Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 05/04/2023) 10/05/2023, n. 12613

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.A., rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dall’Avvocato Marco Naccarato, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Corigliano Rossano, viale Michelangelo n. 55. – Ricorrente –

contro

Comune di Rocca Imperiale, in persona del sindaco, rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al controricorso dall’Avvocato Antonio Chiaromonte, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Rocca Imperiale, viale Europa n. 22. – Controricorrente –

e Area Riscossioni Srl ;

– Intimata –

avverso la sentenza n. 392/2022 del Tribunale di Castrovillari, pubblicata il 25.3.2022.

Udita la relazione della causa svolta dal consigliere Mario Bertuzzi alla camera di consiglio del 5.4.2023.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto notificato il 25.5.2022 A.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 392/2022 del Tribunale di Castrovillari, pubblicata il 25.3.2022, che aveva confermato la decisione di primo grado di rigetto della sua opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, dichiarando valida la notifica del verbale di contestazione eseguita presso il luogo di dimora dell’opponente, pur diverso dalla sua residenza anagrafica. In particolare, il Tribunale motivava tale conclusione sui rilievi che il verbale era stato ricevuto da persona che si era qualificato convivente, che l’ingiunzione di pagamento era stata ricevuta presso tale indirizzo personalmente dall’opponente e che ivi era stato notificato anche un preavviso di fermo.

Il comune di Rocca Imperiale ha notificato controricorso, mentre la società Area Riscossioni non ha svolto attività difensiva.

La causa è stata avviata in decisione in camera di consiglio.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal comune controricorrente sul presupposto che esso sia stato notificato oltre il termine di sessanta giorni dalla data della sentenza impugnata, atteso che, non risultando che tale provvedimento sia stato notificato, l’impugnazione soggiace al termine lungo stabilito dall’art. 327 c.p.c..

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che, ai fini della determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario della notificazione, rilevi esclusivamente la dimora abituale, rivestendo le risultanze anagrafiche mero valore presuntivo e potendo le stesse essere superate.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 24 Cost. e art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere il giudice omesso di valutare il certificato storico di residenza e la querela di falso del 12 novembre 2020, nonchè il certificato storico dello stato di famiglia del 7 aprile 2020.

I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente, sono entrambi inammissibili.

Il Tribunale ha motivato il proprio convincimento in ordine alla validità della notifica del verbale di accertamento della violazione, oggetto di contestazione da parte dell’opponente, rilevando che essa era stata eseguita presso la sua dimora o domicilio, essendo stata ricevuta da persona qualificatasi con lui convivente e risultando anche le notifiche degli atti successivi ricevute al predetto indirizzo, tra cui quella dell’ingiunzione di pagamento della sanzione di cui si tratta, ricevuta personalmente dallo stesso opponente. Ha quindi ritenuto che non fosse causa di nullità della notifica che essa non fosse stata eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario, essendo comunque stata ricevuta presso il suo luogo di dimora.

Tanto precisato, il principio di diritto applicato dalla Corte distrettuale in tema di luogo di notifica del verbale di contestazione delle violazioni del codice della strada appare conforme all’art. 201 C.d.S., comma 3, che richiama, a tal fine, le modalità previste dal codice di procedura civile, secondo cui se la notificazione non è fatta a mani proprie, va fatta presso il luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario, nonchè al costante orientamento di questa Corte, secondo cui, ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario, assume rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, con la conseguenza che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni (Cass. n. 9049 del 2020; Cass. n. 19387 del 2017; Cass. n. 11550 del 2013).

Il medesimo indirizzo giurisprudenziale inoltre sottolinea che il relativo apprezzamento di tali elementi, integrando un apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie, costituisce valutazione demandata all’esclusiva competenza del giudice di merito. Anche sotto tale profilo, pertanto, le censure sollevate sono inammissibili, in quanto l’accertamento del giudice di merito in ordine alla effettiva dimora del destinatario dell’atto non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità.

La censura di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio è infine inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., secondo cui il ricorso per cassazione non è proponibile per il motivo indicato dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nel caso in cui, come nella specie, il giudice di secondo grado abbia deciso le questioni di fatto conformemente alla decisione appellata (c.d. doppia conforme).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della controricorrente comune di Rocca Imperiale, che liquida in Euro 950,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 21/12/2022) 21/04/2023, n. 10805

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. HMELJAK Tania – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. SALEMME Andrea Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4425/2020 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA OVIDIO N. 32, presso lo studio dell’avvocato CHIARANTANO BRUNO, (CHRBRN77R21L719W) rappresentato e difeso dall’avvocato RIJLI SALVATORE, (RJLSVT62C25H224Y);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE;

– intimata –

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CALABRIA-SEZ.DIST. REGGIO CALABRIA n. 2162/2019 depositata il 17/06/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2022 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME.

Svolgimento del processo
CHE:

1. In data 23 dicembre 2012, A.A. riceveva notificazione di intimazione di pagamento n. (Omissis) per la complessiva somma di Euro 185.822,71 quanto all’anno di imposta (Omissis) in riferimento ai ruoli (Omissis) e (Omissis). L’intimazione era fondata sulla cartella di pagamento n. (Omissis).

2. Proponeva impugnazione il contribuente eccependo la nullità dell’intimazione per mancata notifica della cartella.

3. La CTP di Reggio Calabria, con la sentenza n. 1147/03/2014, rigettava il ricorso.

4. Proponeva appello il contribuente e la CTR della Calabria, con la sentenza impugnata, accoglieva in parte il gravame, relativamente al calcolo degli interessi.

In particolare, la CTR così motivava:

“La notifica della cartella appare del tutto rituale. Dalla fotocopia prodotta e non contestata dal contribuente si deduce infatti che la copia è stata ritirata dalla moglie del contribuente che si è soltanto rifiutata di sottoscrivere la relata. Di conseguenza la notifica appare corretta e conforme alla normativa vigente.” 5. Propone ricorso per cassazione il contribuente con un unico motivo. L’Agenzia delle entrate-Riscossione resta intimata.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione DEL D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 e degli artt. 138, 139 e 140 c.p.c. 1.1. Le considerazioni della CTR sono smentite dalle evidenze documentali, poichè è indubitabile che la consegna del plico non è mai avvenuta. La circostanza assunta a fondamento della decisione, ossia la consegna dell’atto presupposto alla moglie del contribuente, nonostante il rifiuto della medesima di sottoscrivere l’atto, risulta incontestabilmente esclusa dalla relata di notificazione depositata dall’agente della riscossione: come emerge da detta relata (riprodotta per autosufficienza a pagina 5 del ricorso), “il messo notificatore non attesta di aver consegnato alla moglie del contribuente la cartella stessa, circostanza(,) questa(,) emergente dalla mancata apposizione del contrassegno alla casella: ‘Consegnandola in assenza del contribuentè”. Risulta quindi smentita la regolarità della notificazione, atteso che, in costanza di rifiuto opposto da persona diversa dal destinatario, il messo avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 140 c.p.c. L’osservanza della procedura ai sensi di quest’ultimo articolo era in ogni caso dovuta, essendo normativamente prescritto che solo il rifiuto del destinatario possa assumere rilevanza ai fini della regolarità della notificazione.

2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.

2.1. Dalla relazione di notificazione della cartella di pagamento, costituente il presupposto dell’intimazione oggetto di impugnazione, notificazione, come detto, riprodotta nel corpo del ricorso, emerge che:

– non è contrassegnato il riquadro relativo alla casella che recita: “Consegnandola in assenza del contribuente”;

– la “moglie convivente” del contribuente “si rifiuta di firmare”.

2.2. In ragione di quanto precede, ed in particolare della dicitura: “Si rifiuta di firmare”, la suddetta “moglie convivente” ha espressamente ricusato di ricevere la notifica, senza peraltro che, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, il tenore letterale della relata consenta di affermare che la medesima abbia comunque ricevuto il piego.

2.3. Pertanto, a fronte dell’art. 139 c.p.c., comma 2, secondo cui, “se il destinatario non viene trovato in uno d(ei) luoghi (ove deve essere ricercato), l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purchè non minore di quattordici anni o non palesemente incapace”, nella specie, trova applicazione l’art. 140 c.p.c., secondo cui, “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.

Invero, come detto, ricorre l’ipotesi del “rifiuto”.

3. La sentenza impugnata va pertanto annullata e cassata senza rinvio.

3.1. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, questa Suprema Corte è abilitata a decidere definitivamente la causa, accogliendo il ricorso introduttivo del giudizio, in ragione dell’omessa rituale notificazione della cartella di pagamento al contribuente.

3.2. L’esito del giudizio comporta, in punto di spese, che, compensate quelle dei gradi di merito, l’Agenzia delle entrate-Riscossione sia condannata a rifondere al contribuente quelle del grado di legittimità, liquidate, secondo tariffa, come in dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso.

Per l’effetto, annulla e cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio.

Compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.

Condanna l’Agenzia delle entrate-Riscossione a rifondere alla contribuente le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 5.600, oltre esborsi per Euro 200, spese forfetarie in misura del 15% ed accessori, se ed in quanto dovuti.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2023


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 25/11/2020) 11/02/2021, n. 3557

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7271/2018 proposto da:

G.A., in persona del curatore pro tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO CAMPO;

– ricorrente –

contro

LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI TRAPANI già PROVINCIA REGIONALE DI TRAPANI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato NICOLA ADRAGNA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA STELLA PORRETTO;

– controricorrente –

e contro

ASSESSORATO REGIONALE DELLA FAMIGLIA, DELLE POLITICHE SOCIALI E DEL LAVORO, SERVIZIO UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO DI TRAPANI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 782/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/11/2017 R.G.N. 1032/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCO CAMPO;

udito l’Avvocato NICOLA ADRAGNA per delega verbale Avvocato MARIA STELLA PORRETTO.

Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Trapani aveva dichiarato il diritto di G.A. ad essere assunto a tempo indeterminato, a decorrere dal 10.2.2009, come soggetto appartenente alle categorie protette ex L. n. 68 del 1999, e condannò la Provincia di Trapani (poi, Libero Consorzio Comunale di Trapani) al risarcimento del danno, liquidandolo in misura pari alla differenza tra quanto il G. aveva percepito dal 10.2.2009 e quanto il medesimo avrebbe percepito ove l’obbligo di assunzione fosse stato assolto.

2. Adita dal Libero Consorzio Comunale di Trapani, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta dal G..

3. Avverso questa sentenza G.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso il Libero Consorzio Comunale Di Trapani.

4. L’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro e il Servizio Ufficio Provinciale del Lavoro di Trapani non risultano costituiti in giudizio.

Motivi della decisione
Sintesi dei motivi.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 3 e art. 4, comma 4, per avere la Corte territoriale affermato che il transito del lavoratore già dipendente del datore di lavoro pubblico, nella quota di riserva non comporta una novazione del rapporto che rimane immutato nè la trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo determinato e part-time in rapporto a tempo indeterminato a tempo pieno.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 7.

7. Sostiene l’erroneità della statuizione della Corte territoriale nella parte in cui ha affermato che, in base alla L. n. 68 del 1999, art. 7, che rinvia al D.Lgs. n. 29 del 1993, oggi D.Lgs. n. 165 del 2001, la P.A. deve procedere alleòassunzioni delle categorie protette mediante chiamata numerica degli iscritti nelle apposte liste e che a tale regola non farebbe eccezione l’ipotesi disciplinata dalla L. n. 68 del 1999, art. 4, comma 4, secondo l’indicazione di questa Corte Cass. n. 14153/2012.

8. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 quater e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 3 bis. Deduce che dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio di primo grado era stato dimostrato che nel 2007 la Provincia Regionale di Trapani non rispettava la quota di assunzioni obbligatorie prevista dalla L. n. 68 del 1999, art. 3 e che l’Ufficio Provinciale del Lavoro la aveva diffidata a procedere al reclutamento della L. n. 68 del 1999, ex art. 3, conformemente alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, prescrizione alla quale la Provincia non aveva ottemperato.

9. In via preliminare deve essere esaminata la questione (affrontata funditus da entrambe le parti nel ricorso, nel controricorso e nella memoria depositata dal ricorrente), della quale si impone il rilievo d’ufficio, riguardante la ammissibilità del ricorso proposto il 20 febbraio 2018 a fronte della notifica della sentenza impugnata avvenuta il 30 novembre 2017 “nei confronti di G.A. il quale agisce con l’assistenza del curatore G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Campo nel domicilio eletto”.

10. E’ infondata la prospettazione difensiva del ricorrente, che al fine di negare la validità di detta notificazione ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, asserisce che a seguito dell’introduzione del domicilio digitale, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, la notificazione degli atti processuali deve essere effettuata unicamente all’indirizzo p.e.c. sul rilievo che soluzioni alternative sono possibili solo ove la posta certificata non funzioni”.

11. Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, rubricato “Domicilio digitale”, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 52, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, dispone che Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.

12. Il dato testuale (quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario…) attesta in modo chiaro ed inequivoco che la disposizione innanzi richiamata, nell’ambito della giurisdizione civile, fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione, ha depotenziato la domiciliazione ex lege presso la Cancelleria dell’ufficio giudiziario imponendo alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo PEC risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il ReGindE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia, salvo nei casi di impossibilità di procedere alla notifica a mezzo PEC, per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.

