Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 26-04-2018) 04-10-2018, n. 24212

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 28926/2015 proposto da:

W.C. elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico 36/b, presso lo studio dell’avv. Massimo Scardigli, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Petrocchi Piero;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FIRENZE, in persona del sindaco pro tempore rappresentato e difeso dagli avvocati Debora Pacini e Andrea Sansoni;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1525/2015 del tribunale di Firenze, depositata il 05/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del 26/04/2018 dal Consigliere Dr. Sabato Raffaele.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza depositata il 05/05/2015 il tribunale di Firenze, rigettando l’appello proposto da W.C. avverso sentenza del giudice di pace di Firenze che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione dello stesso nei confronti del comune di Firenze avverso verbale di accertamento di violazione del codice della strada (c.d.s.) per transito in zona a traffico limitato ((OMISSIS) in Firenze) senza autorizzazione, con applicazione della sanzione amministrativa di Euro 109.30, ha confermato la stessa richiamando il principio processuale della “ragione più liquida” in base a considerazioni diverse da quelle adottate dal giudice onorario.

2. Mentre il giudice di pace aveva dichiarato inammissibile il ricorso in quanto ritenuto proposto oltre i termini di cui all’art. 204 c.d.s., il tribunale ha ritenuto nulla la procura alle liti:

– in quanto carente della “specifica indicazione della causa per la quale il mandate è stato rilasciato”, non essendo peraltro la procura indicativa dell’oggetto della lite nè del numero di ruolo, nè “congiun(ta all’).. atto cui si riferisce”, in riferimento all’art. 83 c.p.c.,;

– per essere l’autentica da parte di notaio non congiunta alla procura;

– per essere l’autentica stessa redatta in lingua tedesca, non essendo condivisibile la giurisprudenza che esclude l’applicazione dell’art. 122 c.p.c., alla procura.

3. Avverso la sentenza del tribunale W.C. ha proposto ricorso per cassazione su sette motivi illustrati da memoria, cui il comune di Firenze ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 83 comma 1 e 2, c.p.c., in relazione all’affermazione da parte della sentenza impugnata che la procura per l’instaurazione di un giudizio di merito necessiti, oltre che dell’indicazione dei nomi delle Parti, anche dell’oggetto della lite e del numero di ruolo (quest’ultimo attribuito, peraltro, in sede di costituzione).

2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 157 c.p.c., comma 1, art. 112 c.p.c., per avere il giudice d’appello – investito di eccezione di nullità della procura alle liti – pronunciato tale nullità come insanabile, senza che l’insanabilità venisse dedotta.

3. Con il terzo motivo si indica poi violazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, per avere il giudice d’appello rilevato un vizio della procura senza aver prima provveduto, come imposto da detta norma, a formulare l’invito a produrre altra procura idonea a sanare ex tunc la costituzione.

4. I primi tre motivi, investendo profili strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Alla luce dell’inammissibilità di essi per le ragioni di cui in prosieguo, si determina assorbimento degli ulteriori profili in essi trattati, nonchè pari assorbimento degli altri motivi aventi ad oggetto, tra l’altro, le questioni concernenti la lingua e la congiunzione dell’autentica alla procura rispetto agli atti, oltre ad altro, prevalentemente a fine di riproposizione di aspetti non esaminati.

4.1. Appare, in argomento, necessario anzitutto richiamare che, come si evince da statuizione alla p. 3 dell’impugnata sentenza, il tribunale ha esaminato, sulla base di eccezione del comune di Firenze secondo cui “la procura …. (non) è materialmente unita al ricorso” (p. 2), la (procura in questione come “speciale” (p. 3) separata dal ricorso stesso. Trattasi di giudizio, seppur succinto, in fatto, derivante dall’esame degli atti quali sussistenti al momento, non riesaminabile in sede di legittimità. Peraltro, di tanto si dà atto anche in ricorso (p. 7) ove la procura è qualificata come “rilasciata con scrittura privata autenticata” da non “accosta(re) a quella… semplicemente autenticata dal difensore.

