Cass. civ., Sez. VI – 1, Ord., (data ud. 10/05/2022) 19/09/2022, n. 27379

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27405/2021 proposto da:

R.E., B.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO UGONIO, 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ODDI, rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO BONNI;

– ricorrenti –

contro

BANCA INTESA SAN PAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato FULVIO FERLITO PUCCINOTTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1547/2021 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata l’11/08/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/05/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA FIDANZIA.

Svolgimento del processo
– che viene proposto da B.S. ed R.E., affidandolo ad un unico articolato motivo, ricorso avverso la sentenza n. 1547/2021 dell’11.8.2021 con la quale la Corte d’Appello di Firenze ha dichiarato inammissibile per tardività l’appello proposto dai medesimi e da altri appellanti avverso la sentenza n. 76/2017 con cui il Tribunale di Livorno aveva respinto l’opposizione proposta da tali soggetti, quali fideiussori della (OMISSIS) (poi fallita), avverso il decreto ingiuntivo emesso dallo stesso tribunale a titolo di saldo del conto anticipi n. 282. – che il giudice di secondo ha disatteso la prospettazione degli appellanti secondo cui la prima notificazione della sentenza di primo grado (la seconda era avvenuta cinque giorni dopo), avvenuta in data 25 gennaio 2017, sarebbe stata nulla, non riportando la sentenza medesima nè la firma digitale nè quella autografa del giudice che la aveva emessa – evidenziando che il duplicato informatico della sentenza, seppur non materialmente visibile, era comunque esistente e poteva essere verificato attraverso i programmi di verifica della firma elettronica;

– che, pertanto, la predetta notifica del 25 gennaio 2017 era pienamente valida ed idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, con conseguente tardività dell’atto di appello che era stato consegnato per la notifica il 28.2.2017 e ricevuto dalla banca il 3.3.2017;

– che Banca Intesa San Paolo Alberto si è costituita in giudizio con controricorso;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380 bis c.p.c.;

– che entrambe le parte hanno deposito la memoria ex art. 380 bis. c.p.c..

Motivi della decisione
1. che i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 326 c.p.c., in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 5, e art. 161 c.p.c., comma 2, sul rilievo che la sentenza notificata in data 25.1.2017 costituiva un documento che, ancorchè autenticato dall’avvocato, non poteva essere considerato un provvedimento giurisdizionale in quanto privo sia della sottoscrizione giudice in calce all’atto, sia della firma digitale, non presentando quel documento alcun segno grafico (coccarda e stringa) da cui si potesse presumere l’avvenuta sottoscrizione; che, pertanto, il legale della banca aveva autenticato un atto inesistente ex art. 161 c.p.c., e come tale inidoneo a far decorrere il termine breve ex art. 326 c.p.c., con la conseguenza che la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare come termine di decorrenza per la proposizione dell’appello quello della seconda notifica avvenuta in data 30.1.2017;

2. che il ricorso è manifestamente infondato;

– che, in proposito, va osservato che i ricorrenti, nel sostenere la nullità della notifica della sentenza di primo grado, effettuata in data 25.1.2017, per essere il documento privo di alcun segno grafico che attestasse l’esistenza della firma digitale, hanno, in modo evidente, confuso l’istituto del duplicato informato della sentenza sottoscritta telematicamente con quello della copia informatica della stessa;

che, in particolare, i requisiti che i ricorrenti associano al duplicato informatico appartengono, invece, alla copia informatica di un documento nativo digitale, la quale presenta effettivamente, sul bordo destro delle pagine, la “coccarda” e la stringa alfanumerica indicante i firmatari dell’atto/provvedimento, segni grafici, che sono generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari e che non rappresentano, peraltro, la firma digitale, ma una mera attestazione in merito alla firma digitale apposta sull’originale di quel documento (vedi Cass. n. 11306/2021);

che, invece, come si evince dal D.L n. 179 del 2012, art. 1, lett. i quinques, e art. 16 bis, comma 9 bis, (codice dell’amministrazione digitale), il duplicato informatico è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (che si misurano in bit);

che ne consegue che la corrispondenza del duplicato informatico (in ogni singolo bit) al documento originario non emerge (come, invece, nelle copie informatiche) dall’uso di segni grafici – la firma digitale è, infatti, una sottoscrizione in “bit”, una firma elettronica, il cui segno, restando nel file, è invisibile sull’atto analogico, ovvero sulla carta – ma dall’uso di programmi di algoritmi, che consentano di verificare e confrontare l’impronta del file originario con il duplicato (esattamente come affermato dalla Corte d’Appello);

che, infine, correttamente il giudice d’appello ha, altresì, affermato la non necessità di attestazione di conformità tra originale e duplicato (nel caso di specie, peraltro, tale attestazione è pure stata prodotta dalla banca), atteso che l’art. 23 bis del CAD (D.L. n. 179 del 2012) comma 1 recita che: “I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida”;

che, alla luce delle predette considerazioni, l’assunto dei ricorrenti secondo cui il duplicato informatico della sentenza (notificato il 25.1.2017) sarebbe privo delle firma digitale è frutto solo di un fraintendimento sul significato di duplicato informatico, e comunque si appalesa come di merito, in quanto finalizzato a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello;

che, in conclusione, essendo la prima notifica della sentenza di primo grado del 25 gennaio 2017 (effettuata dalla banca) pienamente valida, correttamente la Corte d’Appello ha fatto decorrere il termine breve per l’impugnazione da quella data;

– che sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti in ragione della novità della questione sottoposta a questa Corte.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002D.P.R. 30/05/2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2022


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 21/06/2022) 12/09/2022, n. 26810

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –

Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21313/2019 R.G. proposto da:

L.G., rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Giacomo Triolo, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Giuliano Dominici, in Roma, Viale Giulio Cesare, n. 6;

– ricorrente –

contro

B.F., rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Salvatore Ziino, e dall’avv. Antonino Maria Cremona, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Paolo Palmeri, in Roma, Piazza del Fante, n. 2;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 2408/2018, pubblicata in data 18 gennaio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21 giugno 2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.

Svolgimento del processo
1. L.G. convenne dinanzi al Tribunale di Agrigento B.F. al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dello sprofondamento di parte dell’immobile adibito ad uso commerciale condotto in locazione, causato dal cedimento del costone retrostante il fabbricato.

A sostegno della domanda evidenziava che la convenuta, in violazione dei canoni di buona fede e correttezza, aveva omesso di rappresentarle che l’immobile si trovava in grave stato di pericolo già prima della stipula del contratto di locazione e che il crollo del costone aveva determinato lo sprofondamento di una parte dell’immobile locato adibito a magazzino, con conseguente distruzione di tutta la merce ivi depositata.

La B. dedusse l’inammissibilità della domanda, facendo presente che aveva richiesto ed ottenuto Decreto Ingiuntivo dell’importo di Euro 14.000,00, a titolo di canoni di locazione non corrisposti, nei confronti della L., la quale aveva proposto opposizione facendo rilevare in quella sede le medesime pretese risarcitorie azionate nel presente giudizio.

Disposto il mutamento del rito, il Tribunale di Agrigento, respinte le richieste istruttorie, dichiarò risolto il contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c. e condannò la convenuta al pagamento, in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, dell’importo di Euro 1.000.000,00, già comprensivo di rivalutazione monetaria ed interessi legali maturati alla data di deposito della sentenza, nonchè al rimborso delle spese di lite.

2. Avverso la predetta sentenza la B. propose appello, sostenendo, tra l’altro, che il giudice di primo grado aveva errato nel rigettare l’eccezione di improponibilità delle domande proposte dalla L. per violazione del divieto di frazionamento della domanda, ribadendo che, antecedentemente all’introduzione del presente giudizio, aveva ottenuto dal Tribunale di Agrigento decreto ingiuntivo per canoni non pagati e che, proponendo opposizione, la L. aveva replicato che la locatrice non le aveva fatto presente che l’immobile versava in grave stato di pericolo, ma aveva anzi garantito che l’immobile non presentava pericolo alcuno di crollo, cosicchè, a fronte del grave inadempimento, non era tenuta al pagamento dei canoni di locazione.

In riforma parziale della sentenza impugnata, la Corte d’appello di Palermo rigettò la domanda di risarcimento danni proposta dall’appellata, annullando la statuizione della sentenza di primo grado che condannava la B. al pagamento di somme a titolo risa rcitorio.

Osservò, in particolare, che:

a) la B. aveva ottenuto dal Tribunale di Agrigento, in data 13 marzo 2015, Decreto Ingiuntivo nei confronti della L. per canoni non pagati; avverso il decreto ingiuntivo era stata proposta opposizione dalla L. che aveva lamentato il grave inadempimento della locatrice, negando di essere obbligata al versamento dei canoni di locazione;

b) con l’atto introduttivo del presente giudizio la L. aveva chiesto il risarcimento dei danni fondato sullo stesso fatto posto a fondamento delle difese svolte nell’opposizione a Decreto Ingiuntivo;

c) non era ravvisabile il frazionamento della domanda da parte della L., in quanto quest’ultima, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non aveva proposto alcuna domanda risarcitoria nei confronti della B., ma si era limitata, in via di eccezione, ad esporre che il diritto al pagamento dei canoni non sussisteva, in quanto non le era stato rappresentato il grave stato di pericolo in cui si trovava l’immobile oggetto di locazione;

d) in assenza di impugnazione, si era formato il giudicato interno sul capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione stipulato tra le parti per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c., cosicchè non era possibile verificare se l’obbligo della locatrice di garantire l’idoneità dell’immobile locato da vizi che ne impedivano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, per tutta la durata del rapporto contrattuale, fosse o meno possibile all’atto della conclusione del contratto;

e) per effetto del giudicato interno formatosi, non poteva trovare applicazione il disposto di cui all’art. 1578 c.c., che faceva riferimento ai vizi dell’immobile esistenti all’atto della sua consegna;

f) nella fattispecie era da escludersi la configurabilità di un comportamento in mala fede della locatrice nell’avere locato l’immobile, dato che lo stesso, al momento della stipula del contratto di locazione, appariva perfettamente idoneo all’uso concordato poichè non esistevano segni apparenti dell’imminente crollo del costone roccioso e del muro di contenimento posti sul retro dell’immobile, nè poteva ritenersi che, all’atto della stipula del contratto di locazione, fosse prevedibile che in futuro, nel corso della durata del contratto di locazione, non sarebbe stato possibile utilizzare l’immobile locato;

g) antecedentemente alla stipula del contratto di locazione si erano verificati soltanto fenomeni di colamento di detriti di terra a monte del banco calcarenitico, ma tali fenomeni si erano interrotti al limite delle gabbionate che sovrastavano il muro di sostegno posto dietro l’edificio dove si trovava l’immobile locato; a seguito di sopralluoghi effettuati dal Comune di Agrigento era stata emanata l’ordinanza sindacale n. 52 del 7 marzo 2011, con la quale era stato inibito l’uso degli spazi condominiali adibiti a garage retrostanti l’edificio dal n. (OMISSIS) al n. (OMISSIS) fino alla messa in sicurezza del sovrastante terreno, ma i predetti numeri civici non afferivano alla proprietà B.; nessun pericolo di instabilità del costone e del muro posti a tergo dell’immobile era stato ravvisato dalle autorità intervenute il (OMISSIS);

h) dalla consulenza tecnica eseguita dalla Procura della Repubblica di Agrigento risultava che: il muro di sostegno della montagna posto dietro l’edificio non presentava dissesti all’atto degli eventi verificatisi in data (OMISSIS); la causa del crollo del costone roccioso e di parte del muro di contenimento retrostanti era riconducibile alla formazione di una frattura del terreno di fondazione calcarenitico al piede del muro di sostegno, con conseguente perdita di equilibrio del muro e frana a tergo del muro stesso; la propagazione della frattura era avvenuta in un intervallo temporale ampio, via via che si incrementavano le pressioni neutre per effetto della perdita di efficienza dei drenaggi esistenti del pendio, a causa di una miscela di acque di falda ed acque potabili provenienti da consistenti perdite della rete idrica dell’ex Ospedale (OMISSIS) poste a monte del pendio;

i) gli ulteriori avvenimenti verificatisi successivamente al (OMISSIS) erano del tutto irrilevanti; infatti, la circostanza che la società ADR s.r.l., amministrata dal figlio della L., avesse stipulato, in data 1 marzo 2014, ossia quattro giorni prima della frana, un contratto di locazione di altro immobile nello stesso fabbricato, era del tutto irrilevante, in quanto era ben possibile che l’amministratore della società non fosse a conoscenza degli eventi o che, pur essendone a conoscenza, avesse comunque inteso stipulare il contratto di locazione, ritenendo che gli eventi del (OMISSIS) fossero insignificanti in relazione all’utilizzabilità dell’immobile locato; parimenti irrilevante era la circostanza che la B. fosse a conoscenza degli eventi del (OMISSIS), in quanto proprietaria dell’immobile ed in quanto il fratello, per sua delega, aveva partecipato all’assemblea condominiale del 17 marzo 2011, in cui si era discusso della nomina di un legale a tutela del danno temuto a causa dello smottamento che si era verificato e dell’ordinanza del 9 marzo 2011 inviata dal Comune con la quale si inibiva l’uso degli spazi condominiali retrostanti l’immobile.

3. L.G. ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta decisione d’appello, sulla base di due motivi.

B.F. ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato, con un unico motivo.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero presso la Corte.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione si deduce la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1571, 1575, 1578 e 1256 c.c., nonchè “l’omessa valutazione di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Segnatamente, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non provata la responsabilità della B., pur a fronte della prova documentale della sussistenza dei vizi dell’immobile in data antecedente alla stipula del contratto di locazione, e ribadisce che la locatrice l’aveva indotta in errore garantendo che l’immobile si trovava in ottime condizioni e che era esente da pericolo di crollo, pur essendo a conoscenza che l’immobile locato fosse affetto da vizi gravi che ne impedivano l’utilizzo, presentando il costone retrostante, di natura argillosa, già a far data dal 2010, fenomeni di colamento gravitativo con grave rischio di crollo sull’immobile condotto in locazione.

Rimarca, in particolare, la ricorrente, a comprova che la B. fosse a conoscenza dello stato di pericolo dell’immobile locato, che:

a) nei primi mesi del 2011, ossia prima della stipula del contratto di locazione, avvenuta in data 31 maggio 2011, si erano verificati consistenti smottamenti e caduta di abbondante terriccio sull’edificio ove era ubicato l’immobile locato;

b) in data 17 marzo 2011 era stata convocata una assemblea condominiale – alla quale aveva partecipato il fratello della B., su delega di quest’ultima – avente come ordine del giorno la “nomina di legale a tutela per danno temuto a causa dello smottamento verificatosi nel terreno lato nord dell’edificio”; nel corso dell’assemblea l’amministratore aveva comunicato di avere ricevuto in data 9 marzo 2011 l’ordinanza del Sindaco di Agrigento, datata 7 marzo 2011, con cui si inibiva l’utilizzo degli spazi condominiali retrostanti l’immobile ed in quella stessa sede era stata istituita una commissione composta da alcuni condomini, tra i quali B.G., fratello della controricorrente, al fine di affiancare l’amministratore del Condominio per la risoluzione del problema;

c) il Condominio, in data 11 marzo 2011, aveva inviato atto di costituzione in mora a diversi enti e, in data 20 marzo 2011, al Comune e a Girgenti Acque, rappresentando che vi era grave pericolo sull’immobile a causa degli “smottamenti nel costone (OMISSIS) e retrostante edificio (OMISSIS)”;

d) il Comune di Agrigento aveva inviato al Condominio (OMISSIS) una nota datata 14 giugno 2012, nella quale si faceva riferimento ad una ordinanza sindacale n. 52/2011 in cui si prescriveva all’amministratore dell’edificio e, quindi, ai proprietari degli immobili, di inibire l’utilizzo degli spazi condominiali retrostanti l’edificio fino ad avvenuta eliminazione del pericolo;

e) il Condominio (OMISSIS) in precedenza aveva inviato al Comune di Agrigento una missiva chiedendo di revocare l’ordinanza sindacale n. 52/2011, che era stata riscontrata dal Comune con nota del 27 marzo 2012, con cui era stato comunicato che l’ordinanza non poteva essere revocata in quanto il pericolo era imminente e sussistente.

Ad avviso della ricorrente, pertanto, già dal mese di (OMISSIS) la B. era a conoscenza dei vizi da cui era affetto l’immobile, ma, nonostante ciò, pur non essendo stati effettuati i lavori di messa in sicurezza dell’immobile, lo aveva concesso in locazione, omettendo di comunicare alla conduttrice il grave stato di pericolo.

A seguito della stipula del contratto di locazione – soggiunge la ricorrente – aveva effettuato ingenti investimenti, sostenendo elevati costi per l’acquisto di attrezzature, arredamenti e per interventi di manutenzione edilizia, aveva inoltre assunto dipendenti e proceduto all’acquisto di un vasto assortimento di merce; il fatto verificatosi in data (OMISSIS) aveva comportato una improvvisa interruzione dell’attività commerciale, dato che l’Autorità pubblica aveva disposto l’evacuazione dell’intero condominio, con conseguente impossibilità di utilizzare l’immobile locato che era crollato. Erra, pertanto, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata laddove afferma che non vi era prova che il vizio fosse esistente al momento della stipula del contratto e che l’evento verificatosi nel (OMISSIS) non fosse strettamente collegato agli eventi verificatisi nel (OMISSIS), essendo al contrario la B. incorsa in grave inadempimento contrattuale, a nulla valendo che l’evento dannoso si fosse verificato a distanza di tre anni dalla stipula del contratto. Dalle stesse argomentazioni esposte dalla Corte di appello, prosegue la ricorrente, si evince che la causa del crollo del costone roccioso era da ascrivere alla formazione della frattura del terreno di fondazione calcarenitico al piede del muro di sostegno e la stessa consulenza tecnica disposta dalla Procura della Repubblica di Agrigento aveva chiarito che gli eventi erano iniziati nel (OMISSIS) e poi terminati nel (OMISSIS) quando si era verificato l’evento dannoso.

La ricorrente sottolinea, quindi, che la locatrice avrebbe violato i canoni di buona fede e correttezza, avendo l’obbligo di mantenere il bene locato in buone condizioni di utilizzo, e addebita alla Corte d’appello di avere erroneamente affermato che si fosse formato il giudicato interno sulla dichiarata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, posto che in appello aveva insistito nel sostenere che si era in presenza di una risoluzione contrattuale per inadempimento, contestando dunque la impossibilità sopravvenuta; in ogni caso, l’impossibilità sopravvenuta, seppure sussistente, era addebitabile a colpa della locatrice che era a conoscenza dell’evento che aveva reso impossibile la prestazione ed era pertanto tenuta al risarcimento del danno. In ogni caso, secondo la ricorrente, la sentenza gravata sarebbe censurabile per avere trascurato di valutare fatti storici decisivi, quali le delibere condominiali, le ordinanze del Comune di Agrigento e la consulenza disposta dalla Procura della Repubblica di Agrigento.

2. Con il secondo motivo d’impugnazione si deduce nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c..

La ricorrente, partendo dalla premessa che si verte in ipotesi di inadempimento contrattuale per grave responsabilità della locatrice, sostiene che quest’ultima era tenuta al risarcimento sia del danno emergente che del lucro cessante, di cui era stata fornita piena prova mediante la documentazione prodotta.

3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, B.F. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 645, 647 e 653 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost..

Precisa che nel giudizio di appello aveva dedotto che le domande proposte dalla L. erano inammissibili, poichè l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo richiesto per il pagamento dei canoni era stata dichiarata inammissibile con sentenza passata in giudicato, di cui era stata depositata copia. La Corte d’appello aveva ritenuto che la L. con l’instaurazione del giudizio di risarcimento dei danni non avesse frazionato la domanda, ma tale statuizione, ad avviso della controricorrente, non teneva conto degli effetti del giudicato che si era formato nel giudizio sulla debenza dei canoni, che copriva il dedotto ed il deducibile, precludendo l’esame delle domande proposte dalla L. che erano basate su fatti costitutivi incompatibili con l’accertamento passato in giudicato.

4. In controricorso la B., in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione perchè tardivamente proposto dopo il decorso di sessanta giorni dalla notifica della sentenza impugnata, avvenuta presso la cancelleria della Corte d’appello in data 22 gennaio 2019. Ha spiegato che in data 18 gennaio 2019, pur avendo tentato la notifica della sentenza d’appello alle caselle p.e.c. dei difensori della odierna ricorrente, questa non è andata a buon fine: la notifica all’avv. Sgarito non è stata consegnata per “casella piena”, mentre quella all’avv. Triolo non si è perfezionata per “errore tecnico presso il gestore ricevente”. Considerato che la L. non aveva eletto domicilio nel circondario in cui aveva sede l’ufficio giudiziario dinanzi al quale si era svolto il giudizio d’appello, bensì presso lo studio dei suoi difensori, sito in (OMISSIS), in data 22 gennaio 2019 aveva eseguito la notifica presso la cancelleria della Corte d’appello di Palermo, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 e D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, posto che la notifica a mezzo Pec aveva avuto esito negativo per cause imputabili ai destinatari delle caselle di posta elettronica.

4.1. L’eccezione è fondata.

4.2. Occorre osservare che il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 – articolo rubricato “Domicilio digitale” e introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, convertito, con modificazioni, nella L. n. 114 del 2014 -prevede testualmente: “Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

Tale disposizione normativa, nell’ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione), impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il Re.G.Ind.E, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo p.e.c., per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.

La prescrizione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, prescinde dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l’indirizzo p.e.c. del difensore, stante l’obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell’ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel Re.G.Ind.E. La norma in esame, dunque, depotenzia la portata dell’elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia non consente, pertanto, la notificazione dell’atto in cancelleria, ma la impone pur sempre e necessariamente alla p.e.c. del difensore domiciliatario, salvo l’impossibilità per causa al medesimo imputabile, e, al contempo, svuota di efficacia prescrittiva anche il R.D. n. 37 del 1934, art. 82, che, stante l’obbligo di notificazione tramite p.e.c. presso gli elenchi/registri normativamente indicati, può assumere rilievo unicamente in caso di mancata notificazione via p.e.c. per causa imputabile al destinatario della stessa, quale localizzazione dell’ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria (Cass., sez. 3, 11/07/2017, n. 17048; Cass., sez. 3, 08/06/2018, n. 14914; Cass., sez. 6-2, 23/05/2019, n. 14140; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 29/01/2020, n. 1982; Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164; Cass., sez. 1, 03/02/2021, n. 2460).

Da quanto esposto discende che, nel caso di specie, essendo il D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, entrato in vigore il 19 agosto 2014 e trovando esso immediata efficacia nei giudizi in corso per gli atti compiuti successivamente alla sua vigenza, in applicazione del principio del tempus regit actum (Cass., sez. 3, 18/07/2013, n. 17570; Cass., sez. 1, 24/03/2016, n. 5925; Cass., sez. 6-5, 20/01/2017, n. 1635; Cass., sez. 6-3,14/12/2017, n. 30139), la notificazione della sentenza di appello a L.G. avrebbe dovuto essere effettuata presso l’indirizzo p.e.c. dei difensori della stessa risultante dagli elenchi/registri indicati dall’art. 16-sexies citato e, soltanto ove impossibile per causa imputabile a detti difensori, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pendeva la lite 4.3. Come emerge dagli atti, il difensore della B. ha effettuato la notificazione della sentenza d’appello nei confronti dei difensori della odierna ricorrente a mezzo p.e.c., ma il sistema ha generato un avviso di mancata consegna, segnalando, con riguardo all’avv. Carla Sgarito, che la casella risultava “piena” e, quanto all’avv. Triolo, che “presso il gestore ricevente si era verificato un errore tecnico che impediva la consegna”.