13. Ad un tempo l’art. 16 sexies, ha ridimensionato il campo di applicazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, ormai limitato nella sua applicazione al caso in cui la notificazione a mezzo p.e.c non è possibile per causa imputabile al destinatario della stessa.

14. La prescrizione prescinde, dunque, dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, e trova applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri dai quali è possibile attingere l’indirizzo PEC del difensore; ciò in ragione dell’obbligo gravante su quest’ultimo di comunicarlo al proprio ordine e in capo al Consiglio dell’Ordine di inserirlo sia nel registro INIPEC, che nel ReGindE. 15. In altri termini, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario (Cass. n. 14140 del 2019, n. 14914 del 2018, Cass. 17048/2017).

16. Deve, però, escludersi che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass. 1982/2020, Cass. 2942/2019, Cass. 22892/2015).

17. Quest’ affermazione non contrasta con i principi affermati nella decisione di questa Corte n. 10355 del 2020 relativa a fattispecie, diversa da quella in esame, nella quale veniva in rilievo la notificazione della sentenza di appello effettuata presso il domiciliatario nonostante l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore costituito.

18. Prevista per agevolare le comunicazioni di cancelleria e le notificazioni delle parti, l’indicazione della PEC non rende, infatti, inapplicabile l’intero insieme delle norme e dei principi sulla domiciliazione nel giudizio, soprattutto allorchè sia la stessa parte o il suo difensore a designare l’elemento topografico dell’elezione di domicilio in maniera compatibile con le regole del processo.

19. Deve, pertanto, affermarsi che ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, anche dopo l’introduzione del “domicilio digitale” (D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014), resta valida la notificazione effettuata presso il domicilio fisico ove il destinatario abbia scelto, eventualmente in associazione a quello digitale, di eleggervi il domicilio.

20. Nella fattispecie in esame è indiscusso che vi era stata esplicitata elezione del domicilio fisico (topograficamente coincidente con l’indirizzo dello studio del difensore dell’odierno ricorrente costituito in giudizio) e che non vi fu alcuna scelta di ricevere le notificazioni e/o le comunicazioni presso l’indirizzo p.e.c..

21. Dall’esame degli atti del giudizio emerge, inoltre, che la sentenza impugnata era stata notificata in data 30.11.2017 “nei confronti di G.A. il quale agisce con l’assistenza del curatore G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Campo nel domicilio eletto” ed era stata ricevuta da quest’ultimo, raggiungendo lo scopo di provocare e attivare l’attività di impugnazione, scopo proprio della notificazione della sentenza (Cass. Sez. Un. 20866 del 2020; Cass. 2396 del 2020, Cass. 16663 del 2018, Cass. n. 2220 del 2016, Cass. 7365 del 2010, Cass. 11093 del 1998).

22. La notifica effettuata a G.A. presso il difensore costituito, al di là della formula letterale che è stata oggetto di specifica contestazione da parte del ricorrente, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione.

23. La notificazione della sentenza munita della formula esecutiva alla parte presso il procuratore costituito, è, infatti, equivalente alla notificazione al procuratore stesso, prescritta dagli artt. 285 e 170 c.p.c., ed è pertanto idonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 2 (Cass. 2974/20020, Cass. 11216/2008).

24. Come già evidenziato, è indiscusso tra le parti, e la circostanza emerge dall’esame degli atti, che il ricorso per cassazione è stato notificato al Libero Consorzio del Comune di Trapani il 20 febbraio 2018, ben oltre, quindi il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 325 c.p.c., u.c., decorrente, ai sensi dell’art. 326 c.p.c., comma 1, dalla data della notificazione della sentenza impugnata (come detto 30 novembre 2017).

25. Va, in conclusione dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

26. La complessità della questione concernente la validità della notifica della sentenza impugnata giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

27. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte;

Dichiara il ricorso inammissibile.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 27/01/2023) 18/04/2023, n. 10282

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’AQUINO Filippo – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. SALEMME Andrea Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26239-2016 R.G. proposto da:

A.A. DI B.B. e C Snc , elettivamente domiciliata in ROMA VIA VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato DI CAPUA ALBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato SANGIOVANNI GIUSEPPE (SNGGPP63S18A345I);

-ricorrente-

CONTRO

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ((Omissis)) che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 3273-2016 depositata il 07/04/2016.Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/01/2023 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME.

Svolgimento del processo
1. A.A. DI B.B. e C. Snc era attinta da atto di irrogazione della sanzione accessoria ex D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2, della sospensione dall’esercizio dell’attività per la durata di tre giorni consecutivi in esito alla contestazione nel quinquennio di quattro violazioni dell’obbligo di emettere lo scontrino fiscale.

Ai fini del presente giudizio, rileva che l’atto di contestazione della quarta violazione era stato notificato due volte, avendo l’Agenzia delle entrate provveduto alla cd. doppia notifica, mediante inoltro per la notifica ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 14 sia alla società, sia al suo legale rappresentante; l’una aveva ricevuto la notifica in data 26 aprile 2012, l’altro in data 20 aprile 2012.

2. La società proponeva ricorso avanti la CTP di Napoli per intervenuta decadenza dell’amministratore dal potere di irrogare sanzioni in quanto l’atto era stato notificato oltre il previsto termine di sei mesi dalla quarta contestazione.

2.1. Con sentenza n. 13766 del 28 maggio 2014, la CTP di Napoli accoglieva l’eccezione di decadenza.

3. L’Agenzia delle entrate proponeva appello, che la CTR della Campania accoglieva, osservando:

– la motivazione della sentenza di primo grado è contraddittoria: “mentre da un lato si dà atto delle regolarità del provvedimento impugnato e della tempestività della notifica, facendo decorrere il termine di sei mesi dall’ultima notifica dell’atto di contestazione avvenuta il 26/04/2012, poi si considera (la stessa) non idonea alla prova della avvenuta notifica, sul presupposto della mera contestazione da parte della società contribuente”;

– “deve invece ritenersi che (…) l’eccezione relativa alla tardività della notifica del provvedimento con il quale l’Ufficio irrogava le sanzioni accessorie risulti (…) priva di fondamento”;

– il termine di sei mesi è rispettato, “atteso che nel caso in esame l’Ufficio provvedeva a notificare l’avviso di irrogazione di sanzioni una prima volta il 20/04/2012 all’amministratore della società appellata Sig. B.B. e una seconda volta il 26/04/2012 con ulteriore raccomandata inviata alla società A.A. di B.B. e C. s.n.c.”;

– “avendo l’amministrazione finanziaria provveduto ad una doppia notifica appare corretto considerare quale ‘dies a quò, per far decorrere il termine di sei mesi previsto dalla legge, l’ultimo atto notificato alla società nelle mani del legale rappresentante, non comprendendosi per quale motivo e sulla base di quale presupposto di legge dovrebbe tenersi conto solo della prima raccomandata”.

4. Avverso la sentenza della CTR propone la società ricorso per cassazione con tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. La società deposita memoria, mediante la quale ulteriormente illustra i motivi di cui al ricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis, dell’art. 149 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3.

1.1. Alla stregua delle rubricate disposizioni di legge, in caso di consegna dell’atto notificando, l’efficacia della notificazione, per il notificante, retroagisce al momento dell’invio. Di conseguenza il termine di sei mesi avrebbe dovuto nella specie essere computato dal 18 aprile 2012, giorno in cui era avvenuto l’invio delle due distinte raccomandate attraverso le quali l’atto di irrogazione di sanzioni era stato rimesso alla società ed alla persona fisica che la rappresentava.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis, e dell’art. 145, comma 2, c.p.c. nel testo “ratione temporis” applicabile.

2.1. Pur non volendo accedere alla tesi di cui al primo motivo, il termine di sei mesi avrebbe dovuto, in ogni caso, computarsi dal 20 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna al legale rappresentante della società, e non dal 26 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna alla società. A partire dal 1 marzo 2006, l’art. 145, comma 2, c.p.c. prevede che la notificazione ad una società non avente personalità giuridica si possa fare a norma del comma precedente (ossia mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata) presso la sede o alla persona fisica che rappresenta l’ente. Conseguentemente, nella specie, la notificazione al legale rappresentante della società, con consegna dell’atto a quest’ultima attraverso di essa, già in data 20 aprile 2012 ha reso irrilevante la successiva consegna direttamente alla società il 26 aprile 2012.

3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione della Cost., art. 11, comma 6, e dell’art. 132 c.p.c. e motivazione apparente e/o perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

3.1. La motivazione della sentenza impugnata sulla tempestività dell’atto di irrogazione è tautologica ed incomprensibile, ragion per cui essa, meramente apparente, è sostanzialmente inesistente.

4. Procedendo in ordine logico nella disamina dei motivi, rileva preliminarmente l’esame del terzo.

4.1. Esso è infondato, in quanto la motivazione della sentenza impugnata si esprime chiaramente – ed in tal senso, infatti, è stata intesa in ricorso – nel senso di individuare il “dies a quo” del termine semestrale nella seconda delle due notificazioni dell’atto di contestazione della quarta violazione effettuate dall’Agenzia delle entrate, per il fatto di avere quest’ultima “provveduto ad una doppia notifica”. In buona sostanza, secondo la CTR, la doppia notifica si perfeziona con l’ultima notificazione, nel senso che, a fronte della duplice notificazione alla società ed al legale rappresentante, quantunque quella a questi siasi perfezionata prima, è alla seconda, perfezionatasi dopo, ossia per ultima, a dover essere accordata preminenza.

Trattasi di una motivazione errata, come subito si dirà, ma non per questo perplessa e men che meno apparente.

5. Fondato è il secondo motivo.

5.1. Esso assume come presupposto che l’art. 145, comma 2, c.p.c. (nella versione vigente dal 1 marzo 2006) prevede la possibilità di effettuare la notificazione di un atto a un ente non personificato o mediante notificazione all’ente stesso nella sede legale o al legale rappresentante dello stesso nei luoghi di sua residenza o domicilio.

5.2. La previsione del novellato art. 145, comma 2, c.p.c. – che pone il criterio dell’alternatività tra la notificazione nella sede o al legale rappresentante (atteso che “la notificazione alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e ai comitati di cui agli artt. 36 e seguenti del codice civile si fa a norma del comma precedente, nella sede indicata nell’art. 19, comma 2, ovvero alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale”) – si applica, ai sensi della l. n. 263 del 2005, art. 2, comma 4, ai procedimenti instaurati successivamente al 1 marzo 2006.

5.3. Il criterio dell’alternatività della notificazione trova suggello nella costante giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, 10 maggio 2022, n. 14716; Sez. 5, 10 novembre 2020, n. 25137, Sez. 5, 7 giugno 2021, n. 17266; Sez. 5, 22 novembre 2021, n. 35889; Sez. 5, 10 maggio 2022, n. 14716; Sez. 6-3, 7 settembre 2001, n. 24061, Rv. 662217-01); così come si afferma che l’obbligo di notificazione degli atti tributari presso il domicilio fiscale ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. c, non esclude la possibilità di eseguire la notificazione in via alternativa a quella nella loro sede, direttamente alla persona fisica che le rappresenta, purchè ne siano indicati nell’atto la qualità, la residenza, il domicilio o la dimora abituale (Sez. 5, 10 novembre 2010, n. 25137).

5.4. Non si tratta, pertanto, di “eccesso di zelo” dell’Ufficio, bensì di notifica alternativa correttamente eseguita e sottoscritta dal destinatario. Nella specie, trattandosi di notificazioni effettuate nel 2012, deve farsi applicazione della disciplina pro tempore, ritenendosi corretta la prima notificazione, con conseguente fondatezza del motivo.

5.5. La fondatezza del secondo motivo – da cui discende l’assorbimento del primo – comporta l’annullamento della sentenza impugnata. Non essendo necessari nuovi accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito, accogliendosi il ricorso introduttivo spiegato dalla contribuente avverso l’atto di irrogazione della sanzione. Invero, come risulta dalla sentenza impugnata e dalla concorde versione delle parti, a fronte dell’essere stato l’avviso di contestazione della quarta violazione validamente (per le esposte ragioni) notificato all’amministratore della contribuente il 20 aprile 2012, la notificazione dell’atto di irrogazione della sanzione in data 22 ottobre 2012 è avvenuta oltre il termine semestrale, previsto espressamente a pena di decadenza, dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis.

5.6. In punto spese, l’esito del giudizio comporta che, compensate integralmente tra le parti quelle di entrambi i gradi di merito, l’Agenzia delle entrate va condannata a rifondere alla contribuente quelle del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il terzo ed assorbito il primo.

Per l’effetto, in relazione al motivo accolto, annulla e cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso.

Compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di merito.

Condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere a A.A. DI B.B. e C. Snc le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000, oltre Euro 200 a titolo di esborsi, 15% a titolo di contributo forfetario e accessori se e in quanto dovuti.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2023


Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 05/11/2019) 10/02/2020, n. 3093

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 34135/2018 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in Roma, V.le Angelico 38, presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana, che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 333/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 14/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Svolgimento del processo
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, T.M., cittadino del Mali, ha adito il Tribunale di Perugia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Con ordinanza del 17/2/2017 il Tribunale di Perugia ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’atto di citazione in appello proposto dal T., corredato da quattro motivi1è stato dichiarato nullo dalla Corte di appello di Perugia, in difetto di costituzione del Ministero appellato, con sentenza del 14/5/2018, con dichiarazione di irripetibilità delle spese processuali.