4.2. In secondo luogo, è necessario notare come – in evidente stretta interdipendenza rispetto al predetto accertamento in fatto – il tribunale abbia accertato che “effettivamente” (avverbio che si spiega in funzione dell’avere in precedenza la sentenza fatto riferimento a eccezione del comune sul punto – v. infra) “nella procura speciale… non vi è alcuna specifica indicazione della causa per la quale il mandato è stato rilasciato, la quale causa non viene indicata nè per l’oggetto, nè per numero di ruolo” (p. 3). Trattasi, anche in questo caso, di accertamento fattuale. Il comune di Firenze – come si dà atto nella sentenza – aveva eccepito che “la procura… non contiene gli estremi del procedimento/atto a cui si riferisce” (p. 2).

4.3. Ciò posto, nell’ambito del primo motivo in particolare (ove la procura è ritualmente trascritta), il ricorrente, oltre a diffondersi su una presunta – ma insussistente per quanto detto – confusione del tribunale tra procura in calce o a margine e procura speciale separata dall’atto processuale, richiama che, in applicazione dell’art. 83 c.p.c., comma 3, e consolidata giurisprudenza, la procura speciale debba contenere gli elementi identificativi della causa (p. 12) e deduce che la procura in questione li conterrebbe, affidandosi a un precedente in materia lavoristica (Cass. 14/9/2010 n. 20784) secondo cui sono speciali anche le procure che si riferiscono non a una sola causa ma a una “serie specifica di cause, caratterizzate dalla materia trattata o dalla sede territoriale o altrimenti” (così in ricorso p. 13); quanto ai rilievi del tribunale, secondo cui nel mandato “non vi è alcuna specifica indicazione della causa per la quale il mandato è stato rilasciato, la quale causa non viene indicata nè per l’oggetto, nè per numero di ruolo”, il ricorrente – oltre a stigmatizzare che il numero di ruolo non può essere noto prima della costituzione in giudizio – cita altra sentenza del tribunale di Firenze che, per diversa lite dello stesso trasgressore in cui si è utilizzata la medesima procura, ha ritenuto la indicazione inequivoca della controversia mediante l’indicazione dei nomi delle parti (in particolare, della controparte comune di Firenze).

4.4. Il motivo – al pari delle conseguenziali argomentazioni del secondo e terzo motivo – rinviene la sua inammissibilità nella circostanza che l’accertamento relativo al sussistere di una inequivoca indicazione di una controversia nella procura (o, se si vuole, di una serie di controversie, posto che il contravventore deduce di avere più pendenze nei confronti del comune) è un accertamento in fatto, non sindacabile in cassazione se non nei limiti dell’omesso esame di fatto storico dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5, non predicabile nel caso di specie, in cui la procura risulta esaminata.

4.5. Solo per completezza – e a prescindere dalla questione relativa al numero di “ruolo”, ove probabilmente l’espressione potrebbe essere riferita al numero del verbale di contravvenzione – può, avendosi presente che il testo della procura di cui trattasi reca esclusivamente le indicazioni delle denominazioni delle parti “a tutti gli effetti del procedimento di cui sopra” (indicazione questa non riferita, come notato dal tribunale, ad alcunchè), richiamarsi che il precedente giurisprudenziale lavoristico anzidetto è citato impropriamente, posto che in quel caso “la procura speciale alle liti” era “rilasciata non per una singola causa ma per una serie di controversie… caratterizzate da unitarietà di materia o collegate tra loro da specifiche ed oggettive ragioni di connessione” (cosi nella massima ufficiale). Nel caso di specie, la procura e rilasciata per il solo “procedimento di cui sopra”, indicato soltanto quanto all’identità della controparte e, quindi, in assenza di indicazioni di materia o altra specificazione (quale avrebbe potuto essere, ad es., il riferimento a opposizioni a tutte le contravvenzioni riportate dal trasgressore alla guida di veicoli in (OMISSIS) a Firenze in un determinato periodo), onde si è del tutto al di fuori dell’ipotesi predetta.

4.6. Acclarato quanto innanzi, la complessiva inammissibilità dei primi tre motivi va chiarita alla luce di almeno taluni ulteriori profili sollevati con il secondo e il terzo motivo, relativi alla ritenuta insanabilità non dedotta e alla non attivazione della sanatoria ex art. 182 c.p.c.. Limitando ogni considerazione sul primo aspetto all’afferire al iura novit novit curia la statuizione circa la natura della nullità della procura comunque ritualmente eccepita, va nuovamente richiamato, in ordine al secondo aspetto, quanto esposto in premessa nel senso che, in sede di costituzione, appunto, il comune di Firenze ha dedotto specificamente la mancanza degli estremi della lite nella procura separata in violazione dell’art. 83 c.p.c., (cfr. sentenza p. 2).