4.4. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la notifica a mezzo Pec della L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis, di un atto del processo ad un legale implica l’onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell’attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l’allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto; peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l’onere in questione non può dirsi eccezionale od eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l’esercizio della professione (Cass., sez. 6-3, 25/9/2017 n. 22320).

4.5. In particolare, con specifico riferimento alla ipotesi di saturazione della casella PEC, è stato escluso che essa configuri un impedimento non imputabile al difensore (Cass., sez. 6-1, 12/11/2018 n. 28864, in motivazione; Cass., sez. 1, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 09/01/2020, n. 3164; Cass., sez. 3, 20/12/2021, n. 40758). Tale affermazione si pone in continuità con precedenti pronunzie di questa Corte che hanno sottolineato come, una volta ottenuta dall’ufficio giudiziario l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell’Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l’onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali (Cass., sez. L, 02/07/2014 n. 15070; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532).

4.6. Va, peraltro, evidenziato, come precisato da Cass., sez. 6-5, 18/02/2020, n. 3965, che, in caso di mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario è comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito. Infatti, ai sensi del D.M. n. 44 del 2011, art. 16, comma 4, “nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata (…) viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’art. 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori”.

4.7. Per completezza espositiva il Collegio deve pure rilevare che, secondo alcune pronunce di questa Corte (Cass., sez. 5, 20/07/2018, n. 19397; Cass., sez. L, 30/12/2019, n. 34736; Cass., sez. 6-3, 26/05/2021, n. 14446; Cass., sez. 3, 20/12/2021, n. 40758), il mancato perfezionamento della notifica telematica effettuata dall’avvocato per non avere il destinatario reso possibile la ricezione di messaggi sulla propria casella p.e.c. impone alla parte notificante di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 c.p.c. e segg., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, u.p., prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione di avvenuta consegna. Secondo altro orientamento (Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164), “la notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi”.

4.8. Nella fattispecie in esame si può, tuttavia, prescindere da ogni valutazione sulla questione prospettata dalle pronunce sopra richiamate. E ciò in quanto, a fronte del mancato perfezionamento della notifica all’avv. Sgarito a causa del riempimento della casella p.e.c., e dunque per una ragione non imputabile al notificante, ma piuttosto addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532), il difensore della B. ha comunque proceduto (anche in un tempo adeguatamente contenuto, in conformità ai principi espressi da Cass., sez. U., 15/07/2016, n. 14594) alla notificazione della sentenza d’appello mediante deposito dell’atto presso la cancelleria della Corte di appello presso la quale pendeva la lite, considerato che entrambi i difensori della odierna ricorrente erano domiciliati extra discrictum, cosicchè da tale momento è sicuramente iniziato a decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c., per la impugnazione della sentenza d’appello.

Resta, peraltro, del tutto irrilevante che la notificazione telematica della sentenza di appello eseguita nei confronti dell’altro difensore della L., avv. Triolo, non sia stata consegnata a causa di un errore tecnico imputabile al gestore, e non al titolare della casella di posta elettronica, posto che la notificazione della sentenza ad uno soltanto dei difensori nominati dalla parte è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare, di cui all’art. 325 c.p.c. (Cass., sez. 1, 31/08/2017, n. 20625; Cass., sez. 6-3, 27/05/2011, n. 11744; Cass., sez. 2, 31/05/2006, n. 12963).

Ne deriva che il ricorso per cassazione, notificato in data 28 giugno 2019, è stato tardivamente proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza previsto dall’art. 325 c.p.c., avvenuta presso la cancelleria della Corte d’appello in data 22 gennaio 2019.

5. In ogni caso, il primo motivo del ricorso non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità.

Con tale doglianza, in realtà, non si denuncia la violazione delle norme di diritto invocate, ma si sollecita la rivalutazione della quaestio facti mediante la reiterazione di deduzioni difensive già svolte e mediante il richiamo a circostanze di fatto già sottoposte all’esame dei giudici di merito e da questi già adeguatamente valutate.

In sostanza, la ricorrente muove una contestazione alla motivazione resa dai giudici di appello, non consentita dall’attuale art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra l’altro invocato non già secondo il paradigma dell’omesso esame, ma secondo il paradigma della omessa valutazione e, comunque, senza rispettare, quanto alle emergenze fattuali richiamate, i criteri di deduzione fissati da Cass., sez. U., n. 8053 e n. 8054 del 7 aprile 2014, ossia senza specificare se e dove le circostanze di fatto di cui si denuncia l’omesso esame siano state oggetto di deduzione in giudizio.

Occorre, invero, ribadire che, dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, non trova più accesso al sindacato di legittimità di questa Corte il vizio di mera insufficienza ed incompletezza dell’impianto motivazionale per inesatta valutazione delle risultanze istruttorie, qualora dalla sentenza sia evincibile una regula iuris che, prendendo le mosse da una determinata premessa, conduca ad una determinata conseguenza (in diritto) idonea a giustificare il decisum.

Rimangono, pertanto, estranei al perimetro del vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contestazione volta a criticare, come nel caso in esame, il convincimento che il giudice si è formato ex art. 116 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando il conseguente giudizio di prevalenza (Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892), come pure asseriti errori attinenti alla preminente rilevanza attribuita a talune “questioni” o alle stesse argomentazioni nelle quali si estrinseca l’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove, restando precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori.

Quanto ai denunciati vizi di violazione di legge, le doglianze prospettate dalla ricorrente non sono riconducibili nell’ambito della previsione normativa dettata dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè si risolvono nella denuncia di violazione di disposizioni normative sulla base di una errata ricognizione della fattispecie concreta, laddove, invece, tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, o ancora nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass., sez. 1, 5/02/2019, n. 3340; Cass., sez. 1, 14/01/2019, n. 640; Cass., sez. 5, 25/09/2019, n. 23851). Viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

6. Il secondo motivo del ricorso, con il quale si lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato le norme che regolano la quantificazione del danno, resta assorbito, in quanto presuppone l’accoglimento nell’an della domanda di risarcimento dei danni.

7. Il ricorso incidentale condizionato, in ragione dell’inammissibilità del ricorso principale, resta parimenti assorbito.

Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore di B.F., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificati pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2022


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 05/07/2022) 02/09/2022, n. 25910

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 851-2021 R.G. proposto da:

SICIL TOURING s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, P.G., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dagli avv.ti Luigi Piergiuseppe MURCIANO, e Valerio CIONI, ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale del predetto ultimo difensore, sito in Roma, alla via degli Scipioni, n. 268/a;

– ricorrente –

contro

COMUNE di ERICE, in persona del Sindaco in carica;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2951/12/2020 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata in data 26/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/07/2022 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IMU per l’anno d’imposta (OMISSIS), con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Sicilia rigettava l’appello della Sicil Touring s.r.l. avverso la sfavorevole sentenza di primo grado dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado rilevando la regolarità della notifica dell’atto impositivo effettuata a mezzo posta elettronica certificata che comunque aveva raggiunto lo scopo essendo stato regolarmente impugnato; nel merito, sosteneva che l’avviso di accertamento era congruamente motivato e “la doglianza inerente ai valori dell’immobile introdotta in primo grado e qui riproposta è del tutto generica e priva di prova”;

– avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui non replica l’intimato;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 6 e 22 e art. 156 c.p.c. sostenendo che nel caso di specie non poteva operare la sanatoria della irregolarità della notifica dell’avviso di accertamento effettuata a mezzo posta elettronica certificata perchè recante allegazione al messaggio di una copia informatica di un documento analogico, senza alcuna attestazione di conformità e firma digitale, tale da integrare, quindi, un’ipotesi di inesistenza della notifica.

2. Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato.

3. Va premesso che le disposizioni del D.Lgs. n. 82 del 2005 (c.d. Codice dell’amministrazione digitale – CAD) si applicano, ai sensi dell’art. 2, comma 2, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 217 del 2017, “alle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2”, nelle quali sono ricompresi anche i comuni (l’appena citato comma 2 prevede, infatti, che “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi (…) i Comuni”).

3.1. il D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 5-bis, comma 1, seconda parte, prevede, inoltre, che “Con le medesime modalità”, ovvero “esclusivamente utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, “le amministrazioni pubbliche”, tra cui appunto gli enti locali, “adottano e comunicano atti e provvedimenti amministrativi nei confronti delle imprese”. Al riguardo va precisato che il D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 6, convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 2009, ha previsto l’obbligo, per le imprese costituite in forma societaria, di dotarsi di un indirizzo di PEC. 3.2. L’art. 6 del CAD, nella versione anteriore alla modifica apportata dal D.Lgs. n. 217 del 2017 (con efficacia dal 28/01/2018), prevedeva che “Fino alla piena attuazione delle disposizioni di cui all’art. 3-bis, per le comunicazioni di cui all’art. 48, comma 1”, ovvero quelle telematiche, “con i soggetti che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo ai sensi della vigente normativa tecnica, le pubbliche amministrazioni utilizzano la posta elettronica certificata”.

3.3. Il comma 2 dell’art. 48 CAD prevede poi espressamente che “La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta”.

4. Successivamente, il D.Lgs. n. 217 del 2017, art. 7 ha apportato modifiche al D.Lgs. n. 82 del 2005 (CAD) tra cui, per quanto qui di interesse, agli artt. 2 e 6.

4.1. L’art. 2, nel cui comma 2 l’indicazione dei soggetti cui si applicano le disposizioni del CAD sono ora suddivise in lettere, è rimasto invariato quanto alla previsione di applicazione del CAD “alle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2”, tra cui si è detto (precedente par. 3) essere ricompresi anche gli enti locali.

4.2. L’art. 6 del CAD (D.Lgs. n. 82 del 2005), all’art. 1-quater, introdotto dalla legge di modifica del 2017, prevede che “I soggetti di cui all’art. 2, comma 2, notificano direttamente presso i domicili digitali di cui all’art. 3-bis i propri atti, compresi i verbali relativi alle sanzioni amministrative, gli atti impositivi di accertamento e di riscossione e le ingiunzioni di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 2 fatte salve le specifiche disposizioni in ambito tributario. La conformità della copia informatica del documento notificato all’originale è attestata dal responsabile del procedimento in conformità a quanto disposto agli artt. 22 e 23-bis”.

4.3. La disposizione da ultimo citata non si riferisce soltanto agli enti locali ma a tutte le amministrazioni pubbliche indicate nell’art. 2, comma 2, prevedendo per queste una generale facoltà di notifica a mezzo PEC degli atti emessi dalle singole amministrazioni pubbliche, con salvezza di eventuali disposizioni speciali che impongano forme diverse.

5. Pertanto, anche ove si volesse ritenere che agli enti locali solo a decorrere dal 27 gennaio 2018, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 217 del 2017, è stata attribuita la facoltà di avvalersi della posta elettronica certificata per la notifica degli atti impositivi, la notifica degli atti impositivi effettuata in data anteriore non può ritenersi affetta da inesistenza ma, al più, da nullità sanabile.

6. A tale soluzione è, peraltro, pervenuta questa Corte con riferimento agli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate in formato elettronico, e sottoscritti con firma digitale, nel periodo di vigenza del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 2, comma 6 (cd CAD – Codice dell’Amministrazione digitale), come modificato dal D.Lgs. n. 179 del 2016, art. 2, comma 1, lett. c), entrato in vigore a decorrere dal 14 settembre 2016, sino alle ulteriori modifiche apportate allo stesso art. 2, comma 6, con l’aggiunta altresì del comma 6-bis, ad opera del D.Lgs. n. 217 del 2017, art. 2, lett. d) ed e), entrato in vigore dal 27 gennaio 2018.

7. Interpretando il citato art. 2, comma 6, prima parte, CAD (D.Lgs. n. 82 del 2005), nel testo vigente in detto arco temporale (secondo cui “Le disposizioni del presente Codice non si applicano limitatamente all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico-finanziaria e consultazioni elettorali”), questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 32692 del 2021; v. anche Cass. n. 13137 del 2022), sulla premessa “che la normativa in tema di digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche in conseguenza degli obblighi di adeguamento al Regolamento comunitario noto con l’acronimo e-IDAS, entrato in vigore direttamente in tutti gli Stati Membri UE, senza necessità di atti di recepimento,/2 il 17 settembre 2014, e divenuto applicabile a decorrere dal 1 luglio 2016, impone ormai come regola generale l’adozione dei documenti informatici, residuando ad eccezione il mantenimento dei documenti analogici” e che, “Ai sensi dell’art. 40 CAD, le pubbliche amministrazioni formano gli originali dei propri documenti con mezzi informatici secondo le regole tecniche fissate dal D.P.C.M. 13 novembre 2014”, ha rilevato che “la regola generale è divenuta il ricorso ai documenti informatici”, esclusa soltanto per “gli atti emessi “nell’esercizio” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, a cui sono certamente riconducibili gli atti adottati in occasione di indagini e verifiche ispettive propedeutiche all’esercizio del potere di accertamento e di irrogazione di sanzioni” ma non per gli atti impositivi ovvero, quelli “eventualmente emessi “all’esito” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale”.- 8. Ad analoga conclusione, stante a quanto sopra detto circa l’inclusione degli enti locali tra le amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, cui si applicano le disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 2, comma 2), deve pervenirsi per gli atti impositivi notificati dagli enti locali antecedentemente all’introduzione, a decorrere dal 27 gennaio 2018, dell’art. 6, comma 1-quater CAD. 9. Pare opportuno ricordare al riguardo che secondo la giurisprudenza di questa Corte “L’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dell’atto ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale. (Nella specie la S.C. ha escluso che la notifica a mezzo PEC attuata prima del 15 maggio 2014, giorno di entrata in vigore delle norme tecniche di cui al D.M. n. 44 del 2011, art. 18 che secondo i ricorrenti rendevano attuabile la notificazione a mezzo PEC, fosse inesistente, riscontrandone la nullità e il successivo raggiungimento dello scopo)” (Cass. n. 20625 del 2017; v. anche Cass. n. 12217 del 2022).

10. Pertanto, anche ove si volesse accedere alla tesi dell’irregolarità della notifica, la stessa sarebbe affetta da nullità e non certo dalla più grave forma di invalidità indicata dalla ricorrente.

11. Nullità che nella specie sarebbe indubbiamente sanata dalla regolare e tempestiva notifica dell’atto impositivo, ex art. 156 c.p.c. (cfr. Cass. n. 11043 del 2018 e n. 21071 del 2018).

12. Sanatoria che copre anche gli ulteriori vizi dedotti dalla ricorrente, quanto a formato e sottoscrizione dell’atto trasmesso a mezzo PEC. 13. Al riguardo pare opportuno precisare che il D.P.R. n. 68 del 2005, art. 1, lett. f), definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come “un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati”. La lett. i-ter), dell’art. 1 del CAD – inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), -, poi, definisce “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” come “il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico”, mentre la lett. lett. i-quinquies), dell’art. 1 del medesimo CAD inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), -, nel definire il “duplicato informatico” parla di “documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”. Dunque, alla luce della disciplina surriferita, la notifica della cartella di pagamento (può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC: un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”)”. Nel caso esaminato dalla Corte nell’ordinanza n. 30948 del 2019 in tema di notifica a mezzo PEC di una cartella di pagamento, il concessionario della riscossione aveva “provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta”. La Corte, sulla base della predetta normativa ha escluso la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, “per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico”.

13.1. Non è quindi necessaria alcuna attestazione di conformità del documento informatico a quello analogico.

13.2. Al riguardo deve poi osservarsi che nel caso di specie la società contribuente non ha neppure dedotto nè provato di avere disconosciuto la conformità del documento notificatole a quello originale.

14. Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso è infondato e va rigettato.

15. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 sostenendo che aveva errato la CTR a ritenere “la doglianza inerente i valori dell’immobile” avanzata dalla società contribuente “generica e priva di prova” e quindi “congruamente motivato” l’atto impositivo.

15.1. Sostiene al riguardo la società ricorrente che il Comune aveva attribuito agli immobili “valori di stima del tutto arbitrari, senza alcuna esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a supporto di ciò”, con conseguente difetto di motivazione dell’atto impositivo, e che la pretesa impositiva era “illegittima ed infondata anche perchè afferente a c.d. beni merce”, come tali non assoggettabili ad IMU. 16. Il motivo è manifestamente inammissibile sia per genericità della censura con cui la ricorrente lamenta l’arbitrarietà dei valori di stima degli immobili adottati dall’ente impositore, che si sarebbe tradotto, a suo dire, in un difetto di motivazione dell’atto impositivo, sia perchè omette di censurare l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito che ha rilevato che “la doglianza inerente ai valori dell’immobile (…) è del tutto generica e priva di prova”. Inoltre il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per non avere la ricorrente riprodotto, neppure per estratto, il contenuto dell’avviso di accertamento e per novità della questione dedotta con riferimento alla natura di beni-merce degli immobili assoggettati ad IMU. Non emergendo tale ultima questione dalla sentenza impugnata, era onere di parte ricorrente, nella specie non adempiuto, indicare specificamente il luogo in cui la relativa questione era stata dedotta nei giudizi di merito.

17. Al riguardo va ricordato che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (tra le altre: Cass., Sez. 5″, 15 luglio 2015, n. 14784; Cass., Sez. 6″-1, 27 luglio 2017, n. 18679; Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34593; Cass., Sez. 6-5, 15 dicembre 2020, n. 28537; Cass., Sez. 5, 21 luglio 2021, n. 20974; Cass., Sez. 5, 28 settembre 2021, n. 26220).

18. E’ ben vero che “Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito” (Cass., Sez. U, n. 8950 del 2022), ma resta il fatto che la ricorrente era comunque tenuta ad indicare in maniera specifica il luogo in cui aveva posto la questione, non potendo limitarsi ad effettuare, come in concreto ha fatto, un generico riferimento agli atti processuali (ricorso di primo grado e d’appello) demandando alla Corte il compito di individuare esattamente nel corpo degli atti processuali la domanda che si assume essere stata pretermessa dal giudice di merito, con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le funzioni del giudice di legittimità.

19. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese processuali in mancanza di costituzione in giudizio dell’ente intimato.

P.Q.M.
rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore, importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2022


Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., (data ud. 25/05/2022) 01/09/2022, n. 25848

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20180/2015 proposto da:

COMUNE (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato PAOLA COCCOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO GIORGINO;

ricorrente contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato SANTE ASSENNATO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI RENNA;

avverso la sentenza n. 855/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 12/05/2015 R.G.N. 1125/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/05/2022 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Lecce ha accolto l’appello di C.D. e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il COMUNE (OMISSIS) al pagamento delle differenze stipendiali tra il trattamento spettante al lavoratore in base alla categoria C, posizione 1, e quello relativo alla categoria B formalmente rivestita, di cui al c.c.n.l. enti locali, per il periodo ottobre 2003 – dicembre 2008, oltre interessi legali.

2. Avverso tale sentenza il COMUNE (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. C.D. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
3. Con il primo motivo del ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 387 del 1998 art. 15 e del D.Lgs. 165 del 2001 art.52 nonchè dei contratti collettivi di lavoro.

4. Si sostiene, richiamando la giurisprudenza amministrativa, che il trattamento economico per lo svolgimento di mansioni superiori è subordinato alle seguenti condizioni giuridiche e di fatto: le mansioni devono essere svolte su un posto esistente in pianta organica vacante e disponibile; non deve essere stato bandito alcun concorso per tale posto; l’incarico deve essere stato conferito con atto deliberativo dell’organo competente con la verifica dei presupposti e l’assunzione delle responsabilità. Tali requisiti difetterebbero nel caso in esame poichè non esisteva nella pianta organica dell’ente comunale un posto con qualifiche e mansioni come quelle rivendicate dal C.; nessun concorso era stato bandito per tale posto; non esisteva alcun atto deliberativo, collettivo o dirigenziale, conferente al lavoratore le mansioni superiori.

5. Si assume che la sentenza d’appello sia stata resa in violazione del contratto collettivo di categoria enti locali, che ha previsto un nuovo sistema di classificazione del personale fondato sull’accorpamento delle precedenti qualifiche prima applicazione l’inquadramento nell’area è effettuato in base all’ex qualifica di appartenenza, secondo la corrispondenza indicata nel contratto; che la adibizione dei dipendenti appartenenti a fasce diverse a mansioni ricomprese nella medesima area professionale non comporta il diritto alla retribuzione corrispondente alle superiori mansioni; che il C. ha svolto mansioni rientranti sempre nello stesso livello economico di appartenenza; che non ha svolto mansioni superiori di competenza dei funzionari comunali inquadrati in un superiore livello poichè non è mai esistita nella pianta organica del comune un posto con qualifica e livello come quelli rivendicati dal predetto.

6. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione.

7. Si osserva che la Corte d’appello ha fondato il proprio convincimento solo sui dati documentali, omettendo di esaminare le deposizioni testimoniali rese dal dottor P. e dalla dottoressa F. (di cui ai verbali di udienza del 17.1.11 e del 14.11.11 del giudizio di primo grado) che avrebbero potuto determinare un esito diverso della controversia.

8. Deve preliminarmente rilevarsi come la parte controricorrente non abbia fornito prova della notifica del controricorso. E’ stata unicamente depositata la ricevuta di spedizione della raccomandata, peraltro con data non leggibile, ma nessuna prova della ricezione da parte del destinatario. Non si procede quindi all’esame delle eccezioni sollevate nel controricorso.

9. Il primo motivo di ricorso non può trovate accoglimento.

10. La Corte d’appello, all’esito di un rigoroso accertamento fattuale, ha riconosciuto lo svolgimento da parte del C., negli anni in contestazione, di mansioni corrispondenti al superiore inquadramento ed il conseguente diritto del medesimo alle differenze retributive.

11. La sentenza impugnata si è attenuta all’orientamento consolidato di questa S.C. secondo cui, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001 art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, nè all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (v. Cass. n. 2102 del 2019; Cass. n. 18808 del 2013). Si è ulteriormente precisato che, in tema di impiego pubblico contrattualizzato, il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla legittimità, nè all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (v. Cass. n. 24266 del 2016).

12. Il motivo di ricorso in esame non solo ignora i principi di diritto enunciati da questa Corte nella materia del pubblico impiego contrattualizzato e richiama una non pertinente giurisprudenza del Consiglio di Stato, ma non si confronta in alcun modo con l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello sul contenuto delle mansioni svolte dal lavoratore nel periodo oggetto di causa, e risulta pertanto inammissibile.

13. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso perchè attiene non all’omesso esame di un fatto intenso in senso storico fenomenico e decisivo, cioè idoneo a incidere sull’esito della controversia, bensì alla valutazione di elementi istruttori (nello specifico, le prove testimoniali) e si colloca pertanto all’esterno del perimetro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, come delineato dalle S.U. di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.

14. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

15. Non si provvede sulle spese in difetto di prova della notifica del controricorso.

16. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2022


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 24/06/2022) 24/08/2022, n. 25315

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. DE ROSA Maria Luisa – rel. Consigliere –

Dott. LENOCI Valentino – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12189/14 R.G. proposto da:

P.A., e P.B., nella qualità di eredi della sig.ra C.L. in P., elettivamente domiciliati in Roma Via Nizza n. 59, presso lo studio dell’avvocato Giorgio Pierantoni che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A, elettivamente domiciliata in Roma Via Fulcieri Paulucci Dè Calboli n. 60, presso lo studio dell’avvocato Sebastiano Di Betta, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 396/29/13 depositata in data 10 dicembre 2013:

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 giugno 2022, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8 bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, dal consigliere Maria Luisa De Rosa;

Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’accoglimento del quinto motivo di ricorso ed il rigetto, nel resto;

Dato atto che non sono state presentate memorie.

Svolgimento del processo
1. In data 28/04/2010 veniva notificata a C.L. la cartella di pagamento n. (OMISSIS) emessa da Equitalia Gerit s.p.a. per un importo di Euro 8.142,57 per presunti plurimi omessi o ritardati versamenti IRPEF, per il periodo d’imposta 2006.

2. Avverso tale cartella la contribuente proponeva ricorso per vizi afferenti alla notifica e la legittimità della pretesa; nel giudizio così instaurato, si costituiva l’Agenzia delle Entrate che instava per il rigetto del ricorso.

3. La C.t.p. di Roma accoglieva il ricorso per illegittimità della pretesa e nullità della cartella per intervenuto pagamento per essere stata fornita la prova della corresponsione di quanto preteso. Va rilevato che, in data antecedente al deposito della sentenza di primo grado, ossia il 10/02/2012 decedeva C.L. e assumevano qualità di eredi i figli P.A. e P.B.; tale evento veniva dichiarato da P.A. in data 10 maggio 2012 all’Agenzia delle Entrate mediante la presentazione della dichiarazione di successione.

4. Avverso la sentenza della C.t.p. di Roma, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello e gli eredi P.A. P.B. si costituivano chiedendo il rigetto dell’appello.

5. Con sentenza n. 396/29/13, depositata il 10/12/2013, la C.t.r. del Lazio, in parziale accoglimento dell’appello, decideva la riduzione delle violazioni accertate di 1/3, comprese le sanzioni.

La sentenza della C.t.r. della Lombardia è stata impugnata da P.A. e B. sulla scorta di sei motivi.

Si è costituito in giudizio con controricorso Equitalia Sud s.p.a. (già Equitalia Gerit s.p.a.), chiedendo il rigetto del ricorso.

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata non avendo notificato alcun controricorso, ma depositato solo una “nota di costituzione”.

Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

1.2 Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., commi 2 e 6, artt. 101 291, 327 e 330 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.3 Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 24, e art. 149 c.p.c., e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.4 Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.5 Con il quinto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2”.

1.6 Con il sesto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1996, n. 546, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

2. Il primo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si dia contezza degli importi non corrisposti dalla originaria contribuente C.L. sì da pervenire al convincimento che l’originaria pretesa erariale non era stata soddisfatta.

Come da ultimo ribadito da Cass. 3 marzo 2022, n. 7090, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno, n. 83, art. 54, conv. con modif. dalla legge. 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purchè il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Nel caso di specie dalla motivazione, sia pure obiettivamente scarna, si ricava l’iter decisorio seguito dalla C.t.r. nel ritenere non soddisfatta la pretesa tributaria azionata atteso che il giudice perviene a tale convincimento dopo aver constatato che i pagamenti erano stati effettuati in maniera frazionata e non nel rispetto dei termini e dei modi normativamente prescritti.

3. Anche il secondo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si è riscontrata l’inammissibilità dell’appello siccome non effettuata impersonalmente e collettivamente nel luogo di ultimo domicilio del defunto ma presso gli avvocati di C.L. nonostante, in data 10/05/2012, l’Agenzia delle Entrate avesse ricevuto formalmente la conoscenza del decesso della contribuente.

In realtà, con la doglianza ivi esposta, si oblitera la fondamentale considerazione in ordine alla sanatoria conseguita dalla costituzione degli eredi della stessa (in tal senso, da ultimo Cass. 08/10/2020, n. 21742) e della regola dell’ultrattività del mandato come declinata da Cass. Sez. U. 04/07/2014, n. 15295 secondo cui “l’incidenza sul processo degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., (morte o perdita della capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione” 4. Il terzo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si sia delibata l’eccezione, proposta in entrambi i gradi di giudizio, circa l’inesistenza della notifica della cartella siccome effettuata da una società privata Romana Recapiti e non da Poste Italiane s.p.a.

In proposito soccorre il principio, declinato dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 10/01/2020 n. 299) secondo cui, in tema di notificazioni di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva ed il regime introdotto dalla L. 4 agosto 2017, n. 124.

A seguito della direttiva n. 2008/6/CE, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 27 febbraio 2008, il diritto unionale è di ostacolo al riconoscimento di diritti speciali o esclusivi a un operatore postale (in termini, Corte giust. in causa C-545/17, cit., punti 67-68); sicchè non può essere riconosciuta a un operatore una tutela particolare idonea a incidere sulla capacità delle altre imprese di esercitare l’attività economica consistente nell’instaurazione e nella fornitura di servizi postali nello stesso territorio, in circostanze sostanzialmente equivalenti. Il principio ha portata generale: “il fatto che uno Stato membro riservi un servizio postale, che questo rientri o no nel servizio universale, a uno o a più fornitori incaricati del servizio universale costituisce un modo vietato per garantire il finanziamento del servizio universale” (Corte giust. in causa C-545/17, cit., punto 53).

Ne consegue che l’art. 8 della direttiva, che non è stato novellato, va interpretato restrittivamente (con riferimento, peraltro, ai soli invii raccomandati e non già a quelli ordinari), perchè introduce una deroga al principio. In questa logica non incide la circostanza che il diritto esclusivo o speciale per l’instaurazione e la fornitura di servizi postali sia concesso a un fornitore del servizio universale nel rispetto dei canoni di obiettività, di proporzionalità, di non discriminazione e di trasparenza, altrimenti pervenendosi a circoscrivere la portata del divieto posto dall’art. 7, paragrafo 1, prima frase, della direttiva modificata e, pertanto, a compromettere la realizzazione dell’obiettivo, ivi perseguito, di completare il mercato interno dei servizi postali.

5. Anche il quarto motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si sia delibata l’eccezione, proposta in entrambi i gradi di giudizio, circa la nullità della cartella per mancata preventiva notifica alla contribuente di alcun invito bonario di pagamento.

Invero, costituisce principio pacifico quello secondo cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione dell’avviso bonario D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, comma 3, nel caso in cui non vengano riscontrate irregolarità nella dichiarazione; nè il contraddittorio endoprocedimentale è invariabilmente imposto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, il quale lo prevede soltanto quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti al citato art. 36 bis, che implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo.

” In materia di riscossione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2″, (Cass. 06/07/2016, n. 13759, conforme, Cass. 28/06/2019, n. 17479; nello stesso senso, altresì, Cass. 10/06/2015, n. 12023, con riferimento alle sanzioni).

Quindi, in tema di riscossione delle imposte, la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre nel caso in cui nella dichiarazione vi sia un mero errore materiale, che è l’ipotesi tipica disciplinata dall’art. 36 bis citato, poichè in tal caso non v’è necessità di chiarire nulla e, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi, non avrebbe indicato quale presupposto di esso l’incertezza riguardante aspetti rilevanti della dichiarazione. (Cass. 27/04/2022, n. 13219).

6. E’, invece, fondato il quinto motivo.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non vi è motivazione sull’invocata questione dell’intrasmissibilità delle sanzioni.

Costituisce dato pacifico in causa il fatto che la controversia è stata proseguita dai predetti P.A., P.B., quali eredi della sig.ra C.L. in P.. Come noto, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, (rubricato “Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi”) prevede testualmente che “L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi”.

Questa Corte ha chiarito, con riferimento al diverso regime successorio delle sanzioni civili rispetto a quelle amministrative, che, mentre le sanzioni civili sono sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento, le sanzioni amministrative (di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689) e quelle tributarie (di cui alla L. n. 472 del 1997) hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale, sicchè rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro. A tale scelta si ricollega il regime applicabile, anche con riferimento alla trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità (Cass. 6/06/2008, n. 15067).

7. Il sesto motivo è inammissibile.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si valuta l’eccezione sollevata di inammissibilità dell’appello per incertezza assoluta dell’oggetto dell’appello.

Invero, nel processo tributario, gli elementi di specificità dei motivi possono essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni.

L’inammissibilità, per difetto di specificità dei motivi, dell’atto di appello è, nel contenzioso tributario, limitata al solo caso in cui nell’appello si ometta il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, ovvero a quello in cui il gravame non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante la censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata e ciò perchè, nel processo tributario, la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, tutte le volte in cui, nell’atto, sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass. 15/01/2019, n. 707).

8. In conclusione la Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta nel resto con conseguente annullamento della cartella di pagamento impugnata quanto alle sanzioni.

La peculiarità delle questioni trattate impone la compensazione delle spese di lite, anche nei gradi di merito.

P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta nel resto con conseguente annullamento della cartella di pagamento impugnata quanto alle sanzioni.

Compensa le spese, anche nei gradi di merito.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2022


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 25/05/2022) 27/07/2022, n. 23435

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26210-2021 R.G. proposto da:

V.C., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Amedeo SCIARRONE, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Conte Rosso, n. 5, presso lo studio legale dell’avv. Salvatore VITALE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2630/08/2021 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata il 10/03/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/05/2022 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento impoesattivo di maggiori redditi d’impresa, conseguiti da V.C., quale titolare dell’omonima ditta, per l’anno d’imposta (OMISSIS), con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello proposto dal predetto contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, regolare la notifica diretta postale dell’atto impositivo.

2. Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui non replica l’intimata.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
che:

1. Con il motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 14 del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e artt. 137 c.p.c. e ss..

2. Il motivo, incentrato sull’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento “in quanto effettuata in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e degli artt. 137 c.p.c. e ss. perchè effettuata da un soggetto non autorizzato dall’ufficio”, ovvero tramite un agente postale e non da un messo notificatore speciale, è manifestamente infondato e va rigettato.

3. Invero, diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, il D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010 e succ. modific., nulla ha innovato riguardo alla notifica dell’atto impositivo, limitandosi a prevedere, in considerazione della necessità di operare la “concentrazione della riscossione nell’accertamento”, come espressamente recita la rubrica della disposizione in esame, che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto c.d. impoesattivo.

4. Nessuna modifica è stata apportata alla L. n. 890 del 1982, art. 14 che continua a prevedere “la notificazione degli avvisi (…) che per legge devono essere notificati al contribuente”, “a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, senza alcuna distinzione tra i vari tipi di atti, impositivi o impoesattivi, sicchè, in mancanza di espressa modifica legislativa e di ragioni sistematiche che giustifichino una diversa interpretazione, ed anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 175 del 2018 e n. 104 del 2019 (rispettivamente in materia di notifica diretta della cartella di pagamento e dell’avviso di accertamento), secondo cui, “nella fattispecie della notificazione “diretta”, vi è un sufficiente livello di conoscibilità – ossia di possibilità che si raggiunga, per il notificatario, l’effettiva conoscenza dell’atto – “stante l’avvenuta consegna del plico (oltre che allo stesso destinatario, anche alternativamente) a chi sia legittimato a riceverlo, sicchè il “limite inderogabile” della discrezionalità del legislatore non è superato e non è compromesso il diritto di difesa del destinatario della notifica””, deve ritenersi possibile e legittima la notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento impoesattivi, previsti dal citato D.L. n. 78 del 2010, art. 29 convertito. Nè a diversa conclusione può pervenirsi desumendo, come fa il ricorrente, dalla precisazione contenuta nell’art. 29 citato circa la facoltà di notificare “mediante raccomandata con avviso di ricevimento” gli atti “successivi” all’avviso di accertamento in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base a questi ultimi, una implicita abrogazione della facoltà riconosciuta all’amministrazione finanziaria di procedere alla notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento, prevista dalla L. n. 890 del 1982, art. 14. Invero, il citato art. 29, comma 1, lett. a), non si pone affatto su un piano di incompatibilità logica o di implicita contraddizione con la più generale previsione di cui al citato art. 14 (riferito agli “avvisi” e agli “altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente”) e nemmeno prevede che la notificazione a mezzo posta è consentita “solo” per gli atti successivi all’avviso di accertamento, come erroneamente afferma il ricorrente a pag. 2 della memoria, ma, al contrario, disponendo che la notificazione di tali atti può essere effettuata “anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento”, rende evidente l’intento del Legislatore di specificare che anche per queste nuove tipologie di atti, ovvero i c.d. “atti successivi” (non è più prevista infatti l’emissione della cartella di pagamento la cui modalità di notifica è prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26) è attribuita all’amministrazione fiscale la facoltà di procedere alla loro notificazione mediante l’utilizzo della più snella modalità costituita dall’invio diretto a mezzo raccomandata postale con avviso di ricevimento.

5. Da quanto fin qui detto discende la regolarità della notifica al contribuente dell’avviso di accertamento impoesattivo con la conseguenza che il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese processuali in mancanza di costituzione in giudizio dell’intimata.

P.Q.M.
rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2022


Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 24/05/2022) 11/07/2022, n. 21884

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21096/2018 R.G. proposto da:

SPOT LIGHT OUTDOOR S.R.L. (cessionaria del compendio aziendale della ditta individuale Spot Light di C.A.), in persona del legale rappresentante C.A., nonchè C.A. in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI N. 5, presso lo studio dell’avvocato ENRICO SOPRANO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO LIMATOLA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI APPENNINI N. 46, presso lo studio dell’avvocato LUCA LEONE e rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA ANNA AMORETTI e FABIO MARIA FERRARI;

ELPIS S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO N. 63, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CASTIELLO e rappresentata e difesa dall’avvocato SANDRO MICELISOPO;

– controricorrenti –

avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 191/2018 depositata il 10/01/2018;

Udita la relazione della causa svolta – tenutasi ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020 (ed oggetto di successive proroghe) – nella camera di consiglio del 24/05/2022 dal Consigliere ENZO VINCENTI.

Svolgimento del processo
1. – Con ricorso affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, C.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Spot Light Outdoor s.r.l., ha impugnato la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, resa pubblica il 10 gennaio 2018, che, in accoglimento dell’appello proposto dal COMUNE DI (OMISSIS) e in integrale riforma della sentenza di primo grado, riteneva legittimo il silenzio-diniego della resistente Amministrazione comunale rispetto all’istanza di rimborso del canone sostitutivo dell’imposta sulla pubblicità, versato D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 62, per gli anni dal 2009 al 2013.

2. – La Commissione regionale, a fondamento della decisione, disattendeva, anzitutto, l’eccezione di inammissibilità dell’appello, notificato dal COMUNE DI (OMISSIS) in data 20 settembre 2016, rilevando che la notifica della sentenza di primo grado – effettuata dal contribuente in data 22 aprile 2016 presso il Servizio di Polizia Amministrativa, in via (OMISSIS), a mani proprie di un soggetto non individuato, invece che presso il domicilio eletto in primo grado (ossia, presso il Servizio Gestione IMU Secondaria e altri Tributi, in (OMISSIS), essendosi il Comune costituito in giudizio in persona del Dirigente di detto Servizio), era affetta da nullità per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, (di seguito anche solo: proc. trib.) e, quindi, inidonea a far decorrere il termine “breve”, ex art. 51 proc. trib., per l’impugnazione della decisione, con conseguente tempestività della proposizione del gravame, notificato entro la scadenza del termine “lungo” di impugnazione, previsto dall’art. 327 c.p.c..

3. – Nel merito, il giudice di secondo grado riteneva che, con la deliberazione n. 419/1999, il Comune non avesse istituito, in luogo dell’imposta comunale sulla pubblicità (ICP), il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP) D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 62, bensì, in aggiunta a detta imposta, il canone per la locazione dei luoghi pubblici necessari alla installazione degli impianti, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi di aree pubbliche.

4. – Hanno resistito, con distinti controricorsi, sia il COMUNE DI (OMISSIS), che la società concessionaria Elpis s.r.l. in liquidazione.

5. – Il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni Unite, ex art. 374 c.p.c., comma 2, a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 3984 dell’8 febbraio 2022 della Quinta Sezione civile, che, in riferimento alla disciplina del giudizio tributario sulla notificazione dell’atto processuale (e, segnatamente, della sentenza di primo grado) effettuata ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 17, ha ravvisato l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza o, comunque, di concorrenti questioni di massima di particolare importanza.

6. – Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, (convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020) e D.L. n. 228 del 2021, art. 16, (convertito, con modificazioni, nella L. n. 15 del 2022), con le quali ha chiesto che venga accolto il primo motivo di ricorso, restando assorbito l’esame degli altri motivi.

7. – La parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria.

Motivi della decisione
8. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione degli artt. 17 e 51 proc. trib., per avere la Commissione Tributaria Regionale della Campania erroneamente disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello, proposto dal COMUNE DI (OMISSIS) il 20 settembre 2016, ben oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla rituale notifica della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, avvenuta il 22 aprile 2016.

Il giudice di secondo grado, infatti, ha ritenuto che, in base a quanto disposto dal citato art. 17, la sentenza di primo grado andava notificata, anzitutto, presso il domicilio eletto dal COMUNE DI (OMISSIS) – dunque, presso il Servizio Gestione IMU Secondaria e altri Tributi, in (OMISSIS), essendosi il Comune costituito in giudizio in persona del Dirigente di detto Servizio – e, soltanto “in mancanza”, presso la residenza o la sede dichiarata dalla parte all’atto della costituzione in giudizio. Di qui, pertanto, la nullità – affermata dalla Commissione tributaria regionale della notifica della sentenza di primo grado “effettuata mediante consegna a mani proprie di un soggetto non individuato presso il Servizio di Polizia Amministrativa del COMUNE DI (OMISSIS) in via (OMISSIS) – dunque, a persona diversa dal destinatario, in luogo diverso dal domicilio eletto”.

La parte ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto opinato dal giudice di appello, l’art. 17 proc. trib. consente, ai fini della notificazione dell’atto processuale, la “consegna a mani proprie, ovvero in luogo diverso da quello del domicilio eletto in giudizio”, sicchè tale modalità di notificazione, “secondo il chiaro tenore letterale della norma…, è sempre fatta salva, anche quando la parte abbia provveduto ad eleggere domicilio in un luogo diverso”.

Del resto, una siffatta lettura della disposizione in esame sarebbe in linea con il principio, affermato in giurisprudenza (si citano Cass. n. 5504/2007, Cass. n. 3746/2010 e Cass. n. 1528/2017), per cui “la salvezza della consegna in mani proprie della parte rappresenta la modalità di comunicazione e notificazione di atti e provvedimenti alla quale si può sempre ricorrere”.

Ne deriva, ad avviso della parte ricorrente, la validità della notifica della sentenza di primo grado effettuata, con “racc.ta ricevuta… in data 22.04.2016”, “al COMUNE DI (OMISSIS) presso il Servizio di Polizia Amministrativa”, dove era stata “indirizzata l’istanza di rimborso delle somme dovuto a titolo di CIMP”, nonchè il ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, giacchè detto Servizio era il “soggetto espressamente preposto dall’ente alla gestione del procedimento relativo all’installazione di impianti pubblicitari sul suolo pubblico e, quindi, pienamente abilitato alla ricezione degli atti”.

9. – Con il secondo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla circostanza che gli avvisi di pagamento inviati dalla concessionaria Elpis S.r.l., in liquidazione, alla Spot Light avevano a oggetto richieste di riscossione del canone per l’installazione di mezzi pubblicitari e, dunque, proprio il canone di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 62.

10. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Commissione tributaria regionale escluso che il COMUNE DI (OMISSIS) avesse introdotto il CIMP, ancorchè lo stesso ente locale, nel costituirsi in giudizio in primo grado, avesse “ammesso di avere escluso, con la deliberazione consiliare n. 419/1999, l’imposta comunale sulla pubblicità, sostituendola con il CIMP”.

11. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 52 e 62, per avere il giudice di appello territoriale negato che il COMUNE DI (OMISSIS) avesse introdotto il CIMP di cui al citato art. 62, affermando che il pagamento era stato intimato per la locazione dei luoghi pubblici necessari all’installazione degli impianti pubblicitari che, ove dovuto, andava ad affiancarsi alla originaria imposta comunale sulla pubblicità istituita con il D.Lgs. n. 507 del 1993, rimasta invariata nel tempo e mai abrogata dall’ente locale.

12. – Il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento dell’esame degli ulteriori motivi di ricorso.

13. – Con esso viene proposta, al di là del tenore formale della rubrica (poichè è alla sostanza effettiva del motivo – se congruamente strutturato in forza delle indicazioni che la stessa parte ricorrente abbia fornito a sostegno della denuncia – che deve aversi riguardo: Cass., S.U., 24 luglio 2013, n. 17931), una censura di error in iudicando de modo procedendi, che è pur sempre denuncia di un error in procedendo, poichè l’attività di interpretazione delle disposizioni processuali implicate è comunque orientata da un “fatto” che si colloca all’interno del processo.

Lo scrutinio rimesso a questa Corte si avvale, quindi, anche dell’accesso diretto agli atti del giudizio di merito, proprio in forza di quei poteri di giudice del “fatto processuale” che la natura del vizio dedotto impone di esercitare.

14. – Parte ricorrente ha evidenziato in fatto (p. 7. del ricorso) di aver “provveduto a notificare la sentenza della CTP di Napoli, con racc.ta ricevuta dal COMUNE DI (OMISSIS) in 22.04.2016”; indicazione, questa, che trova riscontro, anzitutto, nella sentenza impugnata, ove (p. 2) si dà conto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello proposta dalla Spot Light di C.A. in ragione della notifica della sentenza di primo grado “con raccomandata del 15 aprile 2016, ricevuta dal COMUNE DI (OMISSIS) in data 22 aprile 2016 e depositata presso la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli il 28 aprile 2016”.

Nel fascicolo d’ufficio della Commissione Regionale si rinviene copia della raccomandata con cui il C. il 15 aprile 2016 ha inviato al “COMUNE DI (OMISSIS) – Direzione Centrale Sviluppo, Ricerca e Mercato del lavoro – Servizio di Polizia Amministrativa”, in “Via (OMISSIS) – 80133 Napoli” (oltre che alla Elpis s.r.l. in liquidazione”) la sentenza n. 3477 del 26 febbraio 2016 della Sezione n. 23 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli; sul relativo avviso di ricevimento (n. 14599002) è presente il timbro con la seguente dicitura (tutta in carattere maiuscolo): “COMUNE DI (OMISSIS) – Pervenuto il 22 apr. 2016 – Protocollo generale”.

La Direzione Centrale Sviluppo, Ricerca e Mercato del lavoro – Servizio di Polizia Amministrativa del COMUNE DI (OMISSIS), sita in Via (OMISSIS), è – come incontestatamente dedotto dalla parte ricorrente (p. 12 del ricorso) e come risulta dagli atti del giudizio di merito – l’ufficio dell’amministrazione comunale al quale il C., all’epoca titolare della ditta individuale Spot Light, aveva rivolto istanza di rimborso degli importi indebitamente versati a titolo di canone sostitutivo dell’imposta comunale sui mezzi pubblicitari per gli anni dal 2009 al 2013, nonchè l’ufficio nei cui confronti era stato indirizzato il ricorso di primo grado avverso il silenzio rifiuto formatosi sulla predetta istanza.

