Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 20-12-2019) 03-03-2020, n. 5798

Per la Corte di Cassazione è nulla la notifica del questionario preliminare all’accertamento eseguita alla vecchia residenza, anche se a mani di un familiare che vi abita

La Corte di Cassazione chiarisce che la notifica eseguita presso la vecchia residenza del contribuente è nulla anche se quest’ultimo non ha comunicato la variazione. Decorsi 60 giorni dalla variazione infatti, la legge prevede che il trasferimento è opponibile all’Erario. Non sana la notifica la consegna eseguita nelle mani di un parente che ancora abita nella vecchia residenza, perché non opera la presunzione di convivenza tra il contribuente e il familiare.

L’Agenzia delle Entrate emette un avviso relativo all’imposta Irpef 2004, che ha accertato un imponibile superiore a quello dichiarato dal tennista professionista, anche in conseguenza del disconoscimento di alcune spese dedotte ma non documentate e della mancata risposta a un questionario inviatogli dall’Ufficio. Il contribuente ricorre alla Commissione tributaria provinciale, che lo respinge. Ricorre quindi alla Commissione tributaria regionale che però rigetta anche l’appello.

A questo punto il contribuente ricorre in Cassazione sollevando ben 11 motivi di doglianza. Per l’argomento che interessa trattare in questa sede, il contribuente nel decimo motivo del ricorso ritiene errato che il giudice abbia considerato validamente notificato dall’Ufficio, in data 8 febbraio 2008 “il questionario preliminare all’accertamento controverso, presso il domicilio fiscale, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi del contribuente, e non presso la residenza anagrafica di quest’ultimo, trasferita in Rimini dal 19 luglio 2007.”

Il ricorrente richiama l’art. 60 comma 3 del d.P.R n. 600/1973, da cui deduce che il trasferimento delle residenza anagrafica avvenuto il 19 luglio 2007, era efficace nei confronti dell’Amministrazione procedente a partire dal trentesimo giorno successivo e quindi già operante alla data della notifica dell’8 febbraio 2008 “benché non ancora comunicato all’Ufficio, che avrebbe quindi dovuto eseguire la notifica presso la nuova residenza anagrafica del contribuente, che costituiva anche il nuovo domicilio fiscale di quest’ultimo.”

La Cassazione con sentenza n. 5798/2020 cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti tra cui figura quello relativo alla notifica. Gli Ermellini accolgono infatti il decimo motivo del ricorso perché fondato. Ai sensi del comma 1 art. 60 d.P.R n. 600/1973 infatti “la notifica non eseguita a mani proprie del contribuente deve essere fatta nel domicilio fiscale di quest’ultimo, che, in forza del precedente art. 58, secondo comma, per le persone fisiche residenti nel territorio coincide con il Comune nella cui anagrafe sono iscritte.”

Pacifico che il ricorrente domiciliato ai fini fiscali nel Comune X, alla data del 24 settembre 2008 trasferiva la sua residenza in un altro Comune. Variazione che, ai sensi dell’art. 58 comma 3 d.P.R 600/1973 e non dell’art. 60 richiamato dal ricorrente, è opponibile all’Ufficio, senza obbligo di comunicarla, dal sessantesimo giorno successivo alla data in cui si è verificata.

Incontestato che la notifica del questionario sia avvenuta dopo i 60 giorni predetti. La Corte quindi afferma che deve ritenersi nulla la notifica del questionario al contribuente, senza che la stessa possa considerarsi sanata per effetto della consegna alla residenza anagrafica e al domicilio fiscale precedenti dello stesso, nelle mani di un familiare. Questo tipo di consegna infatti non fa presumere la convivenza non meramente occasionale, per cui la notifica è nulla.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5964/2012 R.G. proposto da:

G.G., rappresentato e difeso, per procura speciale in atti, anche disgiuntamente, dall’Avv. Prof. Victor Ukmar, dall’Avv. Prof. Giuseppe Corasaniti e dall’Avv. Prof. Francesco d’Ayala Valva, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Parioli, n. 43;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 132/28/11, depositata il 23 settembre 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del quarto, del quinto e del sesto motivo di ricorso, ed il rigetto degli altri;

uditi l’Avv. Paolo de Capitani di Vimercate, delegato dall’Avv. Prof. Giuseppe Corasaniti, per il ricorrente.

Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti di G.G., tennista professionista, avviso, relativo all’anno d’imposta 2003, in materia di Irpef, con il quale ha accertato un imponibile maggiore rispetto a quello dichiarato, in conseguenza dell’assunta percezione, da parte del contribuente, di premi per gare disputate in tornei nazionali ed esteri; di compensi erogati dalla Federazione Italiana Tennis (F.I.T.); e del disconoscimento di alcune spese dedotte, ritenute non documentate, anche in conseguenza dell’omessa risposta dal contribuente al questionario inviatogli dall’Ufficio.

2. Avverso l’avviso d’accertamento il contribuente ha proposto ricorso dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Milano, che lo ha respinto.

3. Il contribuente ha allora ha impugnato la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 132/28/11, depositata il 23 settembre 2011, ha rigettato l’appello.

4. Il contribuente ha quindi proposto ricorso, affidato ad 11 motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.

5. L’Ufficio si è costituito al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.

6. Il ricorrente ha prodotto memoria.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza d’appello sia per l’omessa indicazione delle richieste delle parti, in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 3; sia per l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sul motivo d’appello relativo alla nullità della sentenza di primo grado, per la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, a causa della sua motivazione carente od insufficiente.

2. Con i successivi cinque motivi (dal secondo al sesto compreso), il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza d’appello per l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., su alcuni dei motivi d’appello, corrispondenti a quelli già oggetto del ricorso di primo grado, rispettivamente relativi (la numerazione dell’elenco che segue è quella corrispondente ai motivi del ricorso per la cassazione).

II) alla carenza dei presupposti dell’accertamento emesso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3; all’illegittima applicazione dell’art. 109 t.u.i.r. in materia di disconoscimento dei costi dedotti dalla contribuente; al mancato rispetto dell’art. 9 t.u.i.r. nella conversione di premi di fonte estera imputati al contribuente; alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e dell’art. 53 Cost., relativamente all’inclusione, nelle riprese a tassazione dell’Ufficio, anche di compensi già dichiarati dal contribuente nel Modello Unico 2004 per i redditi percepiti nell’anno 2003, oltre che dei versamenti d’imposta effettuati dallo stesso contribuente in acconto per l’anno 2003, con violazione dell’art. 19 (attuale 22) t.u.i.r.;

III) alla carenza dei presupposti dell’accertamento emesso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3, perchè i dati e le notizie che l’Ufficio ha dedotto a sostegno dell’atto impositivo non costituiscono una prova, neppure presuntiva, non essendo dotati dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza;

IV) all’illegittima applicazione dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r. in materia di disconoscimento dei costi dedotti dal contribuente, avendo l’Ufficio menzionato, nell’accertamento, il comma 5 di tale disposizione, che, nella versione applicabile ratione temporis, disciplinava il reddito degli enti non commerciali ed era estraneo pertanto alla fattispecie controversa;

V) al mancato rispetto dell’art. 9, comma 2, t.u.i.r. nella quantificazione dei premi di fonte estera imputati al contribuente, avendo l’Amministrazione convertito in Euro gli importi, espressi in dollari statunitensi, al tasso medio di conversione dell’anno di riferimento, mentre la predetta norma dispone che: “Per la determinazione dei redditi e delle perdite i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera sono valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti o del giorno antecedente pìù prossimo e, in mancanza, secondo il cambio del mese in cui sono stati percepiti o sostenuti; (…)”;

VI) alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e dell’art. 53 Cost., relativamente all’inclusione, nelle riprese dell’Ufficio, anche di compensi già dichiarati dal contribuente nel Modello Unico 2004 per i redditi percepiti nell’anno 2003, oltre che dei versamenti d’imposta effettuati dallo stesso contribuente in acconto per l’anno 2003, con violazione dell’art. 19 (attuale 22) t.u.i.r..

3. Per effetto della loro connessione, ed in parte coincidenza, i primi sei motivi di ricorso, tutti formulati ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vanno trattati congiuntamente, sia pur con le differenziazioni, tra i vari motivi, che risultino via via opportune.

4.Deve, innanzitutto, escludersi che (a differenza di quanto pare dedurre il ricorrente nel primo motivo) sia configurabile una globale nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 3, per l’asserita omessa menzione delle richieste delle parti, ovvero, in particolare, dei motivi d’appello e delle difese del contribuente nel giudizio di appello.

Infatti, in tema di contenuto della sentenza, la “concisa esposizione dello svolgimento del processo” (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 2) e le “richieste delle parti” (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 3), non costituiscono un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass., 20/01/2015, n. 920 del 20/01/2015).

Nel caso di specie, sebbene all’interno della parte motiva della sentenza, il giudice a quo, sia pur sinteticamente, ha riportato alcuni dei motivi d’appello del contribuente, in maniera quanto meno sufficiente ad individuare su quali di essi la CTR si sia pronunciata.

E’ vero, peraltro, che l’illustrazione dei motivi d’appello, e la loro conseguente decisione, contenute nella sentenza impugnata, sono oggettivamente parziali, nel senso che diversi dei motivi d’impugnazione proposti dall’appellante nel ricorso di secondo grado (e già introdotti nel ricorso al giudice di prime cure) non sono stati considerati e decisi dalla CTR. Tali carenze, tuttavia, costituiscono, relativamente ad ogni motivo pretermesso nella sentenza, singole omissioni di pronuncia (infatti denunciate, anche separatamente, dal ricorrente nei primi sei motivi del ricorso per cassazione), ciascuna potenzialmente rilevante per la violazione dell’art. 112 c.p.c., ma non determinanti necessariamente la radicale nullità dell’intera sentenza.

4.1. Quanto all’omessa pronuncia (pure denunciata nel primo motivo) in ordine al motivo d’appello relativo alla nullità della sentenza di primo grado, per la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, a causa della sua motivazione carente od insufficiente, deve rilevarsi che il ricorrente, anche attraverso la riproduzione della relativa parte del ricorso alla CTR, ha evidenziato l’incontestata proposizione della censura nel secondo grado di merito.

Tanto premesso, deve darsi atto che, pur mancando un’espressa motivazione sul punto, la sentenza impugnata ha implicitamente negato la carenza assoluta di motivazione della sentenza di primo grado, della quale ha confermato le statuizioni, all’esito, comunque, della valutazione, nel merito, di alcune delle critiche del contribuente all’atto impositivo, riproposte in appello. Valutazione che, peraltro, la CTR avrebbe comunque dovuto fare, anche in presenza della dedotta carenza assoluta di motivazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, comma 2. Altra questione, oggetto dei motivi di ricorso successivi al primo, è se tale valutazione sia stata solo parziale, ovvero abbia riguardato solo alcuni dei motivi d’appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c.; o viziata in diritto; o non adeguatamente motivata. E’ quindi infondato il primo motivo di ricorso.

5. Il secondo motivo di ricorso è a sua volta infondato, almeno nella parte laddove pare voler sostenere che dalle plurime denunciate omissioni di pronuncia, in ordine a diversi dei motivi d’appello del contribuente, possa derivare una globale e complessiva nullità della sentenza d’appello, atteso che la mancata decisione su alcuni dei rilievi critici alla sentenza di primo grado ed all’accertamento non determina necessariamente l’invalidità della sentenza anche relativamente ai capi sui quali la CTR ha invece provveduto.

Sotto altro aspetto, il contenuto sostanziale del secondo motivo di ricorso raccoglie la denuncia “collettiva” delle omissioni di pronuncia, tutte ciascuna oggetto specifico dei quattro motivi successivi, dalla cui seguente decisione esso risulta sostanzialmente assorbito.

Il secondo motivo è quindi infondato.

6. E’ altresì infondato il terzo motivo, in quanto non sussiste la pretesa omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello relativo all’assunta carenza, già oggetto del ricorso di primo grado, dei presupposti dell’accertamento emesso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3, perchè i dati e le notizie che l’Ufficio ha dedotto a sostegno dell’atto impositivo non costituiscono una prova, neppure presuntiva, non essendo dotati dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza. Infatti, per quanto sinteticamente, la sentenza ha tenuto conto della critica del contribuente, menzionandola nella parte motiva, e l’ha trattata (anche se in parallelo alle censure attinenti alla motivazione dell’accertamento) e respinta. Altra questione, non attinta dal terzo motivo, è se la decisione sia, in parte qua, viziata in diritto o adeguatamente motivata.

7. E’ invece fondato il quarto motivo, avente ad oggetto l’omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello relativo al disconoscimento dei costi dedotti dal contribuente.

Infatti” pur essendo incontestato che, come evidenziato anche nel ricorso, il contribuente ha censurato (non solo relativamente alta normativa applicabile) tale rilievo sia nel ricorso introduttivo (generando la controdeduzione dell’Amministrazione anche sulla questione) che nell’appello, la sentenza della CTR ha omesso qualsiasi menzione del relativo motivo d’impugnazione, nè dalla motivazione si ricava in alcun modo che su di esso abbia deciso.

8.Infondato è il quinto motivo, relativo alla pretesa omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello avente ad oggetto la violazione dell’art. 9, comma 2, t.u.i.r., nella quantificazione dei premi di fonte estera imputati al contribuente, avendo l’Amministrazione convertito arbitrariamente in Euro gli importi, espressi in dollari statunitensi, al tasso medio di conversione dell’anno di riferimento.

La censura, infatti, è stata presa in considerazione dalla sentenza impugnata, che menziona espressamente il relativo motivo d’appello nella parte motiva, sia pur interpretandolo come la denuncia di un mero errore di calcolo dell’Ufficio nella conversione. La specifica menzione del motivo d’impugnazione nella motivazione, unita al rigetto dell’appello di cui al dispositivo, conducono quindi a ritenere che il giudice a quo si sia pronunciato sul punto. Altra questione, non attinta dal quinto motivo, è se la decisione sia, in parte qua, viziata in diritto o adeguatamente motivata.

9. E’ fondato il sesto motivo, relativo all’omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello avente ad oggetto la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e dell’art. 53 Cost., relativamente all’inclusione, nelle riprese dell’Ufficio, anche di compensi già dichiarati dal contribuente nel Modello Unico 2004 per i redditi percepiti nell’anno 2003, oltre che dei versamenti d’imposta effettuati dallo stesso contribuente in acconto per l’anno 2003, con violazione dell’art. 19 (attuale 22) t.u.i.r.

Pur essendo incontestato che, come evidenziato anche nel ricorso, il contribuente ha censurato l’atto impositivo in parte qua sia nel ricorso introcluttivo (generando la controdeduzione dell’Amministrazione anche sulla questione) che nell’appello, la sentenza della CTR ha omesso qualsiasi menzione del relativo motivo d’impugnazione, nè dalla motivazione si ricava in alcun modo che su di esso abbia deciso.

10. Con il settimo motivo il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42; della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7; e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, norme tutte relative all’obbligo di chiarezza e motivazione dell’avviso d’accertamento, per avere il giudice a quo ritenuto che l’atto impositivo non fosse nullo, nonostante la mancata allegazione ad esso dei documenti che richiamava, costituiti dalla segnalazione della Direzione regionale della Lombardia, del questionario inviato dall’Ufficio al contribuente prima dell’emissione dell’atto impositivo, e delle informazioni fornite dall’Association of Tennis Professionals (A.T.P.) e dalla F.I.T. Giova preliminarmente rilevare che, come risulta dallo stesso ricorso qui in decisione (alle pagg. 11, 20, 42-43), il motivo di ricorso per cassazione è conforme a quello introdotto dal contribuente nel ricorso di primo grado nei limiti della descritta censura della motivazione per relationem, e riproposto in appello. Esulano, invece, dall’oggetto ammissibile del motivo in decisione le ulteriori censure alla motivazione dell’atto impositivo, che dallo stesso ricorso risultano proposte ex novo in appello.

Tanto premesso, il contribuente lamenta che il giudice a quo abbia ritenuto sufficiente, al fine di assolvere all’obbligo di motivazione dell’avviso, che “tutte le informazioni allegate alla segnalazione (idest alla segnalazione della Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate che ha costituito l’incipit della verifica sfociata poi nell’accertamento) e poi riportate nell’avviso d’accertamento, erano comunque costituite da dati perfettamente conosciuti dal contribuente o quanto meno conoscibili dallo stesso, dal momento che riguardano la posizione assunta dal G. nella graduatoria della classifica mondiale, con i relativi risultati ottenuti nei tornei ai quali ha partecipato.”.

La mera conoscibilità di dati esterni all’accertamento non sarebbe, secondo i contribuenti, equivalente alla conoscenza degli atti (nel caso di specie, documenti) esterni all’accertamento, che, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 3, può legittimamente esonerare l’amministrazione dall’allegazione di questi ultimi.

Il motivo è infondato.

Va innanzitutto premesso che è pacifico (come risulta dalle stesse difese del ricorrente e dalla sentenza impugnata) che l’accertamento contenga il riferimento ad atti esterni, le predette “informazioni”, ad esso non allegati.

Dispone la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, ultimo periodo, a proposito degli atti dell’Amministrazione finanziaria, che: ” Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.”.

In materia di accertamenti in rettifica ed accertamenti d’ufficio, prevede, a sua volta, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, ultimo periodo, come modificato dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, comma 1, lett. c), nella versione vigente ratione temporis, che,: ” Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.”.

Il successivo comma dispone infine che:” L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui al comma 2, ultimo periodo.”.

Nella giurisprudenza di questa Corte, molteplici sono le pronunce che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell’accertamento, hanno ritenuto sufficiente che l’atto esterno, richiamato da quello impositivo, fosse, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell’avviso.

Non si intende, in questo senso, far riferimento alle affermazioni giurisprudenziali relative alla conoscibilità di atti richiamati, già oggetto di precedente notificazione al contribuente (Cass. 25/07/2012, n. 13110), o sottoposti a pubblicità legale (Cass. 19/12/2014, n. 27055, in motivazione), trattandosi di ipotesi accomunabili dall’operatività di presunzioni legali (per quanto diversificate) di conoscenza, e quindi di equiparazione ex lege della conoscibilità alla conoscenza.

Piuttosto, ci si riferisce a quelle pronunce che hanno ritenuto legittima anche la motivazione per relationem che richiami, senza allegarli, atti che si possano presumere, solo iuris tantum, conosciuti dal destinatario dell’accertamento (Cass. 17/12/2014, n. 26527; Cass. 27/11/2015, n. 24254; Cass. 30/10/2018, n. 27628). E, soprattutto, ci si richiama a quell’orientamento che, finanche nel caso di doppia motivazione per relationem, ovvero quando il documento menzionato nella motivazione dell’atto tributario faccia a sua volta riferimento ad ulteriori documenti, ritiene sufficiente che questi ultimi siano, se non in possesso o comunque conosciuti dal contribuente, quanto meno agevolmente conoscibili da quest’ultimo (Cass. 12/12/2018, n. 32127; Cass. 24/11/2017, n. 28060; Cass. 04/06/2018, n. 14275, ex plurimis, in tema di avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii a quello riguardante i redditi della società, ancorchè solo a quest’ultima notificato; Cass. 17/05/2017, n. 12312, ex plurimis, relativa all’accertamento del maggior valore dell’immobile sulla base dei prezzi medi evincibili dal listino della Borsa immobiliare dell’Umbria, pubblicato dalla locale camera di Commercio ed agevolmente reperibile dalla contribuente).

Infatti, deve ritenersi che l’interpretazione giurisprudenziale della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, ultimo periodo e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, ultimo periodo e comma 3, nel senso che non sia nullo l’accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizzi un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex art. 97 Cost.) – che giustificano l’ammissibilità, anche normativa, della motivazione per relationem (sul punto cfr. Cass. 29/01/2008, n. 1906, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa.

Deve, pertanto, ritenersi infondato il settimo motivo di ricorso, che imputa al giudice a quo il preteso errore, in diritto, di avere ritenuto sufficiente, al fine di integrare la motivazione per relationem dell’atto emesso nei confronti della società, “quanto meno” la conoscibilità dei dati oggetto delle informazioni raccolte dall’Ufficio. Nè, peraltro, in questa sede è sindacabile il giudizio relativo all’effettiva “conoscibilità” dei dati in questione, trattandosi di valutazione in fatto.

Aggiunto che non è specificamente contestata la ratio decidendi ulteriormente esposta nella sentenza, relativamente alla mancata allegazione della predetta segnalazione (“essendo un documento interno non va notificato al contribuente”), e considerato che la questione attinente alla mancata allegazione del questionario è correlata ed assorbita da quella relativa alla notifica di quest’ultimo al contribuente ed alle conseguenze della mancata produzione della documentazione con esso richiesta dall’Amministrazione, il settimo motivo va respinto.

11. Con l’ottavo motivo il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., assumendo che, dal “complessivo iter motivazionale” adottato dalla CTR, si ricaverebbe che quest’ultima ha attribuito al contribuente l’onere di fornire la prova negativa circa l’inesistenza della percezione dei redditi, correlati alle prestazioni sportive professionali, di cui all’accertamento.

12. Con il nono motivo il contribuente, in subordine all’eventuale rigetto del motivo precedente, denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., assumendo che tali disposizioni sarebbero state violate, ove la motivazione della sentenza impugnata dovesse interpretarsi nel senso che l’Amministrazione, tramite il ricorso a presunzioni semplici, abbia fornito la prova che il contribuente ha percepito i maggiori redditi, derivanti dalle prestazioni sportive professionali, di cui all’accertamento.

Secondo la ricorrente, infatti, il relativo ragionamento inferenziale sarebbe contrario all’art. 2727 c.c., poichè muoverebbe da un fatto (l’effettiva partecipazione del contribuente a tornei di tennis in misura maggiore di quella corrispondente ai compensi dichiarati nell’anno d’imposta in questione) non noto, ma a sua volta presunto dalle informazioni ottenute da F.I.T. ed A.T.P., per presumere altresì la percezione dei premi, o comunque dei compensi, che contribuiscono a costituire il maggior imponibile accertato.

12.1. I due motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.

Infatti, le informazioni provenienti da terzi (e quindi anche da organismi sportivi) costituiscono elementi indiziari che possono costituire i dati e le notizie dai quali desumere, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, anche sulla base di presunzioni semplici, l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione (cfr., sulle dichiarazioni a carico del contribuente rilasciate da terzi all’Amministrazione, nella fase di accertamento, Cass. 07/04/2017, n. 9080 e Cass. 16/03/2018, n. 6616, ex plurimis). Nè, a differenza di quanto pare implicitamente assumere il ricorrente, una volta ricostruita in via indiziaria la più intensa attività sportiva professionale del contribuente, la conseguente determinazione indiziaria dei maggiori redditi contrasta con il divieto del ricorso alla c.d. doppia presunzione. Infatti, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che nel sistema processuale non esiste il divieto delle c.d. presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile nè agli artt. 2729 e 2697 c.c., nè a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. 01/08/2019, n. 20748). Infatti, la sussistenza nell’ordinamento del cosiddetto “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”, è stata esclusa in quanto: ” a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o “divieto di doppie presunzioni” o “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perchè non è riconducibile nè agli evocati artt. 2729 e 2697 c.c. nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purchè “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 c.c., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015);” (Cass. 16/06/2017, n. 15003, in motivazione, al p. 3).

