio di rinvio dalla Cassazione che aveva annullato l’ordinanza emessa ai sensi della L. n. 742 del 1942, art. 30; orbene, il giudizio di rinvio costituisce prosecuzione del giudizio conclusosi con il provvedimento impugnato ed è regolato delle medesime norme che disciplinano quest’ultimo: l’eventuale inosservanza di tale disciplina o del rito prescritto può assumere rilievo eventualmente per dedurre i vizi del provvedimento ma non può incidere sulla sua natura.

Nella specie,in cui il giudice di rinvio ha pronunciato l’ordinanza all’esito del procedimento ex L. n. 742 del 1942, è del tutto irrilevante la numerazione dell’atto come sentenza.

Con l’unico motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 139 cod. proc. civ., denuncia la nullità del procedimento (art. 360 cod. proc. civ., n. 4) per inesistenza della notificazione dell’atto di riassunzione del giudizio di rinvio che gli era stato notificato – secondo quanto da lui casualmente appreso -in (OMISSIS) corso (OMISSIS) con consegna al Dr. A.A. presso studio, in luogo diverso da quello in cui il medesimo ha la residenza ((OMISSIS) via (OMISSIS)) e da quello da lui eletto nel corso del procedimento; d’altra parte non era indicata la relazione fra il ricorrente e colui che ebbe a ricevere l’atto notificato ex art. 139 cod. proc. civ..

Il motivo è fondato.

Occorre rilevare che l’atto di riassunzione del giudizio di rinvio,nel quale l’attuale ricorrente non ebbe a costituirsi, è risultato notificato al P. in (OMISSIS) corso (OMISSIS) che, secondo l’originale depositato dalla resistente, venne consegnato al Dott. A.A. addetto allo studio che ne cura la consegna: al riguardosa considerato che nel caso di discordanza tra i dati emergenti dalla copia dell’atto restituita a colui che ha richiesto la notificazione e quelli emergenti dalla copia dell’atto consegnato al destinatario, per stabilire se si sia verificata una decadenza a carico del primo deve aversi riguardo all’originale a lui restituito, mentre per stabilire se si sia verificata una decadenza a carico del secondo, deve aversi riguardo alla copia a lui consegnata (Cass. 20783/2006).

Nella specie, dovendo verificarsi se sia incorsa in decadenza la Telecom nel procedere alla riassunzione del giudizio di rinvio, occorre fra riferimento all’atto restituito ed in possesso del soggetto notificante.

1. Ciò premesso, va innanzitutto disatteso il rilievo formulato dalla resistente secondo cui, atteso che tutti i contatti fra le parti si erano svolti esclusivamente presso quello che era lo studio del legale del ricorrente ubicato in (OMISSIS) corso (OMISSIS), nell’ambito del rapporto contrattuale intercorso fra la parti il professionista doveva ritenersi a tutti gli effetti ivi domiciliato.

L’art. 141 cod. proc. civ., che regola la notificazione presso il domiciliatario, va coordinato con l’art. 47 cod. civ., secondo cui il domicilio eletto rappresenta una deroga al domicilio legale, atteso che la norma prevede che la dichiarazione di elezione di domicilio deve riguardare determinati atti o affari ed essere espressa per iscritto in modo in equivoco (Cass. 13987/2003).

Pertanto, non può ritenersi che la notificazione sia stata effettuata a quello che la resistente ha erroneamente considerato il domicilio eletto con riferimento al rapporto contrattale intercorso fra le parti, atteso che sarebbe stata al riguardo necessaria una specifica dichiarazione del P. secondo le forme di cui sopra si è detto.

2. In realtà, dalla documentazione in atti (corrispondenza intercorsa fra le parti; estratto albo ordine avvocati Pistoia), che può essere direttamente esaminata dalla Corte in considerazione della natura processuale del vizio denunciato – è emerso che il ricorrente aveva in (OMISSIS) corso (OMISSIS) il proprio studio legale.

Orbene,indipendentemente dalle modalità e dalla qualità della persona che ebbe a ricevere l’atto, la notificazione effettuata direttamente allo studio del professionista, cioè in uno del luoghi indicati in ordine successivo dall’art. 139 cod. proc. civ., anziché alla residenza (non coincidente con il primo), è da ritenere affetta da nullità ma non è certo inesistente, atteso che: a) è inesistente la notificazione fatta a soggetto o in luogo totalmente estraneo al destinatario, mentre è nulla e suscettibile di sanatoria quella effettuata in luogo o a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla norma processuale, abbiano un qualche riferimento con il destinatario dell’atto (Cass. 17587/2007; 17555/2007); b) poiché l’ordine dei luoghi indicati dall’art. 139 cod. proc. civ., commi 1 e 6, per la notifica – se non possibile in mani proprie, ai sensi dell’art. 138 cod. proc. civ. – è in successione preferenziale, soltanto se la residenza e il domicilio del destinatario sono nello stesso luogo la notifica può effettuarsi alternativamente nell’una o nell’altro; se invece i rispettivi luoghi sono diversi, la notifica nel domicilio è nulla, se la residenza non è ignota (Cass. 1753/2005); c) costituisce onere del notificante compiere le ricerche anagrafiche necessarie per accertare la residenza effettiva del destinatario dell’atto da notificare.

Nella specie, il vizio della notificazione era, pertanto sanabile con la rinnovazione dell’atto che, non essendosi costituito il P., doveva essere disposta dal giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., la nullità della notificazione dell’atto di riassunzione ha comportato la conseguente nullità del giudizio di rinvio e del provvedimento impugnato che va cassato con rinvio, anche per le spese della presente fase, al Tribunale di Firenze in persona di altro magistrato.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso cassa l’ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese della presente fase, al Tribunale di Firenze in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 giugno 2008.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2008


Cass. civ. Sez. lavoro, (ud. 15-05-2008) 07-08-2008, n. 21380

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente

Dott. CELENTANO Attilio – Consigliere

Dott. ROSELLI Federico – rel. Consigliere

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PALESTRO 56, presso lo studio dell’avvocato MARCHESE FAUSTA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.R.A.S. – CENTRO ROMANO ASSISTENZA SANITARIA S.R.L., già C.R.A.S. –

Centro Romano Assistenza Sanitaria S.n.c. – in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZALE CLODIO 12, presso lo studio dell’avvocato AGOSTA GIUSEPPE, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3671/04 della Corte d’Appello di ROMA, depositata il 25/09/04 R.G.N. 8018/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/08 dal Consigliere Dott. Federico ROSELLI;

udito l’Avvocato DE CIANTIS per delega AGOSTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVI Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 25 settembre 2004 la Corte d’appello di Roma, informa della decisione emessa dal Tribunale, rigettava la domanda proposta da M.C. contro la s.r.l. Centro romano assistenza Sanitaria (Cras) onde ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, il pagamento di differenze retributive e la dichiarazione di illegittimità del licenziamento con la conseguente condanna risarcitoria.

La Corte osservava essere risultato dall’istruzione probatoria come il M. lavorasse quale autista di ambulanza secondo turni settimanali diurni o notturni, con compenso variabile in relazione alle ore di lavoro svolte. Indice dell’assenza di subordinazione era la libertà di non presentarsi al lavoro ossia l’assenza di un obbligo di giustificare le essenze.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione il M. mentre la s.r.l. Cras resiste con controricorso.