La notifica dell’atto di citazione in appello era stata eseguita all’Avvocatura dello Stato di Perugia presso un indirizzo di posta elettronica (perugia.mailcert.avvocaturastato.it) diverso da quello (ads.pg.mailcert.avvocaturastato.it) risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia (c.d. REGINDE).

Poichè alla prima udienza la difesa dell’appellante, affermando di ritenere valida la notifica effettuata, aveva rifiutato il termine per il rinnovo della notifica al Ministero, la Corte di appello ha ritenuto la notifica nulla perchè ai sensi del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 17, comma 4 (regolamento emanato in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni, ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, commi 1 e 2, convertito in L. 22 febbraio 2019, n. 24) il sistema informatico dell’UNEP individua l’indirizzo di posta elettronica del destinatario dal registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia (REGINDE), con unica regola applicabile in caso di notificazione al difensore della parte.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso T.M., con atto notificato il 14/11/2018, svolgendo cinque motivi, di cui gli ultimi quattro destinati solamente a riproporre le censure svolte con i quattro motivi di appello non esaminati dalla Corte territoriale, vertenti rispettivamente in tema di erronea valutazione delle dichiarazioni rese alla Commissione Territoriale, di erronea considerazione di inattendibilità delle prove e delle dichiarazioni rese, di mancata concessione della protezione sussidiaria nonostante le attuali condizioni sociopolitiche del Paese di origine e di mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 291 c.p.c. e del R.D. 1611 del 1933, art. 11.

Il ricorrente richiama una pronuncia del Tribunale di Milano e sostiene che la notifica all’Avvocatura doveva ritenersi valida perchè ai fini della validità della notifica a nulla rileva da quale elenco sia stato estratto l’indirizzo p.e.c. utilizzato, purchè si tratti di un elenco pubblico; l’elenco di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 12, non è pubblico ma ristretto alla consultazione di uffici giudiziari, ufficiali giudiziari, avvocati, esecuzioni e protesti; inoltre l’elencazione dei pubblici registri non è esclusiva ma tassativa e fondata sulla pubblica riconducibilità dell’indirizzo al soggetto.

L’esclusività della notificazione a indirizzi contenuti in pubblici elenchi non abroga la domiciliazione presso l’Avvocatura dello Stato ex R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, che va ad aggiungersi a quella della L. n. 53 del 1994, ex art. 3 bis.

In ogni caso INI-PEC (acronimo per Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica certificata) non è un mero indirizzario informatico ma un pubblico elenco, tenuto conto di quanto disposto dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 ter, comma 1, convertito in L. 7 dicembre 2012, n. 221 e dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, ossia del Codice dell’Amministrazione Digitale, nonchè dell’art. 149 bis c.p.c., commi 1 e 2, nonchè della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3 bis, comma 1.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Motivi della decisione
1. Il Collegio osserva in linea preliminare che la giurisprudenza di questa Corte appare orientata in senso opposto a quello argomentato dal ricorrente e invece conforme alla decisione impugnata.

E’ stato affermato, sia pur ad altri fini, che in materia di notificazioni al difensore, a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all’indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, secondo le previsioni di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies (convertito con modificazioni in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, convertito con modificazioni in L. n. 114 del 2014), la notificazione dell’atto di appello va eseguita all’indirizzo p.e.c. del difensore costituito risultante dal REGINDE, pur non indicato negli atti dal difensore medesimo, sicchè è nulla la notificazione effettuata – ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 – presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra anche la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (Sez. 6, 23/05/2019, n. 14140; Sez. 1, 18/01/2019, n. 1411).

Quanto, più in particolare, ai registri di indirizzi da cui le parti possono estrarre i recapiti di posta elettronica certificata utilizzabili ai fini della notificazione, questa Corte, in tempi recentissimi, ha più volte affermato che l’unico registro à cui occorre far riferimento è il REGINDE. Secondo la pronuncia della Sez. 3, 08/02/2019, n. 3709, il domicilio digitale previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, (convertito, con modifiche, in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, convertito con modifiche in L. n. 114 del 2014), corrisponde all’indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (REGINDE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicchè la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo p.e.c. riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel REGINDE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI -PEC).

La citata pronuncia richiama quali precedenti conformi le decisioni della Sez. 6 del 14/12/2017, n. 30139 e del 25/05/2018, n. 13224: nel primo caso, la notifica dell’atto di appello era stata eseguita presso la cancelleria ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, senza ricorrere ai recapiti p.e.c. risultanti dai registri INIPEC e REGINDE; nel secondo caso, la notificazione a mezzo p.e.c. era stata eseguita a un indirizzo, diverso da quello risultante dal REGINDE e indicato dalla parte nella sua comparsa di risposta.

La stessa conclusione è stata raggiunta da Sez. 6, 05/04/2019, n. 9562, secondo la quale per i soggetti censiti all’interno del REGINDE l’unico indirizzo utilizzabile ai fini della notificazione è quello inserito in detto registro e non anche quello eventualmente presente in altri registri PEC, anche qualora gli stessi siano annoverati all’interno del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-ter; pertanto, in tema di notificazione a mezzo p.e.c., ai sensi del combinato disposto dell’art. 149 bis c.p.c. e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, introdotto dalla Legge di Conversione n. 221 del 2012, l’indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell’atto è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (REGINDE), unicamente quello risultante da tale registro. Ne consegue, ai sensi dell’art. 160 c.p.c., la nullità della notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario (in quel caso non risulta da quale registro fosse stato estratto l’indirizzo utilizzato e la Corte ha valorizzato quale elemento di non specificità del mezzo di ricorso l’omessa deduzione dell’estrazione dell’indirizzo utilizzato dal REGINDE).

Ancor più recentemente si sono pronunciate, sempre nella stessa direzione, le ordinanze della Sezione 6-1, del 27/9/2019 n. 24110 (ove non risultava da quale registro, diverso dal REGINDE, l’indirizzo utilizzato fosse stato estratto) e della Sezione 6-3, del 27/9/2019 n. 24160, in tema di notifica dell’atto di impugnazione (in cui l’indirizzo utilizzato era stato estratto da INIPEC, ma tale considerazione era stata espressa ad abundantiam rispetto ad una principale concorrente ratio decidendi).

Quest’ultima decisione è stata tuttavia corretta d’ufficio ex art. 391 bis c.p.c., con ordinanza del 15/11/2019 n. 29749 (pubblicata successivamente alla Camera di consiglio del 5/11/2019) che ha eliminato il riferimento, ritenuto erroneo, alla inidoneità oggettiva dell’estrazione dell’indirizzo p.e.c. dai registri INIPEC. La predetta ordinanza di correzione richiama in motivazione il contenuto della sentenza delle Sezioni Unite del 23/9/2018 n. 23620, che ha ritenuto che il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, e rubricato “Domicilio digitale”, imponendo alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INIPEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, ovvero presso il REGINDE di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, certamente implica un riferimento all’indirizzo di posta elettronica risultante dagli albi professionali, atteso che, in virtù della prescrizione contenuta nel citato D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, commi 2 bis e 5, al difensore fa capo l’obbligo di comunicare il proprio indirizzo all’ordine di appartenenza e quest’ultimo è tenuto a inserirlo sia nel registro INIPEC, che nel REGINDE. La sentenza della Sez. 1, 09/01/2019, n. 287 ha invece escluso la rimessione in termine per la parte che ha effettuato la notifica dell’atto processuale ad un indirizzo PEC non presente nel REGINDE; infatti solo ove l’esito negativo del processo notificatorio sia dipeso da un fatto oggettivo ed incolpevole, del quale la parte notificante deve offrire una puntuale e rigorosa dimostrazione, è possibile fissare un ulteriore termine per la notificazione.

1.2. L’ordinanza della Sez. 6-1, del 27/6/2019 n. 13746 ha invece ritenuto che un’analoga questione fosse stata proposta in termini astratti e teorici, privi della necessaria specificità perchè il ricorrente non aveva assunto chiaramente di aver estratto l’indirizzo utilizzato dal Registro INIPEC. Nella specie il ricorrente presuppone tale estrazione nella sua complessiva argomentazione, e l’afferma espressamente a pagina 8 (10-11 rigo, del ricorso).

1.3. Il “domicilio digitale” di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies e successive modifiche e integrazioni, prevede che, salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.

Tale norma richiama anche gli (altri) elenchi di cui all’art. 6 bis e riguarda l’ipotesi specifica in cui la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario: eventualità ora scongiurata dalla disponibilità di un recapito di posta elettronica ut supra.

Il D.L. 18 otto 2012, n. 179, art. 16, comma 12 (modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 19, lett. b) e successivamente dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 47, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114) in tema di “Biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica” ha previsto che al fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2 e successive modificazioni, comunicassero al Ministero della giustizia, con le regole tecniche adottate ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24, entro il 30/11/2014 l’indirizzo di posta elettronica certificata conforme a quanto previsto dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 e successive modificazioni, a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L’elenco formato dal Ministero della giustizia è consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati.

Tale norma non sancisce espressamente un privilegio di esclusività.

Il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis (c.d. Codice dell’amministrazione digitale), in tema di “Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti” per favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonchè lo scambio di informazioni e documenti tra i soggetti di cui all’art. 2, comma 2 e le imprese e i professionisti in modalità telematica, dispone l’istituzione del pubblico elenco denominato Indice nazionale dei domicilii digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico (realizzato a partire dagli elenchi di indirizzi p.e.c. costituiti presso il registro delle imprese e gli ordini o collegi professionali).

Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 ter, comma 1 (modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 45-bis, comma 2, lett. a), n. 1) convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 e successivamente sostituito dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, art. 66, comma 5) in tema di “Pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni” prevede che a decorrere dal 15/12/2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, artt. 6-bis, 6-quater e 62, dall’art. 16, comma 12, dello stesso decreto, dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 16, comma 6, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, nonchè il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia.

L’art. 149 bis c.p.c., comma 2, in tema di “Notificazione a mezzo posta elettronica dispone che se procede ai sensi del comma 1, l’ufficiale giudiziario trasmette copia informatica dell’atto sottoscritta con firma digitale all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni. Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 2, convertito con modificazioni in L. 17 dicembre 2012, n. 221, ha aggiunto le parole: “o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni”.

La L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis, dispone che la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.

Sulla base di tali norme il ricorrente sostiene che il Registro INIPEC è un pubblico elenco e nega che la legge privilegi ai fini delle notifiche giudiziarie esclusivamente gli indirizzi contenuti nel REGINDE, come sostenuto dal richiamato orientamento giurisprudenziale.

3. Il contesto normativo e giurisprudenziale illustrato, secondo il Collegio, colora la questione preliminare processuale sollevata dal ricorso di un evidente interesse nomofilattico, che trascende il caso concreto e ne consiglia la trattazione in pubblica udienza.

P.Q.M.
La Corte:

rinvia la trattazione del ricorso alla pubblica udienza.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 01/03/2023) 24/03/2023, n. 8463

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1720/2022 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO CALDERARO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PURPLE SPV Srl , quale mandataria di CERVED CREDIT MANAGEMENT Spa , elettivamente domiciliata in ROMA VIA C. POMA 2, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO TROILO, e rappresentata difesa dall’avvocato GIUSEPPE CINELLI, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1833/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata l’11/12/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/03/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie delle parti.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con ordinanza emessa ex art. 702 bis, in data 09/04/2018 il Tribunale di Agrigento rigettava la domanda di Banca delle Marche Spa in amministrazione straordinaria – creditore procedente nella procedura esecutiva immobiliare n. 175/2013 pendente presso il Tribunale di Agrigento – di accertamento dell’avvenuta accettazione tacita, da parte del debitore esecutato, A.A., dell’eredità della defunta madre B.B., deceduta in (Omissis), tra i cui beni era ricompreso anche il bene pignorato.

Avverso detta ordinanza la Cerved Credit Management Spa quale procuratrice di PURPLE SPV, successore di Banca delle Marche Spa per effetto della cessione dei crediti posti a fondamento della procedura esecutiva, propose appello e, nella contumacia dell’appellato, A.A., la Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 1833 dell’11 dicembre 2020, in accoglimento del gravame, ha accertato che il convenuto era divenuto proprietario del bene pignorato, per avere tacitamente accettato l’eredità materna.

Il giudice di appello rilevava che l’accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all’eredità compia un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può desumersi anche dal comportamento del chiamato che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare, sicchè mentre non sono idonei a tale scopo gli atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, l’accettazione tacita può evincersi dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale che nella specie il convenuto aveva posto in essere, quanto ad un bene caduto in successione.

2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso A.A. sulla base di un motivo.

La Cerved Credit Management, nella qualità di mandataria della Purple SPV Srl , resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

3. Con il motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento di appello, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, per violazione degli artt. 330, 160 e 170 c.p.c., stante la nullità e/o inesistenza della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di appello, deducendosi altresì che il ricorso è proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza di appello, attesa la qualità di contumace involontario del ricorrente, che ha avuto conoscenza della sentenza della Corte d’Appello solo in data 18/11/2021, quando il proprio difensore nel giudizio di esecuzione immobiliare ha ricevuto comunicazione dell’ordinanza del GE del 15/11/2021, nella quale si faceva menzione della sentenza oggi gravata.