4.7. Alla luce di ciò, quale che fosse la tipologia di nullità, ad avviso del ricorrente il giudice avrebbe dovuto attivare il disposto dell’art. 182 c.p.c., comma 2, nel testo in vigore dal 04/07/2009 e applicabile ratione temporis al procedimento avviato successivamente. Tale norma prescrive che, “quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”.

Il nuovo testo normativo ha effettivamente imposto una possibilità di sanatoria sia per il difetto sia per la nullità della procura al difensore, con un preciso dovere del giudice di assegnare alla parte interessata un termine perentorio per la sanatoria stessa, onde il rispetto del termine perentorio all’uopo assegnato dal giudice è idoneo a sanare retroattivamente sia la mancanza assoluta sia una qualunque difformità del mandato defensionale per il giudizio di merito rispetto al modello legale, superandosi in tal modo i precedenti orientamenti giurisprudenziali in tema di sanabilità soltanto di alcuni vizi e di incensurabilità, in sede di giudizio di legittimità, della mancata concessione del termine, non più configurabile come potere discrezionale del giudice. In tal senso questa corte ha affermato nell’interpretazione della predetta norma che il giudice non può dichiarare l’invalidità della costituzione di questa senza aver prima provveduto – in adempimento del dovere imposto dall’art. 182 c.p.c., comma 1, – a formulare l’invito a produrre il documento mancante (o a rinnovare quello viziato); tale invito, nel caso in cui non sia stato rivolto dal giudice istruttore, deve essere fatto dal collegio, od anche dal giudice dell’appello, poichè la produzione o rinnovazione, effettuata nel corso del giudizio di merito anche d’appello, sana ex tunc la irregolarità della costituzione (in questo senso v. tra le recenti, anche per richiami, Cass. n. 6041 del 13/03/2018 oltre che Cass. sez. U n. 26338 del 07/11/2017; per fattispecie rette dalla precedente formulazione dell’art. 182 c.p.c., peraltro, v. Cass. 22559 del 04/11/2015 – che tiene conto della novella – e Cass. n. 3181 del 18/02/2016, n. 4485 del 25/02/2009.e n. 8435 del 11/04/2006). Tale lettura soltanto dell’art. 182 c.p.c., del resto, rende la pronuncia di inammissibilità della domanda giudiziaria per mancanza di mandato a un legale abilitato, con conseguente restrizione all’accesso a un tribunale, proporzionata allo scopo avuto di mira dalla norma di assicurare la difesa tecnica e, quindi, coerente con l’art. 6 c.e.d.u.: gli organi giudiziari degli stati membri sottoscrittori della c.e.d.u., nell’interpretazione della legge processuale, infatti, devono evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dall’art. 6 di detta convenzione (cfr. ad es. Corte e.d.u., Brualla Gomez de la Torre c. Spagna, 19/12/1997; Guerin c. Francia, 29/07/1998; Perez de Rada Cavanilles c. Spagna, 28/10/1998; Zednik c. Repubblica Ceca, 28/06/2005; oltre numerose altre più recenti; e v. Cass. sez. U cit.).

4.8. Fermo tutto quanto innanzi, i motivi di ricorso (il terzo, in particolare) non si fanno carico di considerare che, come emerge dallo stesso ricorso e dalla sentenza impugnata (p. 2), il comune di Firenze nel caso di specie aveva esso sollevato la questione di nullità della procura, nullità non rilevata d’ufficio e non sanata spontaneamente dalla parte privata nella successiva evoluzione processuale, essendosi l’odierno ricorrente limitato a discutere dei profili giuridici di cui innanzi. In tale situazione i predetti principi in tema di applicabilità dell’art. 182 c.p.c., vanno contemperati con l’altro principio (per cui v. Cass. n. 11898 del 28/05/2014 e sez. U n. 4248 del 04/03/2016) secondo il quale, mentre ai sensi dell’art. 182 c.p.c., il giudice che rileva d’ufficio un difetto di rappresentanza deve promuovere la sanatoria, assegnando alla parte un termine di carattere perentorio, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze di carattere processuale, nel diverso caso come quello in esame – in cui l’eccezione di difetto di rappresentanza sia stata tempestivamente proposta da una parte, l’opportuna documentazione va prodotta immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto o comunque assegnato dal giudice, giacchè sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire.