Il ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione
Col terzo motivo, logicamente precedente, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2094 cod. civ., per non avere la Corte d’appello considerato la totale assenza del rischio economico a carico del lavoratore, guidatore di ambulanze appartenenti alla datrice di lavoro ed inserito nella organizzazione produttiva della medesima ed inoltre nel avere escluso l’obbligo di giustificare le assenze, senza alcuna concreta verifica.

Il motivo è fondato.

Nella sentenza impugnata la Corte d’appello ha escluso la subordinazione del rapporto di lavoro in questione svalutando l’inserimento del lavoratore in turni di servizio, ed al contrario valorizzando l’astratta mancanza dell’obbligo di giustificai e le assenze nonchè la variabilità del compenso in relazione alle ore di lavoro effettive.

Così tacendo la Corte ha dato risalto ad elementi non decisivi, trascurando per contro ogni accertamento di elementi determinanti.

E’ infatti costante e risalente giurisprudenza della Corte che l’autonomia del rapporto di lavoro, anche nella forma attenuata della cosiddetta parasubordinazione, vada esclusa quando il prestatore di lavoro non disponga di un’organizzazione imprenditoriale sia pure in termini minimi e non sopporti pertanto alcun rischio economico. In altre parole la continuità e coordinazione dell’attività lavorativa con quella del committente, propria della para subordinazione (art. 409 cod. proc. civ.), non può risolversi nella mera esecuzione di lavoro, priva di un minimo di auto organizzazione e di rischio (Cass. 15 dicembre 1979 n. 6543, 13 gennaio 1981 n. 303, 26 maggio 1983 n. 3650, 18 dicembre 1996 n. 11339, 27 marzo 2000 n. 3674).

Nel caso di specie questo elemento è stato trascurato dal collegio di merito, che, dovendo qualificare il rapporto di lavoro di un autista al servizio di un’impresa, ha omesso di verificare la proprietà dell’autovettura o delle autovetture adoperate nonché il soggetto onerato delle spese il gestione (carburante, pezzi di ricambio, lubrificanti).

Il collegio ha altresì omesso di accertare se l’autista prendesse contatto diretto coi clienti e intascasse i compensi pagati da loro.

Il detto, necessario accertamento avrebbe consentito di valutare meglio elementi di per sè non decisivi, quale l’inserimento di turni di servizio, compatibile bensì con la parasubordinazione ma connaturato con la subordinazione.

Quanto all’assenza dell’obbligo di giustificare le assenze oppure del potere disciplinare altrui, assai spesso invocati dalla parte interessata a negare la subordinazione, essi possono assumere valore indiziario solo se verificati in concreto, ossia quando la parte interessata provi assenze e non esecuzione della prestazione lavorativa concretamente rimaste prive di effetti (Cass. 2 giugno 1999 n. 5411, 9 ottobre 2000, n. 13452).

Non indicativa, infine, è la variabilità del compenso, che tuttavia di solito indica la subordinazione se corrisposto a scadenze fisse.

L’obliterazione di tutti questi criteri induce alla cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla stessa Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, giudicherà uniformandosi al seguente principio di diritto:

“Per escludere la subordinazione del rapporto di lavoro prestato con continuità e coordinamento con altro soggetto è necessario che il giudice di merito accerti il rischio economico a carico del lavoratore e così ad esempio che resti a suo carico l’acquisto o l’uso dei materiali necessari a lavorare o che il rapporto con i terzi utenti venga da lui instaurato e gestito. Quanto all’assenza dell’obbligo di giustificare assenze, quale indice della mancanza di subordinazione, è necessario l’accertamento negativo in concreto delle conseguenze disciplinari”.

Gli altri motivi di ricorso rimangono assorbiti.

Il giudice di merito provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 29-04-2008) 30-06-2008, n. 17915

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDRO 52, presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore On.le V. W., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TEMPIO DI GIOVE 21, presso l’Avvocatura Comunale, rappresentato e difeso dall’avvocato CECCARANI BRUNO, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 39712/05 del Giudice di pace di ROMA, depositata il 29/09/05;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 29/04/08 dal Consigliere Dott. Mario BERTUZZI;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario Giovanni RUSSO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso in epigrafe indicato per manifesta fondatezza, dei motivi posti a suo fondamento.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto notificato il 27.6.2006, L.M. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza del giudice di pace di Roma del 29.9.2005, che aveva respinto l’opposizione da lui proposta avverso la cartella esattoriale che gli intimava il pagamento una somma a titolo di sanzione amministrativa per alcune violazioni del codice della strada, rigettando il motivo di opposizione che lamentava la nullità della notifica dei verbali di contestazione, avvenuta ai sensi dell’art. 139 cod. proc. civ..

L’intimato Comune di Roma si è costituito con controricorso.

Attivata procedura ex art. 375 cod. proc. civ., gli atti sono stati trasmessi al Procuratore Generale, che ha concluso per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e per il suo accoglimento per manifesta fondatezza.

Con l’unico motivo, il ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 139 cod. proc. civ. e art. 201 C.d.S. e vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto regolari le notifiche dei verbali di accertamento delle infrazioni avvenute a mani del portiere dello stabile ai sensi dell’art. 139 cod. civ. senza verificare, in risposta alle deduzioni dell’opponente, se i relativi verbali dessero arto del mancato rinvenimento del destinatario nella sua casa di abitazione e della successiva infruttuosa ricerca di persone di famiglia o addette alla casa e se fosse stata poi data comunicazione al destinatario dell’avvenuta notificazione a mezzo di invio di lettera raccomandata.

Il motivo è manifestamente fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo d’evidenziare, in caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale giudiziario deve dare atto, oltre che dell’inutile tentativo di consegna a mani proprie per l’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, onde, nel riferire al riguardo, sebbene non debba necessariamente fare uso di formule sacramentali, deve, nondimeno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dall’art. 139 cod. proc. civ., comma 2 la successione preferenziale dei quali è tassativamente prevista, con l’effetto che è nulla la notificazione nelle mani dei portiere quando, come nel caso di specie, la relazione dell’ufficiale giudiziario non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento delle persone indicate nella norma citata (Cass. S.U., 30.5.2005, n. 11332).

La notificazione avvenuta a mani del portiere dello stabile ai sensi dell’art. 139 cod. proc. civ., comma 3 è altresì nulla quando sia mancato l’avviso al destinatario dell’avvenuta notificazione a mezzo di lettera raccomandata (Cass. 24.7.92 n. 8920; Cass. 7.6.78 n. 2847).

In proposito va precisato che nella notificazione effettuata non a mani proprie del destinatario ex art. 139 cod. proc. civ. si deve distinguere, al fine di stabilire l’essenzialità dell’avviso d’avvenuta notifica al destinatario a mezzo di lettera raccomandata, l’ipotesi di cui al comma 2, per la quale tale formalità non è necessaria, da quella di cui al comma 3, per la quale è, invece, necessaria in quanto espressamente prescritta dal successivo quarto comma, in ragione del minore affidamento prestato dal legislatore alla consegna dell’atto notificando a mani del portiere o del vicino di casa in luoghi diversi dall’ambiente proprio della sfera di stretto dominio del destinatario, tanto da indurlo a disporre, oltre alla sottoscrizione dell’originale da parte dei consegnatari, anche la spedizione, appunto, della raccomandata al destinatario.