Non ha dunque errato, in diritto, la sentenza impugnata, laddove, senza alcuna inversione dell’onere probatorio, ha premesso che l’Ufficio ha ottemperato all’onere della prova di sua competenza, attraverso il meccanismo inferenziale fondato sui dati ricavati dall’anagrafe tributaria e dalle predette informazioni, escludendo poi che il contribuente avesse fornito prove contrarie.

13. Con il decimo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. c); art. 58, comma 2 e art. 60, comma 3, per avere il giudice a quo ritenuto validamente notificato dall’Ufficio, l’8 febbraio 2008, il questionario preliminare all’accertamento controverso, presso il domicilio fiscale di Lissone, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi del contribuente, e non presso la residenza anagrafica di quest’ultimo, trasferita in Rimini dal 19 luglio 2007.

Assume infatti il ricorrente che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 3, vigente ratione temporis, “Le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal trentesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica o, per le persone giuridiche e le società ed enti privi di personalità giuridica, dal trentesimo giorno successivo a quello della ricezione da parte dell’ufficio della comunicazione prescritta nell’art. 36, comma 2. Se la comunicazione è stata omessa la notificazione è eseguita validamente nel comune di domicilio fiscale risultante dall’ultima dichiarazione annuale.”.

Deduce quindi il ricorrente che, nel caso di specie, in forza della disposizione appena citata, per il contribuente persona fisica, il trasferimento della residenza anagrafica, avvenuto il 19 luglio 2007, sarebbe stato efficace, nei confronti dell’Amministrazione, già dal trentesimo giorno successivo, e quindi sarebbe stato operante alla data, 8 febbraio 2008, della notifica de qua, benchè non ancora comunicato all’Ufficio, che avrebbe quindi dovuto eseguire la notifica presso la nuova residenza anagrafica del contribuente, che costituiva anche il nuovo domicilio fiscale di quest’ultimo.

Il motivo è fondato.

Infatti, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. c), vigente ratione temporis, la notifica non eseguita in mani proprie del contribuente deve essere fatta nel domicilio fiscale di quest’ultimo, che, in forza del precedente art. 58, comma 2, per le persone fisiche residenti nel territorio Stato coincide con il Comune nella cui anagrafe sono iscritte.

Nel caso di specie, è pacifico (per averlo affermato la stessa Amministrazione, come risulta dalla sentenza) che il ricorrente, già residente anagraficamente e domiciliato ai fini fiscali nel Comune di Lissone, alla data del 24 settembre 2008 aveva trasferito la sua residenza anagrafica nel Comune di Rimini. Tale variazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 3, vigente ratione temporis, (e non, come erroneamente sostenuto dal ricorrente, ex art. 60, comma 3, che riguarda invece il mutamento d’indirizzo all’interno dello stesso Comune di domicilio fiscale: Cass. 06/10/2017, n. 23334, in motivazione), a prescindere dalla sua comunicazione all’Ufficio, era opponibile a quest’ultimo dal sessantesimo (quindi non dal trentesimo) giorno successivo a quello in cui si è verificata.

Ed è incontestato (per averlo affermato la stessa Amministrazione, come risulta dalla sentenza) che la notifica del questionario, presso la residenza anagrafica precedente alla variazione, è avvenuta l’8 febbraio 2008, quindi dopo oltre 60 giorni dalla variazione della residenza anagrafica, opponibile quindi all’Amministrazione.

Pertanto, è nulla la notifica del questionario, avvenuta presso la precedente residenza anagrafica, nonchè domicilio fiscale, del contribuente, che non erano più tali a seguito della predetta variazione e del decorso del termine legale di opponibilità.

Nè, comunque, potrebbe ritenersi sanata la notifica per effetto del suo perfezionamento tramite la consegna, presso la residenza anagrafica e domicilio fiscale non più attuali del contribuente, ad un familiare di quest’ultimo, il padre. Infatti, “La notifica a mani di un familiare del destinatario, eseguita presso la residenza del primo, che sia diversa da quella del secondo, non determina l’operatività della presunzione di convivenza non meramente occasionale tra i due, con conseguente nullità della notificazione medesima, non sanata dalla conoscenza “aliuncle” che ne abbia il destinatario, ove non accompagnata dalla sua costituzione.” (Cass. 25/10/2017, n. 25391 del 25/10/2017; nello stesso senso Cass. 05/04/2011, n. 7750).

Tanto meno, poi, emergono dalla sentenza impugnata, e dalle difese delle parti, elementi dai quali desumere che – anche a prescindere dalle forme della notifica, non indispensabili ai fini di integrare l’”invio” di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, – il questionario de quo sia stato comunque comunicato dall’Amministrazione al contribuente in modo che quest’ultimo ne sia venuto effettivamente a conoscenza.

Ha quindi errato il giudice a quo nel ritenere, implicitamente ma inequivocabilmente, valida la notifica del questionario, tanto da ritenere che la mancata risposta allo stesso avrebbe determinato le conseguenze dell’inutilizzabilità dei documenti e dei dati non forniti dal contribuente, nella fase preventiva all’emissione dell’accertamento, ai sensi della L. 18 febbraio 1999, n. 25, art. 25.

La mancata valida notifica del questionario de quo, e comunque la mancata conoscenza, da parte del contribuente, dello stesso atto, non allegato all’accertamento, non determina, di per sè sola, la nullità di quest’ultimo, atteso che: “in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. n. 212 del 2000, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3. Ne consegue che all’avviso di accertamento vanno allegati i soli atti aventi contenuto integrativo della motivazione dell’avviso medesimo e che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale, ma non anche gli altri atti cui l’Amministrazione finanziaria faccia comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva”.

Resta quindi ferma, per quanto già rilevato, la validità della motivazione per relationem dell’atto impositivo, fondata su dati e notizie acquisiti comunque aliunde dall’Ufficio. Tuttavia, ai fini della prova dei presupposti dell’imposizione erariale, ha errato il giudice a quo, laddove ha tratto dalla mancata risposta del contribuente al questionario, in realtà non notificatogli, valutazioni istruttorie e l’inutilizzabilità della documentazione e dei dati solo successivamente, in sede contenziosa, prodotti dal contribuente.

14. Va quindi accolto, nei termini di cui alla motivazione che precede, anche l’undicesimo motivo, con il quale il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 4 e 5, applicabili ratione temporis, modificati dalla L. n. 28 del 1999, art. 25, per avere il giudice a quo ritenuto inutilizzabili i documenti ed i dati forniti dal contribuente in giudizio.

15. Deve quindi essere cassata, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo.

P.Q.M.
Rigetta il primo, il secondo, il terzo, il quinto, il settimo, l’ottavo, il nono motivo di ricorso;

accoglie il quarto, il sesto, il decimo e, nei termini di cui in motivazione, l’undicesimo motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020


Cass. civ., Sez. VI – Lavoro, Ord., (data ud. 24/09/2019) 11/03/2020, n. 6960

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18955-2018 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ di CARTOLIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, V. CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DEIL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati DE ROSE EMANUELE, D’ALOISIO CARLA, VITA SCIPLINO ESTER ADA, MARITATO LELIO, MATANO GIUSEPPE, SGROI ANTONINO;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 2, presso lo studio dell’avvocato BISOGNI ANNA MARIA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1163/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE ALFONSINA.

Svolgimento del processo
Che:

la Corte d’appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale stessa sede, ha rigettato il ricorso dell’Inps, rivolto a sentir dichiarare l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva accolto l’eccezione di decadenza dal diritto all’iscrizione a ruolo della cartella esattoriale, emessa nei confronti di C.A. – e dallo stesso opposta – per il recupero di Euro 5.529,27 a titolo di omesso versamento di contributi previdenziali relativi al rapporto di lavoro intercorso tra il 2002 e il 2003 fra lo stesso C. e V.C.;

la Corte territoriale ha fatto applicazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25, il quale prevede che i contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali in forza di accertamenti degli uffici, non sottoposti a gravame sono iscritti in ruoli resi esecutivi a pena di decadenza entro il 31 dicembre dell’anno successivo alta data di notifica del provvedimento (lett. b) e che, avendo l’Inps comunicato al C. l’avvenuto accertamento del credito nel 2010, aveva emesso l’avviso di pagamento soltanto il 9 marzo 2015, quando ormai era decaduto dal diritto di iscrivere a ruolo il credito contributivo contestato e di agire per il pagamento dello stesso;

nel merito, la Corte territoriale ha poi ritenuto che l’Inps non avesse dato prova che fra il C. e la Valligiano era intercorso un rapporto di lavoro subordinato e che l’unica fonte di prova offerta dall’appellante – ossia il verbale di conciliazione in sede amministrativa del 13 ottobre 2005 – non fosse idoneo allo scopo dichiarato, non manifestando, in modo inequivoco, la natura della collaborazione, le mansioni svolte, l’orario di lavoro e la retribuzione corrisposta, tutti elementi indispensabili a determinare l’entità della denunciata omissione contributiva;

ha accertato che sulle circostanze invocate a sostegno della propria pretesa l’Istituto – neppure in sede di gravame – aveva svolto ulteriori accertamenti;

la cassazione della sentenza è domandata dall’Inps, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. s.p.a. sulla base di tre motivi; C.A. ha opposto difese con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Motivi della decisione
Che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Inps deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c.”; la nullità della sentenza deriverebbe dal non avere ritenuto la fondatezza del ricorso in appello dell’Inps nella parte in cui questi aveva contestato la formazione del giudicato sul capo della pronuncia di prime cure che aveva dichiarato la decadenza dal diritto all’iscrizione a ruolo; l’Istituto contesta che vi fosse la necessità di impugnare la predetta statuizione avendo lo stesso Tribunale affermato la necessità dell’accertamento della fondatezza della pretesa nel merito, a prescindere dall’illegittimità dell’iscrizione a ruolo della cartella opposta;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e falsa applicazione del D.L. 31 maggio 2010, n. 125, art. 30, comma 14, convertito, con modificazioni, nella L. 30 luglio 2010, n. 122 e del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 3”; il motivo deduce che in base alle norme indicate in epigrafe, la Corte territoriale, che decide sull’opposizione in secondo grado, avrebbe dovuto statuire sul merito della pretesa a prescindere dalla legittimità dell’iscrizione a ruolo;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 1362 e 1363 c.c., e del D.P.R. 30 maggio 1955, n. 1124, artt. 27 e 28; contesta il convincimento della Corte d’appello in ordine alla mancata idoneità probatoria del verbale di conciliazione; prospetta che il giudice avrebbe dovuto verificare se lo stesso aveva o meno contenuto novativo e se il rapporto di lavoro costituiva la ragione centrale dell’attribuzione patrimoniale stabilita in sede conciliativa; ne riporta il testo al fine di dimostrare che le clausole in esso contenute proverebbero la natura subordinata e non occasionale dei rapporto di lavoro oggetto di contestazione;

il primo motivo è infondato;

esso non è in grado di intaccare la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha accertato la formazione del giudicato sulla statuizione di decadenza dall’iscrizione a ruolo contenuta nella pronuncia di prime cure; risulta in atti che è lo stesso Istituto ricorrente ad ammettere indirettamente la ricorrenza di tale circostanza, là dove afferma di non aver impugnato l’accoglimento della relativa eccezione da parte del Tribunale: “…l’Istituto ha preso atto di tale statuizione e con il gravame ha direttamente censurato il capo della sentenza con il quale il giudice di primo grado ha ritenuto insussistente nel merito l’obbligazione contributiva oggetto di causa” (p.5 del ricorso);

la censura, non contrasta la prima ratio decidendi, avente ad oggetto la statuizione di intervenuto giudicato in merito al punto contestato;

il secondo motivo, con cui l’Istituto afferma che la Corte territoriale non avrebbe potuto accogliere l’eccezione di decadenza senza pronunciarsi anche nel merito sulla fondatezza della pretesa creditoria è egualmente infondato, in quanto non è idoneo a scardinare la seconda ratio decidendi autonoma della sentenza gravata, con cui il giudice dell’appello, accogliendo per rinvio l’esito dell’accurata istruttoria svolta dal giudice di prime cure, aggiunge di aver accertato che neppure in sede di gravame l’Istituto appellante aveva fornito “elementi per supportare probatoriamente la propria istanza” (p. 6 sent.);

il terzo motivo è inammissibile;

le prospettazioni del ricorrente deducono solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;

va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n. 18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);

in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

 


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 22-10-2019) 10-01-2020, n. 300

Quella regionale della Campania ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, dichiarandola estromessa dal giudizio, e ha rigettato quello dell’Equitalia, in base alla considerazione che la notificazione di alcune cartelle prodromiche a sollecito e avviso era stata indirizzata, senza giustificazione, in un luogo diverso da quello, risultante dalla cartella indicata in sentenza, di residenza della contribuente.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21667-2013 proposto da:

EQUITALIA SUD S.P.A., (società con socio unico soggetta all’attività di direzione e coordinamento della Equitalia s.p.a.), subentrata ad Equitalia Polis s.p.a. con decorrenza 1 luglio 2011, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliatosi in ROMA, VIA PREMUDA 1/A, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DIDDORO, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO POLISI;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliatasi in ROMA, VIA F. SIACCI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO VOGLINO, rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO BENINCASA;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 20/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della Campania, depositata il 04/02/2013;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2019 dal consigliere Dott. ANGELINA-MARIA PERRINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per affermarsi che: “la notifica eseguita da servizi postali gestiti da licenziatari privati è affetta da nullità assoluta ex art. 156 c.p.c., comma 3”;

udito l’Avvocato Fabio Benincasa.

Svolgimento del processo
Emerge dalla sentenza impugnata che la materia del contendere riguarda “…il sollecito di pagamento n. 14363/071 IVA + IRPEF 1998 ed avviso di attivazione procedura espropriativa di cui a sei cartelle di pagamento… “, che P.G. aveva impugnato, lamentando l’omessa notificazione delle cartelle, e ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Quella regionale della Campania ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, dichiarandola estromessa dal giudizio, e ha rigettato quello dell’Equitalia, in base alla considerazione che la notificazione di alcune cartelle prodromiche a sollecito e avviso era stata indirizzata, senza giustificazione, in un luogo diverso da quello, risultante dalla cartella indicata in sentenza, di residenza della contribuente.

Contro questa sentenza propone ricorso l’agente per la riscossione, che affida a tre motivi per ottenerne la cassazione, cui P.G. risponde con controricorso. L’Agenzia delle entrate, evocata in giudizio, non si è ritualmente costituita, depositando soltanto atto col quale ha manifestato la volontà di partecipare all’udienza di discussione.

La sezione tributaria di questa Corte ha ravvisato una questione di massima di particolare importanza in quella concernente il regime della notificazione del ricorso introduttivo, avvenuta a mezzo di posta privata e ha prospettato al Primo Presidente l’opportunità di devolverla alla cognizione di queste sezioni unite.

Ne è seguita la fissazione dell’udienza odierna.

Motivi della decisione
1.- Vanno preliminarmente respinte le eccezioni d’inammissibilità del ricorso proposte dalla controricorrente:

– va respinta la prima, con la quale si lamenta che il ricorso è stato notificato presso la residenza della contribuente, anzichè presso il domicilio da lei eletto in giudizio, perchè il vizio è stato sanato, ex art. 156 c.p.c., dal tempestivo deposito del controricorso (Cass., sez. un., 20 luglio 2016, nn. 14916 e 14917);

– va altresì respinta la seconda, con la quale si denuncia la violazione del principio di autosufficienza del ricorso, giacchè le carenze di specificità, di seguito illustrate, non investono l’intero ricorso.

2.- Col primo motivo di ricorso l’Equitalia lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 3 e art. 22, commi 1 e 2, giacchè sostiene che la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio, eseguita nel 2010 a mezzo posta con servizio di spedizione privato, sia affetta da nullità insanabile. Espone al riguardo che, nel processo tributario, in virtù della combinazione delle norme indicate, sono applicabili, oltre alle modalità di notificazione previste dall’art. 137 c.p.c., richiamate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 2, in via di eccezione la modalità di notificazione c.d. postale, mediante l’utilizzo del servizio reso dalle Poste italiane, e la consegna a mani, soltanto nei confronti degli uffici finanziari e degli enti locali.

2.1.- Il motivo di ricorso, diversamente da quanto si sostiene in controricorso, è ammissibile, benchè l’Equitalia non abbia proposto la censura nel giudizio di merito. Ciò perchè la questione prospettata, di nullità insanabile della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, comporta la rilevabilità, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (Cass. 20 ottobre 2016, n. 21219).

3.- Il tema posto col motivo in esame è oggetto dell’ordinanza interlocutoria, che appunto concerne la sorte della notificazione degli atti processuali eseguita a mezzo di posta privata nel regime antecedente all’emanazione del D.Lgs. 24 febbraio 2011, n. 58.

4.- La questione è importante, perchè presenta molteplici profili problematici.

4.1.- Il primo, di minor rilievo, è posto in controricorso, là dove si sostiene che “le notificazioni di atti giudiziari”, oggetto dell’affidamento in via esclusiva al fornitore del servizio universale, contemplato dal D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 4 come modificato dal D.Lgs. 31 marzo 2011, n. 58, non si riferiscano ai ricorsi tributari notificati a mezzo posta senza l’ausilio di un ufficiale notificatore: ciò perchè la norma, là dove richiama i “servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni”, riserverebbe in via esclusiva alle Poste italiane i soli servizi concernenti le notificazioni di atti giudiziari eseguiti a norma della L. n. 890 del 1982.

4.2.- L’obiezione si supera agevolmente.

Nel processo tributario le notificazioni sono eseguite, in primo luogo, secondo le norme degli artt. 137 c.p.c. e ss. (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 2), tra le quali v’è l’art. 149 c.p.c., che consente la notificazione a mezzo del servizio postale, in base alle regole dettate dalla L. 20 novembre 1982, n. 890; in secondo luogo, la notificazione può essere eseguita – oltre che mediante consegna diretta all’impiegato dell’amministrazione finanziaria o dell’ente locale – a mezzo del servizio postale raccomandato con avviso di ricevimento (art. 16, comma 3, nel testo applicabile ratione temporis). Qualora la notificazione sia eseguita a mezzo posta, “…il ricorso s’intende proposto al momento della spedizione nelle forme sopra indicate” (art. 20, comma 2), ossia in quelle richiamate dall’art. 16, commi 2 e 3.

4.3.- Quanto al tenore letterale della norma invocata, il testo del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4 applicabile all’epoca dei fatti di causa riservava al fornitore del servizio universale, con ampia dizione, “gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie”.

4.4.- Sul piano logico la tesi proposta dalla contribuente comporterebbe, irragionevolmente, l’assoggettamento a disciplina più rigorosa proprio dell’attività più affidabile gestita da soggetto notificatore abilitato.

4.5.- A ogni modo, la corretta lettura della locuzione “notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni” implica la riserva di tutte le notificazioni concernenti atti giudiziari eseguite a mezzo posta, senza distinzione in base al richiedente (come emerge da Cass., sez. un., 26 marzo 2019, n. 8416, secondo cui la novella introdotta dal D.Lgs. n. 58 del 2011 ha determinato la limitazione della riserva a s.p.a. Poste italiane, per il profilo d’interesse, “alla notificazione a mezzo posta degli atti giudiziari”).

4.6.- In definitiva, hanno ulteriormente sottolineato queste sezioni unite, facendo leva sulla previsione della Legge Delega 30 dicembre 1991, n. 413, art. 30 di adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile, non v’è alcuna ragione logica e giuridica per distinguere il regime della notificazione diretta a mezzo di raccomandata postale dall’ordinaria notificazione tramite ufficiale giudiziario che si avvalga del servizio postale (Cass., sez. un., 29 maggio 2017, nn. 13452 e 13453, punto 3.8).

4.7.- Indubbio è, quindi, che le notificazioni dirette a mezzo raccomandata postale dei ricorsi in materia tributaria rientrano nell’ambito della riserva al fornitore del servizio universale contemplata dal D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4.

5.- La questione, peraltro, eccede i confini del processo tributario e anche quelli del diritto nazionale, in quanto coinvolge i temi unionali della libertà di concorrenza e della graduale eliminazione degli ostacoli frapposti al mercato unico, che hanno trovato un complesso articolato di principi nella direttiva n. 97/67/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 dicembre 1997, poi modificata dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 febbraio 2008, progressivamente attuate dal diritto interno.

Il che comporta la necessità di coordinare la giurisprudenza nazionale con quella unionale, di segno prevalente rispetto alla prima.

6.- Il profilo problematico di maggior rilievo concerne, difatti, l’influenza sul regime delle notificazioni dei principi posti dalle direttive in questione.

Non è valso osservare dinanzi alla Corte di giustizia, per escluderne la rilevanza, che la direttiva n. 97/67/CE, la quale non contempla la procedura civile tra le materie enumerate nel proprio campo di applicazione, fissato dall’art. 1, è stata adottata sul fondamento dell’art. 95 TCE (divenuto art. 114 del TFUE), che costituisce la base giuridica per il ravvicinamento delle legislazioni nazionali destinate ad assicurare il funzionamento del mercato interno, e non già in base all’art. 65 del TCE (divenuto art. 81 del TFUE), base giuridica per l’armonizzazione delle norme di procedura civile.

6.1.- Seguendo quest’impostazione, ha replicato la Corte di giustizia (con sentenza 27 marzo 2019, causa C-545/17, Pawlak, punto 30), non si riuscirebbe a scongiurare gli ostacoli posti dalla disciplina nazionale del processo civile al percorso di apertura alla concorrenza nel settore in esame.

7.- Il percorso in questione, va detto, non è stato di segno univoco e la vicenda in esame si colloca quando esso non era ancora completo: la notificazione della quale si discute, risalente al 2010, si situa prima dell’adozione del D.Lgs. n. 58 del 2011, ma dopo la pubblicazione della direttiva n. 2008/6/CE. 7.1.- La direttiva n. 97/67/CE, pur avviando la graduale liberalizzazione del mercato dei servizi postali, riconosceva agli Stati membri la possibilità di riservare al fornitore o ai fornitori del servizio universale “…la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione di invii di corrispondenza interna” (art. 7); consentiva, per ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, di scegliere “…gli organismi responsabili per il servizio di corrispondenza registrata cui si ricorre nell’ambito di procedure giudiziarie o amministrative conformemente alla legislazione nazionale (…)” (considerando 20); prevedeva, e tuttora prevede, che “Le disposizioni dell’art. 7 lasciano impregiudicato il diritto degli Stati membri di provvedere… al servizio di invii raccomandati utilizzato nelle procedure amministrative e giudiziarie conformemente alla loro legislazione nazionale” (art. 8).