4.9. Ne deriva che, nel caso in esame, non è legittimamente predicabile quanto sostenuto nel terzo motivo, con conseguente inammissibilità complessiva dell’argomento, essendo stato l’ordine ex art. 182 c.p.c., reso inutile dalla già chiaramente formulata eccezione del comune di Firenze, che imponeva al trasgressore di attivarsi per la sanatoria, in mancanza della quale la nullità diveniva insanabile, assumendo la parte che non abbia inteso adeguare tempestivamente la documentazione procuratoria all’eccezione della controparte il rischio che quest’ultima, in qualunque stato e grado del processo essa sia ancora esaminabile, possa essere condivisa in sede di decisione.

5. Stante l’assorbimento degli altri motivi, concernenti questioni in tema di autenticazione della procura e, altri profili sollevati dal tribunale ad abundantiam, inidonei a inficiare quanto innanzi, in definitiva il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

P.Q.M.
la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100 per esborsi ed Euro 510 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della seconda sezione civile, il 26 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018


Processo civile telematico: sempre valida la notifica alla P.E.C.

Per la Cassazione, anche se il destinatario della notifica ha omesso di eleggere domicilio nel Comune ove pende la lite, non è possibile la notifica presso la cancelleria

La posta elettronica certificata non rende più indispensabile eleggere domicilio presso il Comune ove si trova l’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la controversia della quale si è parte.

Domicilio digitale

Alla p.e.c., infatti, corrisponde il domicilio digitale del difensore che, come ricordato di recente dalla Corte di cassazione nella sentenza numero 23620/2018 qui sotto riportata, impedisce la notifica presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la lite anche se il destinatario ha omesso di eleggere domicilio “fisico” in quel Comune. Ciò salvo che anche l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario.

Vizi di natura procedimentale

Inoltre, in caso di notificazione in via telematica, gli eventuali vizi di natura procedimentale (come ad esempio l’estensione .doc anziché .pdf) restano privi di significato se viene comunque raggiunto il risultato della conoscenza dell’atto notificato via p.e.c.. A tal fine è comunque indispensabile che l’erronea applicazione della regola processuale non abbia leso il diritto di difesa né abbia comportato altro pregiudizio per la decisione.

In tal senso, come affermato dai giudici nella sentenza, la mancata indicazione della dizione “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” nell’oggetto della p.e.c. costituisce una mera irregolarità se il destinatario ha comunque ricevuto la notificazione e ha mostrato di averne ben compreso il contenuto.


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 31-05-2018) 02-10-2018, n. 23891

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28628-2016 proposto da:

RADIO DIMENSIONE SUONO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 1/E, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO RIZZO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DEL VECCHIO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4761/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/10/2016 R.G.N. 2914/2016.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Rilevato:

1. che con sentenza n. 4761 pubblicata il 12.10.2016, la Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo della società datoriale avverso la sentenza di primo grado, di rigetto dell’opposizione avverso l’ordinanza con cui era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato il 24.10.14 al sig. D.S.;

2. che la Corte territoriale ha premesso come il lavoratore avesse diritto ad usufruire dei permessi di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 3, per assistere la madre e la sorella entrambe in condizioni di handicap grave;

3. che la società datoriale aveva contestato al predetto l’utilizzo dei permessi di cui al citato art. 33, concessigli nei giorni 16, 30 settembre e 3 ottobre del 2014, per fini estranei all’assistenza dei parenti disabili;

4. che secondo la Corte di merito, l’assistenza prevista dalla disposizione in esame e a cui sono finalizzati i permessi non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il predetto non sia in condizioni di compiere autonomamente, dovendosi configurare l’abuso del diritto ove il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza, da intendere in senso ampio, in favore del familiare;