Assume il ricorrente la nullità e/o inesistenza della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di appello, perchè eseguita ad un indirizzo diverso dal proprio luogo di residenza, e con il quale quest’ultimo non aveva collegamento alcuno al tempo della notifica.

Si rileva che l’atto di citazione in appello è stato notificato presso l’indirizzo di (Omissis), sebbene il ricorrente a decorrere dal 30.09.2008 sia residente in (Omissis), come da certificato storico di residenza.

Per l’effetto, il plico raccomandato contenente la citazione non è stato recapitato ed è stato restituito al mittente per compiuta giacenza. Attesa la nullità e/o inesistenza della detta notifica anche il giudizio di appello e la relativa sentenza sono nulli.

Il motivo è infondato.

Ritiene la Corte che colgano nel segno le argomentazioni difensive spese da parte controricorrente.

La tesi che è a sostegno del ricorso è essenzialmente correlata alla divergenza tra la residenza anagrafica ed il luogo presso cui è stata effettuata la notifica dell’atto di appello, traendosi da tale divergenza la conclusione necessitata della prevalenza della prima, idonea quindi ad inficiare radicalmente la validità della notifica compiuta presso il diverso indirizzo.

Tuttavia, la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale (Cass. n. 19387/2015; Cass. n. 11550/2013).

Pertanto, onde dimostrare la nullità della notifica della citazione, in quanto eseguita in luogo diverso dalla residenza effettiva del destinatario, non costituisce prova idonea la sola produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notifica (Cass. n. 19132/2004), essendosi anzi affermato che (Cass. n. 10107/2014) nell’ipotesi in cui la notifica venga eseguita, nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 c.p.c., è da presumere che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario e, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova (conf. Cass. n. 15200/2005).

E’ stato altresì specificato che (Cass. n. 26985/2009) la prova contraria, idonea a vincere la presunzione scaturente dalle risultanze anagrafiche, può essere desunta da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni, come quelle desunte dall’indicazione di dimora abituale quale emerge dall’esecuzione del contratto intercorso tra le parti (conf. Cass. n. 17040/2003; Cass. n. 26985/2009; Cass. n. 17021/2015).

Una volta richiamati tali principi, ed avuto riguardo alle puntuali osservazioni svolte in controricorso, emerge che in data anteriore al cambiamento di residenza avvenuto nel (Omissis), come attestato dalla certificazione anagrafica prodotta dal ricorrente, questi risiedeva proprio all’indirizzo ove è stata effettuata la notifica dell’atto di appello.

Ancora risulta che nel 2010, in occasione della sottoscrizione delle fideiussioni, dalle quali è scaturito il credito che poi ha fatto sorgere la procedura esecutiva, cui è funzionale l’accertamento della qualità di erede oggetto del presente giudizio, il A.A. ha indicato come proprio indirizzo quello ove è stato notificato l’appello, sebbene, secondo la certificazione anagrafica prodotta, si fosse trasferito presso il nuovo indirizzo già da due anni.

Ancora, emerge che varie missive, sempre relative al rapporto creditorio oggetto di causa, nonchè la notifica del precetto che ha preceduto l’esecuzione immobiliare, sono state inviate, sempre dopo il mutamento di residenza anagrafica, all’indirizzo in (Omissis), pervenendo nella disponibilità del ricorrente che ha provveduto alla sottoscrizione dei relativi avvisi di ricevimento.

Infine, anche la notifica dell’atto di appello, avvenuta a mezzo posta ai sensi della L. n. 53 del 1994, consente di rilevare dall’avviso di ricevimento, riprodotto in ricorso, come l’ufficiale postale non abbia riferito dell’irreperibilità del destinatario, ma solo della sua temporanea assenza, avendo reperito anche una cassetta postale, evidentemente recante il nominativo del destinatario, nella quale ha immesso l’avviso.

I plurimi e concordanti elementi ora riassunti permettono di affermare che, a dispetto delle risultanze anagrafiche, non possa negarsi come anche l’indirizzo presso cui è stata effettuata la notifica dell’appello avesse un evidente legame con il ricorrente, e che quindi la censura mossa, che si fonda sulla sola asserita prevalenza delle risultanze anagrafiche, non sia idonea ad inficiare la conclusione circa la validità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado.

Il ricorso è pertanto rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Poichè il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2023


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 01/02/2023) 24/03/2023, n. 8453

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. ZULIANI Andrea – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CASCIARO Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 5847-2022 proposto da:

A.A., domiciliato ope legis in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avv.ti ZOBOLI LUIGI ALBERTO e MORONI ALESSANDRO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (Omissis), in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato ope legis in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avv.ti GIANNINI MARCO e PIZZORNI CRISTINA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 307/2021 della CORTE D’APPELLO DI GENOVA, pubblicata il 23/12/2021 R.G. n. 153/2021;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza del 01/02/2023 dal Consigliere Dott. SALVATORE CASCIARO. il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA visto il D.L. n. 28 ottobre 2020 n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 23 dicembre 2021, la Corte d’appello di Genova respingeva il reclamo proposto da A.A., dipendente del Comune di (Omissis) con funzioni di coordinatrice dei Servizi educativi di prima infanzia (funzionario D5, profilo tecnico), avverso la sentenza del Tribunale di Sanremo, a sua volta reiettiva dell’impugnativa di licenziamento per giusta causa intimato in data (Omissis).

Il licenziamento in parola aveva fatto seguito a una contestazione del (Omissis), relativa a plurime irregolarità nella registrazione della presenza in servizio, e dei relativi orari di entrata e uscita, ritenuta adeguatamente comprovata alla stregua delle risultanze delle indagini della Guardia di finanza che avevano dato luogo anche a un giudizio penale chiusosi poi, per la A.A., con l’assoluzione.

2. Per quanto ancora in discussione, la Corte territoriale, riteneva che l’UPD avesse autonomamente valutato gli atti del procedimento penale, accertando la violazione degli obblighi di attestazione delle presenze, profilo (questo) di rilevanza oggettiva, senza che potesse configurarsi una commistione tra il procedimento disciplinare e quello penale, con violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis comma 4.

Osservava che gli episodi contestati erano in realtà quattro (17 gennaio, 5 febbraio, 11 giugno e 16 settembre 2014), ma aggiungeva che anche uno solo di essi avrebbe potuto valere a giustificare il licenziamento; le condotte addebitate erano rimaste tutte comprovate, e, previa verifica dell’elemento intenzionale o colposo (quest’ultimo “quanto meno” configurabile nella specie), nonchè dell’assenza di scriminanti, il giudice d’appello avrebbe dovuto tener conto del “rigore della norma”, che tipizzava le condotte in esame come atte a giustificare il recesso, misura disciplinare senz’altro adeguata e proporzionata alla gravità delle infrazioni.

3. Non rilevava il fatto che la A.A. potesse non avere tratto benefici economici dalla falsa attestazione degli orari di servizio, atteso che ciò avrebbe potuto riguardare solo alcuni degli episodi descritti e non certo il primo di essi, che era il più grave in considerazione dei ripetuti “tentativi della ricorrente di alterare la realtà dei fatti”, con sicura lesione, anche per tal guisa, dell’elemento fiduciario, qui particolarmente intenso per le “delicate e importanti funzioni” svolte, con espletamento anche all’esterno degli uffici comunali e, dunque, inevitabile difficoltà di controllo da parte datoriale.

4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza A.A., articolato in cinque motivi, assistiti da memoria, opposti dal Comune di (Omissis) con controricorso.

5. La Procura generale ha rassegnato conclusioni scritte ex D.L. n. 137/2020, art. 23, comma 8 bis, conv. dalla L. n. 176/2000, e ha concluso per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione
1. Preliminarmente, quanto alla produzione della sentenza penale di assoluzione in sede di memoria difensiva ex art. 378 c.p.c., va osservato che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 c.p.c., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della “regula iuris” alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Ne consegue che va in questi casi ritenuta l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 c.p.c. (Cass. 27321 del 2021, Cass. 22376 del 2017, Cass. n. 23483 del 2010).

2. Con il primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis comma 4 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La Corte d’Appello ha ritenuto erroneamente che l’ingerenza indebita di militari della Guardia di finanza – e, dunque, di soggetti estranei all’UPD e non connotati da terzietà – nell’istruttoria disciplinare non costituirebbe violazione di legge, e aveva errato nel trascurare che il fatto costituente addebito disciplinare era stato, con sentenza penale di assoluzione (con formula “per insussistenza del fatto”), ritenuto insussistente.

2.1 Il motivo è infondato.

Il procedimento è stato instaurato, e concluso, dall’UPD competente e la dedotta nullità sarebbe al più seguita ove fosse stato instaurato da soggetto diverso rispetto al già menzionato ufficio (Cass. n. 17357/2019); sicchè, la lamentata partecipazione o l’indebita ingerenza di soggetti estranei non si riflette, come opina la difesa della ricorrente, in termini di nullità.

Aggiungasi, in proposito, che la Corte di merito ha affermato, con valutazione di fatto incensurabile in questa sede, che nella specie l’UPD ha operato con autonoma valutazione della vicenda disciplinare; nè può sostenersi, sotto altro verso, che occorreva attendere l’esito del giudizio penale: secondo principi ormai acquisiti nel pubblico impiego privatizzato il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-ter, inserito dal D.Lgs. n. 150 del 2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass. n. 8410 del 2018; Cass. n. 29376 del 2018).

La censura è, nel resto, infondata.

Nella specie, la A.A. dà atto che, anche al momento della notifica del ricorso per cassazione, la sentenza della Corte d’appello di Genova non era ancora passata in giudicato (“passerà in giudicato, con ogni probabilità, nel corso del prossimo mese di giugno 2022”, così a a pag. 3 del ricorso), sicchè un problema di applicabilità della disposizione dell’art. 654 c.p.p. neppure si pone.

3. Con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La Corte d’Appello ha ritenuto provato un addebito in via presuntiva, fondando l’inferenza su fatti e presunzioni non connotati da gravità, precisione e concordanza ed anzi smentiti da prove testimoniali, completamente ignorate. La ricorrente sottopone a un analitico riesame tutte le risultanze dell’istruttoria, assumendo che la Corte le avrebbe travisate.

3.1 Il motivo è inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, n. 1785/2018) hanno precisato che la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 c.c. si può formulare quando il giudice di merito affermi che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice del merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. Cass. n. 9054/2022).

Non può avere ingresso in questa sede il tentativo di prospettare una diversa ricostruzione dei fatti e/o di sottoporre a revisione le risultanze istruttorie, atteso che, così facendo, le doglianze, sotto l’apparente deduzione di una violazione di legge per violazione dei principi che sovrintendono alla prova per presunzioni, si rivelano più che altro finalizzate a un riesame del merito, chiaramente precluso in questa sede (Cass. n. 6960/2020).

4. Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) il motivo contesta la sussunzione nelle norme in rubrica di tre episodi. Quello del 5 febbraio 2014 in relazione al quale la Corte d’appello ha erroneamente affermato che non rilevasse accertare se la condotta sia stata colposa o dolosa. In realtà il fatto che la dipendente avesse avvertito il proprio dirigente del rientro anticipato a casa escluderebbe il dolo. Quello dell’11 giugno 2014 che non poteva essere sussunto nella fattispecie legale perchè connotato da assenza di danno per l’amministrazione e da mera colpa. Ed infine, quello de 16 settembre 2014 dove la Corte d’appello ha sussunto nella fattispecie legale un allontanamento estraneo all’orario di lavoro della ricorrente.

4.1 Il terzo motivo è inammissibile anzitutto per carenza di interesse.

Esso infatti censura le valutazioni del giudice d’appello in relazione a tre episodi: 5 febbraio 2014, 11 giugno 2014, 16 settembre 2014, non anche in riferimento a quello del 17.1.2014, peraltro ritenuto dal giudice d’appello come di maggiore gravità; eppure la Corte di merito, con passaggio argomentativo (si noti) non specificamente censurato e idoneo a sorreggere la motivazione, aveva rilevato in sentenza come comunque “anche un solo episodio di falsa attestazione delle presenze può valere a determinare il licenziamento”. Il motivo è comunque infondato per l’accertamento puntuale, contenuto nella sentenza impugnata, delle condotte contestate e l’assenza di circostanze scriminanti.

5. Con il quarto motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la sentenza impugnata ritenuto proporzionato il licenziamento, senza considerare che l’accertata presenza di un elemento soggettivo connotato da mera colpa, unitamente agli altri elementi emersi in causa, avrebbe dovuto portare a concludere per una valutazione di segno opposto.

5.1 La censura, là dove è formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non è conforme al testo dell’art. 360 c.p.c. n. 5 come novellato del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, ed inoltre incontra l’ulteriore sbarramento della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., norma introdotta dal medesimo D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a) e applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge.

6. Con il quinto mezzo lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) si censura l’incoerenza della decisione in relazione “agli standards conformi ai valori dell’ordinamento” perchè la Corte di merito non avrebbe compiutamente valutato i fatti nella loro componente oggettiva e soggettiva che ne sminuiva la gravità.