La riserva era funzionale al mantenimento del servizio universale (art. 7), del quale costituiva il principale canale di funzionamento in condizione di equilibrio finanziario (considerando 16).

7.2.- Con la direttiva n. 2008/6/CE v’è stata una virata (in parte anticipata dalla direttiva n. 2002/39/CE), poichè il legislatore dell’Unione, mutando prospettiva, ha ritenuto “opportuno porre fine al ricorso al settore riservato e ai diritti speciali come modo per garantire il finanziamento del servizio universale” (considerando 25).

Sicchè, con l’art. 7 della direttiva n. 97/67/CE, radicalmente novellato, il legislatore dell’Unione ha stabilito che “Gli Stati membri non concedono nè mantengono in vigore diritti esclusivi o speciali per l’instaurazione e la fornitura di servizi postali…”.

La concessione di questi diritti all’operatore designato è quindi scomparsa dal novero delle opzioni esplicitamente autorizzate per il finanziamento del settore universale (lo sottolinea Corte giust. 2 maggio 2019, causa C-259/18, Sociedad Estatal Correos y Telegrafos SA, punto 34).

8.- Il legislatore italiano ha dato attuazione con ritardo alla normativa unionale.

In esecuzione della direttiva n. 97/67/CE il D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261 ha riconosciuto come fornitore del servizio universale, nel testo applicabile all’epoca dei fatti di causa, “l’organismo che gestisce l’intero servizio postale universale su tutto il territorio nazionale” (art. 1, comma 2, lett. o); ha affidato il servizio universale alla società Poste italiane per un periodo comunque non superiore a quindici anni dalla data di entrata in vigore del decreto (art. 23, comma 2); ha ammesso la possibilità di riservare al fornitore del servizio universale “…la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione di invii di corrispondenza interna e transfrontaliera, anche tramite consegna espressa” (art. 4, comma 1), indicandone limiti di peso e prezzo e ha previsto che “Indipendentemente dai limiti di prezzo e di peso, sono compresi nella riserva di cui al comma 1 gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie…” (art. 4, comma 5).

La riserva è espressamente volta al “mantenimento” del fornitore del servizio universale, ossia a finanziarlo; tanto che il fondo di compensazione degli oneri del servizio universale istituito dall’art. 10 è “…alimentato nel caso e nella misura in cui i servizi riservati non procurano al fornitore del predetto servizio entrate sufficienti a garantire l’adempimento degli obblighi gravanti sul fornitore stesso”.

8.1.- In seguito, nel dettare i principi e i criteri generali per il recepimento della direttiva n. 2008/6/CE, il legislatore delegante ha stabilito che, nel contesto di piena apertura al mercato, “…a far data dal 31 dicembre 2010 non siano concessi nè mantenuti in vigore diritti esclusivi o speciali per l’esercizio e la fornitura di servizi postali” (art. 37, comma 2, lett. a), della Legge delega 4 giugno 2010, n. 96, pur facendo salvo l’art. 8 della direttiva n. 97/67).

8.2.- Ma il D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, comma 1, come novellato dal D.Lgs. n. 58 del 2011, ha stabilito che per esigenze di ordine pubblico fossero riservati in via esclusiva al fornitore del servizio universale, ossia a Poste italiane (alle quali il servizio è stato nuovamente affidato per quindici anni a decorrere dal 30 aprile 2011, giusta il D.Lgs. n. 58 del 2011, art. 1, comma 18), tra l’altro, i servizi concernenti le notificazioni a mezzo posta di atti giudiziari.

8.3.- Soltanto la L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 57, ha comportato, per i profili d’interesse, l’abrogazione del suddetto art. 4 a decorrere dal 10 settembre 2017, l’aggiunta in fine al successivo art. 5, al comma 2 del seguente periodo:

“Il rilascio della licenza individuale per i servizi riguardanti le notificazioni di atti a mezzo della posta e di comunicazioni a mezzo della posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, nonchè per i servizi riguardanti le notificazioni a mezzo della posta previste dall’art. 201 C.d.S., di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve essere subordinato a specifici obblighi del servizio universale con riguardo alla sicurezza, alla qualità, alla continuità, alla disponibilità e all’esecuzione dei servizi medesimi” e, finalmente, la soppressione del riferimento, contenuto nell’art. 10 a proposito del fondo di compensazione, ai servizi in esclusiva di cui all’art. 4.

9.- Nel contesto così delineato la giurisprudenza civile di questa Corte sottolinea che, nel regime precedente alla novella del 2017, l’operatore di posta privata non riveste, a differenza del fornitore del servizio postale universale, la qualità di pubblico ufficiale, sicchè gli atti da lui redatti non godono di alcuna presunzione di veridicità fino a querela di falso (Cass. 30 gennaio 2014, n. 2035).

La necessità di assicurare l’effettività della funzione probatoria dell’invio raccomandato, presidiata dal D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1, comma 2, lett. i), rappresenterebbe l’esigenza di ordine pubblico che sostiene la scelta di riservare in via esclusiva al fornitore del servizio universale gli invii raccomandati concernenti le procedure giudiziarie – nonchè pure quelle amministrative, prima del D.Lgs. n. 58 del 2011 – (Cass. 18 dicembre 2014, n. 26704).

Sicchè si è ritenuta inesistente e non sanabile la notificazione di atti processuali eseguita mediante servizio postale non gestito da Poste italiane, ma da un operatore di posta privata (tra varie, Cass. 31 gennaio 2013, n. 2262; 19 dicembre 2014, n. 29021; 30 settembre 2016, n. 19467; 10 maggio 2017, n. 11473; 5 luglio 2017, n. 16628).

9.1.- Nè alla L. n. 124 del 2017, art. 1 si può riconoscere efficacia retroattiva: non si tratta di norma interpretativa, in quanto l’operatività della disciplina da essa delineata presuppone il rilascio delle nuove licenze individuali relative allo svolgimento dei servizi già oggetto di riserva, sulla base delle regole da predisporsi da parte dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Cass. 11 ottobre 2017, n. 23887; 3 aprile 2018, n. 8089; 31 maggio 2018, n. 13855; 7 settembre 2018, n. 21884).

Sull’irretroattività della novella convengono anche queste sezioni unite (con la sentenza n. 8416/19, cit.), che hanno riconosciuto, in relazione al regime normativo successivo al D.Lgs. n. 58 del 2011, la legittimità della notificazione a mezzo operatore di posta privata dei soli atti di natura amministrativa.

10.- Con l’ordinanza interlocutoria la sezione tributaria esprime perplessità sulla tenuta dell’orientamento concernente la qualificazione d’inesistenza della notificazione di atti giudiziari eseguita da un operatore di poste private in relazione al periodo precedente all’entrata in vigore della novella del 2017.

Anzitutto, rileva che la tesi dell’inesistenza della notificazione dell’atto processuale eseguita a mezzo posta dall’operatore in questione si potrebbe porre in contrasto con la possibilità di assimilare la notificazione in questione a quella eseguita mediante consegna diretta, contemplata dalla combinazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3 e art. 20, comma 1: l’operatore di poste private ben potrebbe essere equiparato a un vettore che provvede alla consegna a mani dell’atto introduttivo della lite, con l’unica particolarità che in tal caso la notificazione si dovrebbe reputare eseguita nella data di ricezione e non già in quella di spedizione dell’atto.

10.1.- La sezione rimettente dubita, inoltre, della coerenza dell’indirizzo con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che ricostruisce la notificazione non come requisito di esistenza e di perfezionamento dell’atto che ne è oggetto, ma come condizione integrativa dell’efficacia di esso: ne conseguirebbe che anche l’inesistenza della notificazione non comporterebbe quella dell’atto che ne è oggetto, quando ne risulti inequivocabilmente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere dell’amministrazione finanziaria, sulla quale grava il relativo onere probatorio (tra varie, Cass. 15 gennaio 2014, n. 654; 24 aprile 2015, n. 8374; 30 gennaio 2018, n. 2203; 24 agosto 2018, n. 21071).

10.2.- E, ancora, la sezione tributaria sospetta della compatibilità, in chiave di sistema, dell’indirizzo in questione col radicale ridimensionamento, dovuto all’elaborazione di queste sezioni unite (Cass., sez. un., 20 luglio 2016, nn. 14916 e 14917, seguite, tra varie, da Cass., sez. un., 13 febbraio 2017, n. 3702, da Cass. 7 giugno 2018, n. 14840 e da Cass. 8 marzo 2019, n. 6743), della categoria dell’inesistenza della notificazione, ridotta, in base al carattere strumentale delle forme degli atti processuali, ai soli casi in cui l’attività svolta sia priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto come notificazione; di modo che ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale ricade nella categoria della nullità.

11.- Qualche spiraglio per una soluzione diversa affiora dall’indirizzo che ammette la validità della notificazione eseguita dall’agenzia privata, alla quale però il plico sia stato affidato dalle Poste, nonchè, viceversa, di quella compiuta dalle Poste, alle quali l’atto sia stato veicolato dall’operatore di poste private: nel primo caso, si sostiene, l’attività di recapito rimane all’interno del rapporto tra le Poste e l’agenzia di recapito, e in capo alle Poste permane la piena responsabilità per l’espletamento del servizio (Cass. 6 giugno 2012, n. 9111); nel secondo, si specifica che una tale modalità operativa rispetta la riserva in via esclusiva prevista a favore del fornitore del servizio universale e, quindi, l’esigenza di garantire l’attestazione fidefaciente della puntualità e regolarità degli adempimenti (Cass. 21 luglio 2015, n. 15347; conf., Cass. 13 settembre 2017, n. 21251).

11.1.- Attestata su una soluzione diversa da quella prevalente si pone pure parte della giurisprudenza penale, anch’essa menzionata nell’ordinanza interlocutoria, secondo cui i servizi riservati in via esclusiva a Poste italiane dal D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4 non contemplano la mera spedizione di un atto d’impugnazione, che sarebbe concettualmente diversa dalla “notificazione a mezzo posta di atti giudiziari”, perchè volta a far pervenire l’atto che ne è oggetto non a una controparte, bensì a un ufficio giudiziario (Cass. pen., 28 novembre 2013/22 gennaio 2014, n. 2886; 6 novembre 2014/18 maggio 2015, n. 20380; 3 maggio/1 agosto 2017, n. 38206).

12.- La giurisprudenza nazionale non tiene adeguato conto della normativa e della giurisprudenza unionali.

Anzitutto l’opzione della giurisprudenza penale trova espressa smentita in quella della Corte di giustizia.

La direttiva modificata n. 97/67/CE definisce i “servizi postali” come i servizi che includono la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione degli invii postali (art. 2, punto 1, che non è sensibilmente diverso dal testo previgente, che li definiva come “servizi che includono la raccolta, lo smistamento, l’instradamento e la distribuzione degli invii postali”).

L’”invio postale” è, da parte sua, definito come l’invio, nella forma definitiva al momento in cui viene preso in consegna, dal fornitore di servizi postali (art. 2, punto 6, che, nella versione antecedente alla modifica disposta dalla direttiva n. 2008/6, si riferiva all’invio nella forma definitiva al momento in cui viene preso in consegna dal fornitore del servizio universale).

Sicchè l’invio per posta di atti processuali è un invio postale e il servizio relativo entra nel novero dei servizi postali (Corte giust. in causa C-545/17, cit., punto 40, che si riferisce, peraltro, giustappunto all’invio per posta agli organi giurisdizionali presi in considerazione dalle suddette pronunce penali di questa Corte; in termini anche Corte giust. 31 maggio 2018, cause C-259/16 e C-260/16, Confetra, punto 33).

12.1.- Non è quindi possibile distinguere, all’interno della nozione di “invio postale” rilevante ai fini del diritto unionale, il segmento della spedizione rispetto a quello del recapito.

13.- Ma ciò che qui preme soprattutto rilevare e valutare è il rapporto della giurisprudenza civile di questa Corte con il diritto dell’Unione.

A seguito della direttiva n. 2008/6/CE, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 27 febbraio 2008, il diritto unionale è di ostacolo al riconoscimento di diritti speciali o esclusivi a un operatore postale (in termini, Corte giust. in causa C-545/17, cit., punti 67-68); sicchè non può essere riconosciuta a un operatore una tutela particolare idonea a incidere sulla capacità delle altre imprese di esercitare l’attività economica consistente nell’instaurazione e nella fornitura di servizi postali nello stesso territorio, in circostanze sostanzialmente equivalenti.

Il principio ha portata generale: “il fatto che uno Stato membro riservi un servizio postale, che questo rientri o no nel servizio universale, a uno o a più fornitori incaricati del servizio universale costituisce un modo vietato per garantire il finanziamento del servizio universale” (Corte giust. in causa C-545/17, cit., punto 53).

13.1.- Ne consegue che l’art. 8 della direttiva, che non è stato novellato, va interpretato restrittivamente (con riferimento, peraltro, ai soli invii raccomandati e non già a quelli ordinari), perchè introduce una deroga al principio.

In questa logica non incide la circostanza che il diritto esclusivo o speciale per l’instaurazione e la fornitura di servizi postali sia concesso a un fornitore del servizio universale nel rispetto dei canoni di obiettività, di proporzionalità, di non discriminazione e di trasparenza. Si arriverebbe, altrimenti, a circoscrivere la portata del divieto posto dall’art. 7, paragrafo 1, prima frase, della direttiva modificata e, pertanto, a compromettere la realizzazione dell’obiettivo, ivi perseguito, di completare il mercato interno dei servizi postali.

13.2.- Ora, nel regime nazionale successivo alla direttiva n. 2008/6/CE e anteriore a quello introdotto dalla novella del 2011, applicabile all’epoca dei fatti di causa, così come nel regime successivo a tale novella e antecedente alla L. n. 124 del 2017, a s.p.a. Poste Italiane resta riservato in via esclusiva, per il profilo d’interesse, il servizio della notificazione a mezzo posta degli atti processuali; e ciò si correla all’esclusivo riconoscimento del diritto speciale in virtù del quale la veridicità dell’apposizione della data mediante proprio timbro è presidiata dal reato di falso ideologico in atto pubblico, giacchè la si riferisce all’attestazione di attività compiute da un pubblico agente nell’esercizio delle proprie funzioni (tra varie, Cass. 4 giugno 2018, n. 14163 e 19 luglio 2019, n. 19547).

14.- A sostegno di tale regime, e, in particolare, dei vantaggi in cui esso si esprime, non sono dimostrate le ragioni di ordine pubblico o di pubblica sicurezza idonee a derogare, a norma dell’art. 8 della direttiva n. 97/67/CE, alla norma generale prevista all’art. 7 della direttiva modificata, nell’accezione che ne fornisce il diritto unionale.

14.1.- Per ricorrere alla deroga occorre difatti che lo Stato membro dimostri “l’esistenza di un interesse pubblico” (Corte giust. in causa C-545/17, Pawlak, punto 73). Quest’interesse, ha ammonito la Corte di giustizia (con la medesima sentenza, punto 74), si deve esprimere in una giustificazione oggettiva della deroga.

15.- La giurisprudenza di questa Corte assume, invece, si è visto, che nel diritto interno l’interesse pubblico consista nella forza fidefaciente degli atti redatti dall’operatore postale di Poste italiane, che si riverbera sulla funzione probatoria ancorata all’invio raccomandato.

Questa nozione d’interesse pubblico si risolve in una petizione di principio, perchè identifica la conseguenza dello status di una categoria di operatori postali e, quindi, il vantaggio loro attribuito, con la giustificazione oggettiva dell’attribuzione.

15.1.- Nè maggiori lumi si ricavano dalla relazione che ha accompagnato il D.Lgs. n. 58 del 2011, in cui si legge che le ragioni di ordine pubblico sono relative “al contenuto degli invii”, ricorrendo, anche in tal caso, a una mera tautologia.

15.2.- Non è quindi chiarito quali fossero le esigenze di ordine pubblico richiamate dal D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4; quel che è chiaro è che la riserva risponde ancora all’esigenza di finanziare il servizio postale universale. Di là da un mero maquillage, difatti, il D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 10 continua a stabilire, anche dopo la novella del 2011, che il fondo di compensazione, che è volto a garantire l’espletamento del servizio postale universale, è alimentato nel caso in cui il fornitore del predetto servizio non ricava “dalla fornitura del servizio universale e dai servizi in esclusiva di cui all’art. 4 entrate sufficienti a garantire l’adempimento degli obblighi gravanti sul fornitore stesso”.

Sicchè è ragionevole ritenere che le ragioni poste a sostegno della riserva siano ancora quelle del finanziamento del rifornitore del serviizo universale, benchè vietate dalla direttiva n. 2008/6/CE. 15.3.- La Corte di giustizia, del resto, facendo leva sulla considerazione che gli altri operatori “…dispongano dei mezzi organizzativi e personali adeguati” a recapitare gli atti processuali, ha ritenuto che mancasse la giustificazione oggettiva inerente a ragioni di ordine pubblico o di sicurezza pubblica a fronte di una norma di diritto nazionale – in quel caso, polacco – che riconosceva come equivalente alla presentazione di un atto processuale dinanzi all’organo giurisdizionale interessato soltanto il deposito di un simile atto presso un ufficio postale dell’unico operatore designato per fornire il servizio postale universale (Corte giust. in causa C-545/17, cit., punto 77).

16.- Da quanto sopra discende che, al momento dell’esecuzione della notificazione della quale si discute, la vigente direttiva n. 2008/6/CE imponeva già al legislatore italiano l’abolizione di qualsiasi riconoscimento, salvo il ricorrere di determinate, restrittive e rigorose condizioni, di diritti speciali o esclusivi a taluni operatori del servizio postale.

L’obbligo di adeguamento al diritto unionale così imposto era già incluso, per conseguenza, tra i principi del diritto nazionale e, con esso, la generale potenziale idoneità dell’operatore di poste private a compiere l’attività di notificazione di atti processuali, indipendentemente dal fatto che ancora pendesse per lo Stato italiano il termine, fissato al 31 dicembre 2010 dall’art. 2 della direttiva n. 2008/6/CE, per mettere “…in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi…” alla direttiva.

La circostanza che il diritto interno non si è compiutamente adeguato, fino alla L. n. 124 del 2017, a tale impostazione e ha mantenuto in capo a s.p.a. Poste italiane i suddetti diritti esclusivi e speciali non può conferire loro la forza di “sistema”, nel senso di far considerare radicalmente estranea a esso l’attività di notificazione postale di atti giudiziari da parte dell’operatore postale privato.

16.1.- La prevista astratta possibilità di tale attività rende di per sè riconoscibile la fattispecie della notificazione in quella eseguita da quell’operatore, anche sotto il profilo soggettivo (in base alle precisazioni di Cass., sez. un., nn. 14916 e 14917/16, cit., che ha esaminato il regime della notificazione del ricorso per cassazione, ma che ha dettato principi di chiaro valore espansivo). Non v’è quindi quella completa esorbitanza dallo schema generale degli atti di notificazione che ne sostanzia l’inesistenza giuridica (Cass., sez. un., 4 luglio 2018, n. 17533, punto 9.1.5), perchè l’attività svolta appartiene al tipo contemplato dal complessivo sistema normativo.

17.- Resta, tuttavia, la difformità di tale attività dalla concreta regolazione interna vigente. E, sotto tale profilo, rileva in particolare la mancata adozione della disciplina inerente al necessario titolo abilitativo (di cui, quindi, il soggetto operante nel caso di specie era sicuramente sprovvisto).

Il titolo abilitativo comporta la soggezione a un regime giuridico particolare, fonte di conferimento di diritti, ma anche di assunzione di obblighi specifici. Sicchè è la soggezione a tale regime che determina l’acquisizione dello status che fonda la distinzione tra operatori postali.

17.1.- Il che assume, ha precisato ancora la Corte di giustizia, una particolare valenza proprio con riguardo alle attività di notificazione di atti giudiziari, mediante le quali l’operatore è investito di prerogative inerenti ai pubblici poteri al fine di poter rispettare gli obblighi che incombono su di lui; “tali servizi mirano non già a rispondere a particolari esigenze di operatori economici o di taluni altri utenti particolari, bensì a garantire una buona amministrazione della giustizia, nella misura in cui essi permettono la notifica formale di documenti nel quadro di procedimenti giurisdizionali o amministrativi” (Corte giust. 16 ottobre 2019, cause C-4/18 e C5/18, Winterhoff e altro, punto 58).

Conforme è la giurisprudenza costituzionale, che ha fatto leva sul particolare statuto di regole al quale è assoggettato l’agente per la riscossione al fine di giustificare in relazione a esso il regime differenziato rispettivamente previsto per la notificazione diretta delle cartelle di pagamento, degli atti impositivi e dei ruoli dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14 e della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 161, (Corte Cost. 23 luglio 2018, n. 175 e 24 aprile 2019, n. 104).

17.2.- Tutto ciò peraltro si risolve in una violazione di specifici vincoli normativi, che configura una mera nullità dell’attività notificatoria in questione; laddove l’astratta compatibilità della medesima col complessivo sistema normativo esclude che si possa parlare di inesistenza.

18.- In quanto nulla, la notificazione è sanabile e nel caso in esame è stata sanata per effetto della costituzione in giudizio dell’Equitalia.

19.- Il motivo va quindi respinto.

20.- Inammissibile è il secondo motivo di ricorso col quale Equitalia lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 3 e 5, , la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, l’omesso esame e il difetto parziale di giurisdizione “in ordine ai provvedimenti emessi sulla scorta di sanzioni amministrative e contributi previdenziali versati la cui giurisdizione era quella del giudice ordinario”.

20.1.- Mancano, difatti, a fronte della specificazione dell’oggetto del contendere contenuta nella sentenza impugnata e riportata in narrativa, la puntuale indicazione e la descrizione del contenuto delle cartelle concernenti i contributi previdenziali, delle quali la ricorrente si limita a indicare due soli numeri.

21.- Inammissibile è, infine, il terzo motivo di ricorso, col quale si deduce l’omesso esame circa il fatto decisivo consistente nelle modalità di notificazione di cinque cartelle, giacchè, si sostiene, Equitalia e Agenzia delle entrate “giammai hanno allegato relate contenenti raccomandate spedite all’indirizzo di (OMISSIS)”, ossia a un indirizzo diverso da quello di effettiva residenza della contribuente.

21.1.- Il motivo è carente di specificità, giacchè non si evince che le cartelle enumerate in ricorso in relazione alla censura in questione siano giustappunto quelle sulle quali ha fatto leva il giudice d’appello, soprattutto considerando che la stessa ricorrente ha riferito in narrativa di aver notificato ben quattordici cartelle di pagamento, e di averne allegato gli estratti di ruolo relativi e le relate di notificazione.

22.- In definitiva, il ricorso va respinto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:

“In tema di notificazione di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla L. n. 124 del 2017, e tale nullità è sanabile per raggiungimento dello scopo per effetto della costituzione della controparte”.

22.1.- Le spese vanno compensate, in ragione del mutamento della giurisprudenza.