5. che in base all’istruttoria svolta non risultavano dimostrati gli addebiti mossi con la lettera di contestazione in quanto il 16.9.14, nell’orario di fruizione del permesso (dalle 18.00 alle 20.00), il D.S. si era recato a fare la spesa che, dopo una sosta presso la propria abitazione, aveva portato a casa della madre, convivente con la sorella, come confermato. dalla teste P., moglie del D.S. e non smentito dalla deposizione dell’agente investigatore;

6. che il 30.9.14, nell’orario di fruizione del permesso (dalle 12.00 alle 13.15), il D.S. si era recato presso uno sportello Postamat e poi dal tabaccaio, e che la documentazione dal medesimo prodotta aveva confermato l’esistenza di libretti di risparmio postale intestati alla madre e alla sorella e, quindi, la plausibilità di operazioni svolte in favore delle stesse;

7. che, infine, il 3.10.14 il D.S., in permesso dalle 17.45 alle 24.00, aveva svolto attività in favore dei parenti disabili recandosi a fare la spesa per essi in norcineria e presso il supermercato, come confermato dalla teste P., ed aveva poi incontrato alle ore 21.00 il suo amico geom. Pi.Ro., unitamente all’arch. D.C., per discutere della perizia tecnica da quest’ultima redatta in relazione al ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. presentato nell’interesse della madre per problemi di infiltrazione nell’appartamento, circostanze confermate dal teste Pi. e dalla perizia tecnica depositata in atti unitamente al ricorso d’urgenza;

8. che peraltro, ha evidenziato la Corte, il procedimento penale a carico del D.S., instaurato su querela della società, era stato archiviato per assenza di specifici profili di responsabilità;

9. che avverso tale sentenza la società datoriale ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso il lavoratore;

10. che entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

11. che col primo motivo di ricorso la società ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti;

12. che, in particolare, ha censurato come inesistente o meramente apparente la motivazione adottata nella sentenza impugnata che, in relazione al giorno 16.9.14, ha fatto leva sulla “complessiva istruttoria svolta”, senza indicare elementi di prova specifici da cui potesse desumersi la veridicità della deposizione rese dalla sig.ra P., moglie del D.S.;

13. che ha sottolineato come la documentazione prodotta dal lavoratore non supportasse ed anzi smentisse l’assunto del medesimo sulla finalità delle operazioni svolte presso lo sportello Postamat nell’interesse dei familiari disabili;

14. che, riguardo al giorno 30.9.14, gli elementi di prova raccolti (deposizione degli agenti investigatori) smentivano l’assunto secondo cui la madre del D.S. si sarebbe trovata presso l’abitazione del medesimo con la conseguenza che l’intero orario di permesso sarebbe risultato occupato da altre incombenze (accompagnamento del figlio, spesa, vista alla suocera), risultando del tutto apparente la motivazione sulla avvenuta assistenza fornita in quella giornata, nelle ore di permesso, alla madre e alla sorella;

15. che le medesime censure sono state riproposte dalla società ricorrente, col secondo motivo di ricorso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729, 2730 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

16. che col terzo motivo di ricorso la società ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 e 2730 c.c. e degli artt. 115, 116 e 230 c.p.c., per l’erronea valutazione di attendibilità dei testimoni P.S. e Pi.Ro., rispettivamente moglie e amico del D.S.;

17. che col quarto motivo la società ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, degli artt. 2697, 2729 e 2730 c.c. e degli artt. 115, 116 e 230 c.p.c.;

18. che ha sostenuto l’erronea applicazione della disposizione in materia di permessi e dei criteri di prova presuntiva ed ha argomentato come, pur dilatando il concetto di assistenza, non potesse considerarsi tale quella posta in essere dal D.S. che, nei tre giorni esaminati, ha di fatto dedicato alla madre e alla sorella disabili una percentuale del tempo di permesso pari a zero;

19. che ha ritenuto non ammissibile che, in relazione all’attività svolta nell’interesse del disabile e che non richieda presenza fisica accanto al medesimo, si addossi a parte datoriale l’onere di provare che quelle attività esulino dalle finalità di cura e assistenza, risultando ciò contrario al principio di vicinanza della prova come sancito dalle Sezioni Unite con sentenze n. 13533 del 2001 e n. 10744 del 2009;

20. che sul primo motivo di ricorso occorre premettere come trovi applicazione alla fattispecie in esame la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, sulla c.d. doppia conforme, trattandosi di giudizio di appello (la medesima regola deve ritenersi operante per il reclamo) introdotto con ricorso depositato dopo il giorno 11 settembre 2012;