15. – Tali emergenze processuali e il “fatto processuale” al quale esse danno evidenza – sorretti dalle presupposte deduzioni e indicazioni di parte ricorrente (così da rendere priva di consistenza l’eccezione di inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza sollevata dalla Elpis s.r.l. in liquidazione) indirizzano la delibazione di queste Sezioni Unite verso la quaestio iuris che si palesa rilevante ai fini della decisione, perchè in stretta connessione logico-giuridica con la fattispecie concreta.

Lo scrutinio del motivo di ricorso è orientato, infatti, dall’avvenuta notifica, direttamente tramite il servizio postale, senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario, della sentenza di primo grado all’ente locale (amministrazione comunale) non presso la sede dell’ufficio tributi, in persona del cui dirigente l’ente medesimo si è costituito in giudizio, ma presso la sede, diversa, di altro ufficio comunale: ufficio già destinatario dell’istanza di rimborso avanzata dal contribuente e che non aveva emesso l’atto richiesto.

Resta, quindi, fermo il principio – armonico rispetto alle funzioni ordinamentali e alle attribuzioni processuali proprie di questa Corte di legittimità – per cui la funzione nomofilattica non vive di astrattismi, ma guarda necessariamente all’oggetto della lite, siccome volta a dare vita ad “un principio di diritto legato all’orizzonte di attesa della fattispecie concreta” (Cass., S.U., 22 maggio 2018, n. 12564).

Del resto, è carattere consustanziale all’esercizio della giurisdizione questa osmosi tra interpretazione della legge e il fatto – la vicenda della vita o, come nel caso in esame, la vicenda del processo – portato dinanzi al giudice, la quale alimenta e dà consistenza alla regola del caso concreto, ossia quella regola che, ove provenga dal giudice della nomofilachia, si pone, nell’ottica valoriale della certezza del diritto e della sicurezza giuridica, a presidio di un trattamento uniforme dei cittadini dinanzi al giudice (quale precipitato immediato del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.) ed è tale da potersi accreditare come “precedente”, ossia come regola “forte” di decisione di casi a venire, elevandosi, dunque, “a criterio e misura della prevedibilità e calcolabilità riguardo alla decisione di controversie future” (Cass., S.U., 28 gennaio 2021, n. 2061).

16. – Dunque, è il “fatto processuale” innanzi circoscritto a delimitare l’area di indagine sul tema delle modalità e del luogo della notificazione della sentenza nell’ambito del giudizio di merito (ma – giova precisare – tanto vale anche in riferimento alla notificazione degli atti introduttivi del primo e secondo grado dinanzi alle Commissioni tributarie).

E l’indagine intercetta il quesito, prospettato dall’ordinanza interlocutoria n. 3984/2022 della Quinta Sezione, con cui viene sollevato il seguente interrogativo: se, in tema di notificazioni nel processo tributario, sia rituale, o meno, la consegna della sentenza di primo grado a un ufficio dell’ente locale che non sia ubicato anche nella sua sede principale indicata negli atti difensivi, ma sia comunque riconducibile all’ufficio che ha emanato l’atto impositivo impugnato o (come nella specie) non ha emanato l’atto richiesto.

Quesito che occorre, comunque, calibrare in ragione, essenzialmente, dell’accertato “fatto processuale” e, dunque, alla luce di una vicenda in cui la sentenza di primo grado è stata notificata dal contribuente direttamente tramite il servizio postale ordinario, a mezzo raccomandata ordinaria.

17. – A tal riguardo, la Sezione rimettente evidenzia che, nella giurisprudenza di legittimità, si registra un solo precedente – Cass., 8 ottobre 2010, n. 20851 – che, affrontando il tema della notificazione presso un ufficio periferico dell’ente comunale impositore, ha affermato “la validità della notifica indirizzata all’amministrazione, in sede diversa da quella legale”. Tuttavia, si precisa nell’ordinanza interlocutoria, il precedente citato “non risolve la questione della validità della consegna a mani anche se non disposta al legale rappresentante dell’ente locale”, ritenuta, invece, affetta da nullità, per violazione dell’art. 17 proc. trib., da altre pronunce di questa Corte (Cass., 2 marzo 2015, n. 4222; Cass., 28 febbraio 2018, n. 4616; Cass., 4 maggio 2018, n. 10776; Cass., 1 dicembre 2020, n. 27400).

18. – La quaestio iuris, sebbene così resecata, non può prescindere dall’esame del contesto normativo più generale in cui essa si colloca; contesto che ne illumina gli aspetti peculiari, condizionandone in parte anche la soluzione.

19. – Occorre, dunque muovere, anzitutto, dal principio enunciato, in particolare, dalle sentenze n. 8053 del 7 aprile 2014 e n. 14916 del 20 luglio 2016 di queste Sezioni Unite, ma che ha trovato poi ampio e consolidato consenso nella giurisprudenza successiva – secondo cui le disposizioni degli artt. 1 (“I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”: comma 2) e 49 (“Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”: comma 1) del D.Lgs. n. 546 del 1992, relative al processo e alle impugnazioni in generale, istituiscono “un’autentica specialità del rito tributario, sancendo la prevalenza della norma processuale tributaria, ove esistente, sulla norma processuale ordinaria, la quale ultima si applica, quindi, in via del tutto sussidiaria, oltre che nei limiti della compatibilità”.

Di qui, la contrapposizione con la disposizione di cui all’art. 62 (“Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”: comma 2) del medesimo D.Lgs., la quale, per il giudizio di cassazione “(a)vverso la sentenza della commissione tributaria regionale (comma 1 dell’art. 62, che prevede la proponibilità del ricorso per cassazione “per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1”), “fa espressamente riferimento all’applicabilità delle norme del codice di procedura civile, così attribuendo, per questa sola ipotesi, la prevalenza alle norme processuali ordinarie ed escludendo l’esistenza di un “giudizio tributario di legittimità”, cioè di un giudizio di cassazione speciale in materia tributaria”.

20. – Tale regime diversificato tra processo tributario – ossia quello che si svolge dinanzi alle commissioni tributarie – e giudizio civile di legittimità, quanto alla disciplina processuale rispettivamente applicabile, si riverbera sulla individuazione delle norme alle quali occorre fare riferimento (anche) in materia di notificazioni.

21. – La disciplina propria del processo tributario che trova evidenza al riguardo è, anzitutto, quella dettata dall’art. 16 proc. trib., rubricato “Comunicazioni e notificazioni”, che, per quanto concerne specificamente le notificazioni, dispone, in primo luogo (comma 2), che queste “sono fatte secondo le norme dell’art. 137 c.p.c. e segg., salvo quanto disposto dall’art. 17”. Sicchè, tra le norme del codice di rito che trovano applicazione vi è anche l’art. 149, che consente la notificazione a mezzo del servizio postale, ma in base alle regole dettate dalla L. 20 novembre 1982, n. 890 e successive modificazioni.

22. – La deroga che l’art. 16, comma 2, proc. trib. ha disposto rispetto alle notificazioni da effettuarsi secondo le regole del codice di rito civile attiene – come fatto palese dalla rubrica del richiamato art. 17 – al “luogo” delle notificazioni, le quali “… sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio….” (comma 1). Con l’ulteriore precisazione che “(D’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo” (comma 2).

Sicchè, alla luce del principio espresso dalle Sezioni Unite con la citata sentenza del 2016, dalla chiara formulazione dell’art. 17 proc. trib., in coerenza con l’assetto innanzi rammentato, si trae pianamente che, nel processo tributario, rispetto alla notificazione della sentenza di primo grado da eseguirsi nel domicilio eletto dalla parte (ovvero, in mancanza di elezione di domicilio, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte stessa), prevale, comunque, la facoltà, alternativa, di eseguire la notificazione con “consegna in mani proprie”, quale modalità che, pertanto, risulta idonea a far decorrere il termine c.d. “breve” per l’impugnazione di cui al citato art. 38.

23. – L’art. 16 proc. trib. prevede, poi, al comma 3, due ulteriori forme di notificazione con modalità definita “diretta” (“Le notificazioni possono essere fatte anche direttamente…”) e che, dunque, possono effettuarsi dalla parte senza il ministero dell’ufficiale giudiziario o di altro soggetto equiparato, quali il messo comunale e il messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria e l’avvocato autorizzato dall’ordine forense.

Si tratta: a) della notificazione “a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto”; b) “ovvero” della notificazione, consentita al solo contribuente, “all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia”.

24. – Va, peraltro, ricordato che, a decorrere dal 1 gennaio 2016, sono state introdotte anche nel processo tributario le notificazioni telematiche (art. 16-bis proc. trib., inserito dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. h, che disciplina anche le comunicazioni e i depositi telematici).

Tuttavia, la forma della notifica telematica mette in campo concetti e regole, proprie dell’habitat della tecnologia informatica, che si astraggono dalla materialità dell’atto processuale e dell’attività di sua trasmissione e consegna, che connota indefettibilmente le forme tradizionali di notificazione, sulle quali è esclusivamente calibrata la presente decisione.

25. – La ricordata disciplina delle notificazioni nel processo tributario non rimane confinata in ambito soltanto endoprocessuale di ciascun grado di merito, ma si estende sempre “con carattere di specialità e quindi di prevalenza” (Cass., S.U., n. 14916/2016, citata) – alla fase dell’impugnazione, come è confermato, anzitutto, dall’art. 38, comma 2, proc. trib., come modificato dal D.L. n. 40 del 2010, art. 3, convertito, con modificazioni, nella L. n. 73 del 2010, che reca la disciplina sulla decorrenza del termine c.d. breve d’impugnazione della sentenza.

L’originaria formulazione della disposizione addossava alle parti “l’onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma dell’art. 137 c.p.c. e segg.”; incombente che, nel presupporre la necessaria intermediazione dell’ufficiale giudiziario, si reputava volto alla “salvaguardia di esigenze di certezza e sicurezza messe a presidio della formazione del giudicato formale sulla sentenza” (Cass., 28 giugno 2018, n. 16554).

Il legislatore della novella del 2010 ha inteso, invece, operare un espresso richiamo all’art. 16 proc. trib. quanto all’onere delle parti “di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti” e tanto, quindi, non solo avvalendosi delle forme previste dal codice di procedura civile, ma anche facendo ricorso alle fattispecie di notificazione c.d. “diretta consentite dal comma 3 dello stesso art. 16.

Dalla notificazione effettuata a norma dell’art. 38, comma 2, proc. trib. nella vigente formulazione, decorre, quindi, ex art. 51, comma 1, proc. trib., il termine di sessanta giorni per l’appello, là dove, invece, in mancanza, trova applicazione il termine, c.d. “lungo”, dell’art. 327 c.p.c., secondo quanto stabilito dall’art. 38, comma 3, proc. trib..

26. – La specialità del regime di notificazione degli atti (di parte o del giudice) nel processo tributario si coglie, quindi, già nell’art. 16 proc. trib., non solo là dove (comma 2) è richiamata la disciplina dell’art. 17 proc. trib. quale eccezione a quella dettata in via ordinaria dagli artt. 137 e seguenti del codice di rito civile, ma anche nelle previsioni (comma 3) di una notificazione diretta ad opera della parte tramite il servizio postale con raccomandata ordinaria (dunque, senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario e non in base alle regole dettate dalla L. n. 890 del 1982) e della “consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia” per quanto riguarda le sole notificazioni del contribuente nei confronti dell’ente impositore.

27. – Le forme di notificazione c.d. dirette previste dall’art. 16, comma 3, proc. trib. sono, quindi, diverse ed alternative tra loro (Cass., S.U., 29 maggio 2017, n. 13452 e n. 13453; Cass., S.U., 10 gennaio 2020, n. 299), come, del resto, è reso palese dalle specifiche modalità che la norma prescrive, rispettivamente, per ciascuna di esse: nella prima, l’atto in plico è spedito per posta e la prova della ricezione è fornita dall’avviso di ricevimento; nella seconda, l’atto è consegnato all’impiegato addetto e la prova della consegna è fornita dalla “ricevuta sulla copia” dell’atto stesso rilasciata dell’addetto.

Ed è evidente la differenza che intercorre tra la “ricevuta sulla copia” dell’atto rilasciata dall’impiegato addetto e l’avviso di ricevimento postale, ossia “la ricevuta che, compilata dal mittente all’atto della spedizione e firmata dal destinatario all’atto della consegna, viene recapitata al mittente (con posta prioritaria) ai fini della conferma dell’avvenuta consegna” (art. 5 Allegato A alla delibera n. 385/13/CONS Condizioni generali di servizio per l’espletamento del servizio universale postale di Poste Italiane, in G.U. n. 165 del 2013; ma, analogamente, quanto alla restituzione dell’avviso di ricevimento alla parte richiedente la notificazione, la L. n. 890 del 1982, della).

E tale distinzione tra le due forme di notificazione diretta spedizione postale ordinaria e consegna all’addetto – è, altresì, ribadita da altre norme del processo tributario (si veda ad es. l’art. 22, comma 1, sulla costituzione in giudizio del ricorrente) e, segnatamente, dal già citato comma 2 dell’art. 38, che, nel regolamentare l’onere di deposito della sentenza notificata nella segreteria della commissione tributaria (“che ne rilascia ricevuta e l’inserisce nel fascicolo d’ufficio”), prevede incombenti differenziati per ciascuna forma di notificazione: il deposito delr’originale o copia autentica dell’originale notificato”, in riferimento alla notificazione in base alle norme del codice di procedura civile; “ovvero “copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta”, in riferimento, rispettivamente, alla consegna all’impiegato addetto e alla spedizione per posta ordinaria, richiedendo nel primo caso anche il deposito della “fotocopia della ricevuta di deposito” e nel secondo la “fotocopia della ricevuta… della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale unitamente all’avviso di ricevimento”.

28. – Quanto, poi, alle forme di notificazione che sono effettuate tramite il servizio postale universale, come detto rispettivamente contemplate nei commi 2 (art. 149 c.p.c.) e 3 (notifica diretta con plico raccomandato) dell’art. 16 proc. trib., queste Sezioni Unite (cfr. le citate sentenze n. 13452/2017, n. 13453/2017 e n. 299/2020) hanno evidenziato – alla luce dell’art. 30 della legge delega 30 dicembre 1991, n. 413, di adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile che “non v’è alcuna ragione logica e giuridica per distinguer(n)e il regime”.

In particolare, come ancora puntualizzato dalle coeve sentenze del 2017 innanzi richiamate, la notificazione diretta a mezzo del servizio postale universale, ai sensi del citato comma 3 dell’art. 16 – “cioè senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ma pur sempre con quella dell’ufficiale postale)” – è caratterizzata da “modalità semplificate… che, data anche la spiccata specificità del processo tributario (cfr. Corte Cost., sent. n. 18 del 2000), non violano gli artt. 3 e 24 Cost.”.

In siffatta forma di notificazione diretta “l’avviso di ricevimento del plico costituisce di norma atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c.; pertanto le attestazioni in esso contenute godono della stessa fede privilegiata di quelle relative alla procedura di notificazione a mezzo posta eseguita per il tramite dell’ufficiale giudiziario”.

29. – Alla luce della illustrata ricognizione del contesto di riferimento può ora esaminarsi la questione di diritto posta dal primo motivo di ricorso, in fattispecie – come più volte ricordato di notificazione diretta della sentenza tramite servizio postale, ai sensi del comma 3 dell’art. 16 proc. trib., non presso l’ufficio dell’amministrazione comunale in persona del cui dirigente l’ente medesimo si era costituito in giudizio, ma presso altro e diversamente ubicato ufficio comunale, già destinatario dell’istanza di rimborso avanzata dal contribuente e che non aveva emesso l’atto richiesto.

30. – La ritualità della notificazione dell’atto processuale presso un ufficio periferico dell’ente e non presso la sua sede principale è affermazione che si rinviene – come evidenziato dalla stessa ordinanza di rimessione – in un unico precedente giurisprudenziale (Cass. n. 20851/2010, citata).

Con esso si è ritenuta validamente effettuata la notificazione di ricorsi “proposti nei confronti dell’ente in persona del suo legale rappresentante, ancorchè indirizzati alla sede, diversa da quella legale del Comune, dell’ufficio competente ratione materiae”.

A tal fine, la sentenza n. 20851/2010 ha argomentato in forza del richiamo a fattispecie, reputata similare, di atto processuale notificato per errore dal contribuente al “Centro di servizio” e non già “all’Ufficio delle entrate, unica parte processuale legittimata”, ponendo in rilievo (secondo quanto affermato da altro precedente: Cass., 10 febbraio 2010, n. 2937) che il Centro di servizio, “in ossequio al principio generale di tutela dell’affidamento del contribuente ed al conseguente dovere di collaborazione (L. n. 212 del 2000, art. 10), è tenuto, facendo parte della medesima Amministrazione finanziaria, a trasmettere il ricorso al competente Ufficio delle Entrate, conseguendone, in difetto, che la mancata tempestiva costituzione dell’Ufficio in appello non è imputabile al contribuente, bensì all’Amministrazione medesima”.

31. – Non dissimile è stata la soluzione che la giurisprudenza della Sezione Quinta ha fornito in fattispecie di notificazione di atto processuale presso un ufficio dell’Agenzia delle entrate non territorialmente competente, poichè diverso da quello che aveva emesso l’atto impositivo (tra le altre, Cass., 15 dicembre 2004, n. 23349; Cass., 26 gennaio 2008, n. 1925; Cass., 17 dicembre 2008, n. 29465; Cass., 3 luglio 2009, n. 15718; Cass., 30 dicembre 2011, n. 30753; Cass., 21 gennaio 2015, n. 1113; Cass., 11 marzo 2015, n. 4862; Cass., 24 settembre 2015, n. 18936; Cass., 23 ottobre 2015, n. 21593).

32. – Alla conclusione della validità di una siffatta notificazione si è giunti valorizzando, anzitutto, il carattere unitario della stessa Agenzia delle entrate, le cui articolazione del medesimo organo sono prive di autonoma e distinta soggettività giuridica, trovando ragione e configurazione in funzione di un sistema di organizzazione finalizzato ad una più adeguata e razionale distribuzione interna del lavoro. In tal senso, la struttura soggettiva del rapporto col contribuente resta inalterata, instaurandosi e permanendo esclusivamente fra il medesimo e l’Agenzia considerata.

Al tempo stesso, si è dato risalto ai principi di collaborazione e buona fede, in forza dei quali, alla luce del principio di buon andamento (art. 97 Cost.), deve essere improntata l’azione dell’amministrazione pubblica, per cui l’atto del privato che venga indirizzato all’organo esattamente individuato, benchè privo di competenza per esigenze organizzative specifiche ad esso, produce gli effetti che la legge gli riconnette, essendo onere dell’ufficio curarne la trasmissione a quello competente.

A tal fine viene in soccorso, altresì, il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, espressione del principio di eguaglianza dinanzi alla legge (art. 3 Cost.) ed elemento essenziale dello Stato di diritto immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico, là dove nella materia tributaria ha avuto modo di essere esplicitato specificamente dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, (tra le altre, Cass., 10 dicembre 2002, n. 17576).

33. – Inoltre, il menzionato indirizzo giurisprudenziale ha fatto leva sul principio, vivificato dalle fonti sovranazionali, di effettività della tutela giurisdizionale, che richiede di ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali, nonchè, infine, sul carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato.

34. – Dunque, l’orientamento in cui si colloca il citato precedente specifico (Cass. n. 20851/2010) chiama a raccolta una serie di principi, tra loro cospiranti, i quali consentono di giungere ad analoga soluzione anche nella concreta fattispecie in esame, non interferendo con le argomentazioni giuridiche che sostanziano la ratio decidendi di quella soluzione il diverso piano giustificativo delle pronunce che l’ordinanza di rimessione indica come contrastanti. Talune, infatti, riguardano la diversa fattispecie del procedimento di notifica mediante consegna diretta a mani dell’impiegato addetto (Cass., 2 marzo 2015, n. 4222; Cass., 28 febbraio 2018, n. 4616; Cass., 1 dicembre 2020, n. 27400); altre (Cass., 4 maggio 2018, n. 10776, n. 10777 e n. 10778) concernono fattispecie non sovrapponibile a quella in esame.

Per contro, quei principi danno evidenza, in particolare, ad una peculiare saldatura tra il principio di affidamento del cittadino nel buon andamento della funzione pubblica, il carattere impugnatorio del processo tributario, la specialità del rito in tema di notificazioni degli atti del processo tributario (e, segnatamente, della sentenza emessa nel giudizio di merito) e il principio, fondamentale, che costituisce lo scopo ultimo al quale il processo è di per sè orientato, ossia l’effettività della tutela giurisdizionale, nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito (tra le altre, Cass., S.U., 28 maggio 2017, n. 13453).

Quest’ultimo, scolpito nel contesto di una dimensione complessiva di garanzie (artt. 24 e 111 Cost.), che costituiscono patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione Europea, art. 6 CEDU), è guida orientativa per l’interprete che impone di evitare eccessi di formalismo e, quindi, restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale che non siano frutto di criteri ragionevoli e proporzionali.

35. – Nondimeno, le evidenziate ragioni giustificative di fondo hanno avuto modo di consolidarsi trovando linfa anche nelle coeve sentenze n. 3116 e n. 3118 del 14 febbraio 2006 di queste Sezioni Unite (successivamente, tra le molte, v. Cass., 29 gennaio 2020, n. 1954 e Cass., 7 dicembre 2020, n. 27976), con le quali si è ritenuto che, nei confronti delle Agenzie fiscali che non si siano avvalse del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la regola generale della effettuazione della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio tributario e della sentenza di esso conclusiva al direttore presso la sede centrale (artt. 163, 144 e 145 c.p.c.) debba essere “opportunamente integrata con la disciplina speciale” contenuta negli artt. 10 e 11 proc. trib., in base alle quali disposizioni gli uffici periferici di dette Agenzie hanno assunto, “in modo concorrente e alternativo, secondo un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 c.c.”, la stessa capacità di stare in giudizio già originariamente attribuita agli uffici finanziari che avevano emesso l’atto impugnato.

Pertanto, “anche gli uffici periferici dell’Agenzia, subentrati a quelli dei Dipartimenti delle Entrate, devono essere considerati – una volta che l’atto ha come destinatario l’ente – come organi dello stesso che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza in giudizio, ai sensi dell’art. 163 c.p.c., comma 2, n. 2, e artt. 144 e 145 c.p.c.”.

Da ciò ne consegue, altresì, che “la notifica della decisione, ai fini della decorrenza del termine breve per la proposizione del ricorso, può essere indifferentemente effettuata all’Agenzia presso la sua sede centrale ovvero presso il suo ufficio periferico”.

36. – Viene, dunque, delineato un contesto in cui, con specifico riferimento alla posizione dell’ente locale impositore, all’interprete è consentito valorizzare anche un ulteriore argomento, tratto dall’art. 11, comma 3, proc. trib., come novellato dal D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3 bis, comma 1, (convertito, con modificazioni, nella L. 31 maggio 2005, n. 88) e che è corroborato dal principio di “legittimazione diffusa” dell’amministrazione finanziaria valorizzato dalle citate sentenze delle Sezioni Unite del 2006.

La norma dettata dalla citata disposizione ha previsto, in luogo della originaria legittimazione processuale passiva dell’ente locale individuata nell’organo di rappresentanza previsto dal proprio ordinamento”, che tale ente abbia facoltà “di stare anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio”.