P.Q.M.
la Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto, nei confronti della ricorrente, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2020


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 21-11-2019) 17-01-2020, n. 946

P.L. impugnava un estratto di ruolo in relazione alla cartella esattoriale n. (OMISSIS), relativa ad Irpef, Irap ed Iva, oltre accessori, per complessivi Euro 57.114,65, in ordine a maggiori tributi per omessi versamenti attinenti l’anno 2005, oltre sanzioni. Il contribuente contestava di non aver mai ricevuto la notifica della cartella di pagamento ed affermava che, in conseguenza, l’Amministrazione finanziaria era decaduta dal potere di azionare la pretesa tributaria.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

P.L., rappresentato e difeso, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dall’Avv.to Rosario Marino, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore alla piazza Garibaldi n. 326 in Napoli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

e contro

Equitalia Sud Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta mandato steso in calce dell’atto di costituzione, dagli Avv.ti Francesco Amodio, che ha indicato recapito PEC, e Giovanni Beatrice, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, alla via Nomentana n. 91 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 302, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Napoli il 25.10.2013 e pubblicata il 29.11.2013;

Ascoltata, in Camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio.

Svolgimento del processo
P.L. impugnava un estratto di ruolo in relazione alla cartella esattoriale n. (OMISSIS), relativa ad Irpef, Irap ed Iva, oltre accessori, per complessivi Euro 57.114,65, in ordine a maggiori tributi per omessi versamenti attinenti l’anno 2005, oltre sanzioni. Il contribuente contestava di non aver mai ricevuto la notifica della cartella di pagamento ed affermava che, in conseguenza, l’Amministrazione finanziaria era decaduta dal potere di azionare la pretesa tributaria.

La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli accoglieva il ricorso, rilevando che l’Incaricato per la riscossione, Equitalia Sud Spa, aveva prodotto tardivamente la documentazione relativa all’intervenuta notifica della cartella esattoriale.

L’Incaricato per la riscossione proponeva impugnazione innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania ed allegava nuovamente la documentazione relativa alla contestata notifica della cartella esattoriale. Il contribuente replicava affermando che non è consentito produrre nuove prove in appello nel giudizio tributario, e comunque la notifica doveva ritenersi invalida, in quanto effettuata nelle mani del padre, persona incapace perchè affetta dal morbo di Alzheimer. La CTR osservava che è consentita la produzione di nuovi documenti in appello quando gli stessi risultino indispensabili ai fini della decisione da assumere. Affermava, inoltre, la validità della notifica effettuata nelle mani del padre del ricorrente, “che sarebbe incapace perchè affetto dal morbo di Alzheimer” (sent. CTR, p. ult.) perchè “ogni contestazione in ordine alla sua correttezza avrebbe richiesto una previa querela di falso” (ibidem). In conseguenza accoglieva il ricorso e rigettava l’originaria impugnazione proposta dal contribuente, affermando la legittimità della cartella esattoriale.

Avverso la decisione assunta dalla CTR della Campania ha proposto ricorso per cassazione P.L., affidandosi a quattro motivi di impugnazione e proponendo anche contestuale istanza cautelare di sospensione degli effetti dell’atto, nonchè domanda di trattazione del giudizio in pubblica udienza. Resistono mediante controricorso L’Incaricato per la riscossione, Equitalia Sud Spa, e l’Ente impositore, l’Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione
Preliminarmente occorre osservare che la disciplina propria del giudizio tributario, dettata al D.P.R. n. 546 del 1992, art. 47, non prevede che la Cassazione possa essere investita della domanda cautelare di sospensione dell’atto impositivo impugnato. La Corte di legittimità del resto non è mai competente a decidere, salvo discipline speciali, in materia di istanza cautelare di sospensione degli effetti degli atti impugnati, neppure secondo quanto previsto dalla disciplina generale del codice di rito, cfr. art. 373 c.p.c.. In conseguenza l’istanza di sospensione degli effetti dell’impositivo atto impugnato, proposta dal ricorrente innanzi alla Suprema Corte, deve essere ritenuta inammissibile.

Inoltre non ricorrono, nel caso di specie, le condizioni previste dalla legge all’art. 375 c.p.c., u.c., (“particolare rilevanza della questione di diritto”), perchè il giudizio sia trattato in pubblica udienza.

1.1. – Con il primo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il contribuente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, perchè la relata di notifica della cartella esattoriale era stata prodotta da controparte soltanto in copia, e comunque alla stessa non era stata allegata la cartella esattoriale.

1.2. – Mediante il secondo mezzo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il contribuente contesta la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 237, lett. a), per avere la CTR ritenuto valida la notificazione della cartella di pagamento sebbene effettuata in favore di persona diversa dal destinatario, senza invio della raccomandata informativa al destinatario.

1.3. – Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente afferma la nullità e/o inesistenza della notificazione della cartella di pagamento perchè i giudici del merito non hanno “affrontato il problema della avvenuta notifica all’indirizzo diverso del destinatario” (ric., p. 5).

1.4. – Mediante il quarto mezzo di ricorso il contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 221, 222 e 335 c.p.c., per avere la CTR ritenuto legittima la notifica della cartella esattoriale effettuata nella mani del padre, persona incapace perchè affetta dal morbo di Alzheimer, ritenendo che ogni contestazione in materia dovesse farsi valere mediante querela di falso, essendo comunque stato richiesto nell’atto di appello (p. 13) che se la CTR “avesse ritenuto rilevante la relata di falso che sarà prodotta”, fosse domandato a controparte se intendesse valersene in giudizio e, per il caso di risposta positiva, che il giudizio fosse sospeso e le parti rimesse davanti al Tribunale ordinario per il relativo procedimento.

2.1. – 2.2. – 2.3. – Con i suoi primi tre motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta connessione, il ricorrente contesta vizi di regolarità della notifica della cartella esattoriale per cui è causa.

In particolare ne afferma la invalidità, in primo luogo, perchè l’Incaricato per la riscossione non ha prodotto in giudizio la copia della cartella esattoriale che assume di avere notificato. Inoltre, afferma la invalidità della notifica in conseguenza della consegna a persona diversa dal destinatario, senza che quest’ultimo sia stato poi avvertito mediante raccomandata informativa. Ancora, l’invalidità della notifica dipende dall’essere stata effettuata nelle mani del padre, persona diversa dal destinatario, ed alla (OMISSIS), mentre il domicilio dell’odierno ricorrente è alla (OMISSIS)/C. I motivi di ricorso appaiono in larga parte inammissibili, e devono valutarsi per il resto infondati. Il contribuente non illustra, invero, in quali ulteriori atti dei giudizi di merito abbia proposto le sue censure e con quali formule, avendo pure cura di annotare mediante quali atti li abbia diligentemente coltivati, in modo da consentire a questa Corte di legittimità la valutazione che le compete circa la tempestività e congruità delle critiche proposte, prima ancora di procedere a verificarne la decisività.

Completezza suggerisce peraltro di aggiungere che la notificazione dell’atto conseguente ad una pretesa tributaria può essere effettuata dall’Incaricato per la riscossione mediante il servizio postale, servendosi della raccomandata con ricevuta di ritorno, come espressamente sancito anche dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26. La Cassazione, del resto, ha anche avuto occasione di precisare come sia sufficiente, per il relativo perfezionamento “che la consegna del plico sia avvenuta presso il domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale, se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente… l’atto è valido… anche se manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma” (Cass. sez. V, sent. 27.5.2011, n. 11708; conforme sul punto: Cass. sez. V, sent. 6.6.2012, n. 9111). Inoltre, “non sussiste alcun onere probatorio dell’Agente per la riscossione avente ad oggetto l’esibizione in giudizio della copia delle cartelle nel loro contenuto integrale, nemmeno ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 4, che peraltro ne prevede la conservazione in alternativa alla “matrice” (la quale è l’unico documento che resta nella disponibilità dell’Agente nel caso in cui opti per la notificazione della cartella di pagamento nelle forme ordinarie o comunque con messo notificatore anzichè con raccomandata con avviso di ricevimento)” Cass. sez. III, sent. n. 10326 del 2014 (in senso conforme Cass. sez. III, sent. 7.5.2015, n. 9246, Cass. sez. VI-V, ord. 11.10.2018, n. 25292). Nel caso di specie deve pure rilevarsi che il contribuente non ha neppure allegato in che cosa l’estratto di ruolo (“matrice”) avrebbe avuto a differenziarsi dall’originale.

Del resto, la Suprema Corte ha pure opportunamente chiarito che “l’estratto di ruolo” o matrice, “è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale”. Pertanto, quando l’estratto correttamente riporta “tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria… esso costituisce prova idonea dell’entità e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale”, Cass. sez. III, sent. 8.6.2016, n. 11794. Infine, appare ancora opportuno ricordare la condivisibile giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui “in tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, mediante invio diretto della raccomandata con avviso di ricevimento da parte del concessionario, non è necessario l’invio di una successiva raccomandata informativa in quanto trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario, peraltro con esclusione della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, in quanto privo di efficacia retroattiva, e non quelle della L. n. 890 del 1982”, Cass. sez. VI-V, ord. 10.4.2019, n. 10037.

In merito all’affermata divergenza dell’indirizzo del ricorrente rispetto a quello del padre, poi, occorre innanzitutto osservare che non ci troviamo in presenza di indirizzi totalmente diversi ma, al più, di un indirizzo di notifica parzialmente incompleto, perchè indicato in (OMISSIS), anzichè (OMISSIS). Invero il contribuente non illustra come abbia inteso dimostrare che ci troviamo in presenza di due diverse abitazioni e non, ad esempio, della mancata indicazione della scala in relazione al medesimo immobile. In realtà la CTR non incorre nel vizio di omesso esame lamentato dal ricorrente, perchè afferma testualmente che “la notifica” è stata effettuata “presso il domicilio dell’appellato nelle mani di suo padre” (sent. CTR, p. ult.). Il ricorrente non si confronta con l’affermazione del giudice impugnato, mentre sarebbe stato suo specifico onere processuale indicare come avesse dimostrato che l’indirizzo proprio e quello del padre differivano, in quanto relativi ad abitazioni diverse, servendosi ad esempio delle certificazioni anagrafiche, mentre nel ricorso per cassazione si è limitato ad affermare che “in uno dei certificati medici relativo al P.P. (padre del destinatario) ed esattamente quello riferito all’anno 2010 viene riportato come indirizzo quello di (OMISSIS)” (ric., p. 5 s.). L’allegazione risulta peraltro inammissibile per difetto di specificità, perchè il ricorrente neppure prospetta di avere allegato il certificato e, soprattutto, non indica in quale parte dei fascicoli dei giudizi di merito esso sia rinvenibile.

I primi tre motivi di ricorso devono essere pertanto respinti.

2.4. – Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente contesta che la CTR ha ritenuto legittima la notificazione della cartella esattoriale effettuata nelle mani del padre, persona però incapace, perchè affetta dal morbo di Alzheimer, e per non aver consentito la proposizione della querela di falso, sebbene abbia poi affermato che fosse questa l’unica modalità per contestare la validità della notifica.

In proposito occorre subito rilevare come dal ricorrente non sia neppure allegato che il padre, il quale ha ricevuto la notificazione, si trovasse, all’epoca in cui la stessa è stata recapitata, in condizione di incapacità dichiarata.

Il rigetto della contestazione proposta dal ricorrente da parte del giudice dell’appello, invero, appare fondato, anche se risulta opportuno correggere la motivazione. Infatti, questa Corte di legittimità, come segnalato anche dall’Incaricato per la riscossione nel suo controricorso, ha già avuto occasione di chiarire che “sulla validità della notificazione di un atto (nella specie ingiunzione fiscale), mediante consegna di copia a mani di familiare capace… non incide la circostanza che il destinatario dell’atto medesimo si trovi in situazione di incapacità naturale”, Cass. sez. I, sent. 18.1.1979, n. 352, e non ha poi mancato di precisare che “in materia di notificazioni, il limite di validità… va individuato nella palese incapacità dell’”accipiens” (legalmente equiparata all’immaturità di un minore di 14 anni), dovendosi escludere che l’ufficiale giudiziario sia tenuto a compiere indagini particolarmente approfondite sulla capacità di quest’ultimo, potendosi limitare ad un esame superficiale. Nè assume rilievo, quale causa di nullità della predetta notificazione, la prova della mera incapacità naturale, temporanea, del consegnatario. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto invalida la notificazione di un avviso di accertamento avvenuta a mani della moglie convivente del contribuente, la quale, affetta da una “grave forma di ipertensione”, non immediatamente percepita dall’ufficiale giudiziario, aveva poi dimenticato di consegnare l’atto al destinatario)”, Cass. sez. V, sent. 12.3.2014, n. 5669.

Anche il quarto motivo di ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

In definitiva, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione del valore della causa, delle ragioni della decisione e della peculiarità della controversia.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto da P.L., che condanna al pagamento delle spese di lite in favore delle costituite controricorrenti, e le liquida in complessivi Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito, in favore dell’Agenzia delle Entrate, ed Euro 6.000,00, oltre spese generali nella misura del 15% ed esborsi per Euro 200,000, in favore di Equitalia Sud Spa.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 04-12-2019) 12-02-2020, n. 3394

Secondo il chiaro insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 15/07/2016, n. 14594): “In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa.”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1444/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

BANCA ADRIA – CREDITO COOPERATIVO DEL DELTA SOC. COOP., rappresentata e difesa dall’avv. Augusto Fantozzi, dall’avv. Roberto Tieghi, dall’avv. Roberto Altieri e dall’avv. Daniela Cutarelli, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, in via Sicilia, n. 66. – controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione n. 31, n. 34/31/2013, pronunciata il 28/10/2013, depositata il 20/11/2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. De Matteis Stanislao che ha depositato requisitoria scritta in forma di memoria, senza rilievi delle parti costituite, e ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. Barbara Tidore per l’Avvocatura Generale dello Stato;

udito l’avv. Daniela Cutarelli per la controricorrente.

Svolgimento del processo
1. La Banca contribuente, con separate istanze, chiese il rimborso della maggiore IRAP, versata cautelativamente per le annualità 2003 e 2004, rispetto a quella dovuta in applicazione dell’aliquota del 4,25% del D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 16, comma 1, in luogo di quella del 5,25%, introdotta con la L.R. Veneto n. 34 del 2002 e L.R. Veneto n. 38 del 2003.

Perfezionatosi il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria, la contribuente presentò due distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Rovigo che, nel contraddittorio dell’ufficio, ne dispose la riunione e li accolse, con sentenza n. 75/2010.

2. L’Agenzia ha interposto appello ed ha chiesto, in via principale, la riforma della sentenza di primo grado, per effetto dell’applicazione dell’aliquota IRAP del 5,25%, e, in subordine, l’applicazione dell’aliquota del 4,75% prevista, per le banche e le società finanziarie, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 45, comma 2.

3. La Commissione tributaria regionale del Veneto, con la sentenza in epigrafe, ha integralmente rigettato l’appello dell’Agenzia, confermando la pronuncia di primo grado che, dal canto suo, aveva fissato nella misura del 4,25% l’aliquota IRAP dovuta dall’istituto di credito per gli anni 2003, 2004.

Il giudice d’appello ha rilevato che: (a) la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. a), aveva disposto la sospensione di ogni norma emanata dalle Regioni, in materia di aliquote IRAP, in data successiva ai 29 settembre 2002, quindi anche l’aumento dell’aliquota sancito con le leggi reg. Veneto nn. 34/2002, 38/2003, per le annualità in contestazione; (b) la sospensione degli aumenti delle maggiorazioni delle aliquote IRAP di cui alla citata L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a), era stata confermata dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 21, la cui legittimità costituzionale era stata riconosciuta dalla Corte Cost. (sentenza n. 381/2004).

Perciò ha negato l’applicabilità dell’aliquota del 4,75% (della quale l’Agenzia aveva chiesto l’applicazione in via subordinata), rilevando che, per un verso, la citata L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a), aveva disposto la sospensione degli aumenti di un punto (dal 4,25% al 5,25%), delle aliquote IRAP, per gli anni 2003 e 2004, “che non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002”, e che, per altro verso, le leggi reg. Veneto nn. 34/2002, 38/2003 non erano confermative della precedente aliquota del 4,75%, ma prevedevano la maggiorazione di un punto percentuale, sospesa dalla citata L. n. 289 del 2002.

4. L’Agenzia ha proposto ricorso per la cassazione, sulla base di un unico motivo, cui la Banca ha resistito con controricorso.

5. La causa è stata trattenuta in decisione al termine della pubblica udienza del 10/07/2019 e, successivamente alla camera di consiglio di questa Corte, svoltasi lo stesso giorno, la difesa della banca, in data 19/07/2019, ha depositato un’istanza di rimessione della causa sul ruolo al fine di consentire al Collegio di valutare, nel contraddittorio delle parti, la tempestività del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate.

6. La causa è stata quindi rimessa sul ruolo, con fissazione di pubblica udienza, al fine di valutare, nel contraddittorio delle parti, l’istanza della contribuente.

Motivi della decisione
a. Preliminarmente, la Corte ritiene non fondata l’eccezione della Banca d’inammissibilità del ricorso, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo cui il ricorso deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti di causa. Disposizione – quest’ultima – che, nella prospettiva della contribuente, sarebbe stata disattesa in quanto l’ufficio, nella stesura del ricorso per cassazione, avrebbe adottato l’inammissibile tecnica del c.d. “ricorso farcito”, attraverso la riproduzione degli gli atti di causa, senza compiere la doverosa sintesi dei fatti rilevanti per la formulazione delle ragioni dell’impugnazione.

E’ ius receptum, al quale il Collegio aderisce, che: “(…) la tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi “assemblati” o “farciti” o “sandwich” implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti. Tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le problematiche della vicenda e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso. La Corte di cassazione, infatti, non ha l’onere di provvedere all’indagine e alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso. (…) (sull’inammissibilità dei cosiddetti ricorsi “farciti” o “sandwich” è sufficiente qui rinviare alle considerazioni espresse da questa Corte nelle pronunce n. 784 del 2014; n. 22792 e n. 10244 del 2013; n. 17447 del 2012; n. 5698 del 2012, sezioni unite; n. 1380 del 2011; e n. 15180 del 2010). Nella specie, tuttavia, può ritenersi che, nonostante la sua materiale integrazione nel ricorso, tale imponente coacervo di documenti riprodotti integralmente – in quanto facilmente individuabile e isolabile – possa agevolmente espungersi dal ricorso stesso, riconducibile perciò a dimensioni e contenuti rispettosi del canone di sinteticità configurato nel modello legislativo del giudizio per cassazione.” (Cass. 18/09/2015, n. 18363; in senso conforme: Cass. 3/02/2004, n. 1957).

Nel caso in esame, ritiene la Corte che, malgrado nel ricorso siano riprodotti, con la tecnica del “copia e incolla”, gli atti del giudizio di merito, ciò che ne appesantisce la lettura, tuttavia, superate queste interpolazioni, si intravede un certo, sufficiente sforzo di sintesi e di selezione dei fatti salienti della vicenda processuale.

1. La banca, come suaccennato, nella memoria del 18/07/2019, ha eccepito la tardività della notifica, del ricorso per cassazione dell’Agenzia.

1.1. L’eccezione è fondata.

Secondo il chiaro insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 15/07/2016, n. 14594): “In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa.”.

Nella fattispecie concreta i requisiti di immediatezza e tempestività, indicati dalle sezioni unite, mancano sicuramente in quanto: (a) la sentenza della CTR è stata depositata il 20/11/2013; (b) conseguentemente il c.d. termine lungo, ex art. 327 c.p.c., comma 1, pari ad un anno e quarantasei giorni, per proporre il ricorso per cassazione scadeva il 5/01/2015; (c) la notifica a mezzo posta, iniziata il 2/01/2015, non è andata a buon fine: in particolare, nell’avviso di ricevimento, l’addetto al recapito attesta, in data 8/01/2015, che il destinatario della notifica (Banca Adria) è “trasferito”; (d) l’Avvocatura dello Stato non ha indicato la data in cui ha appreso dell’esito negativo del primo tentativo di notifica; (e) il processo notificatorio (attuato tramite ufficiale giudiziario, che si è avvalso del servizio postale), è stato ripreso, tardivamente, soltanto il 2/04/2015 e la notifica è andata a buon fine l’8/04/2015.

2. Il ricorso di conseguenza è inammissibile per tardività della notifica, il che esime il Collegio dall’esame dell’unico motivo e comporta, altresì, la condanna dell’Agenzia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

3. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso, condanna l’Agenzia delle entrate a corrispondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.700,00, a titolo di compenso, oltre a Euro 200,00, per esborsi, al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15% del compenso, e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 12 febbraio 2020


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 12-12-2019) 21-02-2020, n. 4675

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liliana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26404-2014 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO 12, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO CASCIARO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CITTADINO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

EQUITALIA NORD SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato ENRICO FRONTICELLI BALDELLI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti – avverso la sentenza n. 352/2014 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA, depositata il 21/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2019 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

Svolgimento del processo
1. R.G. impugnava il provvedimento di avvenuta iscrizione ipotecaria – comunicatogli il 3.05.2011 – per l’importo di Euro 42.230,74 non preceduta dalla preventiva notifica della cartella esattoriale e degli avvisi di accertamento.

La CTP di Genova respingeva il ricorso con sentenza appellata dal contribuente.

La CTR della Liguria respingeva il gravame sul rilievo che la cartella risultava notificata presso la residenza fiscale del contribuente in via (OMISSIS), dove era stata consegnata a persona addetta alla casa, aggiungendo che, peraltro, in ordine a detta cartella, il ricorrente aveva anche presentato domanda di annullamento in autotutela per l’imposta dell’annualità 2005, chiedendo lo sgravio della cartella esattoriale.

r.G. ricorre sulla base di tre motivi avverso la sentenza n. 352/5/2013depoistata il 21.03.2014.

La società Equitalia Sud s.p.a. e l’Agenzia delle entrate resistono con controricorso.

Motivi della decisione
2.Con la prima censura si lamenta la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 60 e 26, ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici regionali erroneamente ritenuto correttamente notificata la cartella presso un domicilio diverso da quello reale, assumendo che l’istanza di annullamento in autotutela di quell’atto tributario confermava la legittimità delle operazioni notificatorie.

Deduce il ricorrente che, perché possa ritenersi valida, la notificazione deve avvenire attraverso vie legali in quanto atti recettizi.

3.Con la seconda censura, che deduce violazione del D.P.R. cit., art. 26, ex art. 360 c.p.c., n. 3), si lamenta l’illegittimità della notificazione della cartella, richiamando il procedimento notificatorio come regolato dall’art. 138 c.p.c. e ss.

4.Con il terzo mezzo, il contribuente lamenta la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 77 e 50, per avere il decidente erroneamente affermato la legittimità della iscrizione ipotecaria pur in assenza della preventiva comunicazione contenente l’avviso che, in mancanza di pagamento del debito tributario, sarà iscritta l’ipoteca, senza considerare che la carenza della preventiva comunicazione aveva viziato la procedura di iscrizione di ipoteca.