Nell’ipotesi prevista dall’art. 139 cod. proc. civ., comma 3 l’omessa spedizione della raccomandata stabilita dal comma 4 costituisce, pertanto, non una mera irregolarità, ma un vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario che, salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale giudiziario medesimo, comporta la nullità della notificazione nei riguardi del notificato, il quale legittimamente può dedurne in giudizio gli effetti a sè favorevoli.

Il ricorso va pertanto accolto, non avendo il giudice a quo, pur sollecitato dalle ragioni dell’opposizione, compiuto una verifica completa delle condizioni previste dalla legge, a pena di nullità, per il procedimento di notificazione dei verbali di contestazione nella specie seguito; la sentenza è quindi cassata, con rinvio ad altro giudice di pace di Roma, che si atterrà, nel decidere, alle prescrizioni di diritto sopra enunciate e provvedere anche alla liquidazione delle; spese di giudizio.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, ad altro giudice di pace di Roma.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2008


Cass. pen. Sez. V, (ud. 08-05-2008) 11-06-2008, n. 23623

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NARDI Domenico – Presidente

Dott. CARROZZA Arturo – Consigliere

Dott. FERRUA Giuliana – Consigliere

Dott. OLDI Paolo – Consigliere

Dott. SCALERA Vito – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.V., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa il 29.11.07 dalla Corte di appello di Napoli;

Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giuliana Ferrua;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per la declaratoria di inammissibiltà del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza 22.9.05 il Tribunale di Nola dichiarava A. V. responsabile, quale impiegato presso il Comune di Acerra:

a) di tentata truffa ex art. 56 c.p., art. 640 c.p., comma 2, n. 1, per avere posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco ad indurre in errore il citato ente locale mediante artifici e raggiri, ossia facendo apparire la sua presenza in ufficio in determinati giorni ovvero il suo stato di malattia, mentre in realtà svolgeva attività presso un esercizio commerciale, per procurarsi l’ingiusto profitto consistente in indebita retribuzione di giornate lavorative, ai danni del Comune; B) di falso ex artt. 476 e 479 c.p., per avere falsamente attestato, mediante sistema di rilevazione delle presenze e tramite certificato medico, la sua presenza presso l’ufficio comunale o la propria malattia; con la continuazione e le generiche prevalenti lo condannava a pena ritenuta di giustizia.

Tale decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza 29.11.07 avverso la quale ha a proposto ricorso per Cassazione l’imputato, deducendo vizio di motivazione in punto responsabilità con riguardo ad entrambi i reati.

La Corte osserva.

Le violazioni sub B non sussistono.

Invero i cartellini segnatempo e i fogli di presenza non costituiscono atto pubblico (Cass. S.U. 11.4.06 n. 15983 Rv. 233423);

per quanto concerne il certificato è indiscusso che in effetti l’imputato soffrisse di asma bronchiale e d’altro canto non risulta che in detto documento fosse attestata come effettuata una visita:

stante la genericità dello stesso deve escludersi la ricorrenza del falso.

Per il resto le censure sono infondate.

Invero, nel provvedimento impugnato v’è richiamo a plurimi dati, rappresentati da deposizioni e servizi di appostamento, alla luce dei quali emerge che il prevenuto svolgeva attività presso il Bar Commercio, sia al banco sia alla cassa, mentre egli aveva fatto credere di essere in ufficio ovvero impedito per malattia.

In conclusione s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per i reati sub B perché i fatto non sussiste; con riguardo ai fatti sub A il ricorso va rigettato e d, conseguenza s’impone l’annullamento della decisione con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, non potendo a tanto provvedere questa Corte in quanto il reato più grave e stato eliminato.

P.Q.M.
LA CORTE Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati sub B (falsi) perchè il fatto non sussiste; annulla la medesima sentenza con rinvio per rideterminazione del trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 11-04-2008) 03-06-2008, n. 14668

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VELLA Antonio – Presidente

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

UFFICIO TERRITORIALE GOVERNO TRAPANI, in persona del Prefetto pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 488/03 del Giudice di pace di TRAPANI, depositata il 08/09/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/04/08 dal Consigliere Dott. Lucio MAZZIOTTI DI CELSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
L’Ufficio Territoriale del Governo di Trapani ha impugnato per cassazione la sentenza 8/9/2003 con la quale il giudice di pace di Trapani, in accoglimento dell’opposizione proposta da C.F., annullava i verbali di contravvenzione redatti da agenti della Polizia di Stato per violazione degli artt. 158, 154 e 172 C.d.S.. Il giudice di pace osservava: che due agenti della Polizia di Stato, a bordo di un’autovettura civile, avevano affiancato l’autovettura condotta dalla C. alla quale avevano poi contestato alcune violazioni di norme dettate dal C.d.S.; che le dette violazioni erano state però contestate oralmente in quanto gli agenti erano sprovvisti dell’apposito modulario; che il descritto operato degli agenti era affetto da nullità radicale ed insanabile; che non era consentito limitare, in pregiudizio della opponente, la possibilità di difendersi soltanto con una querela di falso.

L’intimata C.F. non ha svolto attività difensiva in sede di legittimità.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio Territoriale del Governo di Trapani denuncia violazione degli artt. 200 e 201 C.d.S., nonchè del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, artt. 384 e 385, deducendo che esiste una distinzione tra i tre momenti dell’operazione dell’accertamento della violazione, ossia contestazione, verbalizzazione e consegna del verbale. La contestazione avviene di regola in forma orale il che si è verificato nel caso di specie per cui la C. ha avuto la possibilità di esprimere le proprie osservazioni nel momento di detta contestazione. La redazione materiale del verbale e la sua consegna alla C. sono state posticipate per una impossibilità oggettiva, ossia la mancanza del modulario da parte degli agenti al momento della contestazione: ciò non ha comportato alcuna violazione di legge. Nel verbale gli agenti hanno specificato il motivo della mancata redazione dello stesso al momento dell’accertamento. Tale precisazione non era neanche necessaria posto che l’art. 200 C.d.S., esige di regola la contestazione immediata e non l’immediatezza della verbalizzazione la cui redazione può essere impossibile anche nell’ipotesi in cui gli agenti non abbiano momentaneamente il modulario.

Il motivo è fondato.

