Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 01/12/2015) 30/12/2015, n. 26088

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – Presidente –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4678-2009 proposto da:

G.N., G.F. in proprio difeso da se medesimo, elettivamente domiciliati in ROMA VIA BALDO DEGLI UBALDI 66, presso lo studio dell’avvocato RINALDI GALLICANI SIMONA, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO GHIRALDI giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI SIRMIONE;

– intimato –

nonchè da:

COMUNE DI SIRMIONE in persona del Sindaco in carica, elettivamente domiciliato in ROMA VIA M. PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato RAMADORI PAOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato LOVISETTI MAURIZIO giusta delega in calce;

– controricorrente incidentale –

contro

G.N., G.F. in proprio difeso da se medesimo, elettivamente domiciliati in ROMA VIA BALDO DEGLI UBALDI 66, presso lo studio dell’avvocato RINALDI GALLICANI SIMONA, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO GHIRALDI giusta delega a margine;

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 12/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il 19/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/2015 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
La commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. di Brescia, ha respinto l’appello proposto da G.F., in proprio e in rappresentanza del figlio N., avverso la sentenza della locale commissione tributaria provinciale che, previa riunione, aveva dichiarato inammissibili cinque ricorsi contro altrettanti avvisi di accertamento in materia di lei, notificati dal comune di Sirmione.

La commissione tributaria regionale ha confermato la statuizione di inammissibilità osservando che i ricorsi erano in effetti da considerare tardivi, essendo stati gli accertamenti notificati per compiuta giacenza il 7 gennaio 2007 e i ricorsi a loro volta notificati nel successivo mese di giugno.

Il contribuente, in proprio e nella riferita qualità, ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi. Il comune di Sirmione ha resistito con controricorso e proposto, a sua volta, ricorso incidentale condizionato affidato a un motivo.

Il ricorrente principale ha depositato controricorso in replica al ricorso incidentale e, successivamente, una memoria.

Motivi della decisione
1. – Col primo motivo del ricorso principale è dedotta la violazione dell’art. 149 cod. proc. civ., L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3, e L. n. 556 del 1996, art. 21, in quanto, atteso il principio di scissione degli effetti della notificazione per il notificante e il destinatario, sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 477 del 2002, occorreva nella specie considerare che l’esito della notifica degli avvisi di accertamento si era avuto col ritiro del piego raccomandato il 12-4-2007; sicchè i ricorsi, essendo stati notificati l’8-6-2007, avrebbero dovuto esser considerati tempestivi.

2. – Il motivo, ove non inammissibile in relazione al prospettato quesito, che invero non si rinviene a conclusione della disamina, essendo stato il motivo concluso dalla enunciazione mera di un ipotizzabile principio di diritto, è comunque manifestamente infondato.

Contrariamente a quanto dal ricorrente sostenuto, la Corte costituzionale nella nota sentenza n. 477 del 2002, per quanto introducendo nel sistema il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione a seconda che l’effetto rilevi per il notificante o per il destinatario, si è limitata a stabilire l’incostituzionalità del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ. e della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevedono che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.

La declaratoria non rileva affatto nel caso di specie, posto che viene qui in considerazione il problema esattamente opposto, vale a dire il problema del momento perfezionativo della notificazione dell’atto per il destinatario onde computare il termine di decadenza dell’impugnazione.

3. – Per ciò che attiene al destinatario, occorre far riferimento, nella notificazione a mezzo posta, alla L. n. 890 del 1982, art. 8, che detta la disciplina specifica per i casi in cui l’agente postale non possa recapitare il plico per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle altre persone legittimate a riceverlo.

Appare opportuno rammentarne i passaggi procedimentali, al fine di evidenziare in cosa consista l’errore interpretativo del ricorrente.

La norma citata prevede che nelle evenienze suddette il piego sia depositato lo stesso giorno presso l’ufficio postale preposto alla consegna o presso una sua dipendenza e che del tentativo di notifica del piego e del suo deposito sia data notizia al destinatario, a cura dell’agente postale preposto alla consegna, mediante avviso in busta chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

L’avviso deve contenere l’indicazione del soggetto che ha richiesto la notifica e del suo eventuale difensore, dell’ufficiale giudiziario al quale la notifica è stata richiesta e del numero di registro cronologico corrispondente, della data di deposito e dell’indirizzo dell’ufficio postale o della sua dipendenza presso cui il deposito è stato effettuato, nonchè l’espresso invito al destinatario a provvedere al ricevimento del piego a lui destinato mediante ritiro dello stesso entro il termine massimo di sei mesi, “con l’avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data del deposito e che, decorso inutilmente anche il predetto termine di sei mesi, l’atto sarà restituito al mittente”.

Trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma della norma appena detta, senza che il destinatario o un suo incaricato ne abbia curato il ritiro, l’avviso di ricevimento è poi restituito al mittente in raccomandazione con annotazione in calce, sottoscritta dall’agente postale, della data dell’avvenuto deposito e dei motivi che l’hanno determinato, dell’indicazione “atto non ritirato entro il termine di dieci giorni” e della data di restituzione.

E trascorsi sei mesi dalla data in cui il piego è stato depositato nell’ufficio postale o in una sua dipendenza senza che il destinatario o un suo incaricato ne abbia curato il ritiro, il piego stesso è restituito al mittente in raccomandazione con annotazione in calce, sottoscritta dall’agente postale, della data dell’avvenuto deposito e dei motivi che l’hanno determinato, dell’indicazione “non ritirato entro il termine di centottanta giorni” e della data di restituzione.

4. – In base alla disposizione introdotta, nel testo della norma, dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, “la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”.

Ne consegue che è inesatto sostenere che, in esito al principio di scissione soggettiva, il momento di perfezionamento della notificazione eseguita per posta sia sempre correlato, quanto al destinatario, alla materiale consegna dell’atto. Ciò accade nei casi in cui la materiale consegna (id est, propriamente, il ritiro) sia anteriore ai dieci giorni. Non anche invece nei casi in cui l’atto sia notificato per compiuta giacenza e il ritiro sia avvenuto dopo il decorso del termine detto dalla spedizione della raccomandata informativa, giacchè la notifica si ha giustappunto per eseguita “in ogni caso”, quanto al destinatario, decorsi dieci giorni dalla data di spedizione di quella raccomandata.