21. che pertanto il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);

22. che nel caso di specie tale allegazione manca del tutto sicchè risulta inammissibile il motivo formulato ai sensi del citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

23. che neanche appare configurabile un vizio di carenza assoluta di motivazione tale da integrare la violazione dell’art. 132 n. 4; le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) hanno precisato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionalè del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione”;

24. che, come di recente stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 22232 del 2016), “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”, (cfr. anche Cass. n. 12351 del 2017);

25. che tali difetti non sono in alcun modo rinvenibili nella decisione impugnata che ha dato conto della insussistenza dell’addebito contestato al lavoratore attraverso la ricostruzione delle incombenze svolte dal predetto in coincidenza con i permessi goduti e riferibili all’assistenza in favore dei congiunti disabili, assistenza intesa in una accezione ampia, comprensiva del disbrigo di incombenze e pratiche di vario contenuto;

26. che sul secondo motivo di ricorso occorre considerare che, in base all’insegnamento di questa Corte, “il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007). Sicchè il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti, (Cass. n. 9217 del 2016);

27. che nel caso di specie, la società ricorrente non ha prospettato l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata ma ha mosso censure tutte incentrate sull’errata valutazione delle prove e, in particolare, sulla inidoneità delle deposizioni testimoniali raccolte a dimostrare la finalizzazione dell’attività svolta dal lavoratore nelle ore in cui era in permesso, ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33, in favore della madre e della sorella disabili;

28. che tali censure attengono con evidenza alla motivazione della sentenza e non sono neanche formulate secondo lo schema legale richiesto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicchè risultano inammissibili;

29. che ad analoga conclusione deve giungersi quanto al terzo motivo di ricorso che, sebbene formulato come violazione di legge, contiene censure che non sarebbero state ammissibili neanche in base al vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

30. che secondo principi consolidati, l’esame delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sulla attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova, con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, (Cass. n. 17097 del 2010, n. 27464 del 2006, n. 1554 del 2004, n. 11933 del 2003, n. 13910 del 2001);

31. che neppure è fondata la censura di violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto )-1 delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nell’ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.) o valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall’art. 116 c.p.c., cioè una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale o inverta gli oneri di prova;

32. che nessuna di tali situazioni è rappresentata nel motivo di ricorso in esame ove non risulta neanche specificata la dedotta violazione dell’art. 230 c.p.c.;

33. che, in particolare, la Corte d’appello ha addossato al lavoratore l’onere di dimostrare il collegamento delle incombenze svolte durante i permessi con l’assistenza ai parenti disabili ed ha ritenuto assolto tale onere;

34. che neppure può trovare accoglimento il quarto motivo di ricorso atteso che la Corte territoriale non ha interpretato e applicato la L. n. 104 del 1992, art. 33, in difformità rispetto ai principi affermati nella giurisprudenza di legittimità;

35. che secondo l’orientamento di questa Corte, che si condivide e a cui si intende dare continuità, il comportamento del lavoratore subordinato che si avvalga del permesso di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso di diritto, giacchè tale condotta si palesa nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale (Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 4984 del 2014);

36. che è stato parimenti sottolineato il disvalore sociale della condotta del lavoratore che usufruisce, anche solo in parte, di permessi per l’assistenza a portatori di handicap al fine di soddisfare proprie esigenze personali “scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa”, (Cass. n. 8784 del 2015);

37. che nel caso di specie la Corte territoriale, con valutazione in fatto non censurabile in questa sede di legittimità, ha escluso la finalizzazione a scopi personali delle ore di permesso di cui il sig. D.S. ha usufruito avendo ricollegato, in base alle prove raccolte, le attività poste in essere dal predetto, come il fare la spesa, l’usare lo sportello Postamat, incontrare il geometra e l’architetto, a specifici interessi ed utilità dei congiunti in tal modo assistiti;

38. che in base a tali premesse, il ricorso risulta inammissibile;

39. che al rigetto del ricorso segue la condanna della società ricorrente, secondo il criterio di soccombenza, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;

40. che ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.

Così deciso in Roma, nella udienza camerale, il 31 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2018