Occorre premettere che, come rilevato dal ricorrente, la questione relativa alla mancata redazione del verbale di contravvenzione – e della mancata consegna immediata di detto verbale subito dopo la relativa contestazione al trasgressore – è stata già affrontata da questa Corte la quale al riguardo ha affermato che: a) l’operazione di accertamento delle violazione al C.d.S., si, sviluppa nei tre momenti della contestazione, della verbalizzazione e della consegna della copia del verbale; b) la contestazione deve essere immediata con la conseguenza che ogni qualvolta tale contestazione sia possibile, essa non può essere omessa, a pena d’illegittimità dei successivi atti del medesimo procedimento; c) tuttavia l’art. 201 C.d.S., contempla l’eventualità che l’immediata contestazione dell’infrazione non risulti in concreto possibile e stabilisce che, in tale ipotesi, il verbale debba essere notificato al trasgressore con l’indicazione della circostanza impeditiva; d) la “verbalizzazione” è operazione distinta e successiva, rispetto alla già “avvenuta” contestazione; e) a norma del terzo comma dell’art. 200 C.d.S., copia del verbale deve essere consegnata al trasgressore; f) la contestazione deve ritenersi immediatamente avvenuta, anche se la consegna del verbale (per validi motivi) non segua nello stesso contesto di tempo, allorquando il contravventore sia stato fermato ed il pubblico ufficiale gli abbia indicato la violazione commessa e lo abbia posto in grado di formulare le proprie osservazioni (nei sensi suddetti, sentenza 21/11/2002 n. 16420).

Nel caso in esame non risulta contestato che la C. è stata fermata dagli agenti della Polizia di Stato i quali le hanno di persona ed immediatamente contestato le violazioni accertate consentendole di formulare osservazione e di illustrare argomenti a propria discolpa. Nessuna violazione o limitazione al diritto di difesa della C. è derivata dalla mancata immediata redazione del verbale della già avvenuta contestazione, verbale che è stato poi notificato all’interessata con l’espressa precisazione che gli agenti accertatori non avevano potuto redigere apposito verbale al momento della contestazione delle infrazioni “per mancanza di formulario a seguito”.

Si tratta di una motivazione valida e logicamente plausibile tenuto conto che – come riportato nella stessa sentenza impugnata – gli agenti accertatori facevano parte della Polizia di Stato e si trovavano a bordo di un’autovettura civile “per motivi di controllo del territorio” e, quindi, per svolgere compiti ulteriori rispetto a quelli della regolazione del traffico, della prevenzione e dell’accertamento delle violazioni in tema di circolazione stradale.

D’altra parte non risulta che la C. nei motivi di opposizione abbia specificato quale delle garanzie previste dalla legge per la difesa delle ragioni del trasgressore sarebbero state sacrificata o compressa in virtù della contestazione verbale delle infrazioni.

Deve quindi ritenersi che – al contrario di quanto affermato dal giudice di pace – alla ricorrente le infrazioni in questione siano state personalmente ed immediatamente contestate in modo corretto dagli agenti accertatori con l’indicazione delle norme violate e con la possibilità per la C. di formulare contestualmente osservazioni e di sollevare eccezioni ed obiezioni in ordine all’operato degli agenti.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2700 c.c., e artt. 221 e 313 c.p.c., deducendo che il giudice di pace ha errato nel ritenere che le risultanze del verbale di contestazione – relative ad accertamenti di fatto senza valutazioni e apprezzamenti discrezionali – potessero essere smentite da una mera dichiarazione di parte. I verbali in questione fanno invece fede fino a querela di falso per quanto riguarda la vericità delle affermazioni ivi contenute.

Il motivo è fondato nei sensi e nei limiti di seguito precisati.

Al riguardo va rilevato che costituisce principio ormai pacifico che nel giudizio di opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione irrogativa della sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonchè alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e alle dichiarazioni delle parti; non è, invece, necessario, in applicazione della disciplina di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c., l’esperimento del rimedio predetto ove si intenda contestare la verità sostanziale di quanto dichiarato dalle parti medesime, o i giudizi valutativi espressi dal pubblico ufficiale, ovvero quelle circostanze dallo stesso menzionate relativamente ai fatti avvenuti in sua presenza, che possono risolversi in apprezzamenti personali perchè mediati attraverso l’occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo.

Il ricorso deve quindi essere accolto con la conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio della causa al giudice di pace di Trapani (in persona di altro magistrato) il quale provvedere ad un nuovo esame tenendo conto dei rilievi sopra esposti e dei principi di diritto sopra enunciati nonchè ad occuparsi degli altri rilievi mossi dalla C. ai verbali di contestazione in questione e la cui valutazione è stata implicitamente ritenuta assorbita dall’accoglimento della preliminare censura relativa alla asserita nullità del verbale impugnato per contestazione orale. Al giudice del rinvio si rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia al giudice di pace di Trapani (in persona di altro magistrato) anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 29-02-2008) 27-05-2008, n. 13766

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – rel. Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.V.E., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Società Vita s.p.a., elettivamente domiciliato in Roma Via della mercede 52, presso lo studio dell’avv. MENGHINI Mario, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. VITI Paolo, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI ALESSANDRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1234/05 del giudice di pace di Alessandria, depositata il 24/10/05;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 29/02/08, del Presidente e Relatore Dott. SETTIMJ Giovanni;

Udito l’Avvocato MENGHINI Mario, difensore del ricorrente che si riporta al ricorso;

lette le conclusioni scritte dal Sost. Proc. Gen. Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso;

Visto l’art. 375 c.p.c., per il rigetto del ricorso del ricorso per essere manifestamente infondato, con la conseguente di legge;

udito il P.M., in persona del Dott. UCCELLA Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
M.V.E. impugna per cassazione la sentenza 24.10.05 con la quale il G.d.P. di Alessandria ne ha respinto l’opposizione proposta avverso il verbale di contestazione n. 351821219 redatto nei suoi confronti dai Carabinieri di Spinetta Marengo per violazione dell’art. 173 C.d.S., comma 2, accertata il 14.4.05.

Parte intimata non svolge attività difensiva.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, conclude con richiesta di rigetto del ricorso.

Al riguardo le considerazioni svolte dal Procuratore Generale e la conclusione cui è pervenuto sono senza dubbio da condividere.

Si duole il ricorrente – denunziando violazione dell’art. 173 C.d.S., comma 2, – che il giudice a quo non abbia ritenuto valide le difese svolte, con le quali aveva evidenziato che non stava usando il telefono cellulare per conversare ma per prelevarne dati dalla rubrica, ed operato un’indebita interpretazione estensiva della norma, diretta, invece, a sanzionare il solo uso del telefono cellulare a fini di conversazione.

Il motivo è manifestamente infondato.

La ratio della norma – che costituisce una delle specificazioni alle quali rinvia dell’art. 140 C.d.S., comma 2, dopo aver posto, al comma 1, il principio generale per cui “Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo od intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale” così stabilendo a priori l’illegittimità d’una condotta di guida genericamente pericolosa riconducibile a ciascuna delle prescrizioni di seguito singolarmente dettate – è, infatti, intesa, come dimostra una coordinata lettura del suo testo integrale per cui “è consentito l’uso di apparecchi viva voce o dotati di auricolare … che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani”, a prevenire comportamenti tali da determinare, in generale, la distrazione dalla guida ed, in particolare, l’impegno delle mani del guidatore in operazioni diverse da quelle strettamente inerenti alla guida stessa.

Pertanto, l’uso del cellulare per la ricerca d’un numero telefonico nella relativa rubrica o per qualsiasi altra operazione dall’apparecchio stesso consentita, risulta, in relazione alla finalità perseguita dalla norma, censurabile sotto entrambi gli evidenziati profili, in quanto determina non solo una distrazione in genere, implicando lo spostamento dell’attenzione dalla guida all’utilizzazione dell’apparecchio e lo sviamento della vista dalla strada all’apparecchio stesso, ma anche l’impegno d’una delle mani sull’apparecchio con temporanea indisponibilità e, comunque, consequenziale ritardo nell’azionamento, ove necessario, dei sistemi di guida, ritardo non concepibile ove si consideri che le esigenze della conduzione del veicolo possono richiedere tempi psicotecnici di reazione immediati.