Onde rigettare il motivo di ricorso è allora sufficiente considerare che il ricorrente non ha mosso rilievo all’affermazione dell’impugnata sentenza circa il fatto che gli avvisi erano stati notificati “per compiuta giacenza, il 7 gennaio 2007”. In particolare non ha mosso rilievo alla circostanza che la notificazione per compiuta giacenza fosse valida in ragione dell’avvenuta successiva spedizione della raccomandata informativa. Egli ha insistito nel sostenere semplicemente che, essendo stato il plico in effetti ritirato il 12-4-2007 (nei sei mesi dalla data di deposito), la notifica dovevasi ritenere perfezionata, nei propri confronti, al momento del ritiro.

Ma questo è infondato giacchè, appunto, nei casi dianzi indicati, la notifica si perfeziona “in ogni caso” al decorso dei dieci giorni dal data di spedizione della raccomandata informativa.

5. – Col secondo motivo del ricorso principale è dedotta un’omessa motivazione su fatto controverso; fatto che sarebbe identificabile in quanto dedotto a suo tempo col secondo motivo del proposto appello.

Il motivo è inammissibile perchè non concluso dalla prescritta sintesi contenente la specificazione del fatto controverso, decisivo, in rapporto al quale andrebbe ritenuto il vizio di omessa motivazione.

6. – Consegue l’assorbimento del ricorso incidentale.

Spese alla soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella misura di legge.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 1 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2015


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 10/12/2014) 30/12/2015, n. 26053

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.P., + ALTRI OMESSI rappresentati e difesi dall’avv. Lucisano Claudio, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma in via Crescenzio n. 91;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Rema alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente in rgn. 2597 del 2012 e resistente in rgn. 26357 del 2012 –

e EQUITALIA NORD (già Equitalia Esatri) spa, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Fiertler ed elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. Salvatore Torrisi alla via Federico Cesi n. 31;

– controricorrente in rgn. 2597 del 2012 –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 180/7/10, depositata il 30 novembre 2010;

ed avverso il diniego di definizione della lite pendente prot.

2012/101654 del 6 agosto 2012, notificato il 10 agosto 2012;

Udita la relazione delle cause svolta nella pubblica udienza del 10 dicembre 2014 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

udita l’avvocato dello Stato Maria Camassa, rispettivamente, per la contro ricorrente e per la resistente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo
C.P., + ALTRI OMESSI propongono ricorso per cassazione (rgn. 2597/12), sulla base di nove motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha confermato la fondatezza della pretesa manifestata con la cartella di pagamento, notificata il 30 luglio 2007, relativa all’avviso di liquidazione, notificato nel settembre 2002, emesso a seguito della sentenza della CTP di Milano del 21 aprile 1998, divenuta definitiva, con la quale era stato rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento ai fini dell’INVIM in relazione all’acquisto di un terreno edificabile sito nel Comune di Varese.

L’Agenzia delle entrate e la spa Equitalia Nord resistono con distinti controricorsi.

I contribuenti, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione di cui si è detto, presentavano domanda di definizione della lite pendente ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, come convertito, domanda che veniva respinta dall’ufficio perchè “non valida”, atteso che la controversia “riguarda una cartella di pagamento emessa a seguito di avviso di liquidazione non impugnato e, pertanto, non è definibile. Inoltre la controversia ha un valore superiore ad Euro 20.000 e, quindi, non rientrerebbe, comunque, tra quelle per le quali non è prevista la definizione della lite”.

Avverso tale diniego i signori C. hanno presentato a questa Corte, dinanzi alla quale la lite era appunto pendente, ricorso (rgn. 26357/12) ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 8.

L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione al fine di partecipare all’udienza di discussione.

Motivi della decisione
I ricorsi, siccome relativi al medesimo giudizio, vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia.

L’esame dell’impugnazione del diniego di definizione della lite pendente per ragioni logiche deve precedere.

I primi quattro motivi di tale ricorso sono infondati, in quanto correttamente il provvedimento rileva come la controversia “riguarda (l’impugnazione di) una cartella di pagamento…”, e non come dedotto dai contribuenti – che il ricorrente “non ha definito la cartella esattoriale”; quanto alla comunicazione e notificazione del diniego, è incontroverso che esse siano intervenute tempestivamente, vale a dire entro il 30 settembre 2012, come previsto dalla legge; il quinto motivo è inammissibile, in quanto concernente ipotesi, non ricorrenti nella specie, di liquidazione del tributo in base alla dichiarazione; il sesto motivo è inammissibile, in quanto l’indicazione del valore della lite è nel provvedimento ultronea (“inoltre …”), rispetto alla precedente ragione di esclusione (“la controversia riguarda una cartella di pagamento emessa a seguito di avviso di liquidazione non impugnato e, pertanto, non è definibile”); sono infondati il settimo e l’ottavo motivo, con i quali si assume che il solo Direttore centrale dell’Agenzia delle entrate avrebbe il potere di sottoscrivere il provvedimento in ordine all’istanza di condono, ovvero un soggetto con qualifica dirigenziale: lo stesso D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 39, comma 12, lettera d), infatti, fa in proposito riferimento solo a “gli uffici competenti” e a “la comunicazione degli uffici”, laddove alla successiva lett. f), in relazione alla determinazione delle modalità di versamento, il legislatore ha inteso prescrivere esplicitamente “provvedimenti del direttore dell’agenzia delle entrate”. Quanto infine al dedotto vizio della notifica del diniego, i contribuenti con l’impugnazione dell’atto e con le difese spiegate hanno dimostrato di averne piena conoscenza, con conseguente sanatoria di un eventuale vizio, ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ., applicabile nella materia tributaria anche agli atti non processuali.

Il ricorso è pertanto complessivamente infondato, sicchè occorre passare all’esame delle censure rivolte con il ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR della Lombardia.

Il primo motivo, con il quale si chiede pronuncia di estinzione per intervenuto condono, si rivela privo di pregio, essendo stata respinta, come si è visto sopra, la domanda di definizione formulata ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12.

Con il secondo motivo i contribuenti si dolgono che l’Agenzia delle entrate non abbia proposto l’appello anche nei confronti dell’agente per la riscossine, presente in primo grado, il quale pure aveva poi autonomamente proposto appello.