Pertanto, anche nel caso dell’ente locale la legge sul processo tributario viene a configurare una legittimazione passiva concorrente, sia in capo al legale rappresentante dell’ente stesso (per cui, nel caso del comune, essa farà capo, di norma, al sindaco, salvo diverse previsioni statutarie), sia in capo al dirigente ufficio tributi.

37. – Tale previsione normativa si spiega in un’ottica di semplificazione dei rapporti tra il polo pubblico e il contribuente, ma anche in termini di efficienza dell’organizzazione amministrativa, in quanto l’ente territoriale, siccome esponenziale della collettività di riferimento, si manifesta, a prescindere dai suoi caratteri dimensionali e organizzativi concreti, come ente a fini generali.

Sicchè, a fronte di una competenza generale dell’ente territoriale, risponde ragionevolmente ai canoni della semplificazione e dell’efficienza – e, dunque, della buona amministrazione, ex art. 97 Cost. – la previsione di una legittimazione processuale ricadente, anche, sull’ufficio al quale, di norma, sono affidati i complessivi compiti di gestione delle entrate tributarie dell’ente e, dunque, di gestione per esso delle funzioni impositive.

38. – Ciò che, tuttavia, non esclude che non vi siano altre articolazioni dell’organizzazione amministrativa dell’ente territoriale, in esso immedesimantesi, alle quali possano affidarsi compiti relativi a funzioni impositive.

Nel caso di specie, non è in contestazione, infatti, che la “Direzione Centrale Sviluppo, Ricerca e Mercato del lavoro Servizio di Polizia Amministrativa” del COMUNE DI (OMISSIS) avesse competenza sulle istanze di rimborsi del canone sostitutivo dell’imposta sulla pubblicità e che sia stato l’ufficio a non emettere l’atto richiesto dall’attuale ricorrente.

39. – Tali articolazioni, pur diverse da quella dell’ufficio tributi e prive, diversamente da quell’ufficio, della legittimazione passiva concorrente innanzi richiamata, si caratterizzano per essere comunque organicamente immedesimate nell’ente impositore e in relazione funzionale diretta con atti concernenti il contenzioso tributario al medesimo ente imputabili.

Sicchè, un tale assetto organizzativo – in cui trova peculiare risalto il profilo funzionale del contatto tra contribuente ed ente impositore in termini di più agevole e semplificata accessibilità alla funzione pubblica – consente l’applicazione dei principi, sopra illustrati, valorizzati dalla richiamata giurisprudenza della Sezione Tributaria in base ad un orientamento affatto coeso, così da potersi affermare anche nella fattispecie in esame la validità della notifica diretta a mezzo del servizio postale, ex art. 16, comma 3, proc. trib., effettuata dal contribuente all’articolazione interna dell’ente locale.

38. – Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto:

“La notifica, effettuata dal contribuente direttamente tramite il servizio postale, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3, della sentenza di primo grado all’ente locale non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l’atto oggetto del contenzioso, è valida e, quindi, idonea, ai sensi del combinato disposto del medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 2, e art. 51, comma 2, a far decorrere il termine di sessanta giorni per impugnare”.

39. – E’, dunque, fondato il primo motivo di ricorso, posto che la notificazione della sentenza di primo grado è stata validamente effettuata dall’attuale ricorrente con ricezione da parte del destinatario COMUNE DI (OMISSIS) il 22 aprile 2016, mentre l’appello proposto dall’ente locale è stato notificato in data 20 settembre 2016, risultando, quindi, inammissibile perchè proposto ben oltre il termine breve stabilito per l’appello.

Ne consegue l’assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso e la cassazione senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, non potendosi riconoscere al gravame inammissibilmente spiegato alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione (tra le altre, Cass., 7 luglio 2017, n. 16863; Cass., 19 ottobre 2018, n. 26525).

40. – Le spese dell’intero giudizio vanno interamente compensate tra tutte le parti in ragione delle questioni giuridiche trattate in relazione alla singolarità della fattispecie processuale oggetto di cognizione.

P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti motivi;

cassa senza rinvio la sentenza impugnata e compensa interamente tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 24 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2022


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 05/05/2022) 15/06/2022, n. 19333

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. DE ROSA Maria Luisa – Consigliere –

Dott. CRIVELLI Alberto – Consigliere –

Dott. ANGARANO Rosanna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1623/2017 R.G. proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in Roma, Viale del Vignola, 5, presso l’Avv. Livia Ranuzzi, e rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Quercia.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. PUGLIA, n. 1585/2016, depositata il 15/06/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 5 maggio 2022 dal consigliere Rosanna Angarano.

Svolgimento del processo
che:

1. P.F. ricorre, con quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe con la quale la C.t.r. della Puglia ha rigettato l’appello dal medesimo proposto avverso la sentenza della C.t.p. di Bari che, previa riunione, aveva dichiarato inammissibili, il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo all’imposta Irpef per l’anno 2007, ed il ricorso proposto avverso il rigetto dell’istanza di concordato con adesione.

2. La C.t.p. dichiarava inammissibili i ricorsi riuniti per intempestività, statuendo, altresì, sulla legittimità dell’accertamento.

3. La C.t.r. rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado, ritenendo validamente notificato l’avviso di accertamento e, conseguentemente, inammissibili i ricorsi e, comunque, infondati nel merito.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per aver ritenuto legittimo il procedimento notificatorio dell’avviso di accertamento senza pronunciarsi sui vizi denunciati.

In particolare il ricorrente assume che la sentenza impugnata si è limitata a riportare “un mero elenco dei passaggi del procedimento di notificazione” omettendo di rispondere puntualmente alle censure mosse in ordine alla corretta applicazione delle norme relative alla notifica.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, degli artt. 139, 140, 148 c.p.c..

In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto validamente notificato l’atto impositivo sebbene l’avviso di ricevimento relativo alla notifica dell’atto accertativo non contenesse le indicazioni prescritte dal combinato disposto di cui alle norme richiamate e, in particolare, dei motivi che giustificavano il ricorso alle forme previste dall’art. 140 c.p.c., e sebbene l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa (c.d. CAD), non prodotta in giudizio, non contenesse le indicazioni previste ex lege e contenesse indicazioni non congruenti.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2.

In particolare il ricorrente deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione non essendo state illustrate le ragioni poste a fondamento della ritenuta legittimità dell’atto accertativo.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 6, comma 2, non essendo stato rappresentato il percorso motivazionale che aveva portato a ritenere imprecisi e poco attendibili gli elementi probatori addotti a sostegno dell’infondatezza del recupero a tassazione operato dall’Ufficio.

5. Il primo motivo è infondato.

La sentenza impugnata, confermando sul punto l’accertamento compiuto nella sentenza di primo grado, ha ripercorso l’iter del procedimento notificatorio dell’avviso di accertamento riportando puntualmente i passaggi ritenuti essenziali ai fini della sua validità.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione; per l’effetto devono ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito. (Cass. 25/06/2020 n. 12652).

6. Il secondo motivo è infondato.

6.1. Non è controverso in fatto che la notifica dell’avviso di accertamento è avvenuta a mezzo del servizio postale con spedizione eseguita in data (OMISSIS). Il ricorrente sul punto ha espressamente dedotto in ricorso che “la CTR ha ritenuto “accertato” “che l’avviso di accertamento è stato spedito regolarmente il (OMISSIS) dall’Ufficio Postale di poste Italiane”. E fin qui nulla quaestio”. Vi è stata, pertanto, notifica postale diretta ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14.

6.2. Il ricorrente deduce, tuttavia, che nelle fasi successive alla spedizione vi sarebbe stata violazione degli artt. 139 e 140 c.p.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, non essendo stati indicati i motivi che legittimavano la scelta di procedere alla notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., sia i tentativi fatti per evitarla. Deduce, altresì che vi sarebbe stata violazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, nella parte in cui prevede l’obbligo di spedire al destinatario dell’atto una lettera raccomandata (c.d. CAD) e di menzionare sull’avviso di ricevimento quanto ivi previsto, in quanto detta raccomandata non sarebbe stata prodotta; il relativo avviso di ricevimento non era idoneo a provarne il contenuto; il medesimo mancava anche delle indicazioni previste ex lege.

6.3. Quanto alla prima censura, la L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 20, modificando la L. n. 890 del 1982, art. 14, ha previsto, per quanto qui interessa, che la notificazione degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente può eseguirsi a mezzo posta direttamente dagli uffici finanziari. A decorrere, pertanto, dal 15/05/1998 (data di entrata in vigore della L. n. 146 del 1998), è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere direttamente alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica può essere effettuata, come già previsto, a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla medesima L. n. 890 del 1982. (tra le più recenti Cass. 27/01/2022 n. 2365) Ciò significa che il notificante è abilitato alla notificazione dell’atto senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ferma restando quella dell’ufficiale postale), e, quindi, a modalità di notificazione semplificata, alla quale, quindi, non si applicano le disposizioni della L. n. 890 del 1982, concernenti le sole notificazioni effettuate a mezzo posta tramite gli ufficiali giudiziali (o, eventualmente, i messi comunali e i messi speciali autorizzati), bensì le norme concernenti il servizio postale ordinario. (Cass. n. 2365 del 2022).

Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto, pervenuto all’indirizzo del destinatario, il quale deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. 28/05/2020 n. 10131, Cass. 04/04/2018 n. 8293).

6.3. Come riferito dallo steso ricorrente, l’addetto al recapito della raccomandata ha sbarrato le caselle dell’avviso di ricevimento in cui si dava atto della “temporanea assenza del destinatario” per “mancanza” e dell’”immesso avviso cassetta corrisp. dello stabile in indirizzo” ed ha annotato di aver spedito la comunicazione di avvenuto deposito, così detta CAD. La notifica risulta, pertanto, conforme al disposto del D.P.R. n. 890 del 1982, art. 14, non occorrendo alcuna delle indicazioni previste dagli artt. 139 e 140 c.p.c..

6.4. Quanto alle censura relativa alla così detta CAD, le sezioni unite di questa Corte, conformemente al più recente orientamento consolidatosi, hanno affermato che anche nella notifica “postale diretta” di cui al D.P.R. n. 890 del 1982, art. 14, in caso di temporanea assenza del destinatario, per considerare perfezionata la procedura notificatoria è necessario verificare in concreto l’avvenuta ricezione della CAD ed a tal fine il notificante è processualmente onerato della produzione del relativo avviso di ricevimento. (Cass., Sez. U., 15/04/2021, n. 10012).

La prova della notifica, pertanto, è raggiunta attraverso la produzione in giudizio del relativo avviso di ricevimento – il cui versamento in atti ad opera dalla Agenzia delle Entrate è confermato nello stesso ricorso – non occorrendo, come invece ritenuto dal ricorrente, la produzione della stessa comunicazione a riprova del suo contenuto.

6.5. Infine, quanto all’avviso di ricevimento della CAD questa Corte ha chiarito che il controllo su tale avviso deve riguardare, in caso di ulteriore assenza del destinatario in occasione del recapito della relativa raccomandata, non seguita dal ritiro del piego entro il termine di giacenza, l’attestazione dell’agente postale in ordine all’avvenuta immissione dell’avviso di deposito nella cassetta postale od alla sua affissione alla porta dell’abitazione, formalità le quali, ove attuate entro il predetto termine di giacenza, consentono il perfezionarsi della notifica allo spirare del decimo giorno dalla spedizione della raccomandata stessa, spettando al destinatario contestare, adducendo le relative ragioni di fatto e proponendo quando necessario querela di falso, che, nonostante quanto risultante dalla CAD, in concreto non si siano realizzati i presupposti di conoscibilità richiesti dalla legge oppure egli si sia trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prendere cognizione del piego.

La CAD, pertanto, non segue il percorso comunicativo proprio dell’originaria raccomandata di notifica del piego, in quanto per esso, al fine evidentemente di regolare una vicenda che altrimenti potrebbe portare al reiterarsi indefinito di successivi avvisi e depositi, la norma prevede soltanto che in caso di assenza del destinatario, deve essere affisso alla porta d’ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda” e pertanto l’agente postale, nel recapitare la raccomandata di avviso, ove non trovi il destinatario, non può far altro che procedere ad uno di tali incombenti, dandone atto nell’avviso di ricevimento della CAD; (Cass. 29/10/2020 n. 23921).

Come precisato rispetto all’omologo avviso di deposito della notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c., attraverso l’avviso di ricevimento della CAD occorre avere prova (non già della consegna ma) del fatto che la raccomandata di avviso sia effettivamente giunta al recapito del destinatario e tale prova è raggiunta a mezzo della produzione dell’avviso di ricevimento, sia esso sottoscritto dal destinatario o da persone abilitate, sia esso annotato dall’agente postale in ordine all’assenza di persone atte a ricevere l’avviso medesimo (Cass. 30/01/2019, n. 2683).

6.6. Nel caso in esame, l’avviso di ricevimento della CAD individuata con l’esatto numero indicato nella prima raccomandata – è stato depositato in atti; esso, firmato dall’agente postale, attesta la persistente assenza del destinatario – o di chi per esso – che pertanto non ha sottoscritto l’avviso, e l’avvenuta immissione in cassetta della raccomandata di avviso del deposito. Anche sotto tale profilo, pertanto, non è ravvisabile alcun vizio del procedimento notificatorio.

7. Per quanto fin qui detto, il ricorso va rigettato restando assorbiti gli ulteriori motivi attinenti al merito dell’avviso di accertamento impugnato. Rispetto a questi ultimi – stante l’accertata inammissibilità del ricorso per intempestività – la motivazione resa dalla C.t.r. deve considerarsi svolta ad abundatiam (Cass. 19/12/2017 n. 30393).

8. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2022


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 11/05/2022) 20/05/2022, n. 16467

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTI Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 472-2016 proposto da:

IMMOBILIARE ANGEBA S.a.S. DI M.M., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato CATALDO D’ANDRIA, che la rappresenta e difende assieme all’Avvocato ALBERTO ALFREDO FERRARIO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato RAFFAELE IZZO, che lo rappresenta e difende assieme agli Avvocati ANTONELLO MANDARANO, RUGGERO MERONI, ENRICO BARBAGIOVANNI ed IRMA MARINELLI giusta procura speciale estesa in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2299/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA DELLA LOMBARDIA, depositata il 26/5/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11/5/2022 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DELL’ORFANO ANTONELLA;

lette le conclusioni scritte depositate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale SOLDI ANNAMARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Immobiliare Angeba S.a.S. di M.M. propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria della Lombardia aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 63/44/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano in rigetto del ricorso avverso avvisi di accertamento ICI 2006-2010 relativi ad un terreno di proprietà della ricorrente, per il quale era stata chiesta autorizzazione per la costruzione di un edificio.

La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva confermato la sentenza di primo grado sul rilievo che il Comune non fosse incorso in decadenza di accertamento per l’anno 2006, non avendo la ricorrente mai prodotto le dichiarazioni relative all’immobile per cui è causa, che non sussisteva l’obbligo di allegazione, all’atto impositivo, degli atti cui si faceva riferimento nella motivazione in quanto atti generali, come le delibere comunali, e che infine fosse corretta la determinazione del valore venale dell’area accertata ai fini ICI. Il Comune resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione
1.2. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4, L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 173) in quanto assume che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe erroneamente affermato la tempestività dell’avviso di accertamento relativo all’annualità 2006, notificato nel 2012, non avendo la ricorrente mai prodotto le dichiarazioni relative all’immobile per cui è causa.

1.2. La censura va disattesa.

1.3. La questione oggetto di scrutinio è l’individuazione del dies a quo rilevante ai fini della decadenza del potere di accertamento in materia di ICI nei diversi casi di omesso versamento di imposta e di omessa dichiarazione.

1.4. La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, prevede che “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 16 e 17, e successive modificazioni”.

1.5. Con tale disposizione il legislatore ha sostituito i termini stabiliti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 10 e 11 e, più in generale, ha provveduto ad unificare per i tributi comunali e provinciali la disciplina relativa all’attività di accertamento, dettando disposizioni comuni sulla notifica degli atti di accertamento e di riscossione, sulla nomina dei messi notificatori e l’esercizio delle relative funzioni, sui requisiti essenziali degli atti di accertamento e, per quello che qui interessa, individuando i termini, a pena di decadenza, per la notifica degli atti di accertamento e del primo atto di riscossione.

1.6. In particolare, la norma sopra indicata subordina alla notifica di atto di accertamento, sia l’attività di rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli, o, anche, dei parziali o ritardati versamenti, sia l’attività svolta d’ufficio, in caso di omesse dichiarazioni o omessi versamenti.

1.7. Tutti gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente in un unico termine, previsto a pena di decadenza, “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

1.8. Per delimitare dal punto di vista temporale l’esercizio del potere impositivo è necessario distinguere due diversi dies a quo dai quali iniziare il computo del termine di decadenza previsto per i tributi locali.

1.9. Ed invero, nel caso in cui il contribuente presenta una dichiarazione ed omette il versamento, per individuare il dies a quo deve farsi riferimento al termine entro il quale il tributo avrebbe dovuto essere pagato.

1.10. A questo proposito, per quanto riguarda l’ICI, si rileva che il tributo doveva essere versato per “l’anno in corso in due rate delle quali la prima, entro il 16 giugno (…). La seconda rata deve essere versata dal 10 al 16 dicembre, a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno (…)” (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 2).

1.11. L’ICI, in vigore fino al 2011, è stata sostituita dall’IMU la quale prevede termini analoghi a quelli sopra riportati con la possibilità del pagamento del tributo in un’unica rata il 16 giugno (D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 3), termini che non risultano modificati a seguito del più recente intervento in materia di IMU (L. n. 160 del 2019, art. 1, comma 762).

1.12. Nel caso in cui il contribuente abbia omesso la presentazione della dichiarazione, per individuare il dies a quo deve invece farsi riferimento al termine entro il quale egli avrebbe dovuto presentarla.

1.13. A questo proposito, ai fini ICI, i soggetti passivi “devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato (…) entro il termine della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio (…) La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi semprechè non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta; in tal caso il soggetto interessato è tenuto a denunciare nelle forme sopra indicate le modificazioni intervenute, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui le modificazioni si sono verificate” (citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4).

1.14. Per quanto concerne l’IMU “i soggetti passivi devono presentare la dichiarazione entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta (…). La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempre che non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta” (D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 12-ter, conv. in L. n. 214 del 2011), disposizione rimasta sostanzialmente invariata per effetto della L. n. 160 del 2019, art. 1, comma 769.

1.15. Pertanto, nel primo caso sopra riportato, nel quale la dichiarazione è stata presentata ed omesso il versamento, il primo dei cinque anni previsti dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, è quello successivo a quello oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato; nel secondo caso in cui la dichiarazione non è stata presentata, il Comune ha un termine più ampio per effettuare l’accertamento del tributo.

1.16. In particolare, per quanto riguarda la dichiarazione ICI, per la presentazione della quale si faceva riferimento al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, il riferimento è al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, il quale nel testo in vigore ratione temporis prevedeva che “le persone fisiche e le società (di persone) o le associazioni (…) presentano la dichiarazione (…) tra il 1 maggio ed il 30 giugno ovvero in via telematica entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta”.

1.17. Per quanto riguarda l’IMU è, come detto, espressamente previsto come termine di presentazione della dichiarazione il 30 giugno dell’anno successivo a quello di inizio di possesso o di intervenuta variazione, rilevante ai fini della determinazione dell’imposta.

1.18. Tenuto conto di ciò, nei casi di omessa dichiarazione, il primo dei cinque anni previsti dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, è il secondo anno successivo a quello oggetto di accertamento, e dunque se, per ipotesi, l’anno in cui è iniziato il possesso o è intervenuta la variazione è il 2017, la relativa dichiarazione deve essere presentata nel 2018, con la conseguenza che il primo anno dei cinque previsti per la decadenza dal potere impositivo è perciò il 2019, con l’ulteriore risultato che il termine per la notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Ente impositore scadrà il 31 dicembre 2023.

1.19. Nella fattispecie oggetto del presente scrutinio, con l’avviso di accertamento relativo all’anno 2006, notificato il 25.7.2012, veniva contestato alla contribuente l’omesso pagamento e l’omessa dichiarazione ICI relativa anche alla suddetta annualità di imposta.

1.20. Risulta non contestata tra le parti la circostanza che a seguito di variante al P.R.G., adottata in data 8.3.1972, l’area in questione “risulta(va)… destinata a servizi pubblici” con conseguente sospensione, da parte del Comune, della richiesta di concessione edilizia presentata dalla contribuente in data 8.5.1969, successivamente respinta, nell’aprile 1984, in quanto in contrasto con le previsioni del P.R.G. che destinavano l’area in questione a spazi pubblici o riservati alle attività collettive a livello comunale.

1.21. E’ parimenti non contestato che la contribuente non abbia mai adempiuto all’obbligo di presentare la dichiarazione ai fini ICI con riguardo all’area in questione, il che diede luogo agli avvisi di accertamento impugnati.

1.22. Alla luce di quanto sopra l’avviso di accertamento risulta notificato entro il termine di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, scadendo, nel caso di specie, i cinque anni previsti da tale disposizione il 31.12.2012.

1.23. La CTR, nel dichiarare tempestiva, entro il suddetto termine quinquennale, la suindicata notifica ha dunque fatto corretta applicazione dei principi indicati.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia violazione di norme di diritto (L. n. 269 del 2006, art. 1, comma 162, L. n. 212 del 2000, art. 7) per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto gli atti impositivi adeguatamente motivati stante l’insussistenza dell’obbligo di allegazione delle delibere comunali relative agli avvisi impugnati.

2.2. La censura va parimenti disattesa in quanto le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non anche gli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (cfr. Cass. nn. 14723/2020, 2254/2016, 13105/2012). 3.1. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g, per mancata determinazione del valore venale dell’area sopposta a tassazione negli atti impugnati mediante mero richiamo alle delibere assunte antecedentemente dal Comune.

3.2. La doglianza è infondata.

3.3. In tema di ICI le delibere con le quali la giunta municipale provvede ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52 ad indicare i valori di riferimento delle aree fabbricabili costituiscono esercizio del potere riconosciuto al Consiglio Comunale dalla L. n. 446 citata, art. 59, lett. G. e riassegnato alla Giunta dal D.Lgs n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del Comune qualora la imposta sia versata in misura non inferiore a quella predeterminata, e rappresentano fonti di presunzioni utilizzabili dal Giudice, al pari del c. d. “redditometro” (cfr. Cass. nn. 15552/2010, 16702/2007) ma non hanno valore imperativo ed ammettono prova contraria, al che consegue che allorchè nel processo il Giudice ritenga raggiunta la prova, o perchè fornita dall’interessato o perchè comunque emergente dagli atti di causa, che ad un’area edificabile non possa essere applicato il valore stimato dal Comune, può disattenderlo, e, su istanza di parte, procedere ad una autonoma stima, utilizzando tuttavia i parametri di legge (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 5, comma 5).

3.4. Nel caso in esame, la ricorrente non ha dunque in alcun modo dimostrato la difformità tra il valore venale previsto nelle singole delibere, annualmente approvate, rispetto a quello posto alla base delle imposte applicate, limitandosi a generiche doglianze, come correttamente evidenziato dalla Commissione Tributaria Regionale nella sentenza impugnata.

4.1. Con il quarto motivo si denuncia violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 2) avendo la Commissione Tributaria Regionale ritenuto la legittimità dell’avviso impugnato anche in mancanza del presupposto impositivo, in quanto il terreno in oggetto non aveva natura edificabile, essendo stato destinato, nel PRG, a spazi pubblici o riservati alle attività collettive a livello comunale.