5. Le prime due censure, che possono essere scrutinate congiuntamente, sono inammissibili prima che destituite di fondamento, in quanto noh attingono entrambe le rationes decidendi che fondano la sentenza impugnata.

6.11 decidente ha affermato che, pur avendo il contribuente la residenza anagrafica in (OMISSIS), la sua residenza fiscale era in Genova alla via (OMISSIS), dove la cartella era stata consegnata a mani di persona addetta alla casa, asserendo altresì che ” il ricorrente ebbe a presentare istanza di autotutela di annullamento della cartella, senza nulla eccepire in merito ai vizi di notificazione” argomentazione che ha certamente influito sul dispositivo della decisione, ma che non viene censurata dal contribuente.

7. Occorre, nel merito, evidenziare che a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune nella cui anagrafe sono iscritte ed inoltre che “in tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il Comune di domicilio fiscale delle parti, con la precisazione dell’indirizzo, mentre il D.P.R. n. 600 cit., art. 60, prevede che “è in facoltà del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel Comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano” e che “in tal caso l’elezione di domicilio deve risultare espressamente dalla dichiarazione annuale ovvero da altro atto comunicato successivamente al competente ufficio imposte a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento”, ma non precisa particolari requisiti formali per tale elezione di domicilio, onde se, come nella specie è pacifico, il contribuente abbia indicato proprio nella dichiarazione annuale espressamente il proprio indirizzo situato nel Comune di domicilio fiscale, tale indicazione non può che equivalere ad elezione di domicilio nel suddetto indirizzo. Peraltro, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, ha affermato che, in caso di difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del Comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 4, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento), essendo appena il caso di evidenziare che il principio sopra riportato non può ovviamente essere letto “a senso unico”((Cass. n. 23024 e 15258 del 2015; 25680 del 14/12/2016).

Peraltro, il contribuente non ha negato di aver proposto istanza di annullamento in autotutela della cartella che dimostra l’avvenuta conoscenza delle stessa.

8.La terza censura è inammissibile, in quanto che presuppone la proposizione delle relative questioni già nella fase di merito, in primis, nel giudizio di prime cure.

Il ricorrente che proponga una questione ha l’onere, difatti, di allegare l’avvenuta deduzione della questione nel giudizio di appello ed anche di indicare in quale atto processuale del giudizio precedente, in modo da consentire alla corte l’accertamento ex actis della veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 16502/2017, in motiv; n. 9138/2016). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 – 1, 09/07/2013 n. 17041; n. 25319/2017; n. 907/2018; n. 15430/2018).

Onere, che nella specie, il contribuente non ha assolto.

9.11 ricorso va dunque respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dalla concessionaria e dell’ente finanziario che liquida per la prima in Euro 4.000,00, oltre rimborso forfettario e accessori come per legge; per il secondo in Euro 4000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 08-11-2019) 21-02-2020, n. 4657

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5096/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

D.C.S., residente a (OMISSIS);

– intimata – e EQUITALIA PRAGMA S.p.a., con sede in Pescara, Viale Gabriele D’Annunzio, n. 91;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo Sezione staccata di Pescara n. 914/9/12 pronunciata il 22.3.2012 .

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8.11.2019 dal Consigliere Saieva Giuseppe.

Svolgimento del processo
Che:

1. Con sentenza 20 gennaio – 8 febbraio 2010, n. 178, la Commissione Tributaria Provinciale di Pescara rigettava il ricorso proposto da D.C.S. avverso la cartella di pagamento emessa a seguito di avviso di accertamento (non impugnato) relativo all’anno 2004 per IRPEF, IRAP ed IVA. 2. Avverso tale sentenza ha proposto appello la contribuente cui hanno resistito l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Pescara ed Equitalia Pragma S.p.A. 3. La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara con sentenza n. 914/9/12, pronunciata il 22.3.2012 e depositata il 28.6.2012, ha accolto il ricorso interposto dalla contribuente dichiarando la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento nonchè la nullità della cartella di pagamento impugnata, siccome non preceduta da rituale notifica dell’atto presupposto.

4. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a due motivi.

5. Sia la contribuente che Equitalia non si sono costituite in giudizio.

6. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del’8.11.2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, c.p.c..

Motivi della decisione
Che:

1. Con il primo motivo l’Agenzia deduce “insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione dell’art. 140 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3” assumendo che i giudici di appello non avrebbero ben compreso il contenuto della relata di notifica da cui risulta, invece, che l’adempimento previsto dall’art. 140 c.p.c., ossia “l’affissione dell’avviso di deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione del destinatario” era stato puntualmente compiuto dal messo notificatore il quale attestava di aver effettuato il “deposito in busta sigillata sulla quale è trascritto il numero 159625, cronologico della notificazione, presso la Casa Comunale di Pescara ed affissione di avviso di deposito, in busta sigillata, alla Casa Comunale nel Comune di Pescara, piazza Italia n. 1, “poichè irreperibilità” (sic), dandone notizia al destinatario domiciliataria a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento n. 16216686605-7 in data 16.12.2008 dell’Ufficio Postale di Pescara”.

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. Invero, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012, “la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, nel sistema delineato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 c.p.c., quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perchè questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile, mentre va effettuata secondo la disciplina di cui al citato art. 60, lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perchè risulta trasferito in luogo sconosciuto; accertamento, questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel comune dov’è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune” (cfr. Cass. n. 25436, n. 22796, n. 23332 del 2015, n. 24260 del 2014 e n. 1440 del 2013).

1.4. In tali casi qualora il messo notificatore riscontri la irreperibilità del contribuente presso la sua residenza anagrafica, deve effettuare il deposito presso la casa comunale ed inviare raccomandata con avviso di ricevimento (c.d. raccomandata informativa di cui all’art. 140 c.p.c.), in relazione alla quale è stato più volte affermato che “in tema di notificazione dell’accertamento tributario, qualora la notificazione sia stata effettuata nelle forme prescritte dall’art. 140 c.p.c., ai fini della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, è necessaria la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata, atteso che il messo notificatore, avvalendosi del servizio postale ex art. 140 c.p.c., può dare atto di aver consegnato all’ufficio postale l’avviso informativo, ma non attestare anche l’effettivo inoltro dell’avviso da parte dell’Ufficio postale, trattandosi di operazioni non eseguite alla sua presenza e non assistite dal carattere fidefacente della relata di notifica. (vedi Cass. n. 21132 del 2009 e Cass. n. 25985 del 2014).

1.5. In applicazione dei principi anzidetti, poichè il perfezionamento della notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., necessita del compimento di tutti gli adempimenti stabiliti da tale norma, in caso di omissione di uno di essi la notificazione è da considerarsi nulla.

1.6. Nel caso di specie l’avviso di accertamento relativo al periodo d’imposta 2004 emesso all’Agenzia delle Entrate nei confronti della D.C. risulta notificato ai sensi dell’art. 140 c.p.c., stante l’irreperibilità (c.d. relativa) della medesima presso la residenza anagrafica di Pescara, in via dei Bastioni n. 53; a tal fine l’agente notificatore del Comune di Pescara ha certificato di aver ivi notificato l’atto il 16 dicembre 2008 “mediante procedura di deposito in busta sigillata sulla quale è trascritto il n. 159625 cronologico della notificazione, presso la Casa comunale di Pescara ed affissione di avviso di deposito, in busta sigillata, alla Casa comunale, nel Comune di Pescara, piazza Italia, n. 1, “poichè irreperibilità” (sic), dandone notizia al destinatario/domiciliatario a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento in data 16 dicembre 2008 dell’ufficio postale di Pescara (OMISSIS)”, ma in assenza di qualsiasi prova della ricezione da parte della destinataria della raccomandata informativa, ne va confermata la nullità.

2. Con il secondo motivo l’Agenzia deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 “, ritenendo erronea la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha ritenuto nulla la notificazione dell’invito al contraddittorio ai fini dell’applicazione dei parametri previsti dagli studi di settore.

2.1. Detto motivo è fondato.

2.2. In base alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, qualora il piego notificato a mezzo del servizio postale non sia stato recapitato all’indirizzo del destinatario per mancanza, assenza temporanea, rifiuto ecc., la notificazione nei confronti di questi “si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2 ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”.

2.3. Come affermato da questa Corte (Cass. Sez. III, n. 10998 del 2011; nonchè, S.U. sentenza n. 1418/2012) nel caso della notifica eseguita ai sensi della L. n. 890 del 1982, spirato inutilmente il termine di dieci giorni dalla spedizione della raccomandata che informa dell’avvenuto deposito dell’atto (presso l’ufficio postale) si verifica dunque la c.d. “compiuta giacenza” ossia una situazione in cui, la notificazione si intende perfezionata nei confronti del destinatario.

3. In conclusione, il primo motivo va pertanto rigettato. Il secondo accolto con conseguente cassazione della sentenza nei limiti di cui in motivazione e rinvio degli atti al giudice a quo anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso; accoglie il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia gli atti alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo Sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Cosi deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 08-10-2019) 12-02-2020, n. 3378

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Maria Teresa Liana – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10651/2013 proposto da:

Equitalia Nord S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), – società incorporante la Equitalia Esatri S.p.A., per atto di fusione a rogito Dott. C.L. Notaio in (OMISSIS) del (OMISSIS) n. (OMISSIS) del repertorio e n. (OMISSIS) della raccolta ed a cui è subentrata in tutti i rapporti attivi e passivi ai sensi dell’art. 2504 bis c.c. -, in persona del legale rappresentante pro tempore, Dott. R.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Fiertler (C.F.: FRTGPP62A23D086S), come da procura speciale in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Salvatore Torrisi in Roma, alla via Federico Cesi n. 21;

– ricorrente –

contro

P.R., (C. F.: (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma, alla via Mazzini n. 9, presso lo studio dell’Avv. Prof. Livia Salvini (C.F.: SLVLVI57H67H501M), che lo rappresenta e difende anche disgiuntamente con gli Avv.ti Elenio Bidoggia (C.F.: BDGLNE63TO7F205V) e Giovanna Oddo (C.F.: DDOGNN67M60F205A) di Milano, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 31/45/2013 emessa dalla CTR Lombardia in data 18/02/2013 e notificata il 21/02/2013;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica dell’8/10/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott. Giovanni Giacalone nel senso del rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 247 depositata il 12/10/2011, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez. n. 42, accoglieva il ricorso presentato da P.R. avverso il preavviso di fermo amministrativo n. (OMISSIS) notificato dalla S.p.a. Equitalia in relazione alle cartelle di pagamento colà indicate, compensando le spese di lite del grado.

La S.p.a. Equitalia Esatri, con atto notificato il 06/03/12, proponeva appello avverso la predetta sentenza, chiedendone la riforma, con vittoria di spese.

P.R. si costituiva con atto depositato il 04.05.12, chiedendo il rigetto dell’impugnazione avversaria, con vittoria di spese.

Con sentenza del 18.2.2013 la CTR Lombardia rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) premesso che la CTP, nell’accogliere il ricorso del contribuente, aveva rilevato che il ricorrente non aveva mai avuto “effettiva conoscenza” delle due cartelle poste alla base dell’atto impugnato, siccome notificate presso il domicilio fiscale (a (OMISSIS)) con il rito degli irreperibili, mentre la Equitalia s.p.a. era a conoscenza del nuovo indirizzo (di (OMISSIS)) ove era posto il domicilio effettivo del P., avendo lì notificato in precedenza altre cartelle, la ratio decidendi non era stata oggetto di specifica contestazione;

2) d’altra parte, il contribuente non aveva mai allegato di non avere avuto conoscenza del provvedimento di fermo, ma solo degli atti presupposti;

3) in ogni caso, nessuna contestazione specifica era stata mossa dalla Equitalia in merito alla circostanza della sua pregressa conoscenza del nuovo effettivo domicilio in (OMISSIS) del contribuente, nel quale ha anche notificato poi il provvedimento di fermo;

4) invece, Equitalia si era fondata solo su una ricerca anagrafica superata nei fatti.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Equitalia Nord s.p.a., sulla base di cinque motivi. P.R. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che la notifica della cartella di pagamento n. (OMISSIS) era regolarmente avvenuta presso il domicilio fiscale del contribuente, non potendosi attribuire alcuna rilevanza al domicilio di fatto del medesimo (il quale ultimo, peraltro, non aveva provveduto a comunicare la variazione di indirizzo), e che la circostanza (risultante dalla relata di notificazione) che all’indirizzo coincidente con il domicilio fiscale (come attestato dall’ufficio dell’anagrafe del Comune di (OMISSIS)) il contribuente fosse irreperibile faceva fede fino a querela di falso, nel caso di specie non proposta.

1.1. Il motivo è infondato.

In tema di notifica degli atti impositivi, la cd. irreperibilità assoluta del destinatario che ne consente il compimento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), presuppone che nel Comune, già sede del domicilio fiscale dello stesso, il contribuente non abbia più abitazione, ufficio o azienda e, quindi, manchino dati ed elementi, oggettivamente idonei, per notificare altrimenti l’atto (Sez. 5, Ordinanza n. 19958 del 27/07/2018).

In quest’ottica, la notificazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 comma 1, lett. e), è ritualmente eseguita solo nella ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il messo notificatore deve svolgere nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, in esso non si rinvengano l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente. Solo in questi casi la notificazione è ritualmente effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale ed affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, nè di ulteriori ricerche al di fuori del detto comune (Sez. 1, Sentenza n. 11152 del 13/12/1996; conf. Sez. 1, Sentenza n. 5100 del 09/06/1997).

Ciò in applicazione del principio generale secondo cui le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale (di recente, Sez. 3, Ordinanza n. 19387 del 03/08/2017). Del pari, il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 24107 del 28/11/2016). Invero, le condizioni legittimanti la notificazione a norma dell’art. 143 c.p.c., non sono rappresentate dal solo dato soggettivo dell’ignoranza da parte del richiedente o dell’ufficiale giudiziario circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto, nè dal possesso del solo certificato anagrafico dal quale risulti che il destinatario è trasferito per ignota destinazione. E’ richiesto anche che la condizione di ignoranza non possa essere superata attraverso le indagini possibili nel caso concreto, che il mittente deve compiere usando l’ordinaria diligenza (Sez. 3, Sentenza n. 1092 del 03/02/1998).

Orbene, nel caso di specie, rappresenta circostanza incontestata che prima della notifica (risalente al periodo luglio-novembre 2008) delle due cartelle di pagamento oggetto di causa la stessa Equitalia aveva già provveduto a notificare (negli anni 2006-2007; cfr. pagg. 7-8 del controricorso e 2 della sentenza qui impugnata) altre cartelle presso l’indirizzo (corrispondente al domicilio effettivo) di via (OMISSIS), al pari del successivo preavviso di fermo amministrativo (cfr. pag. 3 della sentenza emessa dalla CTR).

1.2. Inconferente è, invece, la censura concernente la valenza fidefacente della attestazione, risultante dalla relata di notifica, della irreperibilità del contribuente presso il domicilio fiscale, atteso che la relativa circostanza non è contestata dal P. ed, anzi, è posta alla base della doglianza relativa all’invalidità della notifica della cartella di pagamento.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che le relate delle notificazioni di entrambe le cartelle di pagamento (attestanti l’irreperibilità del P.), così come la certificazione rilasciata dall’ufficiale dell’anagrafe del Comune di (OMISSIS) in data 25.6.2008, rappresentavano atti pubblici aventi valenza fidefacente, come tali facenti, in assenza di querela di falso, piena prova.

2.1. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.

In primo luogo, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato la relativa questione.

In secondo luogo, il fatto di cui sarebbe stato omesso l’esame è all’evidenza privo del carattere di decisività, ossia della idoneità del vizio denunciato a determinare una diversa ricostruzione del fatto, atteso che in nessun passaggio logico della sentenza impugnata viene contestato quanto emergente dalle relate di notifica (l’irreperibilità del destinatario) o dal certificato rilasciato dall’ufficio anagrafe (la circostanza che il P. avesse il domicilio fiscale in (OMISSIS)), ma, anzi, partendo da questi presupposti, si afferma che Equitalia, essendo a conoscenza del domicilio effettivo del contribuente, avrebbe dovuto notificare colà le cartelle di pagamento.

Infine, quanto alle dedotte (peraltro, in termini estremamente laconici) violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c., esse sono prive di consistenza, in quanto la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere ipotizzata come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, mentre la violazione dell’art. 116 c.p.c., è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).

3. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia la insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR precisato quale fosse il contenuto delle cartelle di pagamento notificate presso il domicilio effettivo del contribuente prima di quelle oggetto di causa nè il momento in cui la notifica delle prime era avvenuta.

3.1. Il motivo è per plurime ragioni inammissibile.

In primo luogo, non essendovi menzione della questione nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale l’avesse tempestivamente sollevata.

In secondo luogo, la circostanza che le precedenti cartelle di pagamento riguardassero la TARSU è del tutto irrilevante ai fini del presente giudizio, atteso che depone in ogni caso nel senso che la Equitalia fosse già a conoscenza del domicilio effettivo del P. e, ciò nonostante, avesse notificato le due cartelle prodromiche al preavviso di fermo amministrativo presso il domicilio fiscale risultante dalla certificazione anagrafica.

Senza tralasciare che, a ben vedere, la ricorrente non indica un preciso fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso, ma ipotizza in termini del tutto astratti possibili circostanze (la riferibilità delle pregresse cartelle a debiti non aventi natura tributaria; l’elezione di domicilio del P. in (OMISSIS)).

4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione del principio “tempus regit actum”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che legittimamente il preavviso di fermo era stato emesso e notificato, atteso che, in quel momento, la cartella di pagamento n. (OMISSIS) non era stata ancora pagata.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non attinge la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata.

Invero, la CTR ha confermato la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente per essere risultata la notifica delle due cartelle di pagamento invalida.

In quest’ottica, la circostanza che, al momento della notifica del preavviso di fermo, la cartella di pagamento non fosse stata ancora soddisfatta è del tutto irrilevante.

5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR indicato gli elementi che l’avevano indotta ad individuare in (OMISSIS) il domicilio effettivo e per non aver considerato che la contestazione di Equitalia concerneva l’individuazione, sulla base delle norme di legge, di (OMISSIS) come il luogo in cui le cartelle sarebbero dovute essere notificate.

5.1. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.

In primo luogo, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, pur non sottraendosi i provvedimenti giudiziari all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018).

Pertanto, deve dichiararsi inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia contraddittoria o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Sez. 2, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018). In ogni caso, anche a voler inquadrare il vizio nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), come novellato, la ricorrente non ha indicato un fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dalla CTR, ma si è limitata contestare la valutazione operata dalla stessa con riferimento alla individuazione di (OMISSIS) come domicilio effettivo del contribuente ed a ribadire che, secondo la sua ricostruzione delle norme, la concessionaria avrebbe dovuto effettuare le notifiche presso il domicilio fiscale in (OMISSIS) del medesimo (circostanza, quest’ultima, sulla quale ci si è già pronunciati nell’esaminare il primo motivo).

6. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020


Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 10-10-2019) 11-02-2020, n. 3164

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26068-2018 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO BALI’;

– ricorrente –

contro

GEDI NEWS NETWORK SPA, subentrata a ITALIANA EDITRICE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato MARISA PAPPALARDO, rappresentata e difesa dagli avvocati CARLO PAVESIO, PATRIZIA SERASSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 572/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE GIANNITI.

Svolgimento del processo
1. L’ing. P.D. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 572/2018 della Corte di appello di Torino, che, respingendo la sua impugnazione, ha confermato la sentenza n. 139/2016 del Tribunale di Aosta, che aveva escluso il carattere diffamatorio di tre articoli apparsi nelle pagine della cronaca locale del quotidiano “(OMISSIS)” (rispettivamente in data (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) ed aveva pertanto rigettato la domanda risarcitoria da lui proposta nei confronti della Italiana Editrice s.p.a. (già società Editrice La Stampa s.p.a.).

2. Ha resistito con controricorso la Gedi News Network s.p.a., subentrata alla Italiana Editore s.p.a. a seguito di fusione per incorporazione.

3. Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

4. In vista dell’odierna adunanza non sono state depositate memorie.

Motivi della decisione
1. Il P. censura la sentenza impugnata per tre motivi.

1.1. Con il primo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 c.p., dell’art. 595 c.p., e della L. n. 47 del 1948, artt. 11, 12 e 13, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non diffamatorio l’articolo apparso sul quotidiano (OMISSIS) in data (OMISSIS), nel quale si dava notizia del rinvenimento di una pistola con silenzionatore nel corso della perquisizione del circolo, di cui lui era presidente, all’interno della cassaforte, di cui lui aveva le chiavi, mentre detta pistola era stata rinvenuta in un armadietto, chiuso non a chiave, all’interno del locale spogliatoio. Sostiene che la pubblicazione di una notizia relativa al ritrovamento di una pistola all’interno della cassaforte era idonea a ledere la sua reputazione, in quanto lui, quale titolare del locale, aveva accesso alla cassaforte.

1.2. Con il secondo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 c.p., dell’art. 595 c.p., e della L. n. 47 del 1948, artt. 11, 12 e 13, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non diffamatorio l’articolo apparso sul quotidiano (OMISSIS) in data (OMISSIS), nel quale veniva precisato che lui era stato assolto dal delitto di detenzione abusiva di armi, ma veniva ribadito il rinvenimento di una pistola con silenzionatore nel corso della perquisizione del circolo, di cui lui era presidente. Il ricorrente rinnova al riguardo le considerazioni svolte con il primo motivo.

1.3. Con il terzo ed ultimo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 c.p., dell’art. 595 c.p., e della L. n. 47 del 1948, artt. 11, 12 e 13, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non diffamatorio l’articolo apparso sul quotidiano (OMISSIS) in data (OMISSIS), nel quale, malgrado il segreto istruttorio, si dava notizia del fatto, del tutto privo di interesse pubblico, che lui, espressamente indicato per nome e cognome, era indagato in relazione ai reati previsti dagli artt. 340 e 367 c.p., e nel quale lui, nonostante il procedimento si trovava in fase di indagine (per cui gli atti non potevano essere consultati), era indicato come colui che, pur di non pagare tre anni di multe, aveva falsamente denunciato la clonazione della sua auto. Sostiene che la Corte territoriale ha errato laddove ha affermato che lui si era lamentato soltanto dell’eccessiva diffusione della notizia e del fatto che era stato pubblicato il suo nominativo integrale (e non soltanto le iniziali, come avevano fatto i C.C. in un comunicato stampa).

2. I motivi – che, in quanto strettamente connessi, si trattano qui congiuntamente – sono inammissibili.

Invero, il ricorrente, nonostante l’eccepita violazione di legge, in nessuno dei tre motivi svolge argomentazioni riconducibili alle dedotte violazione delle disposizioni di legge denunciate, ma in tutti i motivi svolge argomentazioni, che sostanzialmente rappresentano contestazione di asseriti errori di valutazione, che sarebbero stati commessi dal giudice di merito, nell’escludere il carattere diffamatorio dei tre articoli pubblicati su Stampa on line.