Il motivo è infondato, ove si consideri che il concessionario per la riscossione, infatti, “a parte l’esercizio dei poteri propri, volti alla riscossione delle imposte iscritte nel ruolo, nell’operazione di portare a conoscenza del contribuente il ruolo, dispiega una mera funzione di notifica, ovverosia di trasmissione al destinatario del titolo esecutivo così come, salva l’ipotesi di errore materiale, formato dall’ente e, pertanto, non è passivamente legittimato a rispondere di vizi propri del ruolo, come trasfuso nella cartella” (Cass. n. 933 del 2009).

Col terzo motivo i contribuenti censurano la decisione, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, per aver ritenuto legittimo, da parte dell’ufficio, l’impiego del messo speciale per la notificazione dell’appello.

Il motivo è infondato, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale nel processo tributario “il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16 ha natura di norma generale e regola le modalità delle notificazioni degli atti del processo tributario, dettando una disciplina speciale sia per il contribuente sia per gli organi dell’Amministrazione tributaria; il comma 4 della cit.

disposizione ha per oggetto solo atti dell’Amministrazione tributaria, prevedendo un’ulteriore modalità di notificazione a disposizione degli uffici pubblici, che consiste nella possibilità di avvalersi di messi comunali o di messi autorizzati. Tale regola, per ragioni, non tanto letterali, quanto logiche e sistematiche, si applica anche alla notificazione del ricorso in appello: applicando detto principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della commissione tributaria regionale che aveva invece dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate perchè curato non dall’ufficiale giudiziario bensì dal messo speciale” (tra le altre, Cass. n. 23618 del 2011).

Con il quarto motivo assumono che l’avviso di liquidazione alla base della cartella di pagamento impugnata sarebbe stato emesso oltre il termine di decadenza fissato.

Il rilievo è inammissibile in quanto, posto che è incontroversa la regolare notificazione dell’avviso di liquidazione, in sede di impugnazione della successiva cartella di pagamento è possibile dedurre solo vizi propri della cartella stessa.

Con il quinto motivo, assumono che dovrebbe distinguersi fra vizi della cartella di pagamento e vizi dell’iscrizione a ruolo.

Il motivo è inammissibile per difetto del requisito dell’autosufficienza, in quanto, posto che l’iscrizione a ruolo non ha un rilievo esterno autonomo, acquistandolo solo con la notificazione della cartella di pagamento, i contribuenti non indicano il vizio dell’iscrizione a ruolo che sarebbe deducibile impugnando il prodromico avviso di liquidazione, atto che, all’evidenza, svolge nel procedimento una diversa funzione.

Con il sesto motivo assumono che il ruolo non sarebbe motivato, perchè, in luogo di richiamare “il primo atto ad esso presupposto, vale a dire l’avviso di liquidazione, richiami l’atto a quest’ultimo presupposto, vale a dire l’avviso di rettifica.

Il motivo è infondato, in quanto, come si legge nella sentenza impugnata, “la cartella contiene esplicito riferimento all’atto cui si riferisce la richiesta, nonchè alla sentenza emessa dalla CT che ha reso definitivo l’accertamento in quanto non impugnato. Sulla base di questi dati i contribuenti erano in grado di conoscere perfettamente la pretesa erariale”.

Con il settimo motivo assumono che vi sarebbe una duplicazione delle somme richieste, sulla base, da una parte dell’avviso di rettifica, e dall’altra parte, dell’avviso di liquidazione.

Il motivo è infondato, in quanto, come chiarito dal giudice d’appello, “il ruolo e la conseguente cartella sono stati formati a seguito dell’avvenuta definitività dell’accertamento e del mancato pagamento dell’imposta complementare portata dall’avviso di liquidazione, atto non impugnato.

L’ottavo motivo, con il quale ci si duole della mancata i sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’ufficio, incorre nello stesso errore commesso con il quinto motivo, perchè non considera che l’iscrizione a ruolo non ha un autonomo rilievo esterno, essendo “portata” dalla cartella di pagamento, la quale deve essere notificata al contribuente, e per la quale non è prescritta la sottoscrizione del titolare dell’ufficio. Questa Corte ha in proposito chiarito che “in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge” (tra le altre, Cass. n. 13461 del 2012). A norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 poi, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice.

Per le ragioni esposte con riguardo al settimo ed all’ottavo motivo, è inammissibile il nono motivo del ricorso, con il quale si lamenti il mancato esame del dedotto “vizio relativo alla sottoscrizione del ruolo da parte di un soggetto privo di qualifica dirigenziale”.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte, riunito al presente il ricorso rgn. 26357 del 2012, rigetta i ricorsi.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in Euro 6.000 per compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito in favore dell’Agenzia delle entrate, ed in Euro 4.000 per compensi di avvocato, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, in favore di Equitalia Nord spa.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2015


Documenti informatici: on line le linee guida per la conservazione

Conservazione documenti informaticiLe linee guida illustrano le procedure e gli strumenti per l’avvio delle attività di conservazione dei documenti informatici da parte delle P.A.

Sono state pubblicate dall’AgID le linee guida sulla conservazione che in 134 pagine hanno lo scopo di fornire alle amministrazioni pubbliche tutte le informazioni relative a requisiti, processi, attività e responsabilità in materia di conservazione dei documenti informatici, nel rispetto dei riferimenti normativi vigenti.  

Le linee guida – precisa l’AgId D – sono da intendersi come documento dinamico, attualmente in fase di sviluppo.