4.2. La questione controversa è relativa al se il vincolo di destinazione urbanistica a “verde pubblico” sottragga l’area al regime fiscale dei suoli edificabili, ai fini dell’ICI. 4.3. Trovano applicazione, nel caso di specie, i principii, già enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte e a cui il Collegio intende dare in questa sede continuità, secondo cui, in tema d’imposta comunale sugli immobili la nozione di edificabilità non si identifica e non si esaurisce in quella di edilizia abitativa (cfr. Cass. n. 19161/2004), cosicchè l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale ad attrezzature e impianti di interesse generale, o a servizi pubblici o di interesse pubblico, non esclude l’oggettivo carattere edificabile del D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione, che condizionano, in concreto, l’edificabilità del suolo, ma non sottraggono l’area su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili e considerato che la destinazione prevista dal vincolo posto dal piano regolatore è realizzabile non necessariamente mediante interventi (o successive espropriazioni) di carattere pubblico, ma anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata (non importa se direttamente ovvero in seguito ad accordi di natura complessa) (cfr. Cass. nn. 21351/2021, 17764/2018, 23814/2016, 14763/2015, 5161/2014, 9778/2010, 9510/2010, 19161/2004).

4.2. Va quindi motivatamente disatteso il diverso orientamento (cfr. Cass. nn. 27121/2019, 5992/2015, 25672/2008), secondo il quale le aree sottoposte dal piano regolatore generale a un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, non possono essere qualificate come fabbricabili, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e restano sottratte al regime fiscale dei suoli fabbricabili.

4.3. Tali pronunce, infatti, non tengono conto che il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), prevedendo che un terreno è considerato edificatorio sia quando l’edificabilità risulti dagli strumenti urbanistici generali o attuativi, sia quando, per lo stesso terreno, esistano possibilità effettive di costruzione, delinea una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria.

4.4. Essa, pertanto, non può essere esclusa dalla ricorrenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, giacchè tali limiti, incidendo sulle facoltà dominicali connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico edilizia del suolo medesimo, ne presuppongono la vocazione edificatoria.

4.5. Con riguardo, alle aree destinate a servizi pubblici o di interesse pubblico, è stato ritenuto, infatti, che “in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico incide senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, ma non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile del D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venire meno l’originaria natura edificabile” (Cass. n. 23814/2016; conforme Cass. nn. 5604/2022, 653/2022, 17764/2018).

4.6. Ne discende che la presenza dei suddetti vincoli non sottrae le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incide soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile (cfr. Cass. nn. 24308/2016, 5161/2014, 9778/2010, 9510/2008).

5.1. Con il quinto motivo si lamenta violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, L. n. 212 del 2000, art. 10, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2) per avere la Commissione Tributaria Regionale respinto la richiesta, avanzata in subordine, di disapplicazione delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza circa la portata e l’ambito di applicazione della normativa ICI circa le aree fabbricabili in caso di apposizione di vincoli.

5.2. Questa Corte ha più volte affermato che per incertezza normativa oggettiva tributaria deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie.

5.3. Si è pure aggiunto che l’essenza del fenomeno incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di “fatti indice” che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati esemplificati: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, in particolar modo se accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.

5.4. Tali fatti devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili (cfr. Cass. n. 4685/2012).

5.5. Proprio richiamando tali principi, va evidenziato che nel caso in esame non ricorre un’evidente e conclamata presenza di una situazione di incertezza nel caso di specie, militando, in tal senso, la mancanza di diffusi contrasti giurisprudenziali in argomento, risultando, al contrario, in particolar modo all’epoca delle contestate inadempienze tributarie, del tutto minoritario e limitato l’orientamento giurisprudenziale conforme alle argomentazioni della ricorrente.

6. Il ricorso va dunque rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.900,00 per compensi, oltre ad Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 11 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2022


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 22/02/2022) 17/05/2022, n. 15782

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio F. – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 29984 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto da:

Agenzia delle entrate – Riscossione, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.to Alessandro Bacchi, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica (PEC) alessandro.bacchi.avvocatiperugiapec.it;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria n. 47/02/2020, depositata in data 17 febbraio 2020.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22 febbraio 2022 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

Svolgimento del processo
che:

– l’Agenzia delle entrate – Riscossione propone ricorso, affidato a un motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria aveva accolto parzialmente l’appello proposto da M.G. avverso la sentenza n. 573/02/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia di rigetto del ricorso del contribuente avverso l’intimazione di pagamento di complessivi Euro 124.136,90 conseguente a presupposte diciannove cartelle esattoriali con le quali erano state iscritte a ruolo diverse imposte, interessi e sanzioni, in relazione alle annualità 1999-2004;

– la CTR ha accolto parzialmente l’appello del contribuente, dichiarando: a) l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere con riferimento a dieci cartelle oggetto di annullamento D.L. n. 119 del 2018, ex art. 4; b) la prescrizione totale e/o parziale dei tributi (erariali e locali) portati dalle residue nove cartelle, avuto riguardo alla data di notifica delle rispettive cartelle (tra il 2005 e il 2010) e a quella della intimazione impugnata (14.9.2017), negando valenza di atti interruttivi sia agli atti di intimazione asseritamente notificati il 21.2.2013 che agli atti di pignoramento presso terzi asseritamente notificati nel 2013. – il contribuente resiste con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Motivi della decisione
che:

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate-Riscossione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e dell’art. 140 c.p.c., per avere la CTR ritenuto maturata la prescrizione totale e/o parziale dei crediti portati dalle residue cartelle sottese all’intimazione di pagamento impugnata, negando, per mancata prova del perfezionamento della notifica, valenza di atti interruttivi sia agli atti di pignoramento presso terzi asseritamente notificati nel 2013 che agli atti di intimazione asseritamente notificati il 21.2.2013, ancorchè, ad avviso della ricorrente, per questi ultimi la notifica fosse da ritenersi perfezionata, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., essendo sufficiente, ai fini della prova del perfezionamento per compiuta giacenza dell’invio della raccomandata informativa, la produzione in giudizio, come nella specie, dell’attestazione di spedizione della raccomandata e del relativo avviso di ricevimento privo della sottoscrizione del destinatario.

2. Il motivo è infondato.

2.1. Nella sentenza impugnata, per quanto di interesse, il giudice di appello ha ritenuto – avuto riguardo alla data di notifica delle cartelle (2005-2010) e a quella di notifica dell’intimazione di pagamento impugnata (14.9.17) – maturata la prescrizione (decennale per i tributi erariali, quinquennale per i tributi locali e le sanzioni, triennale per i bolli auto regionali), in tutto o in parte, dei crediti portati dalle cartelle presupposte all’intimazione di pagamento impugnata, escludendo valenza interruttiva, per rilevato difetto di notifica, agli atti di intimazione asseritamente notificati in data 21.2.2013 e agli atti di pignoramento presso terzi notificati nel 2013 (“in tutti questi casi la relata di notifica del plico reca menzione del debitore come “sconosciuto” o ” temporaneamente assente” con conseguente avviso di deposito degli atti ex art. 140 c.p.c., e spedizione di raccomandata il cui avviso di ricevimento risulta tuttavia vuoto”… non può considerarsi perfezionata la notifica di una intimazione di pagamento o di pignoramenti presso terzi se l’agente notificante si limita ad annotare che il contribuente risulta “sconosciuto” mancando documentale riscontro delle successive ricerche effettuate circa la residenza anagrafica del debitore”).

2.3. Quanto alla dedotta violazione di legge per assunta regolarità della notifica, in data 21.2.2013, degli atti di intimazione con presunta valenza interruttiva della prescrizione, va rammentato che gli adempimenti prescritti nel caso di c.d. irreperibilità relativa dall’art. 140 c.p.c., sono tre, e in particolare: a) il deposito della copia dell’atto in busta sigillata nella casa comunale, stante l’irreperibilità del destinatario; b) l’affissione alla porta dell’avviso di deposito; c) l’invio al destinatario della raccomandata con avviso di ricevimento contenente la notizia del deposito.

Orbene, si è da questa Corte ritenuto che il compimento delle formalità previste dall’art. 140 c.p.c., deve risultare dalla relazione di notificazione che, sotto questo aspetto, dando atto di operazioni compiute dallo stesso ufficiale giudiziario, fa fede sino a querela di falso-cfr. Cass. n. 4844/1993; tale principio va tuttavia completato dall’affermazione che la efficacia probatoria privilegiata degli atti pubblici è circoscritta, per quanto qui interessa, ai “fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti” e, pertanto, dovendosi avvalere il messo notificatore del servizio postale per l’inoltro della raccomandata informativa ex art. 140 c.p.c., nella relata di notifica redatta ai sensi dell’art. 148 c.p.c., il pubblico ufficiale, indicando di aver adempiuto a tutte le formalità prescritte dalla norma (deposito della copia dell’atto nella casa comunale dove la notificazione deve eseguirsi, affissione dell’avviso dell’eseguito deposito alla porta dell’abitazione, ufficio o azienda del destinatario, notizia a quest’ultimo per raccomandata con avviso di ricevimento), potrà dare atto di aver consegnato all’Ufficio postale l’avviso informativo, contenente le indicazioni di cui all’art. 48 disp. att. c.p.c., da spedire per raccomandata AR, ma non sarà in grado -evidentemente- di attestare anche l’effettivo inoltro dell’avviso da parte dell’Ufficio postale, trattandosi di operazioni non eseguite alla sua presenza e dunque non assistite dal carattere fidefaciente della relata di notifica, con la conseguenza che la eventuale prova del mancato recapito potrà essere fornita dal destinatario senza necessità di impugnare la relata mediante querela di falso (cfr. Cass. n. 2082/1999, secondo cui ad integrare l’ultimo adempimento ex art. 140 c.p.c., di “dare notizia” al destinatario delle operazioni compiute “non è sufficiente che la raccomandata sia consegnata all’ufficio postale di partenza, ma è necessario che la stessa sia spedita, con la conseguenza che la notificazione deve ritenersi nulla, qualora risulti che, dopo la consegna, il piego raccomandato non sia stato inoltrato dall’ufficio postale – v. Cass. n. 11118/2000 -. Vedi, con riferimento alla giurisprudenza formatasi sull’art. 140 c.p.c., anteriormente all’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 3/2010, Cass. n. 3497 del 04/04/1998, secondo cui il compimento di detta ultima formalità “non può essere desunto dalla sola indicazione del numero della raccomandata spedita, senza alcuna verifica sull’esistenza e sul contenuto della ricevuta di spedizione, anche ai fini del riscontro degli elementi richiesti dall’art. 48 disp. att. c.p.c., atteso che l’attestazione dell’ufficiale giudiziario di avere inviato una raccomandata indicandone il numero copre con la fede privilegiata soltanto tale ambito, ma dalla stessa non sono desumibili nè l’indirizzo al quale la raccomandata è stata spedita nè il destinatario della medesima negli altri elementi di cui all’art. 48 disp. att. c.p.c.”; v. da ultimo Cass. sez. 6-5, n. 1699 del 2019).

A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, in tema di notificazione ex art. 140 c.p.c., si è tenuto distinto il momento del perfezionamento della notificazione nei riguardi del notificante da quello nei confronti del destinatario dell’atto, dovendo identificarsi, il primo, con quello in cui viene completata l’attività che incombe su chi richiede l’adempimento, e, il secondo, con quello in cui si realizza l’effetto della conoscibilità dell’atto (Cass. 11 maggio 2012, n. 7324); ne consegue che la notifica, a mezzo posta, dell’avviso informativo al contribuente si perfeziona non con il semplice invio a cura dell’agente postale della raccomandata che dà avviso dell’infruttuoso accesso e degli eseguiti adempimenti, ma decorsi dieci giorni dall’inoltro della raccomandata o nel minor termine costituito dall’effettivo ritiro del plico in giacenza (Cass., sez. 5, n. 27666 del 2019).

Questa Corte ha proprio di recente affermato che “ove la notifica (nella specie della cartella di pagamento) sia avvenuta nelle forme di cui all’art. 140 c.p.c., prima della sentenza della Corte Cost. n. 3 del 2010, ai fini della regolarità della stessa è comunque necessaria la produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata spedita a compimento delle formalità previste dalla indicata disposizione, stante l’efficacia retroattiva delle pronunce additive della Corte Costituzionale” (Cass., sez. 6-5, n. 10519/2019; Cass. n. 33525 del 2019; Cass. n. 25351 del 2020).

Ne consegue che, ai fini della notificazione nel caso di irreperibilità relativa del destinatario, il procedimento da seguire è quello disciplinato dall’art. 140 c.p.c., che prevede la necessità che venga prodotta in giudizio, a prova del perfezionamento del procedimento notificatorio, l’avviso di ricevimento (o di compiuta giacenza) della raccomandata informativa che dà atto dell’avvenuto deposito dell’atto da notificare presso la casa comunale (Cass. n. 33525 del 2019); in particolare, occorre avere prova (non già della consegna ma) del fatto che la raccomandata di avviso sia effettivamente giunta al recapito del destinatario e tale prova è raggiunta a mezzo della produzione dell’avviso di ricevimento, sia esso sottoscritto dal destinatario o da persone abilitate, sia esso annotato dall’agente postale in ordine all’assenza di persone atte a ricevere l’avviso medesimo; difatti, l’avviso di ricevimento, a parere della Corte, è parte integrante della relazione di notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., in quanto persegue lo scopo di consentire la verifica che l’atto sia pervenuto nella sfera di conoscibilità del destinatario (cfr. Cass., S.U., ord. interlocutoria n. 458 del 2005; Cass., sez. lav., n. 2683 del 2019).

2.4.Non risultando dalla sentenza impugnata la produzione in giudizio da parte dell’Ufficio degli originali o di copia degli avvisi di compiuta giacenza delle raccomandate informative del deposito presso la casa comunale degli atti di intimazione con valenza asseritamente interruttiva, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere che non emergesse la prova del perfezionamento della notifica degli stessi ai sensi dell’art. 140 c.p.c., avendo, per quanto di interesse, accertato-con apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità- che in tutti questi casi la relata di notifica del plico reca menzione del debitore… come “temporaneamente assente” con conseguente avviso di deposito degli atti ex art. 140 c.p.c., e spedizione di raccomandata il cui avviso di ricevimento risulta tuttavia vuoto”.

3. In conclusione, il ricorso va rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

5. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (Cass., Sez. 6 – L, Ord. n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714).

P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate-Riscossione, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore del controricorrente delle spese processuali che liquida in complessive Euro 4.100,00, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2022


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 08/03/2022) 21/04/2022, n. 12706

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22833/2019 R.G. proposto da:

STUDIO LEGALE M. ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE, rappresentata e difesa dall’avvocato Pompilio Massafra, elettivamente domiciliata in Roma, via Baldo degli Ubaldi 272;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, RISCOSSIONE ROMA CAPITALE (GIA’ COMUNE DI ROMA);

– intimati –

avverso la sentenza n. 450/2019 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 23/1/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dell’8/3/2022 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

Svolgimento del processo
che:

– la Studio Legale M. Associazione Professionale conveniva in giudizio l’agente della riscossione Gerit S.p.A. e il Comune di Roma domandando la declaratoria di invalidità del fermo amministrativo dell’autoveicolo tg. (OMISSIS) e delle cartelle di pagamento (asseritamente non notificate) poste a fondamento del medesimo, nonchè il riconoscimento dell’estinzione del credito vantato dal Comune per intervenuta decadenza e prescrizione;

– il Giudice di Pace dichiarava la propria incompetenza e rimetteva le parti innanzi al Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia;

– il giudice di primo grado, con la sentenza n. 20931/2011, confermava la propria competenza; in esito alla discussione orale del 24/7/2013, accoglieva la domanda dell’Associazione Professionale, qualificata come opposizione all’esecuzione, e dichiarava l’invalidità del fermo amministrativo e l’estinzione dell’obbligazione di pagamento derivante dalle cartelle esattoriali per intervenuta prescrizione del diritto di credito;

– Equitalia Sud S.p.A., subentrata a Gerit S.p.A. nella riscossione, impugnava la decisione;

– la Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 450 del 23/1/2019, accoglieva l’appello e, in totale riforma della pronuncia di primo grado, respingeva l’opposizione proposta;

– avverso la suddetta sentenza la Studio Legale M. Associazione Professionale proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;

– Agenzia delle Entrate – Riscossione (succeduta alle società del gruppo Equitalia) depositava memoria per la partecipazione alla discussione; l’intimata Roma Capitale (già Comune di Roma) non svolgeva difese nel giudizio di legittimità.

Motivi della decisione
che:

– col primo motivo la ricorrente deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., L. n. 890 del 1982, art. 6 e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, per avere la Corte di merito ritenuto valida la notifica di alcune delle cartelle di pagamento sebbene le stesse fossero state consegnate al portiere e difettassero sia l’attestazione riguardante il mancato rinvenimento di persone preferibilmente abilitate alla ricezione, sia la raccomandata informativa circa l’avvenuta notificazione a soggetto diverso dal destinatario;

– indipendentemente dalle lacune del ricorso – che, in violazione dell’art. 366 c.p.c., trascura di riportare il testo degli atti relativi alla notificazione delle cartelle, oggetto della censura per violazione delle menzionate disposizioni – la censura è comunque infondata;

– infatti, come già statuito da questa Corte, “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982. (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza con cui il giudice di merito ha ritenuto invalida la notifica della cartella sull’erroneo presupposto che, essendo stata ricevuta dal portiere, occorresse, a norma dell’art. 139 c.p.c., l’invio di una seconda raccomandata)” (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 12083 del 13/06/2016, Rv. 640025-01; nello stesso senso, Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018, Rv. 651834-01);

– il riferimento del ricorso al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), è inappropriato, sia perchè la disposizione non riguarda la notificazione della cartella di pagamento (per la quale si applica, appunto, il D.P.R. n. 602 del 1973, citato art. 26; v. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 5278 del 22/2/2019), sia perchè non si verte dell’ipotesi in cui “nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente”;

– col secondo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., per avere il giudice di merito affermato che l’appellata (totalmente vittoriosa in primo grado) non aveva reiterato le precedenti difese ed eccezioni e che, dunque, le stesse non potevano essere esaminate; al contrario, afferma la ricorrente che era stata esplicitamente rinnovata, nella comparsa di risposta, l’eccezione di prescrizione (quinquennale) del diritto di riscuotere la sanzione amministrativa;

– analogamente, ma sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con la terza censura si propone doglianza per “errata, omessa ed insufficiente motivazione… circa la mancata riproposizione in grado di appello dell’eccezione di intervenuta prescrizione delle pretese dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti”;

– i suesposti motivi vanno esaminati congiuntamente, in quanto deducono sotto diversi aspetti la medesima violazione da parte del giudice d’appello: essi sono fondati, dovendosi ricondurre le censure – emendata quella del terzo motivo dall’incongruo riferimento al vizio motivazionale di cui al testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, abrogato da quasi dieci anni – all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – nella comparsa di risposta in appello – trascritta nel ricorso parzialmente, ma in maniera sufficiente all’illustrazione della censura e alla sua comprensibilità da parte della Corte – l’Associazione Professionale aveva riproposto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 346 c.p.c. (v. Cass., Sez. U., Sentenza n. 7700 del 19/04/2016 e Cass., Sez. U., Sentenza n. 11799 del 12/05/2017), la doglianza relativa alla prescrizione del diritto di credito dell’ente impositore;

– l’odierna ricorrente, risultata totalmente vittoriosa in primo grado, non aveva l’onere di proporre impugnazione incidentale della decisione di prime cure e la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare i profili che, rimasti assorbiti dalla pronuncia dal Tribunale, erano stati riproposti nel secondo grado;

– per quanto esposto, la sentenza impugnata, che a tanto non ha proceduto, va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, affinchè esamini anche l’eccezione suddetta;

– si rimette al giudice del rinvio la regolazione delle spese, anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
la Corte:

dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso;

accoglie il secondo e il terzo motivo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2022


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 13/01/2022) 08/04/2022, n. 11461

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27032-2020 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso cui è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

ART. DESIGN s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 426/10/2020 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata in data 23/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/01/2022 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

1. L’Agenzia delle entrate ricorre con un unico motivo, cui non replica l’intimata Art. Design s.r.l., per la cassazione della sentenza della CTR del Lazio, in epigrafe indicata, pronunciata In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di tre cartelle di pagamento n. (OMISSIS), n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), relative agli anni d’imposta 2010 e 2011, che la predetta società contribuente sosteneva non essergli mai state notificate e di cui era venuta a conoscenza in data 30/07/2015 a seguito di rilascio di estratti di ruolo da parte del concessionario alla riscossione. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che “dalla documentazione prodotta dall’appellate non emerge chiaramente la ritualità della notifica” delle cartelle, in quanto “eseguita nello stabile, composto da più piani abitativi, ubicato al (OMISSIS) ma a soggetti non chiaramente riconducibili alla soc. Art. Design (tale sig.ra A. non riconducibile all’Art. Design e studio D.R., di cui in atti non vi sono elementi da cui dedurre il collegamento con la soc. contribuente).

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Motivi della decisione
che:

1. Con il motivo di ricorso, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, dell’art. 2700 c.c., e della L. n. 890 del 1982, art. 7, la ricorrente censura la sentenza d’appello per avere ritenuto nulla la notificazione delle cartelle di pagamento n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), benchè effettuate presso la sede legale della società contribuente con consegna del plico a persona qualificatasi come impiegata.

3. Pare opportuno premettere che il ricorso ha ad oggetto soltanto le due cartelle sopra indicate, giacchè, per come desumibile dall’esposizione dei fatti di causa (ricorso, pag. 2), con riferimento alla terza, n. (OMISSIS), l’Agenzia delle entrate neppure aveva proposto appello avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato la cartella per non essere stata fornita dall’amministrazione finanziaria alcuna prova della sua notificazione alla società contribuente, sicchè in relazione a tale ultima cartella si è formato il giudicato interno.

4. Ciò precisato, ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato e vada accolto.

5. Al riguardo va ricordato che “Ai fini del perfezionamento della notifica diretta effettuata, a mezzo posta, dall’incaricato della riscossione è sufficiente la consegna del plico al domicilio del destinatario, senza nessun altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la propria firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltrechè sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente, essendo la notifica valida anche se manchi l’indicazione delle generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, trattandosi di adempimento non previsto da alcuna norma” (Cass. n. 946 del 2020); “ne consegue che se, come nella specie, manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur tuttavia valido, poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata” (Cass. n. 11708 del 2011). Si è quindi precisato (cfr. Cass. n. 28895 del 2011) che “In ipotesi di consegna dell’atto da notificare presso lo studio del legale domiciliatario a mani di soggetto in esso rinvenuto”, ma è lo stesso a dirsi in caso di notifica presso la sede legale di una società, “la qualità di persona addetta alla ricezione si presume per la sua presenza nel locale in questione, restando, quindi, onere del destinatario della notifica dare dimostrazione dell’inidoneità del soggetto medesimo alla ricezione degli atti, allegando e provando la casualità della sua presenza, l’esistenza di un rapporto di lavoro non legato all’attività professionale o la mancanza di delega al riguardo”.

6. Orbene, a tali arresti giurisprudenziali non si è attenuta la CTR che ha ritenuto nulla la notificazione delle cartelle di pagamento n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), benchè effettuate all’indirizzo della società contribuente con consegna del plico a persona qualificatasi come impiegata, con la conseguenza che, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Commissione tributaria regionale del Lazio per esame delle questioni rimaste assorbite.