6.1 Anche tale critica va disattesa.

Non risponde al vero che la Corte territoriale non abbia valutato la gravità della condotta, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi. Si deve qui ribadire che, anche in presenza di uno degli illeciti tipizzati dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, va escluso qualsivoglia automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare (Cass. n. 1351/2016, Cass. n. 18326/2016, Cass. n. 18858/2016, Cass. n. 24574/2016), perchè della norma deve essere fornita un’interpretazione orientata al rispetto dei principi costituzionali.

Il Giudice delle leggi, infatti, esaminando diverse disposizioni legislative che prevedevano automatismi espulsivi, ha ritenuto che la privazione di una valutazione di graduazione della sanzione in riferimento al caso concreto vulnera i principi della tutela del lavoro (Cost., artt. 4 e 35), del buon andamento amministrativo (Cost., art. 97) e quelli fondamentali di ragionevolezza (i.e., art. 3 Cost., cfr. Corte Cost. n. 971/1988 e Corte Cost. n. 706/1996 in materia di destituzione di diritto; Corte Cost. n. 170/2015 in materia di trasferimento obbligatorio in caso di violazione di specifici doveri da parte dei magistrati).

E’ stato, però, evidenziato anche, in relazione all’assenza ingiustificata, che “la disposizione normativa cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa” (Cass. n. 18326/2016).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, dopo avere escluso, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, la fondatezza delle giustificazioni fornite dalla A.A., ha anche evidenziato che l’addebito contestato, per la sussistenza dell’elemento soggettivo (“quanto meno della colpa”) e per la sua gravità, era idoneo a integrare una giusta causa di licenziamento, non solo sulla base della previsione normativa, ma anche “per le delicate e importanti funzioni svolte dalla A.A.”, per il fatto che il suo servizio “si svolgeva in maniera rilevante all’esterno con minor possibilità di controllo del Comune”, vuoi per l’irrilevanza, in riferimento ad alcuni episodi, dell’assenza di benefici economici collegati alla falsa attestazione. La pronuncia risulta, pertanto, rispettosa del principio di diritto sopra enunciato.

7. Conclusivamente, alla stregua dei rilievi suesposti, il ricorso è da rigettare, con addebito alla parte soccombente delle spese processuali ex art. 91 c.p.c., liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro Euro. 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2023

 


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 17/03/2023) 22/03/2023, n. 8201

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15350-2018 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA Spa , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato GIANCARLO GRECO giusta procura speciale agli atti;

– ricorrente –

contro

A.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 228/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SICILIA, depositata il 17/1/2018, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/3/2023 – tenutasi in modalità da remoto previo decreto di autorizzazione del Presidente del Collegio – dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Svolgimento del processo
la Commissione tributaria regionale della Sicilia, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello di A.A. avverso la pronuncia n. 4595/2014 della Commissione tributaria provinciale di Palermo con cui era stato respinto il ricorso proposto avverso intimazione di pagamento e relative cartelle esattoriali ad essa sottesa;

avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale Riscossione Sicilia Spa propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi;

A.A. è rimasto intimato.

Motivi della decisione
1.2. con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56 e dell’art. 2719 c.c. e lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente richiesto la produzione degli originali delle relate di notifica degli atti impugnati, pur non avendo il contribuente mai provveduto a disconoscere la conformità della documentazione prodotta in copia;

1.3. con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, seconda parte, e lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente affermato che, sulla base della citata norma, l’ente di riscossione abbia l’onere di esibire copia conforme della cartella impugnata “allorquando il contribuente ne richieda la copia”;

2.1. le doglianze, da esaminare congiuntamente, sono fondate;

2.2. in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, la prova del perfezionamento del procedimento di notifica e della relativa data è assolta, infatti, mediante la produzione della relazione di notificazione o dell’avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella, non essendo necessaria la produzione in giudizio della copia della cartella stessa (cfr. Cass. 21/7/20121 n. 20769, Cass. 11/10/2018, n. 25292, Cass. n. 11/10/2017, n. 23902);

2.3. in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio non è necessaria, dunque, la produzione in giudizio dell’originale o della copia autentica della cartella, essendo altresì sufficiente la produzione della matrice o della copia della cartella con la relativa relazione di notifica;

2.4. nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale dà conto dell’avvenuta produzione, da parte dell’agente della riscossione, delle copie fotostatiche delle relate di notifica degli atti impugnati dal contribuente, e dei relativi estratti di ruolo, e la conformità delle copie agli originali non risulta essere stata posta in discussione da quest’ultimo in sede di appello (ritualmente trascritto nel ricorso);

2.5. l’estratto di ruolo, inoltre, è l’equipollente della matrice, in quanto è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale, che contiene tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria (cfr. Cass. 14/6/2019, n. 16121, Cass. 24/4/2018, n. 33563, Cass. 11/10/2017, n. 23902);

3. i motivi in esame devono essere dunque accolti e la sentenza deve essere cassata;

4. atteso che nell’originario ricorso il contribuente aveva impugnato l’intimazione di pagamento e le cartelle unicamente facendo valere l’omessa notifica di queste ultime, la causa può essere decisa nel merito con rigetto dell’originario ricorso;

5. le spese del merito devono essere compensate in ragione dell’evolversi della vicenda processuale mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente; compensa le spese dei gradi di merito; condanna il contribuente a rifondere alla ricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.800,00 per compensi, oltre spese forfetarie, accessori di legge ed oltre Euro 200,00 per esborsi.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 17 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 24/02/2023) 20/03/2023, n. 7994

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. DE ROSA Maria Luisa – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LUME Federico – Consigliere –

Dott. ANGARANO Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa in calce al ricorso, dagli Avv.ti Gianfilippo Elti di Rodeano e Andrea Recchi, che hanno indicato recapito PEC, avendo la ricorrente dichiarato domicilio presso lo studio del primo difensore, alla via Paolo Emilio n. 28 in Roma;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

E Contro

Equitalia Sud Spa , in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 2949, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 20.5.2015, e pubblicata il 25.5.2015; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio.

la Corte osserva.

Svolgimento del processo
1. L’Incaricato per la riscossione, Equitalia Sud Spa , notificava in data 12.5.2011 a A.A. la cartella di pagamento n. (Omissis) (Omissis) per l’importo di Euro 89.859,03, recante l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo degli avvisi di accertamento n. (Omissis), avente ad oggetto Irpef ed accessori in relazione all’anno 2004, e n. (Omissis), avente ad oggetto Irpef ed accessori con riferimento all’anno 2005, dichiaratamente notificati in data 30.12.2009.

2. L’odierna ricorrente impugnava la cartella esattoriale innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, contestando l’inefficacia dell’atto impugnato a causa dell’insussistenza del diritto dell’Ufficio a richiedere il pagamento di somme afferenti al tributo dell’Irpef, in riferimento agli anni 2004 e 2005, senza aver preliminarmente provveduto a notificare correttamente i prodromici avvisi di accertamento, peraltro non essendo da lei dovuta la somma richiesta. La contribuente comunque domandava, se del caso, di ridurre la pretesa di pagamento alla somma effettivamente dovuta. La CTP dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla contribuente, ritenendo che gli atti impositivi fossero stati regolarmente notificati.

3. A.A. spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Roma. La CTR rigettava l’impugnativa introdotta dalla contribuente e confermava la decisione assunta dalla CTP. 4. Avverso la pronuncia della CTR di Roma ha proposto ricorso per cassazione A.A., affidandosi a due motivi di impugnazione.

Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. Equitalia Sud Spa ha ricevuto la notificazione del ricorso in data 31.12.2015, ma non si è costituita nel giudizio di legittimità.

Motivi della decisione
1. Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contribuente contesta la violazione dell’art. 140 cod. proc. civ, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, in cui è incorsa la CTR nell’aver erroneamente applicato le regole legali in materia di adempimenti necessari per il perfezionarsi della notifica a soggetti irreperibili.

2. Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente contesta l’omesso esame dell’eccezione circa la mancata ricerca da parte dell’Ufficiale notificatore di persone idonee alla ricezione della notifica ai sensi dell’art. 139 c.p.c., e di richiesta di informazioni sull’eventuale trasferimento del contribuente.

3. Con il primo mezzo di impugnazione la ricorrente censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice del gravame, per non aver correttamente applicato il combinato disposto dagli artt. 140 c.p.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, 60, in ordine agli adempimenti relativi al procedimento di notificazione dei prodromici avvisi di accertamento in esame.

3.1. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 prevede che, in caso di irreperibilità del destinatario della notifica, non è applicabile l’art. 143 c.p.c., espressamente escluso dalla disposizione di cui alla lett. f) della norma, che non esclude, però, la necessità che si provveda agli adempimenti di cui all’art. 140 c.p.c..

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), offre comunque delle indicazioni specifiche sulla modalità di compimento del processo di notificazione di un atto tributario al contribuente irreperibile, e detta “e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 del codice di procedura civile, in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione”.

Siamo pertanto in presenza di un procedimento notificatorio che segue regole sue proprie e, (soltanto) per quanto non specificamente disciplinato, si svolge in applicazione delle previsioni di cui all’art. 140 c.p.c. ed alle norme dallo stesso richiamate, con particolare riferimento all’art. 139 c.p.c. ed alle ricerche del destinatario previste dalla disposizione.

3.2. La disciplina della notifica prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, prevede comunque deroghe significative rispetto alla disciplina prevista dall’art. 140 del codice di rito. Ai sensi della disciplina ordinaria, risultando irreperibile il destinatario, l’atto da notificare è depositato presso la casa comunale, con affissione di avviso, in busta chiusa e sigillata, alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e deve essergli data notizia mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), invece, l’avviso del deposito, sempre in busta chiusa e sigillata, non si affigge alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, bensì presso la casa comunale, e non è previsto l’invio della raccomandata informativa.

3.2.1. Tanto premesso il giudice del gravame ha osservato che “Nella fattispecie il Collegio evidenzia che l’Ufficio ha dimostrato l’intervenuta e regolare notifica degli atti sottesi alla cartella. Nel caso di effettuazione della notifica a soggetti assolutamente irreperibili il D.P.R. n. 600/73, art. 60, comma 1, lett. e) dispone che l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 c.p.c. in busta chiusa e sigillata si affigge all’albo del comune e la notificazione si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello dell’affissione.

Pertanto, il provvedimento notificatorio si è concluso per compiuta giacenza non avendo il destinatario curato il ritiro.

Ritiene che la cartella di pagamento risulta ritualmente notificata” (sent. CTR, p. 4).

3.3. Dunque, pur dando atto la CTR che la questione relativa agli adempimenti necessari per la corretta notificazione degli avvisi di accertamento è risultata controversa sin dal primo grado del giudizio, il giudice dell’appello limita la sua analisi all’affissione dell’atto presso la casa comunale.

4. La pronuncia del giudice del gravame è sottoposta a specifica censura sul punto, perchè la ricorrente, richiamando plurima giurisprudenza di legittimità, evidenzia che “la notificazione ai sensi dell’art. 60, lett. e), è valida soltanto se non sia effettivamente possibile reperire l’abitazione, l’ufficio o l’azienda del contribuente nel comune ove il medesimo ha il domicilio fiscale, malgrado le ricerche del messo notificatore, sempre che queste, secondo giudizio insindacabile in sede di legittimità, siano state sufficienti… l’unica parte redatta e sottoscritta dall’ufficiale postale… è quella relativa alla cartolina dalla quale risulta la mancata consegna per ‘irreperibilità’ non meglio precisata… nulla riferisce l’Ufficiale Postale in ordine alle motivazioni dell’irreperibilità nè delle cause per le quali non sia stata eseguita la consegna sul perchè il destinatario o altro possibile consegnatario non è stato rinvenuto in detto indirizzo… Alcuna attività ai sensi dell’art. 140 c.p.c. risulta effettuata dall’Ufficiale notificatore…” (ric., p. 7).5. Può allora ricordarsi come questa Corte regolatrice abbia già avuto modo di statuire che “la notificazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e) è ritualmente eseguita solo nell’ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il messo notificatore deve svolgere nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, in esso non rinvenga l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente. Solo in questi casi la notificazione è ritualmente effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale e affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, nè di ulteriori ricerche al di fuori del detto Comune” (evidenza aggiuta), Cass. sez. V, 12.2.2020, n. 3378. Non si è del resto mancato di chiarire, ancor più specificamente con riferimento alla vicenda processuale in esame, che “la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi va eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. solo ove sia conosciuta la residenza o l’indirizzo del destinatario che, per temporanea irreperibilità, non sia stato rinvenuto al momento della consegna dell’atto, mentre va effettuata ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), quando il notificatore non reperisca il contribuente perchè trasferitosi in luogo sconosciuto, sempre che abbia accertato, previe ricerche, attestate nella relata, che il trasferimento non sia consistito nel mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune del domicilio fiscale” (evidenza aggiunta), Cass. sez. V, 15.3.2017, n. 6788.Non si è attenuta a questi principi la impugnata CTR, ed il primo motivo di ricorso introdotto dalla contribuente deve essere pertanto accolto, cassandosi la decisione impugnata, con rinvio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio. Il secondo strumento di impugnazione rimane assorbito.