Leggi: La conservazione dei documenti informatici 2015

 


Carta d’identità elettronica: sì della Conferenza Stato-Città sullo schema di decreto

Il parere favorevole nella seduta del 17 dicembre 2015 sulle modalità tecniche di emissione e rilascio.
La Conferenza Stato-città ed autonomie locali ha espresso parere favorevole sullo Schema di decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ed il Ministro dell’economia e delle finanze, recante “Modalità tecniche di emissione della carta di identità elettronica”.
Nel comunicato diramato dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali si precisa che il “decreto definisce le caratteristiche tecniche, le modalità di produzione, di emissione, di rilascio della carta di identità elettronica (CIE) come previsto dall’articolo 10, comma 3 del decreto legge n. 78 del 2015, che ha abrogato le disposizioni che istituivano il Documento digitale unificato (la CIE unificata alla tessera sanitaria).
L’emissione della CIE è riservata al Ministero dell’interno. I Comuni, che già emettono la CIE, avviano il processo di rilascio della CIE secondo le regole tecniche e di sicurezza del decreto, nei tempi e con le modalità stabilite dalla Commissione interministeriale permanente della CIE, appositamente istituita presso il Ministero dell’interno e composta, tra gli altri, da un rappresentante dei Comuni. Nei restanti Comuni, il rilascio della CIE d awiato secondo il piano definito dal Ministero dell’Interno, sentita la predetta Commissione.
Il Ministero dell’Interno assicura ai Comuni il supporto necessario mettendo a disposizione l’infrastruttura informatica ubicata presso il proprio Centro Nazionale dei Servizi Demografici. L’ANCI ha chiesto di valutare la possibilità che i cittadini possano anche ritirare direttamente presso gli uffici comunali le carte d’identità elettroniche, come alternativa al già previsto recapito a mezzo posta presso l’indirizzo di residenza degli interessati”.
Fonte: Conferenza Stato-città ed autonomie locali
La Direzione
(21 dicembre 2015)


CONTROLLI SUI DIPENDENTI

Privacy-400x250La posizione garantista del Garante privacy

Secondo il Garante della privacy, il contenuto di comunicazioni – di tipo elettronico o telematico – scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro godono di garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale.
Il caso: una dipendente ha lamentato l’illecita acquisizione di conversazioni, avute con alcuni clienti/fornitori, poste poi alla base del suo licenziamento.
Il Garante, nell’accogliere il ricorso della lavoratrice, ha stabilito che il datore di lavoro è incorso in una grave interferenza nelle comunicazioni, attuata (per sua stessa ammissione) attraverso l’installazione di un software sul computer assegnato alla dipendente in grado di visualizzare sia le conversazioni effettuate dalla ricorrente dalla propria postazione di lavoro prima di uscire dall’azienda, sia quelle avvenute successivamente da un computer collocato presso la propria abitazione.
Una procedura, secondo il Garante, in evidente contrasto con le “Linee guida del Garante per posta elettronica e Internet” e con le disposizioni poste dall’ordinamento a tutela della segretezza delle comunicazioni, nonché con la stessa policy aziendale approvata anche dalla competente Direzione territoriale del lavoro.
Pur spettando, infatti, al datore di lavoro definire le modalità di utilizzo degli strumenti aziendali, occorre comunque che queste rispettino la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché i principi di correttezza (secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti di dati devono essere rese note ai lavoratori), di pertinenza e non eccedenza stabiliti dal codice privacy.
Si tratta di principi da tenere ben presenti, in quanto l’esercizio del controllo da parte del datore di lavoro può determinare la raccolta di informazioni personali, anche non pertinenti, di natura sensibile oppure riferite a terzi.


Cass.Civ. Sez. Unite, Sent., 09-12-2015, n. 24822

I diversi momenti in cui si considera avvenuta la notificazione di un atto per il notificante e per il notificando.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 24822 del 9 dicembre 2015, hanno risolto una questione molto dibattuta relativa al termine di prescrizione di un diritto che può essere esercitato solo attraverso l’adozione di un atto processuale.

La questione sottostante riguarda i diversi momenti in cui si considera avvenuta la notificazione di un atto per il notificante e per il notificando, c.d. principio di “scissione”.

Tale principio, derivante dalla nota sentenza della Corte Cost. n. 477/2002, considera avvenuta la notifica per il primo al momento della consegna dell’atto all’ufficio notificante, e per il secondo al momento della ricezione dell’atto, salvaguardando entrambe le ragioni di tempestività dell’esercizio del diritto e di conoscenza dell’atto.

Ma tale principio, secondo la giurisprudenza prevalente, vale solo per gli atti processuali e non per quelli sostanziali diretti a una persona determinata, per i quali vi è lo sbarramento dell’art. 1334 che ne ricollega l’efficacia alla conoscenza del destinatario (o conoscibilità).

Ma proprio questo è il punctum dolens: quando un diritto, per evitarne la prescrizione, può essere esercitato solo attraverso il compimento di un atto processuale (nel caso notificazione della citazione per revocatoria), tale atto è, e resta, di natura processuale, pur producendo un effetto sostanziale (costituzione in mora), quello cioè di interrompere il termine di prescrizione per l’esercizio del diritto.

Quindi le Sezioni Unite criticano l’interpretazione prevalente che vede nell’atto di esercizio dell’azione revocatoria un atto sostanziale al quale non può estendersi il principio della scissione degli effetti della notifica per il notificante e per il notificando.

Di conseguenza, se la prescrizione può essere evitata solo attraverso l’esercizio del diritto, deve considerarsi esercizio del diritto anche quello di notifica della citazione contenente domanda revocatoria ex art. 2901 c.c. quando questo costituisce l’unico mezzo di esercizio del relativo diritto e gli effetti della notifica si compiranno per il notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficio notificante entro il termine assegnatogli dalla legge, e per il notificando al momento della ricezione dell’atto, senza alcun sacrificio delle ragioni di quest’ultimo perché saranno assicurati sia la certezza dei rapporti giuridici sia il diritto di difesa, entrambi sotto il più ampio principio di ragionevolezza che deve permeare ogni regola diretta a dirimere contrapposti interessi.

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 09-12-2015, n. 24822

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. – Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione – Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere – Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere – Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere – Dott. DI IASI Camilla – Consigliere – Dott. PETITTI Stefano – Consigliere – Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere – Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

– ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 3973/2012 proposto da: A.P. (OMISSIS), A.V. (OMISSIS), L.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SILLA 28, presso lo studio dell’avvocato CARMINE COSENTINO, rappresentati e difesi dall’avvocato VERGA ANGELO, per delega a margine del ricorso; – ricorrenti

– contro COMUNE DI CASSANO MAGNAGO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, rappresentato e difeso dall’avvocato DE NORA LUCA, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente – e contro LATERE S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, EDIL ADELIA S.A.S DI BALDAN FLORIANO & C., P.A. in proprio e nella qualità di titolare della Immobiliare Romina, M.D., MA.LU., S. A.;

– intimati

– avverso la sentenza n. 2098/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2015 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

uditi gli avvocati Angelo VERGA, Giovanni CORBYONS per delega dell’avvocato Luca De Nora;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso.