Rispetto a detti asseriti errori di valutazione, il ricorrente sollecita una diversa valutazione (demandando sostanzialmente a questa Corte il compito di ricondurre alle norme denunciate il senso delle argomentazioni in fatto svolte in ricorso), ma, così facendo, trasforma inammissibilmente il ricorso per cassazione nella richiesta di un nuovo esame del fatto sostanziale e degli elementi probatori, che costituiscono il fondamento della sentenza impugnata.

3. In punto di regolamentazione delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, va dato atto che parte resistente ha correttamente depositato il controricorso in cancelleria, non essendo andata a buon fine la notifica telematica alla controparte, la cui casella di posta elettronica era risultata “piena”.

Al riguardo, si osserva che, in tema di comunicazioni, questa Corte (Sez. 5, sent. n. 7029 del 21/32018, rv. 64755401) ha avuto modo di precisare che: “Il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della capienza della casella di posta elettronica del destinatario, è un evento imputabile a quest’ultimo, in ragione dell’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi, sicchè legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, conv. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 47, conv. in L. n. 114 del 2014,” (cfr. altresì Sez. L, sent. n. 13532 del 20/05/2019, rv. 653961 – 01).

Il principio sopra richiamato è dettato per le comunicazioni, ma l’ordinamento contiene una norma sostanzialmente di contenuto omologo nel codice di procedura civile anche in tema di notificazione. Essa si desume dal disposto di cui all’art. 149-bis c.p.c., comma 3, in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario. In esso si prevede che “La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.”.

Ritiene il Collegio che tale disposto vada inteso nel medesimo senso indicato più esplicitamente dal disposto del D.M. n. 179 del 2012. Va ricordato che il disposto del D.M. n. 44 del 2011, art. 20, comma 5, (recante, “Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, commi 1 e 2, convertito nella L. 22 febbraio 2010, n. 24), stabilisce che “Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.”.

E’ dunque onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di PEC. Un simile onere è manifestamente finalizzato ad assicurare che gli effetti giuridici connessi alla notifica di atti tramite lo strumento telematico si possano produrre nel momento in cui il gestore del servizio PEC rende disponibile il documento nella casella di posta del destinatario.

Il disposto del D.M., data la natura secondaria della fonte, naturalmente non è sufficiente a giustificare la conclusione che in presenza di c.d. casella di PEC satura la notificazione si abbia per perfezionata.

Ma non altrettanto è da dirsi per l’espressione “rendere disponibile” figurante nel citato disposto codicistico: poiché esso individua un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario, si giustifica la conclusione che, qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante può procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato.

D’altro canto, con riferimento all’esecuzione della notificazione da parte dell’avvocato a norma della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, il disposto del comma 3, di tale norma, là dove allude, come momento di perfezionamento della notificazione dal punto di vista del destinatario, al “momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 2”, si presta ad essere inteso nel senso che a tale ricevuta deve equipararsi anche quella con cui l’operatore attesta l’avere rinvenuta la casella di PEC “piena”. Tanto implica che la consegna non sia potuta effettivamente avvenire (nel senso dell’inserimento nella casella del destinatario), ma giustifica che, essendo imputabile tale evento al destinatario, l’inserimento debba ritenersi come avvenuto, sì da equivalere ad una consegna effettiva.

Questa complessiva ricostruzione, se ve ne fosse bisogno, risulterebbe giustificata anche alla luce del precetto di cui all’art. 138 c.p.c., comma 2, il quale considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente ad una notificazione di tale genere. Il lasciare la casella di PEC satura equivale ad un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite di essa e l’essere della sua gestione direttamente responsabile il titolare giustifica il considerare la conseguenza di tale atteggiamento come equipollente ad una consegna dell’atto.

Le svolte considerazioni, nel caso di specie, giustificano allora il ritenere che il controricorso sia stato depositato come notificato e come tale vada considerato.

Ne consegue che dalla inammissibilità del ricorso discende – oltre alla declaratoria di sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo – la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020


Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 23-01-2020) 05-02-2020, n. 2755

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 35506-2018 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROSA RAIMONDI GARIBALDI 141, presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

Contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 8823/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA PAOLO.

Svolgimento del processo

che:

l’avvocato P.L. conveniva in giudizio Poste Italiane, s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito di un indebito prelievo, ad opera di sconosciuti, dal suo conto corrente postale abilitato al servizio telematico “online”;

il Giudice di pace accoglieva la domanda, con pronuncia riformata dal Tribunale secondo cui l’evento di danno, non risultando un malfunzionamento del sistema telematico della società, non poteva addebitarsi alla convenuta, che aveva anzi avvisato la clientela di non inserire dati sensibili rispondendo ad “email” non verificate, dovendo invece ragionevolmente correlarsi all’incauta comunicazione, da parte del titolare del conto, delle credenziali di accesso a seguito della riferita ricezione e risposta a un’email” volta alla frode poi, infatti, posta in essere;

avverso questa decisione ricorre per cassazione P.L. sulla base di un unico motivo, corredato da memoria;

resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..

Motivi della decisione

che:

con l’unico motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 31, “ratione temporis” applicabile, e dell’art. 2729, c.c., poichè il Tribunale avrebbe errato imputando al deducente la prova del mancato funzionamento del sistema telematico della convenuta, omettendo, al contempo, di evincere presuntivamente dai fatti la mancata predisposizione, da parte della medesima società, d’idonee misure volte a prevenire frodi come quella in esame, tenuto conto che, come risultato, in risposta all’evocata e non filtrata “email”, erano stati inseriti codice identificativo e “password” ma, prudentemente, non il codice di dieci cifre necessario all’operazione;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

Rilevato che:

ritiene il Collegio che il ricorso debba essere rinviato alla pubblica udienza per il valore nomofilattico proprio della questione rilevata nella proposta;

il ricorso risulta infatti notificato via p.e.c. al difensore dell’intimata, con accettazione, da parte del sistema, ma senza consegna per “casella piena”;

al contempo, l’intimata aveva eletto domicilio presso lo studio dell’avvocato Domenico Febbo, in Roma viale Europa n. 190;

appaiono prospettabili differenti ricostruzioni, da offrire al contraddittorio proprio dell’udienza pubblica;

  1. questa Corte ha chiarito che una notificazione è validamente effettuata all’indirizzo p.e.c. del difensore di fiducia, quale risultante dal Reginde, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies – come convertito dalla L. n. 221 del 2012, e modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 47, convertito a sua volta dalla L. n. 114 del 2014 – non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato (Cass., 24/05/2018, n. 12876);

se però la notificazione telematica non vada a buon fine per una ragione, come nel caso, non imputabile al notificante – essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., 20/05/2019, n. 13532, Cass., 21/03/2018, n. 8029) – allora potrebbe ritenersi che il notificante stesso abbia la facoltà e l’onere, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio in un tempo adeguatamente contenuto (arg. ex Cass., Sez. U., 15/07/2016, n. 14594, che ha indicato il temine della metà di quello previsto dall’art. 325, c.p.c.; Cass., 19/07/2017, n. 17864, Cass., 31/07/2017, n. 19059, Cass., 11/05/2018, n. 11485, Cass., 09/08/2018, n. 20700);

solo in tal caso potendo conservarsi gli effetti della originaria notifica: in tal senso risulta la pronuncia di Cass., 18/11/2019, n. 29851, secondo cui, anzi, più in generale, in caso di notifica telematica effettuata dall’avvocato, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella p.e.c., pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 c.p.c. e Ss., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al citato D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, u.p., prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC);

parte ricorrente, in memoria, richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il titolare dell’”account” di posta elettronica certificata ha il dovere di assicurarsi il corretto funzionamento della propria casella postale sicchè nel caso di notifica telematica di atti quali un rigetto di opposizione allo stato passivo, poi impugnato, o la comunicazione dell’avviso di fissazione della udienza di discussione nel giudizio di legittimità, effettuati alla casella di posta elettronica e rifiutati dal sistema con il messaggio di “casella piena”, la notificazione ovvero comunicazione debbono ritenersi regolarmente avvenute giacché, una volta ottenuta dall’ufficio l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di p.e.c., diventa responsabile della gestione della propria utenza, avendo l’onere non solo di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, ma anche di attivarsi affinché i messaggi possano essere regolarmente recapitati (Cass., 21/05/2018, n. 12451, che cita Cass. n. 23650 del 2016);

i principi in parola potrebbero ritenersi non confacenti, perché relativi a fattispecie diverse, in cui:

a) risulti indicato a tali fini l’indirizzo telematico;

b) non risulti effettuata una diversa elezione di domicilio fisico;

in questa prospettiva se, cioè, si può ritenere che l’elezione di domicilio fisico non impedisca l’utilizzo di quello telematico sopra richiamato, ciò non potrebbe per converso imporre al difensore, in assenza di norme esplicite, gli stessi oneri che sono a lui richiedibili quando non possa aver fatto affidamento sulla suddetta legittima elezione e, anzi, abbia ingenerato opposto affidamento sul luogo elettronico di ricezione appositamente eletto;

  1. diversamente, la fattispecie potrebbe essere ricostruita come segue;

il principio per cui il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della casella di posta elettronica del destinatario, è, come detto, un evento imputabile a quest’ultimo, in ragione dell’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e ricezione di nuovi messaggi, sicchè legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria (cfr. anche Cass., 21/32018, n. 7029), è, in effetti, dettato per le comunicazioni, ma l’ordinamento contiene una norma sostanzialmente di contenuto omologo nel c.p.c. anche in tema di notificazione;

essa potrebbe desumersi dal disposto di cui all’art. 149-bis c.p.c., comma 3, in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario; in esso si prevede che “La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”;

va ricordato che il disposto del D.M. n. 44 del 2011, art. 20, comma 5, stabilisce che “Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione”;

è dunque onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di p.e.c.;

il disposto del D.M., data la natura secondaria della fonte, non è sufficiente a giustificare la conclusione che in presenza di casella di p.e.c. satura la notificazione si abbia per perfezionata;

ma non altrettanto è da dirsi per l’espressione “rendere disponibile” che figura nel citato disposto codicistico: poiché esso individua un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario, si potrebbe giustificare la conclusione che, qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante potrebbe procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato;

in questa prospettiva, con riferimento all’esecuzione della notificazione da parte dell’avvocato a norma della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, il disposto del comma 3 di tale norma, là dove allude, come momento di perfezionamento della notificazione dal punto di vista del destinatario, al “momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 2“, si potrebbe prestare a essere inteso nel senso che a tale ricevuta debba equipararsi anche quella con cui l’operatore attesta l’avere rinvenuta la casella di p.e.c. “piena”;

tanto implicherebbe che se la consegna non sia potuta effettivamente avvenire nel senso dell’inserimento nella casella del destinatario, essendo imputabile tale evento a quest’ultimo, l’inserimento medesimo potrebbe ritenersi comunque come perfezionato, sì da equivalere a una consegna effettuata;

questa complessiva ricostruzione potrebbe risultare giustificata anche alla luce dell’art. 138 c.p.c., comma 2, che considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente a una notificazione di tale genere: il lasciare la casella di p.e.c. satura potrebbe equivalere a un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite essa e l’essere della sua gestione direttamente responsabile il titolare potrebbe giustificare il considerare la conseguenza di tale condotta come equipollente a una consegna dell’atto;

  1. quale terza via ricostruttiva, ferma la cornice normativa sopra delineata, potrebbe infine ritenersi, specie alla luce dell’inerenza al diritto di difesa costituzionalmente tutelato, che la notifica non andata a buon fine per la saturazione della casella in parola, giustificherebbe l’ordine di rinnovo giudiziale della notificazione;

naturalmente tale prospettiva andrebbe coordinata con il principio, parimenti costituzionale, di ragionevole durata del processo.

P.Q.M.

La Corte rinvia alla pubblica udienza.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020


Cass. civ. Sez. Unite, Ord., (ud. 17-12-2019) 30-01-2020, n. 2087

Ma deve dirsi in linea con l’evoluzione in senso restrittivo della nozione di inesistenza nella giurisprudenza di questa Corte – a partire da Cass. Sez. U. 20/07/2016, n. 14916 – l’approdo ermeneutico più recente, che degrada la relativa invalidità a mera nullità, suscettibile di sanatoria mediante rinnovazione da ordinarsi ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (ove, come nella specie, il destinatario non la sani con spontanea costituzione), anche ove la controparte abbia avuto conoscenza legale di detta cessazione (Cass. ord. 24/01/2018, n. 1798, in caso di conoscenza della sostituzione del difensore);

in particolare, va superato il rigorosissimo opposto orientamento nel senso dell’inesistenza della notifica (confermato, tra le ultime, da Cass. 19/01/2016, n. 759, ovvero da Cass. ord. 11/01/2017, n. 529): infatti, anche in una simile evenienza – cioè di notificazione a chi era stato comunque rappresentante in giudizio di quella che al momento era stata la giusta controparte – vi è un collegamento idoneo, sufficiente e non arbitrario, tra il destinatario della notifica ed il soggetto a quella interessato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 13120-2018 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BRASCA, rappresentato e difeso dall’avvocato TERESA BRACONARO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 88/2018 del TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO, depositata il 30/01/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2019 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per l’accoglimento del ricorso, con declaratoria della giurisdizione ordinaria;

udito l’Avvocato Leonardo Brasca per delega orale dell’avvocato Teresa Braconaro.

Svolgimento del processo
che:

L.M. ricorre, con atto – intestato “regolamento di competenza” – articolato su di un unitario motivo e notificato a mezzo p.e.c. il 20/04/2018, per la cassazione della sentenza n. 88 del 30/01/2018 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, di declinatoria della giurisdizione del giudice ordinario “in favore del giudice tributario”, con fissazione di termine di tre mesi per la riassunzione dinanzi a quest’ultimo e compensazione delle spese processuali;

una volta dichiarata, con sentenza n. 584 del 27/11/2014, inammissibile dalla già adita Commissione Tributaria Provinciale di Forlì analoga opposizione e per difetto di giurisdizione del giudice tributario, il L. aveva il 27/10/2015 dispiegato dinanzi a quello ordinario opposizione avverso il pignoramento presso terzi intentato ai suoi danni – e nei confronti del terzo Edil Domus srl – da Equitalia Centro spa, notificatogli il 07/04/2014 per Euro 177.347,59, deducendo la mancata previa notifica delle cartelle esattoriali cui quello si riferiva e la conseguente inesistenza del credito, ma pure l’erronea individuazione del debitore;

sospesa l’esecuzione con provvedimento 10/11/2015 e introdotto il giudizio di merito, il giudice siciliano, pur dato atto della negatività della dichiarazione del terzo, ha poi presupposto l’applicabilità dei principi di Cass. Sez. U. 05/06/2017, n. 13913, per dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario;

non espletano attività processuale le parti intimate.

Motivi della decisione
che:

parte ricorrente dispiega un unitario motivo, sia pure intestando il ricorso come “regolamento di competenza”, di violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, deducendo che i crediti azionati andavano individuati in crediti per contributi INPS e per quota di iscrizione alla Camera di Commercio, sicchè sui medesimi difettava la giurisdizione del giudice tributario, del resto per primo adito con precedente azione a cui fugacemente accenna in ricorso;

va esclusa la rilevanza, ai fini della sua ufficiosa qualificazione in ricorso per motivi di giurisdizione, dell’evidente incongruità della sua intestazione quale “regolamento di competenza”, risultando di scolastica nozione la distinzione tra competenza e giurisdizione ed evidente la ratio decidendi di declinatoria della seconda e non della prima ad opera tanto della sentenza della Commissione tributaria che del giudice ordinario;

in tal modo, il ricorso stesso può qualificarsi per conflitto reale negativo di giurisdizione, per essere questa stata declinata da entrambi i giudici con le sentenze qui impugnate: sicchè esso può essere proposto in ogni tempo, a prescindere dal passaggio in giudicato o meno di una o di entrambe le pronunce tra loro in insanabile contrasto in punto di giurisdizione;

al riguardo, infatti (tra molte: Cass. Sez. U. 30/03/2017, n. 8246), è ammissibile il ricorso per conflitto reale negativo di giurisdizione nell’ipotesi in cui il giudice ordinario ed il giudice speciale abbiano entrambi negato con sentenza la propria giurisdizione sulla medesima controversia, pur senza sollevare essi stessi d’ufficio il conflitto, essendosi in presenza non di un conflitto virtuale di giurisdizione, risolvibile con istanza di regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c., ma di un conflitto reale negativo di giurisdizione, denunciabile alle sezioni unite della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 2, n. 1, in ogni tempo;

in particolare, il conflitto reale, positivo o negativo, di giurisdizione, il quale è denunciabile non con l’istanza di regolamento preventivo, esperibile nel diverso caso di conflitto cosiddetto virtuale, ma con ricorso per Cassazione, a norma dell’art. 362 c.p.c., comma 2, ricorre qualora due organi appartenenti a diversi ordini giurisdizionali abbiano entrambi emesso una pronuncia affermativa o negativa della propria giurisdizione, ancorchè impugnata o suscettibile d’impugnazione, su due cause che, pur non presentando assoluta identità di petitum, ovvero implicando la richiesta di provvedimenti diversi, postulino la soluzione della medesima questione di giurisdizione; tale ricorso, non comporta neppure in via analogica – l’applicazione dell’art. 367 c.p.c. e, quindi, non determina la sospensione del processo, ma, non costituendo un mezzo di impugnazione in senso proprio, non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che non sia stata impugnata mediante il necessario atto di appello nei termini fissati (tra le prime: Cass. 15/04/1982, n. 2287; Cass. Sez. U. 06/10/1962, n. 2827);

a questo riguardo, risultano ritualmente prodotti in copia – tanto risultando imposto a pena di improcedibilità dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite (per tutte, tra le più recenti, v. Cass. Sez. U. 05/10/2009, n. 21196) – entrambi i provvedimenti di declinatoria della giurisdizione, dal cui complessivo tenore acquisire le notizie utili per la definizione del conflitto negativo in esame, prima fra tutte la coincidenza dell’oggetto delle due declinatorie;

tuttavia, in via assolutamente preliminare, va rilevato che il ricorso, intimata la “Agenzia delle Entrate – Riscossione (già Equitalia Centro spa)”, è stato notificato a mezzo pec a quest’ultima al suo protocollo informatico, nonchè all’avvocato costituito nel giudizio concluso con l’ultima delle sentenze declinatorie della giurisdizione oggi impugnate, cioè all’avvocato B.F., costituito per il precedente contraddittore agente della riscossione dante causa dell’intimata, che, se non altro dall’intestazione della sentenza da ultimo resa e qui gravata, era identificato oltretutto in Riscossione Sicilia spa;

ora, è notoria la successione ex lege della controricorrente all’originaria convenuta in quanto agente di riscossione, nella specie presupposta come Equitalia Centro spa e quindi del gruppo Equitalia, verosimilmente poichè a sua volta succeduta all’originaria Riscossione Sicilia spa: successione intervenuta nel corso del giudizio concluso con la sentenza qui gravata e necessariamente conosciuta dalla generalità dei consociati per essere stata disposta dalla legge;

qualunque sia la ricostruzione della tipologia di successione alle precedenti società agenti della riscossione da parte della neo istituita Agenzia delle Entrate Riscossione (che la giurisprudenza di questa Corte, nonostante la lettera del D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 3, conv. con modif. in L. n. 225 del 2016, propende a qualificare come successione a titolo particolare: Cass. ord. 15/06/2018, n. 15869; Cass. ord. 09/11/2018, n. 28741; Cass. ord. 24/01/2019, n. 1992; Cass. ord. 15/04/2019, n. 10547), va affrontata la questione delle modalità di instaurazione dell’impugnazione in casi come quello in esame, a cominciare da quella della validità o meno della notifica del relativo atto introduttivo, costituito essendo nel precedente grado l’agente della riscossione, al difensore di quest’ultimo o al successore ex lege di persona;

già con ordinanza interlocutoria 29/11/2019, n. 30885, è stata rimessa alla sesta sezione, nella composizione prevista dal punto 46.2 delle tabelle 2016/2019 della Corte di Cassazione (vale a dire al Collegio composto dal Presidente titolare e dai coordinatori delle sottosezioni), la definizione, tra l’altro, della questione se, entrata in vigore la riforma del settore di cui al D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, conv. con modif. in L. 1 dicembre 2016, n. 225, sia rituale l’instaurazione del contraddittorio per il giudizio di legittimità mediante notifica del ricorso al procuratore o difensore costituito per l’estinta società del gruppo Equitalia nel grado concluso con la sentenza impugnata, anzichè alla neoistituita Agenzia delle Entrate Riscossione: e, in particolare, se debba applicarsi la regola generale, oppure l’eccezione, prevista da Cass. Sez. U. 04/07/2014, n. 15295 (seguita, quanto alla prima, dalla giurisprudenza successiva, tra cui, da ultimo, Cass. ord. 09/10/2018, n. 24845) e, così, se possa considerarsi validamente ultrattivo il mandato conferito al professionista dal precedente agente, oppure se debba ritenersi, con l’estinzione di questo o per altra causa, malamente evocata in giudizio una parte non corrispondente a quella giusta, trattandosi di soggetto formalmente e notoriamente estinto;

va, quanto al primo aspetto, valutata l’operatività o meno della regola dell’ultrattività del mandato alle liti in capo al difensore del dante causa, visto che i principi generali fissati in senso affermativo da queste Sezioni Unite (con sentenza 04/07/2014, n. 15295, confermata dalla giurisprudenza successiva, tra cui, da ultimo, Cass. ord. 09/10/2018, n. 24845) prevedono quale eccezione l’evenienza della certezza dell’evento successorio e l’incontrovertibilità della sua conoscibilità ad opera di controparte;

vi è anzi da notare che la notifica al difensore già costituito per il precedente grado di lite, di cui fosse nota la cessazione del mandato, è stata a lungo definita perfino inesistente dalla giurisprudenza delle sezioni semplici di questa Corte;

ma deve dirsi in linea con l’evoluzione in senso restrittivo della nozione di inesistenza nella giurisprudenza di questa Corte – a partire da Cass. Sez. U. 20/07/2016, n. 14916 – l’approdo ermeneutico più recente, che degrada la relativa invalidità a mera nullità, suscettibile di sanatoria mediante rinnovazione da ordinarsi ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (ove, come nella specie, il destinatario non la sani con spontanea costituzione), anche ove la controparte abbia avuto conoscenza legale di detta cessazione (Cass. ord. 24/01/2018, n. 1798, in caso di conoscenza della sostituzione del difensore);

in particolare, va superato il rigorosissimo opposto orientamento nel senso dell’inesistenza della notifica (confermato, tra le ultime, da Cass. 19/01/2016, n. 759, ovvero da Cass. ord. 11/01/2017, n. 529): infatti, anche in una simile evenienza – cioè di notificazione a chi era stato comunque rappresentante in giudizio di quella che al momento era stata la giusta controparte – vi è un collegamento idoneo, sufficiente e non arbitrario, tra il destinatario della notifica ed il soggetto a quella interessato;