P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso proposto da A.A., assorbito il secondo, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio nel rispetto dei principi esposti, e provveda anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità tra le parti.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2023


Cass. pen., Sez. IV, Ord., 13/02/2023, n. 5897

Leggi: Suprema Corte di Cassazione sentenza n. 5897-2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 15/12/2022) 24/01/2023, n. 2193

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CRIVELLI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. ANGARANO Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14092/2020 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

A.A., (cf (Omissis)), rappresentata e difesa dall’avv. Sabrina Mariani, elettivamente domiciliata presso la stessa in Roma, via Gregorio VII, 186, il tutto come da procura in calce al controricorso del 12 giugno 2022;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 6270/2019, depositata il 12 novembre 2019.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre 2022 dal consigliere Alberto Crivelli.

Svolgimento del processo
1. L’Agenzia, in data 10 marzo 2016, notificava a A.A. intimazione di pagamento relativa a numerose cartelle. La contribuente impugnava la stessa sollevando questioni inerenti a vizi dell’intimazione e, limitatamente alle cartelle nn. (Omissis) e (Omissis), (dichiarazione dei redditi anni (Omissis)) decadenza. La CTP accoglieva il ricorso rilevando la mancata prova della notifica delle cartelle, oltre a ritenere fondate le altre censure all’atto impugnato. L’Agenzia proponeva gravame eccependo in particolare l’avvenuta notifica delle due cartelle sopra indicate rispettivamente in data (Omissis) e (Omissis). Il giudice d’appello respingeva il gravame, osservando che le notifiche del (Omissis) erano intervenute dopo l’intervenuta decadenza. Anche l’intimazione del (Omissis) era a sua volta tardiva rispetto al termine di decadenza quinquennale.

2. Ricorre dunque in cassazione l’Agenzia, affidando l’impugnativa a due motivi. Peraltro, la stessa procedeva al rinnovo della notifica via pec in data (Omissis), dopo che la precedente notifica, anch’essa via pec ed effettuata in data (Omissis) era stato “rifiutato dal sistema” in quanto la casella del legale della contribuente risultava “piena”, come risulta dal relativo messaggio. La contribuente, a seguito del suddetto rinnovo, si è costituita a mezzo di controricorso per eccepire la tardività dell’impugnativa e resistere nel merito. La difesa dell’Agenzia ha depositato memoria illustrativa in data (Omissis).

Motivi della decisione
1. Va anzitutto esaminata la questione inerente al perfezionamento della notifica, essendosi verificato che quella effettuata nel termine di legge per l’impugnazione era stata rifiutata dal sistema in quanto la casella di destinazione era “piena”.

In proposito si rileva che l’art. 16-sexies, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 – articolo rubricato “Domicilio digitale” e introdotto dall’art. 52, D.L. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, nella l. n. 114 del 2014 prevede testualmente: “Salvo quanto previsto dall’art. 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

Tale disposizione normativa, nell’ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c. per il giudizio di cassazione), impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il Re.G.Ind.E, di cui al D.M. n. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo p.e.c., per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.

La prescrizione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 -sexies prescinde dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l’indirizzo p.e.c. del difensore, stante l’obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell’ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel Re.G.Ind.E. La norma in esame, dunque, depotenzia la portata dell’elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia non consente, pertanto, la notificazione dell’atto in cancelleria, ma la impone pur sempre e necessariamente alla p.e.c. del difensore domiciliatario, salvo l’impossibilità per causa al medesimo imputabile, e, al contempo, attenua l’efficacia prescrittiva l’art. 82, R.D. n. 37 del 1934, che, stante l’obbligo di notificazione tramite p.e.c. presso gli elenchi/registri normativamente indicati, può assumere rilievo unicamente in caso di mancata notificazione via p.e.c. per causa imputabile al destinatario della stessa, quale localizzazione dell’ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria (Cass., sez. 3, 11/07/2017, n. 17048; Cass., sez. 3, 08/06/2018, n. 14914; Cass., sez. 6-2, 23/05/2019, n. 14140; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 29/01/2020, n. 1982; Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164; Cass., sez. 1, 03/02/2021, n. 2460).

Occorre a questo punto rilevare come una recente giurisprudenza di questa Corte equipari tale situazione all’avvenuta consegna della pec. Infatti “La notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello Spa zio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi” (Cass. 11/02/2020, n. 3164).

Tale decisione basa la propria ratio sull’art. 149-bis, comma 3, c.p.c., in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario, secondo cui “La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.”. La norma andrebbe letta alla luce del D.M. n. 179 del 2012. Va ricordato che il disposto dell’art. 20 comma 5 del D.M. n. 44 del 2011, in base al quale “Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello Spa zio disco a disposizione.”.

Sarebbe dunque onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di pec, finalizzato ad assicurare che gli effetti giuridici connessi alla notifica di atti tramite quel mezzo sia effettivo.

In proposito, dunque, per tale orientamento, rileva l’espressione “rendere disponibile” figurante nel citato disposto codicistico, che “individua un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario (Cass. 3164 DEL 2020). Si giustificherebbe così che “qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante può procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato” (ancora Cass. 3164 del 2020).

Nello stesso senso andrebbe letto il riferimento all’art. 138, comma 2, c.p.c., il quale considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente ad una notificazione di tale genere. Il lasciare la casella di PEC satura equivale – nell’ottica della notifica telematica e in generale dell’attività svolta in via telematica, cui si aderisce con l’acquisizione del relativo indirizzo, vieppiù quando richiesto dalla legge – ad un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite la stessa.

1.2. Va però segnalato un diverso indirizzo, di cui è espressione Cass. 20/12/2021, n. 40758, in base al quale se la notificazione telematica non vada a buon fine per una ragione non imputabile al notificante – essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello Spa zio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., 20/05/2019, n. 13532, Cass., 21/03/2018, n. 8029) – il notificante stesso deve ritenersi abbia il “più composito onere”, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domicilio (fisico) eletto, in un tempo adeguatamente contenuto (arg. ex Cass., Sez. U., 15/07/(Omissis), n. 14594, secondo cui “In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa”; Cass., 19/07/2017, n. 17864, Cass., 31/07/2017, n. 19059, Cass., 11/05/2018, n. 11485, Cass., 09/08/2018, n. 20700). Tale orientamento si fonda sul principio per cui dev’esser escluso che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass., 11/02/2021, n. 3557), e solo così potranno conservarsi gli effetti della originaria notifica. A tale stregua, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella p.e.c., pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente (nei termini dimezzati che si sono indicati nella pronuncia a Sezioni Unite sopra ripotata) al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e seguenti, c.p.c., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 16, comma 6, ultima parte, del (citato) D.L. n. 179 del 2012, prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC) (Cass., 18/11/2019, n. 29851).

L’onere, incombente sul notificante pur a fronte del comportamento obiettivamente negligente del destinatario, appare ragionevole a fronte della persistente domiciliazione fisica (ovviamente se presente), con gli effetti (in caso di notifica del ricorso in cassazione e in generale di impugnazione) di cui all’art. 330 c.p.c., e del fatto che lo stesso notificante può subito controllare l’esito della mancata consegna, tramite appunto il messaggio di rifiuto. Tutto ciò sufficientemente accompagnato, grazie alle indicazioni giurisprudenziali sopra indicate, da elementi di certezza anche in caso di un giudizio la cui proposizione sia oggetto di un termine decadenziale, ed a fronte del fatto che in simili evenienze, al destinatario non viene consegnato nulla, ma soltanto, ai sensi del D.M. n. 44 del 2011, art. 16, comma 4, , ” viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite 14 ai sensi dell’art. 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori”.

In definitiva “se si può ritenere che l’elezione di domicilio fisico non impedisca l’utilizzo di quello telematico sopra richiamato, ciò non può viceversa imporre al difensore destinatario della notifica, in assenza di norme esplicite, gli stessi oneri che sono a lui richiedibili quando non possa aver fatto affidamento sulla suddetta legittima elezione e, anzi, abbia dato speculare valore al luogo elettronico di ricezione appositamente eletto; e, parimenti, l’onere del notificante si articola diversamente, dovendo tenersi congruo conto della specifica elezione di domicilio fisica; pertanto, la notifica telematica al domicilio digitale sarà valida nell’ipotesi di avvenuta consegna, mentre, qualora vi sia una differente e specifica elezione di diverso domicilio (nell’odierna fattispecie, fisico), nell’eventualità di casella telematica piena” (presso il domicilio digitale più sopra ricordato) per insufficiente gestione dello Spa zio da parte del destinatario della notifica, il notificante dovrà, per tempo, riprendere il procedimento notificatorio presso il domicilio eletto, e ciò a valere solo nel caso specificato, altrimenti non potendo sussistere alcun altro affidamento, da parte del notificatario, se non alla propria costante gestione della casella di posta elettronica, e nessun’altra appendice alla condotta esigibile dal notificante” (ancora Cass. 40758 del 21).

1.3. Quanto agli argomenti spesi dall’altro orientamento (sostanzialmente riproposto da Cass. 12/09/2022, n. 26810), si può osservare che il disposto di cui all’art. 149-bis, comma 3, c.p.c., appare norma neutra ai fini in parola, prevedendosi, infatti, solo che “la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”. L’onere di consentire un’effettiva disponibilità da parte del destinatario deve peraltro tener conto del predicato difetto di esclusività del domicilio digitale e della mancata elisione della prerogativa processuale di eleggere domicilio fisico con effetti alternativi.

Quanto al D.M. n. 44 del 2011, art. 20, comma 5, trattasi di norma secondaria (come del resto osservato dalla stessa pronuncia suddetta). Nè decisivo pare il disposto di cui all’art. 138, secondo comma, c.p.c., posto che l’atteggiamento negligente consistente nel lasciare piena la casella non può essere equiparato al volontario di rifiuto di ricevere la notifica.

Circa poi l’ultimo precedente citato (Cass. n. 26810 del 22), lo stesso concerneva un caso differente, poichè non vi era stata valida elezione di domicilio fisico da parte dell’appellato, per cui il ricorso in cassazione venne notificato tramite deposito presso la cancelleria del giudice a quo (ex plurimis, Cass. 15/05/1996, n. 4502).

1.4. Calando i suesposti principi alla concreta fattispecie, a fronte della pacifica circostanza per cui la casella di posta elettronica certificata del legale della contribuente era piena, si ha l’elezione di domicilio fisico, come emerge dalla memoria di costituzione depositata in appello, ed in particolare dalla procura in calce alla stessa, in cui si legge che la stessa era elettivamente domiciliata presso il proprio legale in Roma, via di Santa Croce in Gerusalemme, 9; nonchè il ricevimento dell’avviso di mancata consegna all’Avvocatura notificante alla stessa data della notifica. In simile fattispecie, in cui in base a quanto precede non si è compiuta la fattispecie notificatoria mancando l’elemento della “consegna”, cui è subordinata l’esistenza della medesima, occorreva – appunto in base ai superiori rilievi – il rinnovo della notificazione stessa. La sua esecuzione solo due anni dopo, ben oltre quindi quello pari alla metà del termine stabilito (nel caso del ricorso in cassazione) dall’art. 325, comma 2, c.p.c., indicato come congruo dalla giurisprudenza delle sezioni unite (principio da ultimo fatto proprio da Cass. 24/10/2022, n. 31346), risulta quindi tardiva.

2. Alla stregua di quanto precede il ricorso deve intendersi inammissibile, con integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, tenuto conto del fatto che la questione risultava ancora oggetto di contrastante soluzione al momento dell’introduzione del giudizio stesso.

Nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228 art.7, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Dichiara le spese del giudizio di legittimità interamente compensate fra le parti.

Conclusione
Così deciso in Roma,il 15 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2023


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 08/11/2022) 16/01/2023, n. 981

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

A.A.;

– intimato –

avverso la senteza n. 2642, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria il 12.6.2020, e pubblicata il 22.10.2020;

ascoltata, nella camera di consiglio non partecipata dell’8.11.2022, la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio;

la Corte osserva:

Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate notificava ad A.A., quale titolare di ditta individuale esercente l’attività di bar, l’avviso di accertamento n. (Omissis), fondato sull’applicazione di metodo induttivo, mediante il quale recuperava a tassazione il maggior reddito ritenuto conseguito nell’anno 2013, nella misura di Euro 43.341,95.

2. Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di (Omissis), proponendo plurime censure, procedurali e di merito. La CTP riteneva che l’Amministrazione finanziaria non fosse riuscita a provare la ricorrenza di indizi gravi, precisi e concordanti, di evasione contributiva, ed annullava l’avviso di accertamento.

3. L’Agenzia delle Entrate spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, ed il contribuente non si costituiva. Il giudice dell’appello dichiarava inammissibile il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, a causa del difetto di prova della notificazione dell’atto introduttivo del gravame, per non essere stata attestata la conformità dell’atto, nativo digitale, “dei suoi allegati e della ricevuta di attestazione e di consegna” (sent. CTR, p. 3), dal difensore dell’Ente impositore impugnante.

4. Ha proposto ricorso per cassazione, avverso la decisione sfavorevole assunta dalla CTR, l’Amministrazione finanziaria, affidandosi ad un motivo di ricorso. La notificazione del ricorso è stata effettuata dall’Agenzia delle Entrate presso il difensore della contribuente costituito nel primo grado del giudizio, indicato anche quale domiciliatario, e l’atto è stato consegnato il (Omissis). L’intimato non si è costituito.