Svolgimento del processo

A.P. e V. ed L.A. convennero, davanti al tribunale di Busto Arsizio, le società Latere s.r.l. in liquidazione ed Edil Adelia s.a.s. di Floriano Baldan & e, il Comune di Cassano Magnago, P.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’impresa individuale immobiliare Romani di P.A., M.D., Ma.Lu. ed S. A., chiedendo, in qualità di confideiussori della Latere s.r.l., già intimati in regresso da altro fideiussore, che la società fosse dichiarata tenuta, ex artt. 1950 e 1953 c.c., a procurare la loro liberazione, ovvero ad apprestare le garanzie necessarie al soddisfacimento del loro diritto di ulteriore regresso.

Gli attori chiesero, inoltre, che fosse pronunciata, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’inefficacia, nei loro confronti, dell’atto del 17 novembre 1999 con il quale la Latere s.r.l. aveva venduto alla Edil Adelia s.a.s. alcuni terreni edificabili siti nel Comune di Cassano Magnago e della convenzione edilizia conclusa tra la società acquirente e l’Amministrazione comunale per la realizzazione di un programma edificatorio, nonché il risarcimento dei danni. Il Tribunale rigettò la domanda ex artt. 1950 e 1953 c.c., proposta nei confronti della società Latere s.r.l.; dichiarò prescritta l’azione revocatoria relativa alla compravendita immobiliare del 17 novembre 1999 tra la Latere s.r.l. e la Edil Adelia s.a.s.; dichiarò la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in ordine all’azione revocatoria relativa alla convenzione edilizia; rigettò la richiesta di risarcimento danni.

Queste statuizioni furono confermate dalla Corte di Appello di Milano che, con sentenza del 12.7.2011, rigettò l’appello proposto dagli originari attori. Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria A.P. e V. ed L.A.. Resiste con controricorso il Comune di Cassano Magnago. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

La Terza Sezione Civile della Corte di cassazione, con ordinanza del 26.1.2015, emessa all’esito dell’udienza del 6.11.2014, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Il Primo Presidente ha provveduto in tal senso.

Il ricorso è stato chiamato alla presente udienza davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Motivi della decisione

1. La questione posta dall’ordinanza di rimessione. La questione riguarda i limiti di estensione del principio della diversa decorrenza degli effetti della notificazione nelle sfere giuridiche, rispettivamente, del notificante e del destinatario.

E’ chiesto un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sui limiti di operatività del principio: se debba, cioè, essere riferita ai soli atti processuali, o possa essere ampliata alla notificazione di atti sostanziali od, eventualmente, di atti processuali che producano effetti anche sostanziali.

Il quesito è relativo alla notificazione dell’atto di citazione in revocatoria ed, in particolare, quel che si tratta di individuare è il momento di interruzione della prescrizione ex art. 2903 c.c..

Il problema, quindi, riguarda l’estensione del principio della differente decorrenza degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario.

La portata della regola – che è stata introdotta nell’ordinamento dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 e che, successivamente, è stata recepita dal legislatore nell’art. 149 c.p.c., – è stata circoscritta da numerose decisioni della Corte di Cassazione.

Per Cass. n. 9303 del 2012, la regola della differente decorrenza degli effetti della notificazione non trova applicazione in tema di esercizio del diritto di riscatto dell’immobile locato da parte del conduttore ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 39.

Nella decisione è stato sottolineato il carattere ricettizio della dichiarazione di riscatto, affermando che “affinché possa operare la presunzione di conoscenza della dichiarazione diretta a persona determinata stabilita dall’art. 1335 cod. civ., occorre la prova, il cui onere incombe al dichiarante, che la stessa sia stata recapitata all’indirizzo del destinatario, e cioè, nel caso di corrispondenza, che questa sia stata consegnata presso tale indirizzo”.

Ai fini dell’operatività della presunzione è stato quindi ritenuto insufficiente un tentativo di recapito ad opera dell’agente postale, tutte le volte in cui questo, ritenuto – sia pure a torto – il destinatario sconosciuto all’indirizzo indicato nella raccomandata, ne abbia disposto il rinvio al mittente, stante la mancanza, in casi siffatti, di ogni concreta possibilità per il soggetto al quale la lettera è diretta, di venirne a conoscenza. Si è segnatamente esclusa la possibilità di richiamare, in senso contrario, la disciplina del recapito delle raccomandate con deposito delle stesse presso l’ufficio postale e rilascio dell’avviso di giacenza, evidenziandosi come, in tal caso, sussista comunque la possibilità di conoscenza del contenuto della dichiarazione, tanto più che questa si ritiene pervenuta all’indirizzo indicato solo dal momento del rilascio dell’avviso di giacenza del plico”.

L’atto con il quale è esercitato il diritto potestativo di riscatto, quindi, si esercita attraverso una dichiarazione unilaterale ricettizia di carattere negoziale, idonea a determinare ex lege l’acquisto dell’immobile a favore del retraente.

Una tale dichiarazione produce i propri effetti solo una volta che sia pervenuta a conoscenza della controparte o, comunque, in base alla presunzione di cui all’art. 1335 c.c., nella sfera di normale conoscibilità della persona interessata.

Secondo la decisione, il principio della scissione soggettiva della notificazione, trovando la sua giustificazione nella tutela dell’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo del procedimento notificatorio per la parte sottratta alla sua disponibilità, è stato implicitamente circoscritto dalla stessa Corte Costituzionale ai soli atti processuali.

L’estensione della regola fuori da tale ambito sarebbe in contrasto con il principio generale di certezza dei rapporti giuridici che, ai fini dell’efficacia degli atti unilaterali ricettizi, richiede la conoscenza o conoscibilità dell’atto da parte della persona interessata.

Eguale regola è affermata da Cass. n. 15671 del 2011 secondo la quale la mera consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto di accettazione della proposta di alienazione del fondo rustico non è idonea a interrompere il decorso del termine prescrizionale per l’esercizio del diritto di riscatto spettante all’affittuario, essendo a questo fine necessario che l’atto sia giunto a conoscenza, ancorché legale e non necessariamente effettiva, del soggetto al quale è diretto.