tanto vale a maggior ragione nel caso della successione della neo istituita Agenzia delle Entrate – Riscossione ai precedenti agenti della riscossione, in un complessivo contesto oltretutto caratterizzato da una comprensibile incertezza sugli istituti processuali da applicare (resa manifesta già solo dalla divaricazione della corrente interpretazione di legittimità della natura del fenomeno successorio rispetto alla lettera della norma) e da una assoluta peculiarità della normativa in tema di patrocinio della succeditrice ex lege (peculiarità posta a fondamento del riconoscimento di un regime particolare da Cass. Sez. U. 19/11/2019, n. 30008): contesto nel quale è a maggior ragione esigibile dal difensore della parte cessata la condotta cooperativa di porre in condizioni il suo successore di difendersi adeguatamente, notiziandolo della ricevuta notifica;

pertanto, al momento dell’instaurazione del contraddittorio sul ricorso oggi in esame, la sua notifica presso il difensore di un soggetto pacificamente non più esistente per disposizione di legge necessariamente conosciuta dalla generalità dei consociati non può dirsi valida, poichè, in conformità agli stessi principi ed alle relative eccezioni fissate dalla giurisprudenza più recente delle Sezioni Unite di questa Corte, può escludersi l’ultrattività del mandato (in linea generale posta da Cass. Sez. U. 04/07/2014, n. 15295, ma con chiari e significativi limiti od eccezioni) dinanzi alla notorietà del fatto dell’estinzione del mandante e, comunque, in presenza di un regime differenziato e peculiare per il patrocinio in giudizio del successore, su cui queste Sezioni Unite si sono già espresse (con la già richiamata sentenza 19/11/2019, n. 30008);

neppure è prima facie risolubile con immediatezza nel senso della validità della notifica alla succeditrice ex lege in persona del suo legale rappresentante e presso il suo domicilio informatico, pure seguita nella fattispecie, soprattutto in dipendenza delle modalità di instaurazione del contraddittorio imposte dalla qualificazione della sua successione e dalla cessazione, del pari ex lege, del dante causa della sola parte oggi intimata;

nelle more, occorre quindi ordinare la rinnovazione della notificazione del ricorso alla sola giusta controparte notoriamente esistente, ex lege subentrata agli agenti di riscossione, dopo il peculiare fenomeno successorio di cui al richiamato D.L. n. 193 del 2016: e, per le altrettanto peculiari caratteristiche del patrocinio della subentrata Agenzia delle Entrate – Riscossione, di cui alla pure citata Cass. sez. U. 30008/19, la rinnovazione potrà dirsi rituale soltanto se eseguita presso l’Avvocatura di Stato e, trattandosi di ricorso alla Corte suprema di cassazione, presso quella Generale in Roma;

deve infatti farsi applicazione del seguente principio di diritto: “in tema di giudizio di legittimità, l’ultrattività del mandato in origine conferito al difensore dell’agente della riscossione, nominato e costituito nel grado di giudizio concluso con la sentenza oggetto di ricorso per cassazione, non opera, ai fini della ritualità della notifica del ricorso avverso la sentenza pronunciata nei confronti dell’agente della riscossione originariamente parte in causa, poichè la cessazione di questo e l’automatico subentro del successore sono disposti da una norma di legge, quale il D.L. n. 193 del 2016; pertanto, la notifica del ricorso eseguita al suo successore ex lege, cioè all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, nei confronti di detto originario difensore è invalida, ma tale invalidità integra una mera nullità, suscettibile di sanatoria vuoi per spontanea costituzione dell’Agenzia stessa, vuoi a seguito della rinnovazione dell’atto introduttivo dell’impugnazione, da ordinarsi – in caso di carenza di attività difensiva dell’intimata – ai sensi dell’art. 291 c.p.c., presso la competente Avvocatura dello Stato, da identificarsi nell’Avvocatura Generale in Roma”;

il termine per espletare l’ordinato incombente può adeguatamente individuarsi come in dispositivo;

all’esito potrà valutarsi pure l’ulteriore problematica della ritualità della notifica eseguita alla succeditrice ex lege presso il suo domicilio informatico risultante dai registri ufficiali, nonostante la sua dante causa fosse stata costituita a mezzo di procuratore ritualmente officiato nel grado concluso con la sentenza gravata.

P.Q.M.
ordina la rinnovazione della notifica del ricorso all’Agenzia delle entrate – riscossione presso l’Avvocatura Generale dello Stato entro sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 24-10-2019) 30-01-2020, n. 2229

Il caso affrontato dalle Sezioni Unite nell’ordinanza in commento riguarda la notifica di alcune cartelle esattoriali.
In particolare la Corte afferma che se la notifica delle cartelle di pagamento viene eseguita direttamente dal messo notificatore nelle mani del portiere, ai sensi dell’art. 139, comma 3, c.p.c., ai fini del suo perfezionamento è necessaria la spedizione della raccomandata informativa di cui al successivo comma 4.
Invece, nella diversa ipotesi in cui la notifica della cartella di pagamento venga eseguita dall’agente della riscossione a mezzo del servizio postale, nel caso di consegna del plico al portiere, la notifica si considera eseguita nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da quest’ultimo, senza la necessità dell’invio della raccomandata informativa.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18109-2014 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A., già SERIT SICILIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata, in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, rappresentata e difesa dall’avvocato ACCURSIO GALLO;

– ricorrente – contro

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA 1478, presso lo studio dell’avvocato ANNALISA AMODEO, rappresentato e difeso dall’avvocato AURELIO CACCIAPALLE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1744/2013 del TRIBUNALE di PALERMO, depositata il 26/04/2013 R.G.N. 3904/2010;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Svolgimento del processo
CHE:

1 la Corte d’appello di Palermo, con ordinanza ex art. 348-ter c.p.c., dichiarava inammissibile il gravame svolto da Riscossione Sicilia s.p.a. avverso la sentenza del locale Tribunale che, in riferimento all’iscrizione ipotecaria effettuata su nove immobili di proprietà di T.G. per mancato pagamento di crediti contributivi portati da sei cartelle esattoriali, aveva accolto l’opposizione all’iscrizione ipotecaria proposta sul presupposto, per quanto in questa sede rileva, dell’illegittimità per nullità della notificazione, per essere state le cartelle notificate ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 4, mediante consegna al portiere dello stabile senza il successivo invio della lettera raccomandata al destinatario per dare avviso dell’avvenuta consegna;

2. il giudice di primo grado, premesso che l’opposizione atteneva all’illegittimità dell’iscrizione ipotecaria in conseguenza dell’omessa notifica delle cartelle esattoriali, escludeva la ritualità della notificazione delle cartelle in difetto di prova, con onere a carico dell’agente della riscossione, dell’invio della raccomandata recante avviso dell’avvenuta consegna al portiere dello stabile (così, di seguito, le cartelle esattoriali delle quali si controverte: a) (OMISSIS); b) (OMISSIS); c) (OMISSIS); d) (OMISSIS); e) (OMISSIS); f) (OMISSIS));

3. in particolare, per due cartelle – qui contrassegnate dalle lettere a) e b) riteneva mancare qualsiasi documentazione attestante l’invio delle raccomandate;

4. quanto alle restanti cartelle, il Tribunale, premessa l’inidoneità dei documenti prodotti, definiti ermetici, a fornire alcuna prova, quantomeno di carattere presuntivo, per l’incertezza nell’attribuzione e nella data di formazione, e per mancanza dell’indicazione dell’indirizzo del destinatario, riteneva non provato l’invio della raccomandata informativa dell’avvenuta consegna delle cartelle esattoriali al portiere dello stabile;

5. avverso la sentenza di primo grado ricorre per cassazione Riscossione Sicilia s.p.a., con due motivi; resiste T.G. con controricorso;

6. la Procura generale ha chiesto il rigetto del ricorso;

Motivi della decisione
CHE:

7. con i motivi di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., per non avere il Tribunale ritenuto mera irregolarità, ma vizio dell’attività notificatoria, la mancata prova dell’invio della raccomandata al destinatario per dargli avviso della consegna (primo motivo); violazione e o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 2697, 2699, 2700 e 1335 c.c., per non avere il tribunale ritenuto fornita la prova dell’avvenuta informativa della consegna al portiere attraverso la distinta, riferita all’invio di più di dieci raccomandate, recante indicazione del numero assegnato ad ogni raccomandata (secondo motivo);

8. il ricorso è da rigettare;

9. va premesso che nel caso in cui l’appello sia stato dichiarato inammissibile, ex art. 348-ter c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado può essere proposto entro i limiti delle questioni già sollevate con l’atto di appello e di quelle riproposte ex art. 346 c.p.c., senza che possa assumere rilievo la diversa formulazione dei motivi, che trova giustificazione nella natura del ricorso per cassazione, quale mezzo di impugnazione a critica vincolata, proponibile esclusivamente per i vizi previsti dall’art. 348-ter c.p.c., comma 4 e art. 360 c.p.c., comma 1, non comportando la dichiarazione di inammissibilità dell’appello sostanziali modificazioni nel giudizio di legittimità, fatta eccezione per la necessità che l’impugnazione sia rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado e per l’esclusione della deducibilità del vizio di motivazione;

10. ciò premesso, la notifica delle cartelle delle quali si discute è stata eseguita direttamente dal messo notificatore nelle mani del portiere, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, e a tale consegna non ha fatto seguito la spedizione della raccomandata informativa di cui al successivo comma 4 o comunque non è stata raggiunta la prova di tale spedizione;

11. non si versa, dunque, in ipotesi in cui l’agente della riscossione provvede alla notifica diretta, a mezzo del servizio postale, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26 delle cartelle di pagamento prodromiche alle intimazioni di pagamento, nel qual caso questa Corte è ferma nel ritenere che gli uffici finanziari possono procedere alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente, con la conseguenza che, quando il predetto ufficio si sia avvalso di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1992, con la conseguenza che, in caso di notifica al portiere, la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto (cfr., per tutte, Cass. n. 20527 del 2019 e i precedenti ivi richiamati);

12. la notificazione eseguita dai messi comunali o da messi speciali autorizzati dall’ufficio (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, comma 1, lett. a)), va eseguita nel rispetto delle norme stabilite dagli artt. 137 c.p.c. e ss., ma secondo le modifiche indicate nel medesimo art. 60 che, per quanto ci occupa, dispone, alla lettera b)-bis, aggiunta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 27, lett. a): “se il consegnatario non è il destinatario dell’atto o dell’avviso, il messo consegna o deposita la copia dell’atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’atto stesso. Sulla busta non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto. Il consegnatario deve sottoscrivere una ricevuta e il messo dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera raccomandata”;

13. è lo stesso D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., che, nel disciplinare la notificazione della cartella di pagamento, rinvia, per quanto in esso non regolato, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e, dunque, a quanto ivi previsto per la consegna eseguita dal messo notificatore al consegnatario, diverso dal destinatario dell’atto;

14. il Giudice delle leggi (v. Corte Cost. n. 175 del 2018), intervenuto sulla speciale facoltà dell’agente della riscossione, in forza della funzione pubblicistica svolta, di avvalersi delle forme semplificate di notificazione a mezzo del servizio postale senza il rispetto della disciplina in tema di notifiche a mezzo posta da parte dell’ufficiale giudiziario, ha avuto modo di precisare che la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica, limitata al solo caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere, “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”;

15. l’autorevole avallo del Giudice delle leggi al consolidato orientamento di legittimità ha dunque una ben delineata cornice, limitata al solo caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere (c.d. notificazione semplificata);

16. nella diversa ipotesi della consegna diretta del plico al portiere da parte del messo notificatore, agli effetti della necessaria spedizione della raccomandata prescritta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b)-bis, (e dall’art. 139 c.p.c., comma 3) e della necessità, in altre parole, che all’effettivo destinatario sia dato avviso dell’avvenuta consegna al portiere, vanno valorizzati i principi già affermati, sia pur in riferimento alla notificazione del ricorso per cassazione, da Cass., Sez.U., n. 18992 del 2017 (e mutuati, in fattispecie simile a quella ora all’esame del Collegio, da Cass. n. 7892 del 2019), in considerazione della consegna dell’atto a persona non legata al destinatario della notificazione dai particolari vincoli evidenziati nell’art. 139 c.p.c., comma 2, condizione che attenua la sfera di effettiva conoscibilità del destinatario e la possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto rispetto alle altre fattispecie, indicate dal comma 2, per le quali è assai stretta la natura del vincolo tra consegnatario dell’atto e destinatario;

17. tale minor grado di conoscibilità esige, almeno, di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post;

18. il secondo motivo è inammissibile perchè, nonostante l’invocazione, solo formale, di violazioni o false applicazioni di norme, è estraneo all’area di cui all’art. 360 c.p.c. (nei limiti prescritti dall’art. 348-ter c.p.c., comma 4) perchè, in realtà, si sollecita un diverso apprezzamento in punto di fatto delle risultanze documentali esaminate dall’impugnata sentenza;

19. le doglianze che avversano l’ordinanza della Corte territoriale laddove, trattando della notificazione mediante l’ausilio del servizio postale, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 4, distingue tra prerogative pubblicistiche del servizio postale universale e adempimenti del soggetto privato delegato alla notifica (nella specie, il Consorzio Olimpo e TNT Post Notifiche), devono ritenersi inammissibili perchè esulano dalla cornice fissata dall’art. 348-ter c.p.c., comma 4 e dalla ratio decidendi espressa con la decisione di primo grado, gravata in questa sede di legittimità e incentrata sull’inidoneità dei documenti prodotti, per incertezza nella paternità e nella data di formazione, a provare la compiuta informativa, al destinatario di alcune delle cartelle opposte, dell’avvenuta consegna al portiere;

20. correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto la nullità della notifica delle cartelle esattoriali sulla base del preliminare accertamento in fatto che le stesse erano state consegnate al portiere, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, e che non era seguita la spedizione della raccomandata informativa di cui al successivo comma 4, secondo le specificazioni introdotte dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b)-bis (o comunque non era stata raggiunta la prova di tale spedizione), facendone seguire l’accoglimento dell’opposizione all’iscrizione ipotecaria;

21. le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

22. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 24 ottobre e il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 23/01/2019) 29/01/2020, n. 1954

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 26066/2013 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliato in Roma, via Giuseppe Ferrari n. 35, presso lo studio dell’Avv. Gianni Di Matteo che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 101/35/13 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata il 16 luglio 2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 gennaio 2019 dal Consigliere Dott. MUCCI ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il rigetto;

udito, per il ricorrente, l’Avv. GIANNI DI MATTEO;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato dello Stato MASSIMO SANTORO.

Svolgimento del processo
1. La CTR della Lombardia ha rigettato il gravame interposto da P.E. avverso la sentenza della CTP di Sondrio di rigetto del ricorso proposto dal P. contro l’atto di contestazione n. 2710 notificato il 31 maggio 2010 emesso dall’ufficio delle Dogane di Tirano, concernente il pagamento di diritti doganali e IVA, oltre sanzioni, per l’acquisto in Livigno presso il negozio “International Gold Trade”, nel periodo compreso tra gli anni 2003 e 2004, di un orologio marca “Cartier”, introdotto dal P. in territorio italiano senza l’assolvimento degli obblighi fiscali.

2. Ha ritenuto la CTR che: a) alla stregua della documentazione in atti era configurabile a carico del P. “un atto di materiale contrabbando: infatti non risulta dagli atti alcuna prova che il Sig. P. abbia assolto – nel momento dell’introduzione del bene acquistato a Livigno – sia il pagamento dei diritti doganali che l’IVA dovuta”; b) nemmeno vi era prova dell’acquisto dell’orologio in Sondrio, “in contrasto con quanto accertato dalla Guardia di Finanza di Sondrio, che aveva accertato in data 24 luglio 2007 il mancato sdoganamento dell’orologio, acquistato in Livigno”; c) da tale data “l’Ufficio era legittimato a fare decorrere il termine triennale per la notifica (avvenuta in data 31 maggio 2010 e quindi entro il triennio dall’accertamento del mancato pagamento dei diritti doganali e dell’IVA) degli atti di contestazione e dell’avviso di pagamento dei tributi suddetti”; d) dalla fotocopia dell’assegno di Euro 6.300,00 (recante l’indicazione della località “Sondrio”, datato 18 giugno 2005 ed intestato a tale B.S.) non potevano trarsi elementi nemmeno in termini di presunzione semplice, come sostenuto dall’appellante – a favore del P., posto che “sia il trattario che la data di emissione non hanno alcun riferimento temporale e personale con i fatti dedotti in causa”, in assenza di prova della residenza o dell’attività del trattario in Sondrio o che “tale assegno sia il corrispettivo per l’acquisto del bene”.

3. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione P.E. affidato a due motivi, cui replica l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con controricorso.

Motivi della decisione
4. L’eccezione preliminarmente dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di nullità del ricorso, poichè notificato all’”Agenzia delle Dogane-Ufficio delle Dogane di Tirano” e non all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli presso l’Avvocatura erariale, non ha pregio.

Se è vero infatti che Sez. 5, 11 agosto 2004, n. 15528 ha affermato che “La facoltà di chiamare in giudizio il successore può essere esercitata anche per la prima volta in sede di ricorso per cassazione: ma qualora il contribuente decida d’instaurare il giudizio direttamente nei confronti della suddetta agenzia fiscale, deve proporre il ricorso nei confronti dell’Agenzia in persona del suo direttore in Roma, con notifica presso l’Avvocatura centrale dello Stato, ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43 e art. 144 c.p.c., comma 1, e non già con intimazione del suddetto soggetto nella sua articolazione periferica, nella persona del direttore dell’ufficio, la cui legittimazione è limitata ai gradi di merito del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex artt. 10 e 11, senza che l’inammissibilità che in tal caso ne conseguirebbe possa essere sanata dalla costituzione del soggetto legittimato”, la successiva Sez. U, 14 febbraio 2006, n. 3116 ha invece affermato che “Per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle Finanze, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, la nuova realtà ordinamentale, caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell’Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente invece di ritenere che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato” (conf. Sez. 5, 29 gennaio 2008, n. 1925).

5. Con il primo, articolato motivo di ricorso si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione; deduce il P. la carenza di prova dei fatti addebitatigli così formulando la censura: “Inesistenza dei fatti addebitati: la merce non è stata comprata a Livigno, bensì a Sondrio. Mancanza di prova o anche solo di indizi dei fatti addebitati: Mancanza totale dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. e art. 192 c.p.p. dei fatti riportati nel verbale di constatazione, circa una supposta violazione dell’art. 282 T.U.L.D., comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 70. Inutilizzabilità delle verifiche fiscali effettuate presso terzi, nei confronti del ricorrente”.

5.1. Giova richiamare quanto affermato in ricorso: nel 2003 il P. acquistò in Sondrio da un locale commerciante ( B.S.) un orologio marca “Cartier” a prezzo di sconto, pagato con un assegno di Euro 6.300,00 recante come luogo di emissione Sondrio. A fronte di ciò, la CTR ha omesso di motivare il proprio convincimento in ordine al ritenuto contrabbando dell’orologio, acquistato in Livigno e trasferito in Italia senza assolvere i relativi obblighi fiscali, basandosi, peraltro, su accertamenti fiscali a carico di terzi (la “International Gold Trade” di Livigno e il B., “personaggio sicuramente ambiguo, operante tra Sondrio e Livigno”: p. 4 del ricorso) non opponibili all’acquirente in difetto di ulteriori riscontri oggettivi e operando un illegittimo ribaltamento dell’onere della prova incombente sull’ufficio.

5.2. Il motivo è in parte inammissibile, basandosi su profili di doglianza miranti, con tutta evidenza, a sollecitare nelle presente sede di legittimità un non consentito riesame della valutazione delle prove ai fini dell’auspicato esito alternativo del giudizio già reso, e in parte infondato, non sussistendo affatto la denunciata carenza motivazionale alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Non solo la CTR ha considerato il complessivo quadro presuntivo emergente dagli accertamenti amministrativi condotti e dalla documentazione prodotta (segnatamente l’assegno bancario asseritamente utilizzato quale mezzo di pagamento dell’orologio), ma coglie facilmente nel segno la condivisibile controdeduzione dell’amministrazione secondo cui l’assegno bancario emesso nel 2005 in Sondrio in favore del B. non può valere a sostenere la tesi del P. dell’acquisto dell’orologio nel 2003 (p. 2 del ricorso). Generica è poi la deduzione del ricorrente circa l’inutilizzabilità delle verifiche fiscali effettuate presso terzi (la “International Gold Trade” di Livigno e il B.): nella sua assolutezza, l’affermazione postula un’insussistente immunità dalle risultanze delle indagini fiscali nei confronti di terzi che, invece, ben possono sostenere il detto quadro probatorio in senso ulteriormente indiziario, come al postutto riconosciuto dallo stesso ricorrente (p. 4 del ricorso).

6. Con il secondo motivo si torna a sostenere la prescrizione della pretesa fiscale ai sensi degli artt. 221 del codice doganale comunitario e del (T.U. delle disposizioni legislative in materia doganale) D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43,. art. 84.

6.1. Il mezzo è infondato.

Ai sensi dell’art. 43 T.U.L.D., commi 1, 5 e 6 nel caso di immissione in consumo della merce estera destinata al consumo interno e indebitamente sottratta ai vincoli doganali, o comunque non presentata ai controlli doganali, l’obbligazione tributaria si ritiene sorta al momento in cui il fatto si è verificato ovvero, se non è possibile stabilire tale momento, quando il fatto è stato accertato.

Nella specie, e come correttamente ritenuto dalla CTR, intervenuto l’accertamento il 24 luglio 2007, la notificazione del verbale di contestazione e contestuale avviso di pagamento è stata tempestivamente effettuata il 31 maggio 2010, ossia entro il termine triennale di prescrizione applicabile ratione temporis ex art. 84 T.U.L.D., comma 2, lett. d) (“dalla data in cui i diritti sono divenuti esigibili”).

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato; spese del giudizio e doppio contributo unificato secondo soccombenza.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 23 gennaio 2019.

Depositato in cancelleria il 29 gennaio 2020


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 16-01-2020) 25-05-2020, n. 9567

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28276/2018 R.G. proposto da:

P.M., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. MARGIOTTA Alessandro, presso il cui studio legale, sito in Sulmona, alla via Lamaccio, n. 1, è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 150/01/2018 della Commissione tributaria regionale del MOLISE, depositata il 20/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

Svolgimento del processo
Che:

1. In controversia relativa ad avviso di accertamento ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2008, P.M. propone ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Molise, indicata in epigrafe, che aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sfavorevole sentenza di primo grado, ritenendo inammissibile l’originario ricorso della contribuente perchè tardivamente proposto rispetto alla data di notifica (per compiuta giacenza) dell’avviso di accertamento correttamente effettuata presso la residenza anagrafica della contribuente e non presso il domicilio dalla medesima eletto con una semplice comunicazione priva di effetto.