Motivi della decisione
1. Mediante il suo strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ente impositore contesta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, commi 1 e 2, del decreto MEF n. 163 del 2013, art. 5, comma 2, della L. n. 53 del 1994, art. 9, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16 bis, per avere la CTR erroneamente ritenuto inesistente la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di appello, documento nativo digitale, al domiciliatario di controparte, perchè il difensore dell’Amministrazione finanziaria non ha attestato l’autenticità del ricorso, degli allegati e dell’attestazione di consegna, tutti prodotti in forma digitale.

2. Preliminarmente occorre chiarire che il Collegio, rettificando la proposta del relatore, ritiene di aderire all’orientamento ora maggioritario di questa Corte, secondo cui deve ritenersi valida la notifica del ricorso per cassazione effettuata dall’Agenzia delle Entrate presso il procuratore domiciliatario costituito in primo grado di parte contribuente, rimasta contumace in grado di appello. Invero, le Sezioni Unite con sentenza 20.7.2016, n. 14916, hanno affermato che, sebbene in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali si applichi, con riguardo al luogo della sua notificazione, la disciplina dettata dall’art. 330 c.p.c., tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell’indicazione della residenza o della sede e dell’elezione di domicilio effettuate in primo grado, sancito dal D.Lgs. n. 31.12.1992, n. 546, art. 17, comma 2, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330, comma 1, seconda ipotesi, c.p.c., ove la parte non si sia costituita nel giudizio di appello oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione. A tali consolidati principi si è uniformata la giurisprudenza successiva, evidenziando che il processo tributario ha un proprio regime di notificazione degli atti, disciplinato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 17, a tenore dei quali le notificazioni sono eseguite, salva la consegna a mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio e l’indicazione della residenza e del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi di giudizio.(cfr., Sez. V, 7.12.2016, n. 25117). Ora, nel caso in esame, il ricorso per cassazione risulta essere stato già notificato tempestivamente, tramite pec, alla parte contribuente presso il domicilio eletto in primo grado sicchè, alla luce dei principi appena esposti, la notifica è corretta con conseguente ammissibilità del ricorso (cfr. Cass. sez. V, 27.4.2021, n. 11031; v. anche, nello stesso senso, ex multis, Cass. sez. V, 19.11.2020, n. 26308; Cass. sez. V, 8.2.2022, n. 3984).

3. Può quindi esaminarsi il motivo di ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, secondo cui è incorso in errore il giudice dell’appello, nel ritenere l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione, per non avere il difensore della notificante Agenzia delle Entrate attestato l’autenticità del ricorso, degli allegati e della ricevuta di consegna del documento.

3.1. Occorre evidenziare subito che il ricorso in appello dell’Amministrazione finanziaria è stato redatto e notificato in forma digitale, e la notifica è stata effettuata a mezzo Pec presso il domiciliatario del contribuente. Quindi l’Agenzia delle Entrate ha depositato nel fascicolo processuale l’documenti digitali riportanti il ricorso e l’attestazione di consegna, sempre mediante modalità telematica. Non ricorre, pertanto, l’ipotesi che il notificante abbia estratto una copia analogica dell’originale telematico, ed abbia depositato tale copia in atti.

3.2. Il giudice dell’appello scrive che “difetta la prova della notificazione dell’atto introduttivo” dell’impugnazione innanzi a sè. “E’, infatti, principio generale che l’appellante debba fornire prova dell’avvenuta notifica a controparte dell’atto di gravame nei termini previsti dalla legge in qualsiasi modalità essa sia avvenuta: a mezzo di ufficiale giudiziario, del servizio postale o, più recentemente, a mezzo pec. In particolare in quest’ultima ipotesi, il difensore deve provvedere ai sensi della L. 21 gennaio 1994 n 53, art. 9, commi 1 bis e 1 ter che disciplina le notifiche nel settore civile, amministrativo e stragiudiziale (D.L. n. n 119/2018, art. 16, comma 3,) e prevede che l’avvocato estragga copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del D.Lgs. n. 7 marzo 2005, n 82l, art. 23, comma 1. Non essendo stati eseguiti questi incombenti, nè essendo stata fornita prova con alcun altro mezzo, l’appello va dichiarato inammissibile” (sent. CTR, p. 3).

3.2.1. La CTR è incorsa in equivoco, ed il giudice dell’appello ha proposto valutazioni inconferenti, tutte relative all’ipotesi in cui dell’originale digitale dell’atto di notifica, e degli ulteriori relativi al procedimento di notificazione, il difensore notificante abbia estratto e depositato copia analogica, il che non è avvenuto nel caso di specie.

3.3. Si trae conferma di quanto rilevato esaminando le norme richiamate dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria nella sua decisione.

Il D.Lgs. n. 82 del 2005, all’art. 23, prevede infatti: “1. Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

– 2. Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto l’obbligo di conservazione dell’originale informatico.

– 2-bis. Sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le Linee guida, tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica. Il contrassegno apposto ai sensi del primo periodo sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico. I soggetti che procedono all’apposizione del contrassegno rendono disponibili gratuitamente sul proprio sito Internet istituzionale idonee soluzioni per la verifica del contrassegno medesimo” (evidenza aggiunta), e disciplina pertanto esclusivamente l’ipotesi che l’atto digitale sia stato copiato su supporto analogico, pertanto su carta, e sia stato successivamente depositato.

3.3.1. La CTR richiama anche il Dl n. 119 del 2018, art. 16, come conv., il quale, introducendo nel D.Lgs. n. 546 del 1992, l’art. 25 bis, ha previsto, al comma 1, lett. b), n. 3: “3. La copia informatica o cartacea munita dell’attestazione di conformità ai sensi dei commi precedenti equivale all’originale o alla copia conforme dell’atto o del provvedimento detenuto ovvero presente nel fascicolo informatico” (evidenza aggiunta), e prevede pertanto che la copia cartacea munita di attestazione di conformità dell’atto informatico equivale all’originale, così come anche la copia informatica, in relazione alla quale non è richiesta l’attestazione di conformità. Tale conclusione risulta confermata dal testo di cui al comma 3 della medesima norma, la quale dispone: “In tutti i casi in cui debba essere fornita la prova della notificazione o della comunicazione eseguite a mezzo di posta elettronica certificata e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, il difensore o il dipendente di cui si avvalgono l’ente impositore, l’agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell’albo di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, art. 53, provvedono ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, commi 1-bis e 1-ter,. I soggetti di cui al periodo precedente nel compimento di tali attività assumono ad ogni effetto la veste di pubblico ufficiale” (evidenza aggiunta), pertanto il ricorso alla disciplina dell’attestazione richiamata è previsto nella sola ipotesi che non sia possibile fornire con modalità telematica la prova della notificazione o della comunicazione eseguite a mezzo posta elettronica certificata, mentre tale procedura non deve essere attivata quando sia possibile fornire in modalità telematica la prova della notificazione eseguita mediante invio telematico.

3.3.2. Ancora, la CTR opera infine riferimento alla L. n. 53 del 1994, art. 9, il quale dispone: “1. Nei casi in cui il cancelliere deve prendere nota sull’originale del provvedimento dell’avvenuta notificazione di un atto di opposizione o di impugnazione, ai sensi dell’art. 645 del codice di procedura civile e dell’art. 123 delle disposizioni per l’attuazione, transitorie e di coordinamento del codice di procedura civile, il notificante provvede, contestualmente alla notifica, a depositare copia dell’atto notificato presso il cancelliere del giudice che ha pronunciato il provvedimento.

– 1-bis. Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’art. 3-bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. (29), art. 23, comma 1.

1-ter. In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis.” (evidenza aggiunta). La disposizione fornisce quindi ulteriore evidenza che l’attestazione di conformità dell’atto depositato è richiesta soltanto nel caso in cui l’atto notificato sia allegato al fascicolo dibattimentale previa estrazione di copia analogica, e l’evento si verifica nel solo caso in cui non sia stato possibile procedere al deposito con modalità telematica dell’atto notificato con modalità telematica.

3.4. La ragione della scelta operata dal legislatore, che non richiede l’attestazione di conformità in relazione all’atto nativo digitale, il quale sia prodotto in giudizio in tale forma, mediante allegazione telematica al fascicolo dibattimentale, dipende dal fatto che, a differenza dei documenti su supporto cartaceo, in cui vi è un problema di conformità dell’atto depositato con l’originale, quando il deposito riguarda l’atto digitale, lo stesso non viene prodotto in “copia”, bensì in originale, essendo l’originale dell’atto suscettibile di ripetute riproduzioni, senza perdere le sue caratteristiche di essere un atto originale.

3.5. Pertanto, anche a prescindere dalla normativa secondaria richiamata dall’Ente impositore nel suo ricorso (cfr. ric., p. VIII s.), il deposito telematico di un documento telematico, secondo le previsioni dell’ordinamento vigente, non richiede attestazione di conformità da parte del difensore che lo produce.

4. Non rinvenendosi specifici precedenti in termini, sembra opportuno esprimere il principio di diritto secondo cui “quando la produzione di un atto, nativo digitale, quale la notificazione a mezzo Pec del ricorso in appello, degli allegati e dell’attestazione di consegna, avvenga in giudizio tramite l’allegazione al fascicolo dibattimentale mediante modalità telematica, non è richiesta l’attestazione di conformità all’originale dell’atto prodotto da parte del difensore”.

5. Non si è attenuta a questi principi la Commissione Tributaria Regionale della Calabria nella pronuncia impugnata, e pertanto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate deve essere accolto, cassandosi la decisione del giudice dell’appello con rinvio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, perchè proceda a nuovo giudizio.

La Corte,

P.Q.M.
accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la decisione impugnata e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria che, in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi esposti, e provvederà anche a liquidare le spese di lite del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 08 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2023


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 23/11/2022) 22/12/2022, n. 37493

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8541-2021 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (Omissis)), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI, 268/A, presso lo studio dell’avvocato VALERIO CIONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZO TROMBELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2131/8/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 30/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/11/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

Svolgimento del processo
L’Agenzia delle entrate ricorre avverso la sentenza della CTR per la Lombardia che ha confermato la pronuncia della CTP di Milano dove erano apprezzate le ragioni della parte contribuente in tema di sottoscrizione digitale e notifica cartacea. Nel particolare, il collegio d’appello ha ritenuto nullo l’avviso di accertamento adottato nel 2016, sottoscritto digitalmente e notificato in forma cartacea, con attestazione di conformità della copia analogica dell’originale informatico ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, commi 1 e 2 bis.

Il ricorso è affidato ad unico motivo cui replica la parte contribuente con tempestivo controricorso.

Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 2-bis – Codice dell’Amministrazione digitale, nella sostanza lamentando sia stato annullato un avviso di accertamento formato e sottoscritto digitalmente, ma notificato al contribuente in copia analogica, seppur con annessa dichiarazione di conformità all’originale.

Sul punto è già intervenuta questa Suprema Corte di legittimità affermando che la regola è l’atto informatico, rimanendo eccezione ogni limitazione all’uso dell’informatica. Con particolare riguardo al caso in esame, gli atti impositivi non figurano tra gli atti emessi “nell’esercizio delle attività o funzioni ispettive e di controllo fiscale”, trattandosi di atti ad essi successivi (cfr. Cass. V, n. 1555/2021). Peraltro, “nulla impedisce che una copia analogica di un documento informatico conforme all’originale venga notificata secondo le regole ordinarie della notifica a mezzo posta” (ancora n. 1555/2021, cit.).

Più in particolare, la notificazione della copia analogica di un atto impositivo è legittima se la sua conformità all’originale informatico è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, poichè tale attestazione è sufficiente a dimostrare l’avvenuta sottoscrizione dell’atto, conferendogli un valore probatorio equiparato all’originale informatico; viceversa, l’avviso di accertamento, notificato in formato cartaceo, contente la sola indicazione “firmato digitalmente” in corrispondenza del nominativo del funzionario, ma privo dell’attestazione di conformità, è nullo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3, in quanto privo di sottoscrizione (cfr. Cass. VI – 5, n. 24681/2022).

Pertanto, il ricorso è fondato e merita accoglimento.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo grado per la Lombardia, in diversa composizione, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2022


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 18/10/2022) 16/12/2022, n. 36894

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3908-2021 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (Omissis), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

MAXIMILIANKAUTOMOBILI Srl IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1450/16/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata il 02/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/10/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

Svolgimento del processo
L’Agenzia delle entrate ricorre avverso la sentenza della CTR per la Lombardia che ha confermato la pronuncia della CTP di Milano, ove sono state accolte le ragioni della parte contribuente in tema di firma digitale. Più in particolare, entrambi i collegi di merito rilevavano il vizio di sottoscrizione dell’atto impositivo, privo di autografo, ma indicato come copia conforme ad originale informatico sottoscritto digitalmente ed archiviato su supporto parimenti digitale di conservazione.

Il ricorso è affidato ad unico motivo, mentre è rimasta intimata la parte contribuente.

Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 2 e 23 in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56. Più in particolare, il patrono erariale censura l’interpretazione degli articoli precitati che ritiene inapplicabili le disposizioni del Codice dell’Amministrazione Digitale e della relativa sottoscrizione “all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e controllo fiscale”, intendendo con ciò anche gli atti impositivi e non solo quelli prodromici di ispezione e controllo.