Altro profilo di intuitiva delicatezza è quello dell’interruzione della prescrizione che, ai sensi dell’art. 2943 c.c., consegue alla notificazione dell’atto di citazione.

Cass. n. 13588 del 2009, seguendo l’indirizzo prevalente, ha affermato che la consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto da notificare non è idonea ad interrompere il decorso del termine prescrizionale del diritto fatto valere.

Ciò perché “il principio generale – affermato dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale – secondo cui, quale sia la modalità di trasmissione, la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, dal lato del richiedente, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario, non si estenda all’ipotesi di estinzione del diritto per prescrizione in quanto, perché l’atto, giudiziale o stragiudiziale, produca l’effetto interruttivo del termine, è necessario che lo stesso sia giunto alla conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) del destinatario”.

Negli stessi termini Cass. n. 18759 del 2013.

Secondo l’indirizzo prevalente (pur essendovi decisioni di senso contrario cui si accennerà in seguito; ma sul punto v. anche Cass. n. 18399 del 2009; S.U. n.8830 del 2010) la scissione degli effetti per il mittente e per il destinatario si applica solo alla notifica degli atti processuali e non a quella degli atti sostanziali, né agli effetti sostanziali degli atti processuali.

Questi ultimi, pertanto, producono i loro effetti soltanto dal momento in cui pervengono all’indirizzo del destinatario, a nulla rilevando il momento in cui siano stati consegnati dal notificante all’ufficiale giudiziario od all’ufficio postale.

L’ordinanza, sul presupposto che i valori costituzionali perseguiti con il principio della “scissione” sarebbero insensibili alla natura – processuale o sostanziale – degli effetti dell’atto notificato, propone una serie di argomenti a sostegno della necessità di rimeditare l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, ampliando lo spazio di azione della regola della diversa decorrenza.

Il principio trova la sua giustificazione nella necessità di coordinare la garanzia di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario con l’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri di impulso.

L’ordinanza, poi, si sofferma sulla principale obiezione mossa all’estensione del principio di scissione degli effetti alla notificazione degli atti sostanziali. Nessuna lesione alla certezza del diritto, infatti, potrebbe provocare l’applicazione di una regola che presuppone per la sua piena operatività che il procedimento di notificazione sia portato a regolare compimento, con la piena garanzia di conoscenza (o, quanto meno, di conoscibilità legale) dell’atto da parte del destinatario.

Tale esigenza di certezza, peraltro, si pone in termini analoghi anche in relazione ai soli effetti processuali dell’atto notificato, in ordine ai quali la regola della scissione degli effetti costituisce ormai un punto fermo nel panorama dell’ordinamento positivo.

La posizione giuridica del destinatario, infatti, non risente di maggior incertezza solo perché la diversa decorrenza degli effetti venga fatta operare ai fini sostanziali anziché nell’ambito processuale.

L’orientamento contrario all’estensione della regola agli atti sostanziali – secondo l’ordinanza di rimessione – sarebbe poi immotivato proprio nei casi in cui un effetto sostanziale sia conseguibile soltanto con la notificazione di un atto processuale.

Il riferimento, in particolare, è al termine di prescrizione dell’azione revocatoria, che non potrebbe essere interrotto se non mediante la notificazione dell’atto di citazione.

In queste fattispecie, la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notificazione non è solo un incombente materiale di per sé significativo della cessazione dello stato di protratta inerzia che giustificherebbe altrimenti l’estinzione del diritto, ma rappresenta l’esercizio di un vero e proprio diritto potestativo del creditore al quale corrisponde, in capo al debitore, non già un obbligo di prestazione, ma uno stato di mera attesa e soggezione all’altrui iniziativa giudiziale. In tali evenienze, il creditore deve essere ammesso ad esercitare il suo diritto, usufruendo del termine prescrizionale per intero e non al “netto” dei giorni di ritardo ipoteticamente ascrivibili all’agente notificatore.

Il richiamo al normale carattere recettizio dell’atto unilaterale ex artt. 1334 e 1335 c.c., pertanto, dovrebbe cedere se messo in relazione, in forza di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2943 c.c., alla notificazione di un atto che soggiace ad un principio generale la cui ratio è quella di tenere indenne il notificante delle cause di perenzione non ascrivibili alla sua responsabilità.

2. La portata della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002.

Originariamente la notifica si perfezionava al momento della conoscenza o conoscibilità legale del destinatario: e questa conclusione era coerente, sia con la natura del procedimento di notificazione (attività che si perfeziona al momento in cui l’atto notificato è conosciuto o conoscibile dal destinatario), sia con la natura di atto recettizio dell’atto da notificare (ovviamente questa considerazione vale solo per gli atti recettizi).

L’incostituzionalità viene affermata sia sotto il profilo del diritto di difesa (e qui il riferimento è circoscritto agli atti giudiziari e amministrativi), sia sotto il profilo della ragionevolezza (un effetto di decadenza che discende dal ritardo di un’attività non imputabile al notificante in quanto del tutto estranea alla sua sfera di disponibilità).

Va rilevato che nella impostazione della Corte costituzionale il parametro del diritto di difesa appare svolgere una funzione logica complementare e aggiuntiva: il vero parametro di costituzionalità è il principio di ragionevolezza.

3. Capacità espansiva dei principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale.

Se non ci fosse stata la sentenza della Corte costituzionale la norma del 2943 c.c. sarebbe stata risolutiva per dirimere la questione, ma la sentenza della Corte cost. incide proprio sulla interpretazione del termine notificazione di cui all’art. 2943 c.c..

In altri termini, dobbiamo dare una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione dell’art. 2943 c.c..

Diversamente, dovremmo affermare che la sentenza costituzionale, mentre ha inciso su tutte le altre disposizioni normative in cui ricorre il termine notificazione di un atto processuale non ha inciso proprio sull’interpretazione dello stesso termine ricorrente nell’art. 2943 c.c.: disparità interpretativa difficilmente razionalizzabile.

Si tratta ora di valutare la portata espansiva della pronuncia della Corte nell’interpretazione delle norme vigenti.