Il giudice a quo non ha dunque, operato un’indebita interpretazione estensiva, bensì si è attenuto ad una lettura non solo logica ma anche letterale della norma.

L’esaminato motivo non meritando accoglimento, il ricorso va, dunque, respinto.

Parte intimata non avendo svolto attività difensiva, il ricorrente evita le conseguenze della soccombenza.

P.Q.M.
La Corte:

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 febbraio 2008.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2008


Cass. pen. Sez. Unite, (ud. 27-03-2008) 15-05-2008, n. 19602

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GEMELLI Torquato – Presidente

Dott. LATTANZI Giorgio – Consigliere

Dott. GRASSI Aldo – Consigliere

Dott. MARZANO Francesco – Consigliere

Dott. CARMENINI Secondo L. – Consigliere

Dott. MILO Nicola – Consigliere

Dott. IACOPINO Silvana – Consigliere

Dott. CANZIO Giovanni – Consigliere

Dott. ROTELLA Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.B., nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, emessa in data 13.12.2006;

udita la relazione del Consigliere Dott. CARMENINI;

udite le conclusioni del p.g., avv. gen. CIANI Gianfranco, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 13 dicembre 2006, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del tribunale monocratico di Rossano del 2 novembre 2005, ha confermato il giudizio di responsabilità penale a carico di M.B. in ordine ai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) (capo A della rubrica) e artt. 71 e 72, medesimo D.P.R. (capo C), per avere realizzato un fabbricato a due piani fuori terra in cemento armato, edificato su un terrapieno sorretto da un muro di contenimento anch’esso in cemento armato, senza la prescritta concessione edilizia, senza il progetto esecutivo e la direzione di un tecnico qualificato, senza la previa prescritta denuncia all’Ufficio dell’ex Genio civile. Di conseguenza la Corte ha condannato l’imputata alla pena come in atti, confermando l’ordine di demolizione delle opere abusive, ha concesso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna e ha dichiarato estinti per prescrizione gli ulteriori reati di cui al capo B (violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95).

La M. ha impugnato detta sentenza con ricorso per cassazione, articolando quattro motivi. Col primo motivo lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità. In particolare si duole dell’erronea applicazione dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, sul rilievo che la notificazione all’imputata dell’avviso di fissazione del giudizio di appello per l’udienza del 13.11.2006 è stata effettuata al difensore di fiducia, nonostante l’esistenza agli atti di un domicilio dichiarato; precisa che trattandosi di prima notificazione nella fase di appello, la stessa avrebbe dovuto essere effettuata ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 1. Secondo la ricorrente la modalità di notificazione adottata nella specie configurerebbe un’ipotesi di nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell’art. 179 c.p.p., in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. e), che travolgerebbe ogni atto conseguente, compresa la sentenza impugnata. Col secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 40 c.p., nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto. La M. assume di essere estranea ai fatti, essendo soltanto il marito il proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e il committente dell’opera abusivamente realizzata;

sostiene che la Corte di appello di Catanzaro ha violato il principio della responsabilità penale personale, e, con una motivazione palesemente illogica, ha ritenuto la sua colpevolezza sul presupposto che “la qualità di committenti oltre che di proprietari dell’opera abusiva discende dalla qualità di conviventi” e che “la stessa (l’imputata) era presente al momento dell’intervento dei militari operanti ed ha sottoscritto il verbale di constatazione dell’illecito edilizio”.

Col terzo e quarto motivo, infine, eccepisce la prescrizione anche dei residui reati e lamenta un trattamento sanzionatorio eccessivamente gravoso.

La Terza Sezione penale, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla “legittimità della notificazione all’imputato del decreto di fissazione dell’udienza per il giudizio di appello” mediante consegna “al difensore di fiducia, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, nonostante l’esistenza agli atti del domicilio dichiarato”, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen..

Il Primo Presidente, con decreto del 5 febbraio 2008, ha fissato, per la trattazione del ricorso, l’odierna udienza pubblica del 27 marzo 2008.

Motivi della decisione
La questione giuridica controversa può essere così sintetizzata:

“Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, possa essere effettuata anche nel caso in cui l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni”.

Le soluzioni date dalla giurisprudenza di questa Corte hanno evidenziato un contrapposto orientamento, sviluppatosi soprattutto tra la Quinta Sezione penale, da un lato, e la Terza e la Sesta Sezione, dall’altro.

In breve, la Quinta Sezione ha affermato, con le sentenze Landra (25.01 – 27.02.2007, n. 8108 rv 236522) e Rizzato (24.10 – 06.12.2005, n. 44608 rv 232612), che il domicilio “legale” non può prevalere su quello dichiarato, considerato che l’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, è riferibile, nell’organizzazione della norma in cui si inserisce, alle ipotesi considerate dai commi precedenti; che “la disposizione di cui all’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, (relativa alle notifiche all’imputato mediante consegna al difensore di fiducia) si applica solo alle notificazioni successive a quella eseguita ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8, mentre non si applica nell’ipotesi in cui l’imputato abbia precedentemente eletto (dichiarato) domicilio nel luogo di abituale dimora, ex art. 161 cod. proc. pen.”; che la nullità tempestivamente eccepita comporta la nullità del giudizio di appello e della sentenza impugnata”.

Al contrario, la Terza sezione (sentenza Ardito, 20.09 – 08.11.2007, n. 41063 rv 237639) e la Sesta Sezione (sentenze Casilli, 09.03 – 01.06.2006, n. 19267 rv 234499; Borrelli, 02.04 – 31.05.2007, n. 21341 rv 236874, ed altre) rilevano che la forma di notificazione prevista dall’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, “deve ritenersi prevalente su ogni altra”, sicchè, in presenza di nomina fiduciaria, è irrilevante, ai fini della successiva notificazione del decreto di citazione in appello, il domicilio dichiarato dall’imputato;

evidenziano che l’art. 157 cod. proc. pen., comma 8 bis è stato introdotto dalla L. 22 aprile 2005, n. 60, che ha convertito con modificazioni il D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, all’enunciato fine di garantire la ragionevole durata del processo in ottemperanza all’art. 111 Cost. e, quindi, di accelerare i tempi di notifica degli atti;

sottolineano che presupposto di operatività della norma è esclusivamente la previa rituale effettuazione di una prima notifica all’imputato “a piede libero”, riferendosi a tale prima notifica l’incipit dell’art. 157 cod. proc. pen. “salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 cod. proc. pen.”, in considerazione proprio della ratio della nuova disposizione, volta a consentire un tendenziale e generalizzato risparmio di tempi attraverso l’automatica notificazione degli atti ulteriori al difensore di fiducia (che diviene domiciliatario per legge del proprio assistito); sostengono che l’indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; che il difensore di fiducia non soltanto ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell’imputato, ma può anche interrompere l’automatismo delineato dal comma 8 bis in esame, dal momento che la stessa norma prevede che egli “può dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non accettare la notificazione”.