Sul punto è intervenuta questa Corte, affermando che la citata disposizione limitativa riguarda solo le attività di controllo, ma non quelle di accertamento ovvero l’atto impositivo. Ed infatti, rileva, innanzitutto, sul piano terminologico che gli atti impositivi non rientrano tra gli atti emessi “nell’esercizio” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, a cui sono certamente riconducibili gli atti adottati in occasione di indagini e verifiche ispettive propedeutiche all’esercizio del potere di accertamento e di irrogazione di sanzioni, bensì tra gli atti eventualmente emessi “all’esito” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, attività che potrebbero anche concludersi con un esito favorevole per il contribuente, e quindi senza l’emissione di un atto impositivo.

La distinzione tra l’attività accertativa e quella preliminare di verifica e controllo risulta poi immanente nella normativa fiscale vigente.

In tema di imposte dirette, la definizione in termini distintivi è presente già nella rubrica del titolo quarto del D.P.R. n. 600 del 1973, denominato “Accertamento e controllo”; le attività di controllo sono autonomamente regolate agli artt. 32 e 33 dello stesso decreto, si realizzano attraverso accessi, ispezioni e verifiche, inviti a comparire e richieste di documentazione che richiedono una diretta interlocuzione con il contribuente, prevedono la cooperazione della Guardia di Finanza nonchè di qualsiasi altro soggetto pubblico incaricato istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza. Prerogativa esclusiva dell’Amministrazione finanziaria è invece l’adozione degli atti impositivi, di cui agli artt. 36-bis, 36-ter, 38, 39 ecc., che hanno ad oggetto la liquidazione delle imposte o delle maggiori imposte e delle eventuali sanzioni. Anche il D.P.R. n. 633 del 1972, in tema di IVA, regola separatamente all’art. 52 gli accessi, ispezioni e verifiche ed agli artt. 54 e ss. le rettifiche e gli accertamenti. Lo Statuto del contribuente, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, all’art. 12, comma 7, conferma la distinzione delle due attività imponendo, a pena di illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, l’osservanza di un termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al soggetto nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.

Correttamente la rado dell’esclusione degli atti propedeutici all’esercizio del potere di accertamento è stata rinvenuta nel fatto che nell’ambito di tali attività di verifica si impone la partecipazione del contribuente che potrebbe non essere munito di firma digitale, sicchè l’applicazione del CAD determinerebbe un aggravio dei suoi diritti di difesa ed un ostacolo al rapporto di collaborazione che dovrebbe sempre ispirare tali incombenti.

Non da ultimo va evidenziato che l’interpretazione contraria proposta dalla CTR si porrebbe in disarmonia con la volontà del legislatore come manifestata negli interventi normativi successivi (cfr. Cass. V, n. 1557/2021).

L’orientamento ha trovato continuità, affermandosi che l’avviso di accertamento firmato digitalmente nel regime di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 2, comma 6, (“ratione temporis” vigente dal 14 settembre 2016 fino al 26 gennaio 2018), non è nullo per difetto di sottoscrizione, posto che l’esclusione dell’utilizzo di strumenti informatici prevista per l’esercizio delle attività e funzioni ispettive fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 217 del 2017 riguarda la sola attività di controllo fiscale e non può estendersi agli avvisi di accertamento ed in genere agli atti impositivi (cfr. Cass. VI-5, n. 32692/2021).

Pertanto, il ricorso è fondato e merita accoglimento.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo grado per la Regione Lombardia in diversa composizione, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2022


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 13/10/2022) 29/11/2022, n. 35022

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22607/2019 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Filippo Corridoni 19 presso lo studio dell’avvocato De Francesco Giandomenico, che si rappresenta e difende in proprio;

– ricorrente –

contro

B.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Scrofa 47 presso lo studio dell’avvocato Lucio Anelli, che lo rappresenta e difende unitamente gli avvocati Michael Longo e Gianluca Tessier;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2117/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 23/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2022 dal cons. Lina RUBINO.

Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c. l’avv. A.A. convenne in giudizio il sig. B.B. in qualità di liquidatore della società Jesoloestate Srl , per sentirlo condannare al risarcimento del danno ex art. 2941 c.c., (rectius, art. 2491), u.c., in ragione del credito vantato dall’attore nei confronti della società in liquidazione.

2. Espose l’attore di essere creditore della società in liquidazione per la somma di Euro 26.599,78 e di aver inutilmente esperito l’azione esecutiva presso terzi; agì, pertanto, per l’accertamento della responsabilità personale del liquidatore per aver provveduto allo scioglimento e alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese senza aver preventivamente provveduto al pagamento del credito del A.A., avendogli reso in tal modo impossibile il recupero del credito dalla società estinta.

3. Il convenuto rimase contumace.

4. Il Tribunale di Venezia, in accoglimento della domanda attorea, accertò con la sentenza n. 567/2017 la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2495 c.c. in relazione all’art. 2491 c.c., u.c., ritenendo che il liquidatore, già socio e amministratore unico della società debitrice, non potesse non essere a conoscenza dell’esposizione debitoria della società verso l’attore al momento della richiesta della cancellazione dal Registro delle Imprese. Per l’effetto, condannò il sig. B.B. al pagamento della somma di Euro 26.599,78 oltre interessi legali ed al rimborso delle spese di lite.

5.Avverso tale decisione ha proposto appello l’B.B., deducendo preliminarmente la nullità della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado nonchè della sentenza di primo grado e, nel merito, l’assenza di responsabilità in capo al liquidatore medesimo con riferimento alla cancellazione della società debitrice dal registro delle imprese.

6.La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 2117/2019, pubblicata il 23.5.2019, notificata il 30.5.2019, qui impugnata, ha dichiarato la nullità della notificazione della sentenza n. 567/2017 munita della formula esecutiva e del contestuale atto di precetto, nonchè della notifica dell’atto di citazione di primo grado e degli atti conseguenti. Per l’effetto, ha rimesso la causa avanti al Tribunale di Venezia.

7.L’avv. A.A. propone ricorso per cassazione notificato il 24 luglio 2019, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso illustrato da memoria il sig. B.B.. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. Il Pubblico Ministero non ha presentato conclusioni scritte.

Motivi della decisione
1.Preliminarmente, il controricorrente deduce l’inammissibilità del ricorso, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero per mancanza della sommaria esposizione dei fatti di causa, segnalando che il ricorrente non ne elabora una propria, autonoma ricostruzione, ma si limita a riportare testualmente la parte di esposizione dedicata al fatto contenuta nella sentenza di appello.

2. Il controricorrente eccepisce inoltre, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per omessa indicazione degli atti e dei documenti su cui si fonda il ricorso.

3. Con il primo motivo di ricorso, prospettando la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 143 c.p.c., il ricorrente censura la gravata decisione nella parte in cui ha ritenuto non rispettose dei precetti normativi tanto la notificazione ex art. 143 c.p.c. della sentenza di primo grado in forma esecutiva e dell’atto di precetto, quanto la notificazione, anch’ essa eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c., dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado. Sottolinea, in particolare, l’adeguatezza delle ricerche svolte al fine di reperire le informazioni relative alla residenza, al domicilio ed alla dimora del convenuto, avuto riguardo al criterio dell’ordinaria diligenza richiesta al notificante valutata in relazione ai parametri di normalità e buona fede di cui all’art. 1147 c.c., avendo richiesto, e poi fornito all’ufficiale giudiziario, il certificato di residenza dell’B.B., indicante la sua ultima residenza conosciuta, ed avendo l’ufficiale giudiziario ivi tentato la notifica, non giunta a buon fine in quanto il destinatario risultava trasferito, nonchè acquisito informazioni dai vicini, delle quali aveva verbalizzato l’esito negativo, in ordine al luogo di trasferimento del destinatario (v. pag. 12 del ricorso), e solo dopo il compimento di tali adempimenti avendo provveduto ad eseguire la notifica ex art. 143 c.p.c..

Precisa, altresì, che il rapporto professionale pregresso tra le parti, cessato molti anni addietro, non può essere considerato indice della possibilità di effettuare ricerche maggiormente accurate atteso il lungo periodo intercorso tra la cessazione del rapporto professionale e l’avvio del procedimento.

Evidenzia, parimenti, che il fatto che il ricorrente avesse proceduto a costituire in pegno le quote sociali della società di cui il resistente risultava amministratore unico ed unico socio e che quest’ultimo avesse attivato il servizio “seguimi” di Poste Italiane a nulla rileva ai fini della corretta individuazione della sua effettiva dimora o domicilio.

4. Con il secondo motivo, prospettando la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 326 e 327 c.p.c., il ricorrente si duole della tardività dell’appello, notificato in data 25.9.2017, a fronte della notifica della sentenza di primo grado avvenuta ex art. 143 c.p.c. il 30.5.2017, oltre il termine breve di impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c. ed in ogni caso, oltre il termine lungo di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., erroneamente indicato in un anno dalla Corte di Appello di Venezia.

5. Il rilievo relativo alla violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, per omissione della sommaria esposizione dei fatti di causa, è infondato.

Non può ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione che, in luogo di formulare una autonoma ricostruzione dei fatti di causa, ai fini della sommaria esposizione di essi, riproduca l’esposizione in fatto contenuta nella sentenza d’appello laddove, come nella specie, essa sia funzionale all’uso cui la esposizione sommaria è destinata, ovvero se la predetta esposizione dei fatti non è sovrabbondante ed è sufficientemente chiara allo scopo di ricostruire la vicenda processuale.

6.Il rilevo preliminare denunciante l’omessa indicazione degli atti e documenti su cui si fonda il ricorso e della loro collocazione, deve ritenersi privo di pregnanza, per le ragioni che seguono.

Il primo motivo di ricorso è volto in principalità a censurare la decisione della corte territoriale in ordine alla tempestività dell’appello, in quanto l’appello proposto è stato ritenuto tempestivo sul presupposto che la notifica della sentenza di primo grado fosse invalida.

L’esposizione in fatto contenuta nella sentenza impugnata, riprodotta – legittimamente, come si è detto – nel ricorso, consente di esaminare il motivo senza aver bisogno di esaminare la relata di notifica della sentenza unitamente al precetto, in quanto dalla testuale riproduzione della esposizione in fatto del provvedimento impugnato emerge che la prospettazione della nullità sia della notificazione della citazione sia della nullità della notificazione della sentenza di primo grado era stata fatta dalla parte qui resistente adducendo che “le minimali informazioni assunte dall’Ufficiale giudiziario all’atto delle notifiche ex art. 143 c.p.c. non appaiono soddisfare il criterio di normale diligenza alla luce, etc.”.

La corte d’appello ha dunque giudicato sulla base di una prospettazione in fatto che presupponeva l’avvenuta notifica della sentenza (ed anche della citazione: questione, peraltro, che la sentenza esamina negli stessi termini solo a pag. 14, per rilevare la nullità della notificazione della citazione) ai sensi dell’art. 143 c.p.c., sulla base di informazioni assunte dall’Ufficiale Giudiziario, sebbene prospettate come “minimali”. Quella corte ha dunque giudicato della validità delle notifiche effettuate ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in una situazione in cui l’Ufficiale Giudiziario si era recato nella località di ultima residenza del destinatario, aveva tentato la notifica, aveva riscontrato che il destinatario non abitava più sul posto ed aveva effettuato delle ricerche in loco, per appurare il luogo di trasferimento. Aveva dunque svolto adeguatamente il suo compito, nè la notifica, successivamente effettuata ex art. 143 c.p.c. poteva ritenersi invalida.

Il primo motivo è fondato, non avendo la corte di merito fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale “Il ricorso alle formalità di notificazione previste dall’art. 143 c.p.c. per le persone irreperibili non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la invalidità di una notificazione ex art. 143 c.p.c. la cui relata recava la mera indicazione di “vane ricerche eseguite sul posto” dall’ufficiale giudiziario, senza la specificazione delle concrete attività a tal fine compiute)” (Cass. n. 40467 del 2021).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini della notificazione ex art. 143 c.p.c., l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione (Cass. n. 8638 del 2017). Il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (Cass. n. 24107 del 2016), il che val quanto dire, come affermato da Cass. n. 18385 del 2003, che “l’ufficiale giudiziario debba comunque preliminarmente concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine fra l’altro – di attingere, anche nell’ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione.

La notifica della sentenza di primo grado doveva ritenersi regolarmente eseguita, alla luce dei principi che precedono. Il primo motivo che in realtà si occupa solo della notifica della sentenza quanto alla motivazione anche critica è pertanto fondato.

Dall’accoglimento del primo motivo discende l’assorbimento del secondo, nonchè ai sensi dell’art. 382 c.p.c., la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, in quanto l’appello, notificato in data 25.9.2017 avverso la sentenza notificata in data 30 maggio 2017, era tardivo, essendo stato notificato ampiamente oltre il termine breve di trenta giorni fissato dall’art. 325 c.p.c..

Le spese di lite, del giudizio di legittimità e del giudizio di appello, seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Pone le spese di lite a carico del controricorrente e le liquida, quanto al giudizio di appello, in Euro 3.000,00 oltre 200,00 per esborsi, e quanto al giudizio di legittimità in Euro 4.200,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali, iva ed accessori.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 13 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2022