Il richiamo al diritto di difesa suggerirebbe una limitazione delle potenzialità interpretative del principio costituzionale ai soli atti in cui viene effettivamente in rilievo il diritto di difesa: atti giudiziari e amministrativi. Ma si è appena visto che la ratio decidendi della pronuncia costituzionale è – prima ancora che il diritto di difesa – il principio di ragionevolezza. E tale principio ha una potenzialità espansiva – sul piano interpretativo – notevolmente superiore rispetto al principio di difesa.

3.1. Il principio di ragionevolezza implica un bilanciamento dei beni in conflitto.

All’esito del bilanciamento un bene viene sacrificato a vantaggio di un altro bene.

La tecnica del bilanciamento avviene attraverso vari steps:

a) primo step: il sacrificio di un bene deve essere necessario per garantire la tutela di un bene di preminente valore costituzionale (per esempio, certezza e stabilità delle relazioni giuridiche);

b) secondo step: a parità di effetti, si deve optare per il sacrificio minore;

c) terzo step: deve essere tutelata la parte che non versa in colpa;

d) quarto step: se entrambe le parti non sono in colpa, il bilanciamento avviene imponendo un onere di diligenza – o, comunque, una condotta (attiva o omissiva) derivante da un principio di precauzione – alla parte che più agevolmente è in grado di adempiere.

4. Non esiste una soluzione generalizzata per tutte le norme e per tutti i casi.

Con la tecnica del bilanciamento la Corte costituzionale (ma lo stesso procedimento logico lo adotta la Corte Edu) costruisce una norma traendola dalla disposizione di legge.

Il giudice ordinario per compiere una interpretazione costituzionalmente orientata deve procedere allo stesso modo:

– esaminare una singola disposizione;

– individuare i beni in conflitto;

– compiere un giudizio di bilanciamento secondo i passaggi logici sopra indicati;

– infine, estrarre la norma dalla disposizione.

E’ proprio nella natura della tecnica del bilanciamento che una soluzione normativa valida per una disposizione non sia valida per un’altra: proprio perché nel giudizio di bilanciamento è ben possibile che in un caso normativo si dia preminente tutela al notificante e in altro caso normativo (cioè in riferimento ad un’altra disposizione: parliamo – inutile dirlo – di norme e non di casi pratici specifici) si dia tutela al notificato.

5. La scissione soggettiva degli effetti della notificazione: non è un principio valido per tutte le ipotesi normative.

La giurisprudenza solitamente vede con disfavore questa scissione.

Le obiezioni ricorrenti sono due:

a) la teoria dell’atto ricettizio: nel caso degli atti ricettizi, la fattispecie si perfeziona con la consegna. Pertanto, prima della consegna la fattispecie è incompleta e una fattispecie incompleta non può produrre effetti;

b) la teoria della notificazione: la notificazione è una fattispecie a formazione progressiva, prima che sia perfezionata (con la conoscenza o conoscibilità legale da parte del destinatario), siamo in presenza di una fattispecie imperfetta e la fattispecie imperfetta non produce effetti. Al fondo, le remore giurisprudenziali e dottrinali verso il principio di scissione sancito dalla Corte costituzionale si riassumono in un timore: il pregiudizio per il superiore principio della certezza delle situazioni giuridiche. Tale timore può essere dominato se si considera che, in realtà, il principio di scissione comporta una distinzione tra l’an e il quando degli effetti della notifica.

Invero:

a) se la notifica non si perfeziona, la notifica non produce effetto alcuno e decadono anche gli effetti provvisoriamente prodotti: se non si realizza l’an, è inutile pure discutere del quando.

b) se la notifica si perfeziona, gli effetti di essa retroagiscono per il notificante al momento in cui ha consegnato all’ufficiale giudiziario (ma lo stesso discorso vale per le notifiche a mezzo posta) l’atto da notificare. In altri termini, tale consegna produce per il notificante effetti immediati e provvisori, che si stabilizzano e diventano definitivi se e solo se la notifica viene validamente perfezionata.

Come si vede, la scissione soggettiva della notifica non pregiudica minimamente il valore della certezza delle situazioni giuridiche perché:

– se la notifica non si perfeziona, nessun effetto si produce e gli effetti provvisori eventualmente prodotti si annullano;

– se la notifica si perfeziona, le situazioni giuridiche sono certe perché vengono individuati con certezza i due momenti in cui gli effetti differenziati si producono: per il notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, per il notificato al momento della ricezione legale dell’atto.

5.1. Il vero problema è l’incertezza giuridica medio tempore: è nel periodo di tempo tra la consegna da parte del notificante dell’atto per la notifica e la ricezione legale dell’atto da parte del notificato. E’ questa grigia zona di tempo in cui domina l’incertezza giuridica per il notificante ed il destinatario che va chiarificata. Ed è qui che opera la tecnica interpretativa del bilanciamento che – come si è detto – non vale in generale, ma soltanto per categorie di atti.

A) gli atti processuali.

Il notificante ha un termine a difesa o, comunque, un termine per svolgere la sua attività processuale. Questo termine gli deve essere riconosciuto per intero. Quindi, egli va tutelato anche se consegna l’atto all’ufficiale giudiziario proprio allo scadere del termine. Non gli si può obiettare: “per un principio di precauzione (che ti impone un onere di prudenza e diligenza), avresti dovuto consegnare l’atto all’ufficiale giudiziario qualche giorno prima in modo da garantirti una notifica nei termini” Infatti, la controreplica è agevole: “quanti giorni prima?”. E’ proprio qui che si anniderebbe l’incertezza giuridica che invece si vorrebbe garantire. Infatti, non può stabilirsi a priori quando un anticipo può dirsi congrue. Ed ancora: “chi mi garantisce che se consegno l’atto all’ufficiale giudiziario una settimana prima, la notifica avverrà nei termini? E se avviene fuori termine lo stesso, che succede?”. Alla fine, c’è un argomento risolutivo: “se la legge mi riconosce un termine di 30 giorni per espletare una attività difensiva, perché lo devo ridurre a 15 o a 20 per avere (non la sicurezza) ma la probabilità della notifica nei termini?”. Quello che si è appena detto per gli atti difensivi, vale per tutti gli atti processuali. Non sarebbe ragionevole distinguere tra atti processuali difensivi e gli altri atti processuali: la soluzione deve essere la stessa per tutti gli atti per i quali la legge riconosce ad una parte un potere di agire processuale. Va aggiunto che nessun pregiudizio (se non quello psicologico dell’attesa) subisce il notificato: il dies a quo per le sua facoltà processuali ù riconosciute per quel tipo di atto dall’ordinamento – scatterà dal momento della notifica. Quindi per gli atti processuali tutti, senza distinzione tra diritto di difesa e altre attività processuali – opera il principio di scissione. In questo caso entrambe le parti sono incolpevoli, ma il legislatore ha allocato la perdita sul notificante.