7. La CTR, quale giudice del rinvio, valuterà anche l’incidenza nel presente giudizio – in cui la contribuente assume di non aver ricevuto la rituale notifica delle cartelle di pagamento, di cui era venuta a conoscenza solo occasionalmente, attraverso il rilascio da parte dell’agente della riscossione dell’estratto di ruolo – dello ius superveniens di cui al D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, art. 3-bis, convertito in L. 17 dicembre 2021, n. 215, dettato in materia di “non impugnabilità dell’estratto di ruolo e limiti all’impugnabilità del ruolo”, alla stregua dell’emananda pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte sulla questione – di cui è stata investita con ordinanza interlocutoria n. 4526 del 2022 della Sezione Quinta proprio a seguito dell’entrata in vigore della citata disposizione -, relativa alla portata applicativa della stessa, ed in particolare se tale norma abbia natura sostanziale (con efficacia ex nunc), attenendo al presupposto impositivo, o processuale, e se, ed entro quali limiti, possa ritenersi ancora valido il principio affermato da S.U. n. 19704 del 2015, secondo cui il contribuente – che assuma di non aver ricevuto la rituale notifica di provvedimenti impositivi e che scopra “occasionalmente” la sussistenza di iscrizioni a ruolo – può impugnare “in via diretta” tali atti tributari, con tutela “anticipata”, quindi prima della loro rituale notificazione nei suoi confronti mediante l’impugnazione degli estratti di ruolo.

8. La CTR provvederà, altresì, alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2022


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 03/03/2022) 08/04/2022, n. 11469

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12831/2016 R.G. proposto da:

E.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Di Mauro, con domicilio eletto in Roma, via Padre Semeria n. 33, presso lo studio, giusta procura in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

Unione dei Comuni Montani Colline del Fiora, già Comunità Montana Colline del Fiora.

– intimata –

e Equitalia Sud s.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5994/1715 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 16/11/2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 marzo 2022 dal Consigliere Dott. De Masi Oronzo.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. De Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
E.F., dichiaratamente proprietario di un immobile sito in (OMISSIS), impugnava, davanti alla Commissione tributaria Provinciale di Roma, la cartella di pagamento di contributi di bonifica, per l’anno 2011??’, dovuti alla Comunità Montana Colline del Fiora ed il giudice adito, con sentenza n. 26647/39/14, dichiarava la propria incompetenza per territorio in favore della Commissione tributaria Provinciale di Grosseto.

La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello proposto dal contribuente, nei confronti dell’Unione dei Comuni Montani Colline del Fiora e di Equitalia Sud s.p.a., e decidendo nel merito rilevava che l’Ente impositore aveva dimostrato, mediante il deposito “relazione e cartografie, con indicate le proprietà del ricorrente”, le opere idrauliche e manutentive che avevano determinato “in capo agli immobili del ricorrente, un reale e concreto beneficio”, cioè “un concreto vantaggio di natura fondiaria al bene stesso, aumentandone il valore”, essendo le opere in grado di preservare il bene dalle acque, rendendolo più sicuro “sotto il profilo idrogeologico”. Aggiungeva il giudice di appello la ininfluenza della mancata trascrizione del perimetro di contribuenza, essendo il “piano generale di bonifica (…) atto della Regione e non dell’ente delegato” e consentendo la Legge Regionale n. 34 del 1994 Imposizione contributiva “con l’emanazione, appunto, di un perimetro di contribuenza provvisorio”.

Il contribuente propone cinque motivi di ricorso, illustrati con memoria, per la cassazione della sentenza, mentre l’Unione dei Comuni Montani Colline del Fiora ed Equitalia Sud s.p.a. sono rimaste intimate. Fissato all’udienza pubblica odierna, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina (successivamente prorogata) dettata dal sopravvenuto del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza fisica del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Con il primo motivo di ricorso il contribuente lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 148, 149, c.p.c., artt. 168, 171, c.p.p., della L. n. 890 del 1982, art. 3, in tema di notifica degli atti a mezzo posta, nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, in quanto la CTR ha omesso di pronunciare sulla eccezione, articolata nel ricorso introduttivo e riproposta nelle controdeduzioni in appello, concernente l’inesistenza della notifica della cartella. Deduce, in particolare, la mancata osservanza da parte dell’Agente della riscossione delle modalità prescritte dalla legge, avendo spedito l’atto a mezzo raccomandata A/R senza curarsi della redazione della relata di notifica, come richiesto in generale dagli artt. 148 e 149 c.p.c., rendendo impossibile verificare se la consegna all’ufficio postale sia stata eseguita da uno dei soggetti abilitati.

Con il secondo motivo lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 125 c.p.c., per non avere la CTR rilevato la dedotta nullità della cartella di pagamento per difetto di sottoscrizione del responsabile del procedimento.

Con il terzo motivo lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 860 c.c. e della L.R. Toscana n. 34 del 1994, artt. 3 e 4, per non avere la CTR considerato non rilevante il beneficio generale derivante dalle opere di bonifica laddove invece occorre un beneficio diretto e specifico, cioè un incremento di valore dell’immobile soggetto a contributo, in rapporto causale con le opere di bonifica e con la loro manutenzione.

Con il quarto motivo lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del R.D. n. 215 del 1933, art. 10, comma 2 e L.R. Toscana n. 34 del 1994, art. 15, per non avere la CTR considerato che l’onere di provare il predetto beneficio specifico ricade sull’Ente impositore e che la Delibera del Consiglio Regionale che ha delimitato la superficie di ha 42.668 del comprensorio nel quale opera la Comunità Montana Colline del Fiora non risulta trascritta presso la Conservatoria dei RR.II..

Con il quinto motivo lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 7 Statuto del Contribuente, per non avere la CTR rilevato la dedotta carenza motivazionale della cartella di pagamento impugnata, non essendo possibile evincere per quali opere di bonifica il contributo consortile è stato richiesto e quale sia il vantaggio fondiario che lo giustifica.

Con il sesto motivo lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 2, per non avere la CTR disposto consulenza tecnica d’ufficio al fine di acquisire i dati fattuali necessari per decidere nel merito la causa, non essendo all’uopo sufficienti gli atti (cartografie ed elencazioni di opere) predisposte dall’Unione dei Comuni Montani Colline del Fiora.

Le censure sono infondate.

Quanto alla prima censura, concernente la notifica a mezzo del servizio postale della cartella di pagamento, che la CTR ha fatto rientrare tra le questioni “assorbite e superate, perchè irrilevanti alla luce dell’esito del giudizio”, l’odierno ricorrente prescinde dall’orientamento della Corte (Cass. n. 28995/2018) secondo cui “la figura dell’assorbimento esclude il vizio di omessa pronuncia, in quanto il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto (l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, Cass. n. 21257 del 2014) e va escluso ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni”.

Il ricorrente, dunque, avrebbe dovuto censurare la correttezza della valutazione espressa dalla Corte di assorbimento dei motivi ulteriori, lamentando un vizio di motivazione del tutto omessa, e non sollevare un vizio di omessa pronuncia.

In ogni caso, in merito alla fondatezza della doglianza è sufficiente richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, “in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.(Cass. n. 6395/2014, n. 4567/2015, n. 20918/2016).

Con seconda censura il ricorrente deduce la nullità della cartella di pagamento per difetto di sottoscrizione del responsabile del procedimento, essendo ad avviso dell’impugnante insufficiente il “fatto che sia indicato un responsabile del procedimento”.

Premesso quanto innanzi osservato in ordine all’ammissibilità della doglianza per come formulata e per quanto è dato comprendere, la stessa si incentra sulla mancanza di autografia della sottoscrizione e la Corte ha precisato, in tema di tributi regionali e locali, che “qualora l’atto di liquidazione o di accertamento sia prodotto mediante sistemi informativi automatizzati, la sottoscrizione di esso può essere legittimamente sostituita, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, individuato da apposita determina dirigenziale”. (Cass. n. 2062872017).

La censura, del resto, neppure pone specificamente in dubbio che il nominativo apposto sulla cartella rispondesse in effetti a funzionario dell’Agente della riscossione regolarmente investito del relativo potere di emissione e sottoscrizione.

La Corte, invero, ha statuito che ” è tuttavia sufficiente, al fine di non incorrere nella detta nullità (D.L. n. 248 del 2007, ex art. 36, comma 4-ter), l’indicazione di persona responsabile del procedimento, a prescindere quindi dalla funzione (apicale o meno) della stessa effettivamente esercitata; siffatta indicazione appare peraltro sufficiente ad assicurare gli interessi sottostanti alla detta indicazione, e cioè la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa” (Cass. n. 3533/2016).

La terza e la quarta censura, scrutinabili congiuntamente in perchè strettamente connesse, concernono la mancanza di utilità fondiaria specifica e la distribuzione del relativo onere della prova, vanno disattesa alla stregua della normativa regionale applicabile ratione temporis (cfr., in particolare, la L.R. Toscana 13 maggio 1994, n. 34).

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, mentre in assenza di “perimetro di contribuenza” o -si aggiunge -in assenza del piano di classifica e, ancora, in caso di mancata valutazione dell’immobile del contribuente nel “piano di classifica”, grava sul Consorzio l’onere di provare sia la qualità, in capo al contribuente, di proprietario di immobile sito nel comprensorio sia il conseguimento, da parte del fondo del contribuente, di concreti benefici derivanti dalle opere eseguite, qualora vi siano un “perimetro di contribuenza” e un “piano di classifica” inclusivi dell’immobile del contribuente, come deve ritenersi nel caso in esame, spetta al contribuente che impugni la cartella esattoriale, affermando l’insussistenza del dovere contributivo, l’onere di provare l’inadempimento delle indicazioni contenute nel piano di classifica, e segnatamente l’inesecuzione o il non funzionamento delle opere da questo previste, che sono cosa ben diversa dalla mera negazione del beneficio fondiario, poichè il vantaggio diretto ed immediato per l’immobile, che costituisce il presupposto dell’obbligo di contribuzione, ai sensi dellart. 860 c.c. e R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 10, deve ritenersi presunto in ragione dell’avvenuta approvazione del medesimo piano di classifica e della comprensione dell’immobile nel perimetro di intervento consortile. (Cass. n. 23320/2014, n. 13167/2014, n. 4761/2012, n. 17066/2010, 26009/2008).

Emerge dalla sentenza impugnata, che riferisce pure dell’esistenza di un perimetro di contribuenza provvisorio delimitante l’area interessata dalle “opere pubbliche idrauliche e di bonifica” ed includente anche l’immobile per cui è causa, e a fortiori dal piano di classifica, che l’Ente impositore ha provato la realizzazione delle opere idrauliche e le attività di manutenzione, e con ciò ha provato anche “un reale e concreto benefico” di natura fondiaria per l’immobile del contribuente “legato al rischio idraulico evitato”.

A tal fine, la CTR ha inteso valorizzare, con valutazione del materiale probatorio riservata esclusivamente al giudice di merito, la conferma della sussistenza del beneficio fondiario – “legato al rischio idraulico” – “risulta dalla relazione prodotta in primo grado, nella quale, anche con l’ausilio di cartografie, con indicate le proprietà del ricorrente e le opere fatte presso di esse” essendo “possibile riscontrare anche visivamente tutte le attività dell’ente e apprezzare la contiguità con gli immobili del contribuente”.

Sulla scorta di quanto precede, quindi, il giudice di appello si è convinto che l’onere della prova contraria gravante sul contribuente medesimo non fosse stato adeguatamente assolto e che le relative deduzioni difensive si risolvessero in generiche contestazioni circa l’asserita insanabile assenza di un concreto vantaggio fondiario.

Quanto al dedotto profilo di illegittimità consequenziale al carattere provvisorio del perimetro di contribuenza ed alla mancata trascrizione del medesimo, va osservato come l’adozione di un perimetro di contribuenza provvisorio rientrasse tra le previsioni della L.R. Toscana n. 34 del 1994, art. 15, comma 4.

Non merita, pertanto, censura la sentenza della CTR la cui ratio decidendi si incentra proprio sull’affermazione, conforme alla richiamata giurisprudenza di legittimità, della accertata sussistenza del presupposto dell’obbligo contributivo costituito dalla inclusione dell’immobile nel perimetro consortile e dalla conseguente la presunzione di vantaggio fondiario.

Quanto al profilo di illegittimità concernente la mancata trascrizione del perimetro di contribuenza, adempimento previsto dalla L.R. Toscana n. 34 del 1994, art. 15, comma 2, ai sensi del R.D. n. 215 del 1933, al fine di darne “notizia al pubblico”, è appena il caso di osservare che, nel caso di specie, il rapporto impositivo si svolge nei soli confronti del diretto consorziato, il quale aveva modo di verificare l’effettiva ricomprensione del proprio immobile all’interno di esso mediante semplice consultazione del piano di classifica con il quale era stato adottato, dato accessibile, pur in difetto di trascrizione, in quanto portato da una delibera di approvazione regolarmente pubblicata e depositata.

La Corte, in proposito, ha avuto modo di chiarie che “in tema di pianificazione territoriale degli interventi in materia di bonifica, la trascrizione del provvedimento di “perimetrazione della contribuenza” prevista dal R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 10, comma 2, derivando l’effetto dell’opponibilità degli atti ai terzi direttamente dalla legge, che prevede la costituzione dell’onere reale e la connessa prestazione patrimoniale vincolata all’utilità fondiaria, assolve esclusivamente alla funzione di mera pubblicità-notizia, in quanto adempimento di natura meramente dichiarativa, diretto a soddisfare l’esigenza della localizzazione degli interventi di bonifica ed a rendere pubblico il perimetro di contribuenza, e non integra “principio fondamentale” ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 3,. Ne consegue che la previsione, con norma regionale, della pubblicazione sul BURL del provvedimento amministrativo della Giunta regionale del piano di classifica e riparto, volto alla delimitazione territoriale dei fondi assoggettati a contributo, costituisce forma legittima di pubblicità legale diversa, idonea al raggiungimento dello scopo”. (Cass. n. 13167/2014, n. 7364/2012, n. 2838/2012).

La quinta censura, concernente la dedotta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, per carenza motivazionale della cartella di pagamento impugnata, si appalesa inammissibile alla luce della giurisprudenza della Corte secondo cui, “in tema di processo tributario, ove si censuri la sentenza della Commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di una cartella di pagamento – la quale è atto amministrativo e non processuale – il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve trascrivere testualmente il contenuto dell’atto impugnato che assume erroneamente interpretato o pretermesso dal giudice di merito al fine di consentire alla Corte di cassazione la verifica della doglianza esclusivamente mediante l’esame del ricorso”. (Cass. n. 28570/2019 e n. 16147/2017).

In ogni caso, il ricorrente a torto si duole della non esaustività della motivazione della cartella impugnata – profilo implicitamente disatteso dal giudice di appello che nella sentenza dà conto del relativo motivo d’appello – considerato che, come anche evidenziato dal Pubblico Ministero, nonostante la stessa constasse di “ben dodici pagine” (ricorso per cassazione, pag. 34) e deduce la mancata indicazione dei lavori per i quali il contributo era stato richiesto, della inerenza degli stessi all’immobile di proprietà, del beneficio apportato, dell’esattezza dei relativi calcoli, senza considerare che pur volendo considerare la cartella attraverso la quale il consorzio procede, ai sensi del R.D. n. 215 del 1933, art. 21, alla riscossione dei contributi, come atto sostanzialmente impositivo, tale motivazione ben può essere adottata per relationem, ad altri atti fondanti l’imposizione, conosciuti o conoscibili dal contribuente in quanto soggetti a pubblicità (Cass. SS.UU. n. 11722/2010 che richiama SS.UU. n. 26009/2008).

La doglianza oggetto d’esame appare incentrata sul fatto che la CTR ha ritenuto provato il beneficio fondiario anche se esso “(n)on è indicato nella cartella, non lo spiega la Comunità interpellata sul punto, non lo si comprende dagli atti prodotti nel giudizio, ove si evocano piani di classifica, indici numerici, formule discorsi di principio, regole programmatiche, definizioni (…)”.

Così argomentando, però, si finisce per confondere il profilo della legittimità formale dell’atto impugnato con quello della fondatezza della pretesa impositiva, la quale afferisce alla distribuzione dell’onere della prova della sussistenza del beneficio apportato al fondo, non già all’esclusione dell’obbligazione del consorziato che, nel caso di specie, propone una nozione di beneficio fondiario non in linea con la giurisprudenza della Corte.

E’, infatti, il piano di classifica che individua i benefici derivanti dalle opere di bonifica, stabilisce i parametri per la quantificazione dei medesimi e i conseguenti indici per la determinazione dei contributi, così come è il piano di riparto delle spese consortili che determina, sulla base della spesa prevista nei bilanci, la ripartizione dei contributi a carico di ciascuna proprietà interessata all’adempimento dei fini istituzionali del consorzio di bonifica sicchè l’obbligazione di motivazione della cartella ben può essere assolta rimandando a detti documenti, non necessariamente da allegare o trascrivere Inoltre, in tema di contributi consortili, vale il principio per cui “allorquando la cartella esattoriale emessa per la riscossione dei contributi medesimi sia motivata con riferimento ad un “piano di classifica” approvato dalla competente autorità regionale, è onere del contribuente che voglia disconoscere il debito contestare specificamente la legittimità del provvedimento ovvero il suo contenuto, nessun ulteriore onere probatorio gravando sul consorzio, in difetto di specifica contestazione”. (Cass. SS.UU. n. 26009/2008).

Quanto, infine, alla sesta censura, concernente i mezzi istruttori delle commissioni tributarie, va osservato che, con un ragionamento motivazionale il cui risultato sfugge ad un controllo da parte della Corte, che non ha il potere di riesaminare nel merito la causa, il giudice di appello mostra di aver apprezzato sul piano probatorio la documentazione offerta dall’Ente impositore, ritenendola idonea e sufficiente per sostenere la pretesa tributaria, per cui appare improprio il richiamo al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, che prevede la possibile acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, in via eccezionale, considerato che la disposizione “preclude al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori in un processo a connotato tendenzialmente dispositivo”. (Cass. n. 18976/2007).

Sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va integralmente respinto.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese di giudizio non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2022


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 03/03/2022) 08/04/2022, n. 11431

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28163/2022 R.G. proposto da:

E.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Di Mauro, con domicilio eletto in Roma, via Padre Semeria n. 33, presso lo studio, giusta procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

Unione dei Comuni Montani Colline del Fiora, già Comunità Montana Colline del Fiora.

– intimata –

nonchè Equitalia Sud s.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2416/38/15 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 23/4/2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 marzo 2022 dal Consigliere Dott. Oronzo De Masi.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
E.F., dichiaratamente nudo proprietario dal 2003 di un immobile sito in (OMISSIS), impugnava, davanti alla Commissione tributaria Provinciale di Roma, la cartella di pagamento di contributi di bonifica, per l’anno 2012, dovuti alla Comunità Montana Colline del Fiora ed il giudice adito, con sentenza n. 299/23/13, in accoglimento del ricorso, annullava l’atto impugnato.

La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello dell’Unione dei Comuni Montani Colline del Fiora, succeduto alla Comunità Montana Colline del Fiora per effetto della L.R. n. 34 del 1994, rilevando invece che il perimetro di contribuenza, nel caso di specie, ” è stato delimitato con Delib. di assemblea dell’Ente, del 17/3/05, n. 3 ed i proprietari di immobili che ricadono nel comprensorio di bonifica così delimitato, sono tenuti all’obbligo contributivo, ai sensi dell’art. 860 c.c., indipendentemente dalla prova, da parte del Consorzio, sull’effettività del vantaggio specifico per il contribuente” e che la pretesa avanzata dal Consorzio di bonifica è fondata “poichè il presupposto della stessa è costituito dalla sola inclusione del fondo di proprietà del contribuente nel perimetro consortile, dovendosi ragionevolmente presumere l’utilità che da questo fatto, comunque, deriva indipendentemente dall’effettivo, diretto, specifico beneficio derivante all’immobile dalle opere eseguite dal Consorzio”.

Il contribuente propone cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza, illustrati con memoria, mentre Unione dei Comuni Montani Colline del Fiora ed Equitalia Sud s.p.a. sono rimaste intimate. Fissato all’udienza pubblica odierna, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina (successivamente prorogata) dettata dal D.L. n. 137 del 2020, sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, inserito dalla L. di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza fisica del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Con il primo motivo di ricorso il contribuente lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 148, 149 c.p.c., degli artt. 168 e 171 c.p.p., della L. n. 890 del 1982, art. 3, in tema di notifica degli atti a mezzo posta, nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, in quanto la CTR ha omesso di pronunciare sulla eccezione, articolata nel ricorso introduttivo e riproposta nelle controdeduzioni in appello, concernente l’inesistenza della notifica della cartella. Deduce, in particolare, la mancata osservanza da parte dell’Agente della riscossione delle modalità prescritte dalla legge, avendo spedito l’atto a mezzo raccomandata A/R senza curarsi della redazione della relata di notifica, come richiesto in generale dagli artt. 148 e 149 c.p.c., rendendo impossibile verificare se la consegna all’ufficio postale sia stata eseguita da uno dei soggetti abilitati.

Con il secondo motivo lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 860 c.c. e L.R. Toscana n. 34 del 1994, artt. 3 e 4, per non avere la CTR considerato non rilevante il beneficio generale derivante dalle opere di bonifica laddove invece occorre un beneficio diretto e specifico, cioè un incremento di valore dell’immobile soggetto a contributo, in rapporto causale con le opere di bonifica e con la loro manutenzione.

Con il terzo motivo lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del R.D. n. 215 del 1933, art. 10, comma 2, e della L.R. Toscana n. 34 del 1994, art. 15, per non avere la CTR considerato che l’onere di provare il predetto beneficio specifico ricade sull’Ente impositore e che la Delib. del Consiglio Regionale che ha delimitato la superficie di ha 42.668 del comprensorio nel quale opera la Comunità Montana Colline del Fiora non risulta trascritta presso la Conservatoria dei RR.II..

Con il quarto motivo lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 7 Statuto del Contribuente, per non avere la CTR rilevato la dedotta carenza motivazionale della cartella di pagamento impugnata, non essendo possibile evincere per quali opere di bonifica il contributo consortile sia stato richiesto e quale sia il vantaggio fondiario che lo giustifica.

Con il quinto motivo lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 125 c.p.c., per non avere la CTR rilevato la dedotta nullità della cartella di pagamento per difetto di sottoscrizione del responsabile del procedimento.

Le censure sono infondate.

Quanto alla prima, concernente la notifica a mezzo del servizio postale della cartella di pagamento, che la CTR ha fatto rientrare tra le questioni “assorbite e superate, perchè irrilevanti alla luce dell’esito del giudizio”, l’odierno ricorrente prescinde dall’orientamento della Corte (Cass. n. 28995/2018) secondo cui “la figura dell’assorbimento esclude il vizio di omessa pronuncia, in quanto il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto (l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, Cass. n. 21257 del 2014) e va escluso ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni”.

Il ricorrente, dunque, avrebbe dovuto censurare la correttezza della valutazione espressa dalla Corte di assorbimento dei motivi ulteriori, lamentando un vizio di motivazione del tutto omessa, e non sollevare un vizio di omessa pronuncia.