Le opposte soluzioni ermeneutiche risentono della non univoca soluzione normativa data ai rilievi mossi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo al sistema previgente dei processi in contumacia, mediante la L. 22 aprile 2005, n. 60 di conversione del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, nel cui corpo è inserita la normativa in esame.

Due sono i principi ai quali la disciplina in parola ha inteso ispirarsi: 1) il diritto dell’imputato alla conoscenza dell’accusa;

2) la garanzia della ragionevole durata del processo.

Il secondo dei filoni giurisprudenziali sopra esposti mostra di privilegiare la celerità del processo e si inserisce tendenzialmente nelle linee maggiormente evolutive del rapporto imputato-difensore, privilegiando la figura del difensore di fiducia, nella quale individua l’elemento portante ed innovativo della L. n. 60 del 2005, ed assegnando alla notifica all’imputato, mediante consegna al difensore di fiducia, un ruolo del tutto fisiologico, quale forma ordinaria di notificazione.

L’auspicabile semplificazione del sistema delle notificazioni, non completato con chiarezza dal legislatore, non può, tuttavia, essere effettuato in via meramente ermeneutica. Le stesse sentenze fautrici di questo orientamento sono portate ad assegnare alla parte adempimenti non espressamente previsti, ma ricavabili solo forzatamente dal sistema (l’indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; il difensore di fiducia ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell’imputato). Questa soluzione, per altro, comporterebbe un forte ridimensionamento di taluni punti della vigente regolamentazione dell’elezione di domicilio (artt. 161 e 162 cod. proc. pen.), nel senso che la dichiarazione o l’elezione di domicilio ivi previste riguarderebbero esclusivamente l’imputato difeso d’ufficio, in quanto per l’imputato difeso di fiducia non sarebbe possibile alcuna dichiarazione di domicilio, nè un’elezione diversa da quella presso il suo difensore.

La lettura sistematica, allo stato consentita dal complesso delle norme coinvolte – senza che per altro si possa fare carico alla sede ermeneutica della maggiore o minore incisività del raggio di azione della norma positiva -, deve condurre verso l’opzione prescelta dal primo orientamento, con le precisazioni applicative nei sensi di seguito esplicate.

Gli artt. 157 e 161 e ss. cod. proc. pen. descrivono, per quanto attiene alle notificazioni all’imputato non detenuto, un percorso duplice, rafforzato dall’inizio testuale del primo di detti articoli (“salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 c.p.p.”).

In buona sostanza il legislatore ha inteso assicurare la piena conoscenza dell’accusa da parte dell’imputato rappresentandosi due situazioni: la prima si verifica quando manca un previo contatto con le autorità indicate dall’art. 161 cod. proc. pen. ed in tal caso occorre una prima notificazione direttamente all’interessato in una delle forme previste dall’art. 157; la seconda si verifica quando l’imputato può essere avvertito dal giudice, dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria ed il tal caso emergerà, in genere, una dichiarazione o elezione di domicilio e si seguiranno le forme indicate dall’art. 161 e ss. c.p.p.. In questa visione la disposizione contenuta nell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis non può non essere letta nell’ambito dell’articolo che la contiene.

Il sistema appare, dunque, articolato secondo due tipologie di notificazioni.

Quando si deve effettuare la prima notificazione all’imputato, che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dai primi otto commi, art. 157 c.p.p..

Una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l’imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore; questi può “immediatamente”, quindi antecedentemente alla prima notificazione presso di lui, dichiarare all’autorità che procede di non accettare la notificazione, altrimenti il processo nei suoi vari gradi seguirà con la notificazione al difensore di fiducia.

In caso di mancata nomina del difensore di fiducia, si procederà a norma dell’art. 161 cod. proc. pen., commi 2 e 4.

Se, invece, vi sono state elezione o dichiarazione di domicilio, si seguiranno direttamente le forme dettate dall’art. 161 e ss. cod. proc. pen..

Va sottolineato che, in base alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la conoscenza dell’accusa, preordinata allo svolgimento di un’efficace attività difensiva, deve realizzarsi attraverso una “notificazione ufficiale proveniente dall’autorità competente” (Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989); ma non si richiede necessariamente una forma particolare. La stessa Corte delinea un’attività collaborativa da parte dell’imputato, una volta regolarmente avvisato (Kimmel c. Italia, 2 settembre 2004; Booker c. Italia, 14 settembre 2006; Zaratin c. Italia, 23 novembre 2006). Il disinteresse dell’imputato informato equivale ad una rinuncia a presenziare alle udienze con la conseguenza che non è configurabile nessuna violazione della Convenzione.

Ancora, in tema di semplificazione dell’iter del processo attraverso un sistema di notificazioni non incerto, vanno ribaditi i seguenti principi giurisprudenziali: a) l’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, “riguarda l’intero processo e non già ogni grado di giudizio, sicchè non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina” (in tal senso la Terza Sezione nell’ordinanza di rimessione, nonchè Cass. Sez. 5^, 25.05. – 21.11.2006, n. 38136, ric. Bertone e altro, rv 235976 e Sez. 4^, 11.10 – 21.11.2005, n. 41649, Mandrini, rv 232409); b) la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato, mente essa non ricorre nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue l’applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen.. Per altro, l’imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare l’inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell’atto e indicare gli specifici elementi che consentano l’esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice stesso (Cass. Sez. U. sent. 00119 del 2005, Palumbo).

Si possono ora trarre le debite conclusioni sulla questione giuridica controversa.

Al quesito: “Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, possa essere effettuata anche nel caso in cui l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni”, deve essere data risposta negativa.

Consegue come lineare corollario che: 1) l’operatività dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, è subordinata all’assenza di una dichiarazione o elezione di domicilio. Tutte le successive notificazioni, qualora l’imputato abbia nominato un difensore di fiducia e non abbia dichiarato o eletto domicilio, devono essere eseguite mediante consegna al difensore, ferma restando l’assenza di una preclusione all’esercizio della facoltà dell’imputato stesso di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni anche dopo la nomina di un difensore di fiducia, esercizio che ha l’effetto di paralizzare la regola contenuta nel citato comma 8 bis; 2) detta regola, inoltre, riguarda l’intero processo, sicchè non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina; 3) l’eventuale nullità derivante dalla notificazione effettuata ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, per casi diversi da quelli previsti non configura una nullità assoluta ed insanabile per omessa vocatio in jus, bensì una nullità di ordine generale e a regime intermedio per inosservanza delle norme sulla notificazione, che deve ritenersi sanata quando risulti provato che l’errore non abbia impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa; essa rimane comunque senza effetto se non è dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184 c.p.p., comma 1, alle sanatorie generali di cui all’art. 183 c.p.p. e alle regole di deducibilità di cui all’art. 182 cod. proc. pen., oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 c.p.p..

Prendendo in esame la specifica situazione oggetto del primo motivo di ricorso, secondo le emergenze del processo, è agevole rilevare che il 2 dicembre 2003 la M., come risulta dal verbale redatto dalla polizia giudiziaria, dichiarava domicilio presso la sua abitazione in (OMISSIS), ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen., e nominava difensore di fiducia l’avv. Leonardo Trento del foro di Rossano; riceveva a mani proprie, nel domicilio dichiarato, tutti gli atti del procedimento di primo grado (l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e il decreto di citazione diretta a giudizio); il 2 novembre 2005 il Tribunale pronunciava sentenza di condanna, avverso la quale l’imputata proponeva appello personalmente con atto sottoscritto anche dal difensore di fiducia.