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Motivi della decisione
Che:

1. Vanno preliminarmente disattese le eccezioni della controricorrente di improcedibilità ed inammissibilità del ricorso.

2. Quanto alla prima, la ricorrente nel corpo del ricorso ha correttamente fatto riferimento alla sentenza della CTP di Isernia n. 109 del 2014 e non a quella n. 110 del 2014 emessa nei confronti dell’altro socia ( D.L.M.) ed ha depositato la copia della sentenza emessa nei suoi confronti e non altra.

3. Quanto alla seconda eccezione, osserva il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, la ricorrente ha correttamente censurato la sentenza d’appello che, sul presupposto della ritualità della notifica effettuata presso la residenza della contribuente piuttosto che al domicilio eletto, ha dichiarato l’inammissibilità dell’originario ricorso perchè tardivamente proposto. Statuizione, questa, che costituisce l’unica ratio decidendi della decisione impugnata.

5. Nel merito, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 59 e 60 per avere la CTR ritenuto non correttamente effettuata da parte della contribuente la variazione di domicilio fiscale, statuendo quindi la validità della notifica dell’atto impositivo dell’Agenzia delle Entrate ad un domicilio diverso da quello comunicato.

6. Il motivo è fondato e va accolto.

7. Invero, in tema di accertamento delle imposte dei redditi, la variazione del domicilio fiscale, indicata dal contribuente nella dichiarazione annuale dei redditi o risultante da un altro atto comunicato all’Agenzia delle Entrate, costituisce atto idoneo a rendere noto all’Amministrazione il nuovo domicilio ai fini delle notificazioni, dovendo in ogni caso tale ius variandi essere esercitato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario (cfr. Cass. nn. 11170/2013).

8. Peraltro, anche in caso in caso di difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi (o in altra comunicazione inviata all’Agenzia delle entrate), questa Corte ha ritenuto valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta a controllare l’esattezza del domicilio eletto (cfr. Cass. n. 25680/2016).

9. Pertanto, incontroverso in fatto che nel 2011 la contribuente aveva effettuato regolare comunicazione di variazione di domicilio fiscale all’Agenzia delle Entrate, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 58, va ritenuta la nullità della notifica dell’atto impositivo (per compiuta giacenza ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8), siccome eseguita in luogo diverso dal domicilio eletto agli specifici fini, con la conseguenza che l’impugnazione proposta dalla contribuente doveva ritenersi tempestiva rispetto ad essa.

10. Al riguardo va precisato che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, tale notifica non è inesistente ma nulla, posto che, secondo il principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 24916 del 2016 in tema di notificazione del ricorso per cassazione, mutuabile anche alle fattispecie di notificazione degli atti impositivi, l’inesistenza della stessa “è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”.

11. Ha quindi errato la CTR, omettendo di attenersi ai suddetti principi giurisprudenziali, nel ritenere privi di effetti la comunicazione della variazione di domicilio effettuata dalla contribuente nel 2011, facendone conseguire l’inammissibilità dell’originario ricorso perchè tardivamente proposto.

12. Il ricorso va dunque accolto, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale del Molise in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Molise, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020


Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 19-09-2019) 14-01-2020, n. 448

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi riuniti 21167/2015 e 21292/2015, rispettivamente proposti da:

IMMOBILIARE BARDONECCHIA Società Semplice (già Immobiliare Bardonecchia di S.S. & C. S.a.s.), in persona del socio e legale rappresentante S.S., rappresentata e difesa dagli Avvocati IDA CARDARELLI e FRANCO BOZZINI, ed elettivamente domiciliata presso lo studio della prima in ROMA, VIA ALESSANDRIA 208;

– ricorrente –

e da M.G., rappresentata e difesa dall’Avvocato LIVIO LOVATO DASSETTO, ed elettivamente domiciliata, presso lo studio dell’Avv. Monica Marucci, in ROMA, VIA IN SELCI 84/A;

– ricorrente incidentale –

contro

R.G. GRAFICA s.r.l., in persona del legale rappresentante G.S., rappresentata e difesa dagli Avvocati AMEDEO POMPONIO e DANILO GHIA, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in ROMA, VIA CICERONE 44;

– controricorrente al ricorso principale e incidentale –

e contro

FONDIARIA SAI s.a.s.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1199/2014 della CORTE d’APPELLO di TORINO, depositata il 19/06/2014;

udita la relazione delle cause svolta nella pubblica udienza del 19/09/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;

uditi gli avvocati IDA CARDARELLI e LIVIO LOVATO DASSETTO, rispettivamente per la ricorrente principale e quella incidentale, che hanno concluso ciascuno come in atti.

Svolgimento del processo
Con atto di citazione, notificato in data 20.4.1993, la IMMOBILIARE BARDONECCHIA DI S.S. & C. s.a.s. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino la R.G. GRAFICA S.R.L. affermando di avere per essa realizzato, in forza di contratto di appalto, un capannone in Rivoli; che incaricata della progettazione direzione lavori era stata l’arch. M.G.; di aver consegnato l’opera alla committente in data 12.2.1992; che nell’aprile 1992 le era pervenuta dalla committente denuncia di difetti dei pavimenti del piano terreno e primo; che il corrispettivo pattuito non le era stato interamente corrisposto, per cui chiedeva la condanna della convenuta al pagamento del saldo pari a Lire 34.815.068.

Costituitasi in giudizio, la R.G. Grafica s.r.l. insisteva nella contestazione dei difetti e formulava domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.

Con separata citazione la committente conveniva in giudizio, sempre davanti al Tribunale di Torino, l’arch. M., chiedendone la condanna, fondata su ipotizzata responsabilità professionale, al risarcimento dei danni.

La convenuta si costituiva in giudizio contestando la sussistenza di una propria responsabilità e chiamando in giudizio la propria assicuratrice FONDIARIA SAI, dalla quale intendeva essere manlevata. La terza chiamata si costituiva in giudizio appoggiando nel merito le difese della convenuta.

Riunite le due cause ed espletata CTU, con sentenza n. 8285/2001, depositata in data 15.10.2001, il Tribunale di Torino respingeva la domanda di pagamento formulata dall’Immobiliare Bardonecchia; accoglieva la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni proposta dalla R.G. Grafica s.r.l., liquidati in Lire 137.000.000 oltre accessori; rigettava le domande proposte nei confronti dell’arch. M.; dichiarava assorbita la domanda di manleva; condannava l’attrice al pagamento delle spese di lite e di CTU in favore della R.G. Grafica s.r.l..

Avverso la sentenza proponeva appello l’Immobiliare Bardonecchia, lamentando la erroneità della CTU di primo grado.

Si costituiva la committente resistendo al gravame principale e proponendo appello incidentale, con la richiesta di condanna dell’arch. M., la quale da canto suo insisteva nella domanda di garanzia verso la Compagnia assicuratrice.

Espletata nuova CTU, con sentenza n. 1669/2005, depositata in data 26.10.2005, la Corte d’Appello di Torino riformava la sentenza di primo grado e condannava la committente al pagamento del saldo del prezzo e l’appaltatrice al risarcimento dei danni liquidati in Lire 30.000.000, oltre accessori; dichiarava inammissibile l’appello incidentale. In particolare, la Corte d’Appello confermava il giudizio di responsabilità a carico dell’appaltatrice in riferimento alla pavimentazione del piano terreno, escludendo però la necessità della demolizione, anche perché i vizi accertati non ne avevano impedito del tutto l’utilizzo; l’appello incidentale era ritenuto inammissibile per mancanza di specificità delle censure.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la R.G. Grafica. L’Immobiliare Bardonecchia resisteva proponendo ricorso incidentale. Si costituiva la M., ma non Fondiaria SAI. Con sentenza n. 2829/2013, depositata in data 6.2.2013, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso principale rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello per il giudizio di merito. Rilevava la Suprema Corte che se la Corte d’Appello aveva escluso l’ipotesi di cui all’art. 1669 c.c., propendendo per quella di cui all’art. 1667 c.c., non per questo si giustificava la conseguenza che ne aveva tratto, ovvero che l’esclusione del caso di cui all’art. 1669 c.c., impedisse l’ipotesi di un rifacimento completo della pavimentazione, essendo compatibili i due rimedi del risarcimento del danno e dell’eliminazione dei vizi; inoltre che non si giustificava la limitazione al solo piano terreno del risarcimento del danno e dell’eliminazione dei vizi. Era accolto anche il motivo di ricorso concernente l’appello incidentale, non giustificandosi la ritenuta inammissibilità di questo circa la responsabilità della professionista, essendo emersa la riferibilità dei vizi ad errori di progettazione ed essendo sul punto adeguatamente motivato il gravame. Infine, dichiarava assorbito l’ulteriore motivo di ricorso principale, nonché quello incidentale, relativi al regime delle spese di lite e alla liquidazione del danno.

La R.G. Grafica s.r.l. riassumeva il giudizio insistendo nella propria domanda di risarcimento del danno parametrato sul rifacimento dei pavimenti del piano terreno e primo piano, e sulla domanda di condanna anche della progettista e del direttore dei lavori, nonché di rifusione delle spese sostenute per l’ATP e delle spese di lite.

Si costituivano in giudizio le altre parti: l’Immobiliare Bardonecchia chiedeva il rigetto della domanda di risarcimento ed eccepiva la mancata formulazione, da parte della committente, di domanda di rifacimento dei pavimenti, nonché la mancata prova del danno che quella assumeva di aver subito; l’arch. M. eccepiva la novità delle conclusioni assunte dall’attrice in riassunzione rispetto al precedente giudizio di appello, l’infondatezza delle pretese avanzate nei propri confronti; in subordine, la prescrizione e decadenza del diritto di R.G. Grafica, la propria estraneità alla progettazione del pavimento del primo piano, la limitazione della propria percentuale di corresponsabilità con l’appaltatore, l’eccessività dei costi individuati dalla CTU per la rimozione dei vizi; riproponeva la domanda di manleva nei confronti della Fondiaria SAI; quest’ultima, riportandosi alle difese dell’assicurata in merito all’infondatezza delle domande contro questa proposte, contestava la ricorrenza dei presupposti di polizza per l’operatività della garanzia, incombendo all’assicurata l’onere di provare il contrario.

Con sentenza n. 1199/2014, depositata in data 19.6.2014, la Corte d’Appello di Torino condannava, in solido tra loro, l’Immobiliare Bardonecchia e M.G. al risarcimento del danno in favore di R.G. Grafica s.r.l. liquidato in Euro 184.190,00, oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo; condannava l’Immobiliare Bardonecchia all’ulteriore risarcimento del danno in favore di R.G. Grafica s.r.l. liquidato in Euro 22.140,00, oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo; rigettava ogni domanda da M.G. proposta nei confronti della Fondiaria SAI; condannava, in solido tra loro, l’Immobiliare Bardonecchia e la M. alle spese di lite in favore di R.G. Grafica nei vari gradi di giudizio; condannava la M. alle spese di lite in favore della Fondiaria SAI nei vari gradi di giudizio.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Immobiliare Bardonecchia sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria; resiste la R.G. Grafica s.r.l. con controricorso. Propone altresì ricorso incidentale M.G. sulla base di due motivi; resiste con controricorso al ricorso incidentale la R.G. Grafica; l’intimata Fondiaria SAI non ha svolto difese.

Motivi della decisione
1.1. – Si impone, preliminarmente, la riunione delle impugnazioni, che nella specie è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto queste investono lo stesso provvedimento (Cass. sez. un. 1521 del 2013; conf. Cass. n. 27550 del 2018).

1.2. – Inoltre, il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte (come nella specie), indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Cass. n. 2516 del 2016; conf. Cass. n. 5695 del 2015).

2.1. – Con il primo motivo, la ricorrente principale impugna la sentenza, ai sensi dell’”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 384 c.p.c., comma 2″, poiché la Corte di Cassazione, da un lato, aveva corretto e conferito l’esatta impostazione giuridica alla sentenza pronunciata in secondo grado e, dall’altro lato, aveva riconosciuto la pretesa della R.G. Grafica s.r.l. di ottenere il risarcimento dei danni relativi ai vizi del pavimento del primo piano. Viceversa, la Corte d’Appello, in sede di rinvio, non si limitava a dare concretezza a tale riconoscimento, ritenendo di dover interpretare la sentenza della Suprema Corte nel senso di modificare il quantum del risarcimento spettante alla R.G. Grafica s.r.l. anche in relazione al piano terra del fabbricato, rispetto a quanto già stabilito dalla sentenza di secondo grado n. 1669/2005 della Corte d’Appello di Torino.

2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente principale, lamenta, sempre ai sensi dell’”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (la) violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 384 c.p.c., comma 2″, là dove il giudice del rinvio ha trattato il quantum del risarcimento in relazione al piano terra, quando esso era già stato determinato dalla sentenza d’appello. Secondo la ricorrente, la Corte di Cassazione aveva affermato che la committente avesse chiesto, oltre al risarcimento dei danni, anche l’eliminazione dei vizi mediante rifacimento dell’opera, mentre il Giudice del rinvio ha ritenuto che la committente non avesse mai richiesto la condanna dell’appaltatore alla rimozione dei vizi. In ogni modo, il Giudice del rinvio avrebbe disatteso la pronuncia della Suprema Corte, la quale non aveva cassato la decisione di secondo grado circa la determinazione del quantum del risarcimento per i vizi del pavimento del piano terra.

2.3. – In considerazione della loro connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.3.1. – I motivi non sono fondati.

2.3.2. – Costituisce principio consolidato (da ultimo Cass. n. 9156 del 2019; Cass. n. 5137 del 2019) che la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass. n. 25244 del 2013). Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione diversi da quelli che erano stati formulati nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. n. 4096 del 2007; Cass. n. 13719 del 2006; in senso analogo, Cass. n. 13006 del 2003).

La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (cfr. giurisprudenza costante di questa Corte: Cass. n. 25244 del 2013, cit.; cfr. Cass. n. 4018 del 2006). Non senza dimenticare che a tali regole si aggiunge quella secondo cui, in tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto (Cass. n. 3955 del 2018).

Peraltro, altrettanto consolidato è il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass. n. 17790 del 2014; conf. Cass. n. 13719 del 2006).

2.3.3. – Ciò premesso, la Corte di merito, nel rispetto della specifica latitudine attribuita dalle coordinate apposte dal giudice di legittimità all’ambito decisionale nel giudizio di rinvio, ha sottolineato come “in base all’esplicito tenore della sentenza della Suprema Corte, debba ritenersi definitivo l’accertamento, nel caso di specie, della sussistenza di vizi nell’opus realizzato da Immobiliare Bardonecchia, in relazione ai pavimenti del primo piano e del piano terreno, che non integrano l’ipotesi di cui all’art. 1669 c.c., bensì quella di cui all’art. 1667 c.c.”; ed ha quindi rilevato che “la Suprema Corte (aveva) poi affermato la concorrenza della domanda di risarcimento del danno con quella diretta all’eliminazione dei vizi, affermandone la cumulabilità”. A fronte di ciò, la Corte di merito ha precisato che “l’affermazione della convenuta appaltatrice, per cui questo sarebbe, “com’è noto”, un errore, non è ovviamente rilevante, posto che il giudice del rinvio è vincolato al principio di diritto formulato nella pronuncia di cassazione della sentenza di appello”; laddove “sulla scorta di ciò, parte attrice in riassunzione, consapevole di non aver mai richiesto la condanna dell’appaltatore alla rimozione dei vizi, (ha riproposto) la propria, unica e sola, domanda di risarcimento del danno, parametrandola ai costi di eliminazione dei vizi, sulla scorta della CTU di primo grado, che sul punto appare del tutto immune da vizi logici, congruamente motivata” (ed alla quale era dunque opportuno integralmente richiamarsi in quella sede di giudizio di rinvio). E dunque, correttamente e coerentemente (avuto evidentemente riguardo anche al fatto che avverso singole affermazioni della pronuncia di legittimità non risulta esser stato ritualmente proposto alcun tempestivo rimedio revocatorio), la Corte distrettuale ha ritenuto che, in base al tenore del decisum della Suprema Corte, l’unica decisione possibile fosse la conferma del danno liquidato dal giudice di primo grado (sentenza impugnata, pagine 9 e 10).

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente principale deduce ai sensi dell’”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (la) nullità della sentenza o del procedimento in quanto priva dei requisiti previsti dall’art. 132 c.p.c.” ritenendosi oscuro il perché il Giudice del rinvio abbia accolto la richiesta risarcitoria, parametrandola ai costi di eliminazione dei vizi, attribuendo valenza positiva alla CTU svolta in primo grado, senza neppure articolare il proprio ragionamento in relazione a quanto stabilito dalla Corte d’Appello con la sentenza n. 1669/2005, la cui decisione è stata riformata solo in parte, circa la correzione dell’iter logico-giuridico della motivazione e l’accoglimento della domanda risarcitoria in relazione al pavimento del primo piano.

3.1. – Il motivo è infondato.

3.2. – Questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. n. 19959 del 2014) che il giudizio di cassazione (come detto, giudizio a critica vincolata) è delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve, appunto, necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con una articolazione del motivo, correlato ad un non specifico riferimento a profili tra loro confusi o inestricabilmente combinati, e non chiaramente collegabili ad una delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito (Cass. n. 11603 del 2018).

Ciò che la ricorrente principale contesta è, relativamente alla liquidazione dei danni, la asserita “evidente carenza dell’impugnata sentenza sul piano della motivazione” (ricorso principale, pagina 18), sul punto della determinazione del quantum del risarcimento spettante alla R.G. Grafica.

Orbene, costituisce principio fermo quello secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta, come nella specie, da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. n. 604 del 2019; Cass. n. 22598 del 2018), non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Cass. sez. un. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 8742 del 2018). Ma detto principio deve coesistere con quello altrettanto fermo secondo cui, nel “processo chiuso” conseguente alla riassunzione della causa davanti al Giudice del rinvio, se è vero che il Giudice conserva tutte le facoltà che gli competevano quale Giudice di merito, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, è altresì vero che, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema enunciato nella sentenza di annullamento, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici (Cass. n. 4018 del 2006; Cass. n. 14134 del 2004).

3.3. – Il Giudice di rinvio (come già sopra sottolineato) dato atto che era divenuto definitivo l’accertamento della sussistenza dei vizi in relazione ai pavimenti del piano primo e del piano terra, che non integravano l’ipotesi di cui all’art. 1669, bensì quella di cui all’art. 1667 c.c. e che la committente, consapevole di non aver mai richiesto la condanna dell’appaltatore alla rimozione dei vizi, aveva riproposto la propria unica domanda di risarcimento del danno, parametrandola ai costi di eliminazione dei vizi, in base alla CTU di primo grado – ha adeguatamente motivato nel senso che, secondo il decisum della Cassazione, l’adozione del risultato della CTU di primo grado fosse l’unica soluzione (giacché la sentenza di appello era stata cassata proprio in quanto aveva escluso tale diritto, sulla scorta delle risultanze della CTU di secondo grado).

4. – Con il quarto motivo, la ricorrente principale deduce, ai sensi dell’”art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con riguardo alla questione controversa, oggetto di discussione tra le parti, della idoneità del pavimento. La Corte d’Appello in secondo grado aveva evidenziato, sulla base della CTU esperita in grado d’appello, che il pavimento non solo fosse utilizzabile, ma di fatto era stato utilizzato dalla committente fin dall’epoca della sua realizzazione. Tale circostanza non era presa in considerazione dalla Corte d’Appello in sede di rinvio, la quale riteneva di richiamare la CTU di primo grado, anche se tale CTU non affrontava la questione dell’utilizzabilità e della effettiva utilizzazione del manufatto, tanto che il Giudice di secondo grado riteneva di disporre nuova CTU anche per affrontare tale profilo.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

4.2. – E’ principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 19 giugno 1914) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente – con riguardo e nei limiti della richiamata peculiare ampiezza dell’ambito decisionale del giudizio di rinvio – avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è idonea e specifica indicazione. Sicché, le censure mosse in riferimento a detto parametro, ancora una volta, si risolvono nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), come detto inammissibile, seppure effettuata con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dal ricorrente. In sede di legittimità, le censure relative ai vizi di motivazione non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dalla sentenza impugnata, in quanto, diversamente, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del Giudice di merito, estranea al giudizio di legittimità (Cass. n. 6288 del 2011; Cass. n. 7394 del 2010).

5. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, la ricorrente M. lamenta la “Violazione del principio di economia processuale; violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 2; artt. 391 bis, 365 c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la Corte d’Appello, in sede di rinvio, provveduto alla correzione degli errori di fatto che avrebbero viziato la sentenza della Corte di Cassazione.

5.1. – Il motivo non è fondato.

5.2. – Il resistente rileva che la sentenza di legittimità n. 2829 del 2013 era stata depositata in data 6.2.2013 e l’atto di riassunzione era stato notificato dalla committente alla M. in data 6.5.2013 (v. controricorso al ricorso incidentale, pagina 8), ossia dopo tre mesi, termine durante il quale la odierna ricorrente incidentale avrebbe, semmai, potuto introdurre giudizio di revocazione per errore di fatto. Ne consegue che la scelta di non proporre ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, ha determinato il consolidamento dei presupposti di fatto e di diritto statuiti dalla Suprema Corte. Valgono, dunque, tutte le considerazioni svolte circa la non fondatezza dei primi due motivi del ricorso principale sub 2.3.3.

6. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la ricorrente M. deduce la “Violazione art. 384 c.p.c., comma 2 e art. 394 c.p.c.; art. 1668 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non essersi la Corte d’Appello, in sede di rinvio, uniformata al principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, condannando la ricorrente e l’Immobiliare Bardonecchia, in solido, al solo risarcimento del danno e parametrando quest’ultimo al costo delle opere necessarie ad eliminare i vizi. La Corte di rinvio faceva proprio quello che la Suprema Corte aveva enunciato non potesse fare e cioè non considerava la domanda di eliminazione dei vizi a carico dell’appaltatore. Invece, la Corte di rinvio avrebbe dovuto esaminare e pronunciarsi sulla domanda di eliminazione dei vizi; tutt’al più constatando che la stessa non era stata (ri)proposta nel giudizio di merito e, pertanto, fosse da intendersi come rinunciata.

6.1. – Il motivo non è fondato.

6.2. – In considerazione del contenuto del tutto analogo e coincidente delle censure mosse dal ricorrente principale alla impugnata sentenza della Corte distrettuale, e del medesimo thema decidendum proposto, appare sufficiente fare riferimento alle considerazioni sopra svolte (sub 2. e segg.) in ordine alla portata della pronuncia ed alla sua correttezza rispetto all’ambito decisionale proprio del giudizio di rinvio; considerazioni che ovviamente (data la stessa prospettazione) non possono non riguardare nell’identico modo anche la posizione della ricorrente incidentale.

7. – I ricorsi vanno dunque rigettati. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa, altresì, per entrambe le ricorrenti (principale e incidentale) la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta. Condanna la ricorrente principale e la ricorrente incidentale al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 4.200,00 ciascuna, di cui Euro 200,00 ciascuna per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020