In ogni caso, in merito alla fondatezza della doglianza, è sufficiente richiamare la giurisprudenza della Corte secondo cui, “in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, seconda parte, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal cit. art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.(Cass. n. 6395/2014, n. 4567/2015, n. 20918/2016).

La seconda e la terza censura, scrutinabili congiuntamente in perchè strettamente connesse, concernono la mancanza di utilità fondiaria specifica e la distribuzione del relativo onere della prova, vanno disattese alla stregua della normativa regionale applicabile ratione temporis (cfr., in particolare, la L.R. Toscana 13 maggio 1994, n. 34).

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, mentre in assenza di “perimetro di contribuenza” o -si aggiunge -in assenza del piano di classifica e, ancora, in caso di mancata valutazione dell’immobile del contribuente nel “piano di classifica”, grava sul Consorzio l’onere di provare sia la qualità, in capo al contribuente, di proprietario di immobile sito nel comprensorio sia il conseguimento, da parte del fondo del contribuente, di concreti benefici derivanti dalle opere eseguite, qualora vi siano un “perimetro di contribuenza” e un “piano di classifica” inclusivi dell’immobile del contribuente, come deve ritenersi nel caso in esame, spetta al contribuente che impugni la cartella esattoriale, affermando l’insussistenza del dovere contributivo, l’onere di provare l’inadempimento delle indicazioni contenute nel piano di classifica, e segnatamente l’inesecuzione o il non funzionamento delle opere da questo previste, che sono cosa ben diversa dalla mera negazione del beneficio fondiario, poichè il vantaggio diretto ed immediato per l’immobile, che costituisce il presupposto dell’obbligo di contribuzione, ai sensi dell’art. 860 c.c. e del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 10, deve ritenersi presunto in ragione dell’avvenuta approvazione del medesimo piano di classifica e della comprensione dell’immobile nel perimetro di intervento consortile. (Cass. n. 23320/2014, n. 13167/2014, n. 4761/2012, n. 17066/2010, 26009/2008).

Emerge dal ricorso per cassazione – e niente di diverso risulta dalla sentenza impugnata che riferisce dell’esistenza di un perimetro di contribuenza provvisorio delimitante l’area interessata dalle “opere idrauliche e manutentive” e includente anche l’immobile per cui è causa – che la cartella di pagamento faceva menzione al piano di classifica (pag. 9 del ricorso) ed il contribuente non ha neppure allegato l’inadempimento delle indicazioni contenute nel piano di classifica, essendosi limitato a contestare il difetto di motivazione della cartella e, nel merito della pretesa, ad asserire in modo generico che vi sarebbe stata assenza insanabile di beneficio fondiario, avuto riguardo al dedotto necessario nesso di causalità con opere determinate.

A fronte del dato pacifico di causa costituito dall’inserimento dell’immobile del contribuente nel perimetro consortile (sia pure provvisorio), nonchè della mancata contestazione, da parte di quest’ultimo, del piano di classifica e di ripartizione approvato dall’autorità regionale, gravava sul contribuente medesimo l’onere di superare la presunzione relativa di vantaggiosità specifica, mediante prova contraria (Cass. n. 23542/2019, n. 18387/2019).

Non merita, pertanto, alcuna censura la sentenza della CTR la cui ratio decidendi si incentra proprio sull’affermazione, conforme alla richiamata giurisprudenza di legittimità, della accertata sussistenza del presupposto dell’obbligo contributivo costituito dalla inclusione dell’immobile nel perimetro consortile e dalla conseguente la presunzione di vantaggio fondiario.

Quanto al profilo di illegittimità per mancata trascrizione del perimetro di contribuenza, adempimento previsto dalla L.R. Toscana n. 34 del 1994, art. 15, comma 2, ai sensi del R.D. n. 215 del 1933, al fine di darne “notizia al pubblico”, è appena il caso di osservare che, nel caso di specie, il rapporto impositivo si svolge nei soli confronti del diretto consorziato, il quale aveva modo di verificare l’effettiva ricomprensione del proprio immobile all’interno di esso mediante semplice consultazione del piano di classifica con il quale era stato adottato, dato accessibile, pur in difetto di trascrizione, in quanto portato da una delibera di approvazione regolarmente pubblicata e depositata.

La Corte, in proposito, ha avuto modo di chiarie che “in tema di pianificazione territoriale degli interventi in materia di bonifica, la trascrizione del provvedimento di “perimetrazione della contribuenza” prevista dal R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 10, comma 2, derivando l’effetto dell’opponibilità degli atti ai terzi direttamente dalla legge, che prevede la costituzione dell’onere reale e la connessa prestazione patrimoniale vincolata all’utilità fondiaria, assolve esclusivamente alla funzione di mera pubblicità-notizia, in quanto adempimento di natura meramente dichiarativa, diretto a soddisfare l’esigenza della localizzazione degli interventi di bonifica ed a rendere pubblico il perimetro di contribuenza, e non integra “principio fondamentale” ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 3. Ne consegue che la previsione, con norma regionale, della pubblicazione sul BURL del provvedimento amministrativo della Giunta regionale del piano di classifica e riparto, volto alla delimitazione territoriale dei fondi assoggettati a contributo, costituisce forma legittima di pubblicità legale diversa, idonea al raggiungimento dello scopo”. (Cass. n. 13167/2014, n. 7364/2012, n. 2838/2012).

La quarta censura, concernente la dedotta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, per carenza motivazionale della cartella di pagamento impugnata, si appalesa inammissibile in quanto, “in tema di processo tributario, ove si censuri la sentenza della Commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di una cartella di pagamento – la quale è atto amministrativo e non processuale – il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve trascrivere testualmente il contenuto dell’atto impugnato che assume erroneamente interpretato o pretermesso dal giudice di merito al fine di consentire alla Corte di cassazione la verifica della doglianza esclusivamente mediante l’esame del ricorso”. (Cass. n. 28570/2019 e n. 16147/2017).

La parte ricorrente si duole a torto della non esaustività della motivazione della cartella impugnata – profilo implicitamente disatteso dal giudice di appello – nonostante la stessa constasse di “ben dodici pagine” e deduce la mancata indicazione dei lavori per i quali il contributo era stato richiesto, della inerenza degli stessi all’immobile di proprietà, del beneficio apportato, dell’esattezza dei relativi calcoli, senza considerare che pur volendo considerare la cartella attraverso la quale il consorzio procede, ai sensi dell’art. 21, R.D. n. 215 del 1933, alla riscossione dei contributi, come atto sostanzialmente impositivo, tale motivazione ben può essere adottata per relationem, ad altri atti fondanti l’imposizione, conosciuti o conoscibili dal contribuente in quanto soggetti a pubblicità (Cass. SS.UU. n. 11722/2010 che richiama SS.UU. n. 26009/2008).

Nella specie, è il piano di classifica che individua i benefici derivanti dalle opere di bonifica, stabilisce i parametri per la quantificazione dei medesimi e i conseguenti indici per la determinazione dei contributi, così come è il piano di riparto delle spese consortili che determina, sulla base della spesa prevista nei bilanci, la ripartizione dei contributi a carico di ciascuna proprietà interessata all’adempimento dei fini istituzionali del consorzio di bonifica.

Inoltre, in tema di contributi consortili, vale il principio per cui “allorquando la cartella esattoriale emessa per la riscossione dei contributi medesimi sia motivata con riferimento ad un “piano di classifica” approvato dalla competente autorità regionale, è onere del contribuente che voglia disconoscere il debito contestare specificamente la legittimità del provvedimento ovvero il suo contenuto, nessun ulteriore onere probatorio gravando sul consorzio, in difetto di specifica contestazione”. (Cass. SS.UU. n. 26009/2008).

Con l’ultima censura il ricorrente deduce la nullità della cartella di pagamento per difetto di sottoscrizione del responsabile del procedimento, essendo ad avviso dell’impugnante insufficiente il “fatto che sia indicato un responsabile del procedimento”.

La doglianza, per quanto è dato comprendere, si incentra sulla mancanza di autografia della sottoscrizione e la Corte ha precisato, in tema di tributi regionali e locali, che “qualora l’atto di liquidazione o di accertamento sia prodotto mediante sistemi informativi automatizzati, la sottoscrizione di esso può essere legittimamente sostituita, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, individuato da apposita determina dirigenziale”. (Cass. n. 20628/2017).

La censura, del resto, neppure pone specificamente in dubbio che il nominativo apposto sulla cartella rispondesse in effetti a funzionario dell’Agente della riscossione regolarmente investito del relativo potere di emissione e sottoscrizione.

La Corte, invero, ha statuito che ” è tuttavia sufficiente, al fine di non incorrere nella detta nullità (D.L. n. 248 del 2007, ex art. 36, comma 4-ter), l’indicazione di persona responsabile del procedimento, a prescindere quindi dalla funzione (apicale o meno) della stessa effettivamente esercitata; siffatta indicazione appare peraltro sufficiente ad assicurare gli interessi sottostanti alla detta indicazione, e cioè la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa” (Cass. n. 3533/2016).

Sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va integralmente respinto.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese di giudizio non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2022


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 09/03/2022) 28/03/2022, n. 9989

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10528/2014 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Pierluigi Da Palestrina n. 63 presso lo studio dell’avvocato Gianluca Contaldi; rappresentato e difeso dall’avvocato Gianluca Contaldi e dall’avvocato Elena Sorgente;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

EQUITALIA NORD SPA, elettivamente domiciliata in Roma Via delle Quattro Fontane n. 161 presso l’avvocato Sante Ricci, rappresentata e difesa dall’avvocato Maurizio Cimetti e dall’avvocato Giuseppe Parente;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. PIEMONTE, n. 93/24/13, depositata il 23/10/2013.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 9 marzo 2022 dal consigliere Dott. Guida Riccardo.

Svolgimento del processo
che:

1. la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Piemonte ha rigettato l’appello di M.M. avverso la sentenza (n. 105/2/10) con la quale la Commissione tributaria provinciale di Asti, per quanto adesso rileva, aveva rigettato il ricorso del contribuente contro la cartella di pagamento dell’importo di Euro 51.575,17, a titolo di Irpef e Irap, per le annualità 2003 e 2004;

2. il contribuente ricorre con otto motivi per la cassazione della sentenza di appello e l’Agenzia delle entrate ed Equitalia Nord Spa resistono ciascuna con controricorso.

Motivi della decisione
che:

1. con il primo motivo di ricorso (“Violazione e falsa applicazione di norme di diritto D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 10, 12 e 25, D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21 septies, L. n. 212 del 2000, art. 7, art. 2697 c.c., artt. 3, 24 e 111 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3). Nullità della sentenza e del procedimento, difetto di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, motivazione omessa, violazione artt. 112 e 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e comunque motivazione insufficiente contraddittoria o illogica circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”), il ricorrente censura, in rapporto ai diversi parametri normativi dell’art. 360 c.p.c., sopra riprodotti, l’asserzione della sentenza impugnata secondo cui (cfr. pag. 3) “Il difetto di sottoscrizione della cartella e del ruolo sono motivi di lamentela che non hanno fondamento in quanto non previsti da alcuna norma”;

2. con il secondo motivo (“Violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 10 e 12, e degli artt. 112 e 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Nullità della sentenza e del procedimento, difetto di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, motivazione omessa, violazione artt. 112 e 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e comunque motivazione insufficiente contraddittoria o illogica circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”), il ricorrente censura la sentenza impugnata che ha omesso di pronunciare sull’eccezione dell’appellante secondo cui la mancanza di sottoscrizione dei ruoli impugnati e, conseguentemente, la mancanza di esecutorietà degli stessi, era circostanza non contestata ex adverso che, pertanto, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., doveva considerarsi incontrovertibile;

3. con il terzo motivo (“Violazione e falsa applicazione sotto diversi profili del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25, L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e L. n. 212 del 2000, art. 7 (Statuto del contribuente), artt. 24 e 111 Cost.; nonchè art. 2697 c.c., artt. 112, 113, 115 e 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Nullità della sentenza e del procedimento, difetto di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, motivazione omessa, violazione artt. 112 e 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e comunque motivazione insufficiente contraddittoria o illogica circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”), il ricorrente denuncia, in rapporto ai diversi parametri normativi dell’art. 360 c.p.c., sopra riprodotti, che la sentenza ha disatteso il motivo di appello attinente al difetto di motivazione della cartella con statuizione (cfr. pag. 16 del ricorso per cassazione) “apodittica e priva di motivazione”;

4. con il quarto motivo (“Violazione e falsa applicazione sotto diversi profili del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 20 e 25, L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e L. n. 212 del 2000, art. 7 (Statuto del contribuente), del D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, artt. 24 e 111 Cost.; nonchè artt. 112, 113 e 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Nullità della sentenza e del procedimento, omessa pronuncia, motivazione omessa, violazione (art.) 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e comunque motivazione insufficiente contraddittoria o illogica circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”), il ricorrente denuncia, in rapporto ai diversi parametri normativi dell’art. 360 c.p.c., sopra riprodotti, il passo della sentenza secondo cui “La cartella è stata predisposta, in forma vincolata, secondo il modello approvato con decreto del Ministero delle Finanze e conteneva tutti gli elementi obbligatori, con l’indicazione del responsabile del procedimento M.R., Direttore pro tempore.”;

5. con il quinto motivo (“Violazione e falsa applicazione sotto diversi profili del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 20 e 25, L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e L. n. 212 del 2000, art. art. 7 (Statuto del contribuente), del D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, artt. 24, 97 e 111 Cost.; nonchè artt. 112, 113 e 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Nullità della sentenza e del procedimento, omessa pronuncia, motivazione omessa, violazione (art.) 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e comunque motivazione insufficiente contraddittoria o illogica circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”), il ricorrente denuncia, in rapporto ai diversi parametri normativi, sopra riprodotti, il dictum della sentenza impugnata secondo cui la cartella recava l’indicazione del responsabile del procedimento ” M.R., direttore pro tempore”, senza considerare che lo stesso atto, in realtà, era privo dell’indicazione puntuale della qualifica di tale soggetto e che, comunque, da tale punto di vista, la cartella non era affatto chiara;

6. con il sesto motivo (“Violazione e falsa applicazione sotto diversi profili del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 20 e 25, L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e L. n. 212 del 2000, art. 7 (Statuto del contribuente), del D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, artt. 24, 97 e 111 Cost.; nonchè artt. 112, 113 e 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Nullità della sentenza e del procedimento, omessa pronuncia, motivazione omessa, violazione (art.) 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e comunque motivazione insufficiente contraddittoria o illogica circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”), il ricorrente denuncia, in rapporto ai diversi parametri normativi, sopra riprodotti, che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare sulla questione, sollevata dall’appellante dinanzi alla C.T.R., che la cartella recava l’intimazione di pagamento di poste (in particolare, i compensi di riscossione e gli interessi successivi) in relazione alle quali, nella stessa cartella, non era indicato alcun soggetto responsabile, e ciò (tra l’altro) in violazione dell’obbligo di trasparenza dell’attività amministrativa, del principio di piena informazione del cittadino e di garanzia del diritto di difesa, sanciti dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 377 del 2007;

7. con il settimo motivo (“Violazione e falsa applicazione sotto diversi profili del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 e del D.M. 4 agosto 2000, D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e L. n. 212 del 2000, art. 7 (Statuto del contribuente), del D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, artt. 3, 24, 97 e 111 Cost., art. 107 T.F.E.U.; nonchè artt. 112, 113 e 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Nullità della sentenza e del procedimento, omessa pronuncia, motivazione omessa, violazione (art.) 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e comunque motivazione insufficiente contraddittoria o illogica circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”), il ricorrente denuncia, in rapporto ai diversi parametri normativi, sopra riprodotti, che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare sul motivo d’appello secondo cui le somme precettate in cartella a titolo di “compensi di riscossione”, in misura percentuale (c.d. aggio) su tutte le somme oggetto dell’intimazione, erano immotivate, incontrollabili, sproporzionate e vessatorie rispetto al costo effettivo di esazione;

8. con l’ottavo motivo (“Violazione e falsa applicazione di norma di diritto D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, artt. 137, 148, 149, 156 e 160 c.p.c., L. n. 890 del 1982, art. 14, artt. 24 e 111 Cost., art. 2697 c.c., L. n. 212 del 2000, art. 6 (art. 360 c.p.c., n. 3). Nullità della sentenza e del procedimento, omessa pronuncia, motivazione omessa, violazione (art.) 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e comunque motivazione insufficiente contraddittoria o illogica circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”), il ricorrente denuncia, in rapporto ai diversi parametri normativi, sopra riprodotti, che la sentenza impugnata ha contra legem negato l’inesistenza della notifica per mancanza della “relata”, trascurando che, in realtà, l’attività notificatoria era inesistente proprio a causa della mancanza della relata di notifica e in assenza dell’intervento, nel procedimento notificatorio, di un soggetto titolato a compiere l’attività di notifica;

9. così riassunte le articolate critiche alla sentenza d’appello, occorre premettere che esse sono tutte quante inammissibili quando lamentano l’omesso esame di un motivo di appello, sussunto nel prisma normativo dei nn. 3 e 5 (novellato, mentre la precedente formulazione della carenza della motivazione non è applicabile ratione temporis) dell’art. 360 c.p.c.. E ciò in quanto un simile vizio esula sia dal parametro della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) sia da quello dell’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), contra legem invocati dal ricorrente, e va invece rapportato al diverso parametro della nullità della sentenza per error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4). Infatti, è indirizzo pacifico della Corte che “L’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicchè, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile.” (Cass. 16/03/2017, n. 6835);

10. il primo e il secondo motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione, non sono fondati;

la decisione di appello si muove nel solco della giurisprudenza di questa Corte (ex multis Cass. 04/12/2019, n. 31605, cui dà continuità tra le altre Cass. 19/07/2021, n. 20636), secondo cui “In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con D.M., che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice.”;

11. il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione, non sono fondati;

la C.T.R., con un accertamento di fatto ad essa riservato, ha stabilito che la cartella impugnata, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, oltre ad indicare il responsabile del procedimento (nella persona di M.R.), era stata predisposta secondo l’apposito modello approvato con D.M., che (come accennato al p. 10) non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (cfr. in termini Cass. 4/12/2019, n. 31605). Dalle risultanze processuali si evince che la cartella qui impugnata scaturisce da due distinti avvisi di accertamento (per il 2003 e il 2004), sicchè va anche rimarcato che, come condivisibilmente già rilevato dalla Corte, la cartella esattoriale deve essere specificamente motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile quando – diversamente dalla fattispecie in esame – la sua emissione non sia stata preceduta da un avviso di accertamento (Cass. 19/04/2017, n. 9799, menzionata da Cass. 26/11/2021, n. 36896);

12. il settimo motivo non è fondato;

è utile rammentare che, per giurisprudenza costante, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass. 6/12/2017, n. 29191 – conf. ex multis: 08/03/2007, n. 5351; 13/10/2017, n. 24155; 04/06/2019, n. 15255; 30/01/2020 n. 2153; 02/04/2020, n. 7662; 13/01/2022, n. 864, 01/03/2022, n. 6786 – ha affermato che “Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.”). Nella fattispecie concreta, è ovvio che la C.T.R. (e prima di essa la C.T.P.), quando riconosce la legittimità della cartella, esclude implicitamente la fondatezza degli argomenti esposti dal contribuente a sostegno dell’asserita non debenza dell’aggio. Del resto, la statuizione (implicita) del giudice d’appello è in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr., da ultimo, sent. n. 120 del 2021) che ha ritenuto conforme alla Cost. l’imposizione a carico del debitore di un aggio in percentuale fissa (nella specie, la cartella trascritta nei motivi di ricorso per cassazione reca un aggio del 9%), integrale o ridotta, anzichè riferito all’effettivo costo del servizio, ed ha demandato al legislatore il compito di riformare la materia, al fine sia di superare il concreto rischio di una sproporzionata misura dell’aggio, sia di rendere efficiente il sistema della riscossione. E, in effetti, la L. n. 234 del 2021, art. 1, comma 15 e ss., (Legge di Bilancio 2022) – quale norma non retroattiva – ha previsto che il costo di remunerazione del servizio, per i carichi affidati al gestore della riscossione nazionale, a decorrere dal 1 gennaio 2022, gravi prevalentemente sul bilancio dello Stato;

13. l’ottavo motivo non è fondato;

al contrario di quanto afferma il ricorrente, la notifica a mezzo posta della cartella di pagamento non è inesistente, ma è del tutto valida, donde la correzione del passaggio argomentativo della pronuncia impugnata nella parte in cui si asserisce che l’assenza della relata di notifica sarebbe causa (non certo d’inesistenza, ma) della mera irregolarità del procedimento notificatorio. Va dato seguito alla consolidata giurisprudenza sezionale (si veda Cass. 29/11/2021, n. 37347) che ha chiarito che “con riferimento alla notifica della cartella esattoriale direttamente eseguita dall’agente della riscossione a mezzo del servizio postale, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, la Corte ha avuto modo di (ripetutamente) rilevare che viene, così, in considerazione una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati; in tal caso, difatti, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione (v. Cass., 3 dicembre 2020, n. 27697; Cass., 14 novembre 2019, n. 29642; Cass., 4 luglio 2014, n. 15315; Cass., 28 luglio 2010, n. 17598; v., altresì, Cass., 17 ottobre 2016, n. 20918; Cass., 6 marzo 2015, n. 4567; Cass., 19 marzo 2014, n. 6395; Cass., 19 settembre 2012, n. 15746; Cass., 27 maggio 2011, n. 11708; Cass., 6 luglio 2010, n. 15948; Cass., 19 giugno 2009, n. 14327); (…) in particolare, si è, poi, precisato che nel caso di notifica della cartella di pagamento eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non anche le disposizioni di cui alla L. n. 890 del 1982 (v., ex plurimis, Cass., 4 febbraio 2020, n. 2489; Cass., 3 aprile 2019, n. 9240; Cass., 12 novembre 2018, n. 28872; Cass., 13 giugno 2016, n. 12083) nè, a maggior ragione, le disposizioni (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60) che presuppongono l’intervento di un agente della notificazione; (…) conclusioni, queste, cui è pervenuto (anche) il Giudice delle leggi che (ripetutamente) ha disatteso le questioni di costituzionalità sollevate con riferimento alla disposizione in esame, rimarcando che la notificazione diretta, a mezzo del servizio postale, eseguita ai sensi dell’art. 26, cit., ha connotati di specialità, e di semplificazione, rispetto a quella dettata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, e dalla L. n. 890 del 1982, e che una siffatta disciplina, – che assicura un sufficiente livello di conoscibilità dell’atto, stante l’avvenuta consegna del plico (oltre che al destinatario, anche alternativamente) a chi sia legittimato a riceverlo, – non supera il limite inderogabile della discrezionalità del legislatore nè compromette il diritto di difesa del destinatario della notifica, correlandosi alla natura sostanzialmente pubblicistica della posizione e dell’attività dell’agente della riscossione e trovando fondamento nel regime differenziato della riscossione coattiva delle imposte che, a sua volta, risponde all’esigenza, di rilievo costituzionale, di assicurare con regolarità le risorse necessarie alla finanza pubblica (v. Corte Cost., 23 luglio 2018, n. 175 cui adde Corte Cost., 3 gennaio 2020, n. 2; Corte Cost., 24 aprile 2019, n. 104)”;

14. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere le spese del giudizio di legittimità all’Agenzia delle entrate, liquidandole in Euro 3.200,00, a titolo di compenso, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, e all’Agente della riscossione, liquidandole in Euro 3.200,00, a titolo di compenso, Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 9 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2022