Il decreto di citazione per il giudizio di appello veniva notificato, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, mediante consegna al difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento; l’imputata non compariva all’udienza fissata e la Corte ne dichiarava la contumacia; l’estratto contumaciale della sentenza di secondo grado le veniva notificato il 19 gennaio 2007, di nuovo ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, presso il difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento, il quale non si era avvalso della facoltà di non accettare gli atti notificatigli;

il 28 febbraio 2007 l’imputata proponeva personalmente ricorso per cassazione, con atto sottoscritto anche dal nuovo difensore Serafino Trento, nominato in calce al ricorso con contestuale revoca dell’avv. Leonardo Trento (v’è da notare che, a parte l’omonimia patronimica, entrambi i suddetti avvocati fanno parte non solo del medesimo Foro di Rossano, ma anche del medesimo studio – v. il timbro dello studio legale in cui figurano entrambi – e l’avv. Serafino Trento aveva anche sostituito l’avv. Leonardo Trento all’udienza del 15 dicembre 2004 nel corso del giudizio di primo grado).

Come si vede, la ricorrente non solo non deduce la mancata o comunque menomata conoscenza conseguente all’adozione del modello di notificazione previsto dall’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, ma dimostra di essere sempre stata a piena conoscenza di tutti gli sviluppi del processo, avendo anche proposto personalmente le impugnazioni, sia in grado di appello che in sede di legittimità; nè il difensore, presso cui sono state effettuate le notificazioni, ha eccepito alcunchè nel giudizio di appello: ne consegue che la notificazione, certamente non inesistente, ma viziata, in quanto diversa dal modello di notificazione prescritto, non ha provocato nessuna lesione del diritto alla conoscenza e all’intervento dell’imputata e, per altro, la relativa eccezione è comunque tardiva, poichè ben poteva e doveva essere dedotta nel giudizio di appello.

Il primo motivo di ricorso deve essere, quindi, disatteso.

A conclusioni analoghe deve pervenirsi in relazione al secondo motivo di doglianza, con il quale la ricorrente deduce l’erronea affermazione della sua colpevolezza in ordine ai reati ascrittile, in violazione del principio della responsabilità penale personale, assumendo di essere estranea ai fatti, al più attribuibili al marito, proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e committente dell’opera abusivamente realizzata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, in tema di reati edilizi, la responsabilità relativa al manufatto sul quale l’abuso è stato effettuato può dedursi da indizi precisi e concordanti, quali la qualità di coniuge del committente, il regime patrimoniale dei coniugi, lo svolgimento di attività di vigilanza dell’esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco. all’atto dell’accertamento. Pertanto, una volta ritenuto in fatto il diretto interesse ai lavori e la qualità della M. di committente dell’opera abusiva, secondo un accertamento corretto ed insindacabile in sede di legittimità, la Corte territoriale ha conseguentemente ritenuto la colpevolezza dell’imputata, pervenendo a conclusioni esenti da vizi logico- giuridici (v., ex plurimis, Cass. Sez. 3, sent. n. 32856 del 2005 rv 232200, Farzone; n. 26121 del 2005, Rosato, rv 231954).

Neppure si è verificata l’invocata prescrizione dei residui reati per i quali la Corte catanzarese ha affermato la responsabilità penale della M..

I fatti sono stati contestati come ancora in corso il 20.11.2003; il periodo prescrizionale massimo, secondo la normativa applicabile alla specie, matura in quattro anni e sei mesi; a questo arco di tempo va, poi, aggiunto il periodo di sospensione di un mese a causa del rinvio dell’udienza in sede di appello dal 13.11 al 13.12.2006, dietro richiesta del difensore dell’imputata: l’evento estintivo dei reati si verificherebbe, quindi, soltanto il 20.6.2008. Si aggiunga che la sentenza di appello ha fissato, senza rilievi di parte, al 2.12.2003 (e non al 20.11) la fine dei lavori.

Quanto al trattamento sanzionatorio, infine, la Corte territoriale, nel confermare i criteri adottati dal primo giudice, ha provveduto ad eliminare la pena inflitta per la contravvenzione dichiarata prescritta ed ha ridotto l’aumento per la continuazione, ritenuto eccessivo, pervenendo così ad una pena del tutto adeguata ai profili oggettivi e soggettivi dei reati commessi, secondo i criteri fissati dall’art. 133 c.p..

Consegue alle suesposte considerazioni il rigetto del ricorso.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2008


Cass. civ. Sez. V, (ud. 12-02-2008) 21-04-2008, n. 10267

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA 24840/2003

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere

Dott. RUGGIERO Francesco – rel. Consigliere

Dott. SCUFFI Massimo – Consigliere

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso principale, iscritto sotto R.G. n. 21491/03 proposto da:

Società CENTRO RISCOSSIONE TRIBUTI – CERIT – S.p.A., in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale notarile, dagli Avv.ti ERMETES Augusto e Paolo Ermetes, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Viale dell’Università n. 11;

– ricorrente controricorrente e ricorrente incidentale condizionato –

contro

B.F., rappresentata e difesa dagli Avv.ti SIRCA Bernardino e Spinelli Giordano Tommaso, presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, Via Bissolati n. 76, giusta procura speciale in calce;

nonchè sul controricorso e ricorso incidentale condizionato, iscritto sotto R.G. n. 22856/03, proposto da:

– controricorrente ricorrente incidentale –

nonchè sul controricorso e ricorso incidentale adesivo, iscritto sotto R.G. n. 24840/03, proposto da:

Amministrazione dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, e Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliate in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale adesivo –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana-Firenze, n. 21/11/02, depositata il 19/6/02;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/2/08 dal Relatore Cons. Dott. Francesco Ruggiero;

Udito l’Avv. Ermetes, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale;

Udito l’Avv. Carlo Albini, per delega dell’Avv. Tommaso Spinelli Giordano, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale condizionato;

Udito l’Avv. Gen. dello Stato Paolo Gentili, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso incidentale adesivo;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso principale e dichiararsi l’inammissibilità del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo
Oggetto della controversia è l’impugnativa da parte della signora B.F., quale socia della s.n.c. Burini Trasporti, di due avvisi di mora (n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)), per IVA del 1991 ed interessi, conseguenti ad altri avvisi di irrogazione sanzioni, elevati dall’Ufficio IVA di Firenze, ed alle relative cartelle di pagamento, a suo tempo notificate a detta società.

Controdeducevano in primo grado avverso il ricorso della contribuente l’Ufficio IVA di Firenze, la Cassa di Risparmio di Firenze, quale concessionaria del Servizio di Riscossione, e la S.p.A. San Paolo Riscossioni, quale delegata per la riscossione per la Provincia di Prato.

La decisione della Commissione Tributaria Provincia,le di Firenze (sentenza n. 125/16/2000), sfavorevole alla contribuente, veniva da quest’ultima appellata.

La Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza in epigrafe indicata, accoglieva il gravame e, in riforma della decisione di primo grado, annullava gli avvisi di mora impugnati. Così motivava:

l’avviso di irrogazione sanzioni deve essere notificato alla società, quale debitore principale, entro i termini di decadenza;

anche nelle ipotesi di esecuzione forzata ai danni del socio solidale è necessaria la notifica del titolo esecutivo, costituito dalla cartella di pagamento, anche se non dell’avviso di irrogazione sanzioni; alla stregua delle esecuzioni ordinarie, il creditore può escutere il debitore solidale, previa escussione del debitore principale, ma previa notifica allo stesso del titolo esecutivo;

l’avviso di mora non era valido, non risultando che era stato preceduto dalla notifica alla contribuente della cartella di pagamento; dalla nullità dell’avviso di mora impugnato conseguiva la sua inutilizzabilità ai fini esecutivi; tutte le altre questioni sollevate dalla contribuente restavano assorbite.

Per la cassazione di questa decisione proponeva ricorso, articolando un solo complesso motivo, la società CERIT, quale concessionaria del Servizio di Riscossione dei Tributi per la Provincia di Firenze per il periodo 1-1-2002/31-12-2004.

L’Amministrazione Finanziaria proponeva controricorso e ricorso incidentale adesivo in termini, formulando un solo complesso motivo.

La contribuente B. proponeva controricorso e ricorso incidentale condizionato, in cui riproponeva eccezioni già mosse e ritenute assorbite.

Infine, detta società ricorrente proponeva controricorso a ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione
1 – La ricorrente società CERIT con l’unico complesso motivo articolava due profili di censura: la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 45 e 46 (disciplina della riscossione delle imposte nel testo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46 del 1999), rilevando l’erroneità della motivazione della sentenza impugnata ove era stata affermata l’inutilizzabilità della notifica dei soli avvisi di mora ai fini esecutivi nei confronti dell’obbligato solidale; la violazione dell’art. 2291 c.c., comma 1, evidenziando che, in forza della responsabilità solidale ed illimitata, il socio è sottoposto all’esazione del debito di imposta, qualora il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio sociale.

2 – La controricorrente Amministrazione Finanziaria, in sede di ricorso incidentale adesivo, formulava i medesimi profili di censura dedotti dalla ricorrente società CERIT con l’unico complesso motivo, sottolineando che per poter procedere ad espropriazione forzata, per le imposte non pagate dalla società, nei confronti del coobbligato solidale è necessario notificare l’avviso di mora, senza richiedere o presupporre la notifica dell’avviso di accertamento e della cartella di pagamento.

3 – La contribuente B., oltre al controricorso, proponeva ricorso incidentale condizionato, in cui lamentava il mancato esame da parte dei giudici regionali di ulteriori eccezioni specificamente sollevate, ma ritenute assorbite, ed in particolare: la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 e art. 2964 c.c.; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3, 4, 5 e art. 25, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13. 4 – Infine, la stessa CERIT ricorrente interponeva controricorso a ricorso incidentale condizionato proposto dalla B., replicando specificamente in ordine ai seguenti punti: la violazione falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 e art. 2964 c.c.; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3, 4, 5 e art. 25, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 18. 5 – Preliminarmente, i ricorsi devono essere riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza.

6 – Sono fondati e vanno accolti il ricorso principale della società CERIT e il ricorso incidentale adesivo dell’Amministrazione Finanziaria.

Per la soluzione dei temi fondamentali che la controversia pone deve darsi applicazione – in piena e convinta condivisione – ai consolidati principi di diritto enunciati da questa Corte.

In particolare, quanto al regime della responsabilità del socio di società in nome collettivo, deve riaffermarsi che la notificazione di un avviso di mora ai soci di una società in nome collettivo – e, più in generale, delle società di persone illimitatamente e solidalmente responsabili – del maggior debito d’imposta della società conferisce all’avviso di mora di svolgere, oltre alla funzione, primaria – e necessaria, di atto equivalente al precetto nell’esecuzione forzata, anche la funzione secondaria di atto equivalente a quelli di imposizione tributaria, quando, in difetto di notificazione dell’accertamento, sia il primo atto di esecuzione del potere impositivo, per cui gli atti presupposti, se non impugnati congiuntamente all’avviso di mora, diventano inoppugnabili (Cass. 16/6/1995, n. 6846; 17/6/1995, n. 6857; 29/10/1997, n. 10638;

5/2/2001, n. 1592; 4/5/2001, n. 6260; 1/3/2002, n. 2984; 3/4/2003, n. 5179; 25/6/2003, n. 10093; 8/5/2006, n. 10533; 9/5/2007, n. 10584).

In sintesi, la responsabilità solidale ed illimitata del socio, prevista dall’art. 2291 c.c., comma 1, per i debiti della società in nome collettivo opera, in assenza di espressa previsione derogativa, anche per i rapporti tributari, con riguardo alle operazioni dai medesimi derivanti.

Pertanto, il socio, ancorchè privo della qualità di obbligato per detta imposta e come tale estraneo agli atti impositivi rivolti alla formazione del titolo, resta sottoposto, dopo l’iscrizione a ruolo a carico della società, all’esazione del debito stesso, alla condizione posta dall’art. 2304 c.c., e cioè quando il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio sociale.

Condizione quest’ultima che, concludentemente, può evincersi dalla sequenza degli atti impositivi adottati dall’Amministrazione: nel caso che ci occupa, stante l’infruttuosa notifica delle cartelle di pagamento alla società in nome collettivo Burini Trasporti, si rendeva necessario intraprendere l’azione esecutiva nei confronti della socia solidalmente ed illimitatamente responsabile.

In definitiva, va affermato il seguente principio di diritto: escusso inutilmente il patrimonio di una società in nome collettivo, legittimamente l’Amministrazione Finanziaria può chiamare a rispondere il socio solidalmente ed illimitatamente responsabile, senza che vi sia la necessità di notificare nè l’avviso di accertamento, rimasto inoppugnato da parte della società, nè la cartella di pagamento, rimasta inadempiuta da parte della società medesima, essendo sufficiente la notificazione dell’atto di riscossione costituito dall’avviso di mora, avverso il quale il socio può ricorrere, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, parte terza, secondo la cui testuale previsione “La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”. 7 – Il ricorso incidentale della controricorrente B. deve essere ritenuto inammissibile. Infatti, la decisione della Commissione Tributaria Regionale era favorevole alla contribuente, avendo accolto il gravame della stessa, con la riforma della sentenza di primo grado e l’annullamento degli avvisi di mora: richiesta quest’ultima costituente il petitum del ricorso introduttivo, sicchè le altre questioni risultavano (correttamente) assorbite.

Ne consegue l’inammissibilità per difetto interesse, salvo il successivo esame delle questioni (già) assorbite.

8 – In conclusione, il ricorso incidentale della B. va dichiarato inammissibile.

In accoglimento del ricorso principale della società CERIT e del ricorso incidentale dell’Amministrazione Finanziaria, la gravata decisione dei giudici regionali deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione del giudice a quo, che si atterrà agli enunciati principi di diritto, provvedendo anche in ordine alla spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale ed il ricorso incidentale dell’Amministrazione Finanziaria. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale della contribuente. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2008.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2008