B) Gli atti negoziali unilaterali. Per gli atti sostanziali la tecnica del bilanciamento è preclusa da una norma specifica (art. 1334 c.c.): qui il bilanciamento lo ha già fatto il legislatore. Sta di fatto che l’inequivoco testo della norma (qui viene in rilievo il pur discusso brocardo in claris non fit interpretatio) preclude all’interprete ogni diversa interpretazione rispetto a quella fatta palese dal significato delle parole.

6. La revocatoria e la decisione di questa Suprema Corte. La domanda di revocatoria ha un effetto processuale e un effetto sostanziale. La giurisprudenza (Cass. 29.11.2013 n. 26804) è incline a ritenere che l’effetto interruttivo della prescrizione si verifichi al momento della notifica al destinatario dell’atto di citazione. Tale affermazione fonda le sue radici sul fatto che la decorrenza degli effetti dalla notifica al destinatario assicura la certezza delle situazioni giuridiche.

Agli argomenti addotti è agevole ribattere:

a) la regola dell’art. 1334 c.c. è dettata (come risulta anche dalla sedes in cui è collocata) per gli atti negoziali: l’atto di citazione non è un atto negoziale, ovviamente.

b) si tratterebbe allora di estendere l’art. 1334 c.c., agli atti processuali con effetti sostanziali.

Ma qui c’è lo sbarramento del criterio ermeneutico letterale: pertanto, nessuna interpretazione estensiva consente di applicare una regola nata per regolare atti negoziali unilaterali agli atti processuali.

c) occorrerebbe allora procedere in via di interpretazione analogica: ma non c’è nessuna analogia tra atti negoziali e atti processuali. Anziché la eadem ratio, c’è la ratio contraria: il principio fissato dalla Corte costituzionale tutela il diritto di agire e – prima ancora – il principio di ragionevolezza.

Ora, la giurisprudenza prevalente applica la regola dell’art. 1334, per analogia, ma in presenza di presupposti contrari all’analogia, ad un atto processuale sacrificando il diritto di azione.

Ma c’è di più: si è visto che il principio affermato dalla Corte costituzionale ha una portata espansiva potenzialmente applicabile a tutti gli atti (processuali e negoziali) in quanto il parametro di costituzionalità utilizzato dalla Corte costituzionale non è solo il diritto di difesa, ma soprattutto il principio di ragionevolezza. L’espansione in via interpretativa agli atti negoziali è impedita dall’esistenza di una norma specifica (l’art. 1334 c.c. appunto). Ora, dove tale norma non opera, deve espandersi il principio generale: art. 12 delle preleggi, cioè non l’analogia legis (quindi applicazione analogica dell’art. 1334, agli atti processuali ad effetti sostanziali), bensì l’analogia iuris (cioè applicazione agli atti- ove una norma specifica non disponga diversamente – del principio generale sancito dalla Corte costituzionale).

d) l’interpretazione prevalente si espone ad un’ulteriore obiezione: essa afferma che nell’atto di citazione si dovrebbe vedere anche una costituzione in mora (dunque, un atto recettizio). La giurisprudenza dominante purtroppo non approfondisce il tema, ma opera una sorta di commistione tra effetti sostanziali e struttura dell’atto. Dovremmo ritenere che secondo la giurisprudenza dominante l’atto di citazione per revocatoria abbia una duplice natura: processuale- negoziale? Ma questa è una costruzione arbitraria non consentita dalle norme: ad essere consequenziali dovremmo allora ritenere che i vizi dell’atto negoziale di costituzione in mora (quale ad esempio un vizio di volontà) si propaghi all’atto processuale della citazione contro il principio consolidato dell’irrilevanza della volontà negli atti processuali. Dunque, l’assunto inespresso ma presente nella giurisprudenza prevalente (quella della duplice natura processuale e negoziale: atto di citazione e contemporaneamente costituzione in mora) porta ad un groviglio di problemi.

In sostanza sovrappone gli effetti dell’atto alla natura dell’atto: che un atto processuale produca effetti sostanziali non significa che esso cambi natura: o per meglio dire sviluppi una doppia natura, natura formale (atto di citazione) e una natura nascosta ma baluginante (atto di costituzione in mora);

e) da ultimo, l’invocato principio della certezza dei rapporti giuridici. In questa obiezione c’è un aspetto paradossale: quasi che la certezza giuridica riguardi solo gli atti sostanziali e non anche gli atti processuali. Anche per gli atti processuali (il processo ci sta proprio per questo) vale il principio della certezza giuridica. Ma come si è a suo tempo visto, è apodittico affermare che la certezza giuridica sia tutelata soltanto dalla regola che gli effetti dell’atto si producono solo dal momento della notifica al destinatario e non dalla regola che tali effetti possono provvisoriamente prodursi fin dal momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, salvo il consolidamento definitivo degli effetti al momento di perfezionamento della fattispecie.

L’incertezza giuridica è solo temporanea (e concerne il periodo tra consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e sua notifica al destinatario). Ora, questa incertezza temporanea destinata a dissolversi alla fine nella certezza giuridica è – per così dire – una servitus iustitiae, cioè un danno temporaneo che ben può essere imposto ad una parte incolpevole (il notificando) per evitare un danno ben più grave e definitivo al notificante, parte ugualmente incolpevole. Più in generale, se il diritto si estingue per prescrizione quando non è esercitato, ciò che vale ad impedire che la prescrizione maturi è che il diritto sia esercitato.

Se il diritto deve o può esserlo dando inizio al giudizio, dare inizio al giudizio è atto di esercizio del diritto e quindi ciò che rileva è che l’avente diritto abbia compiuto gli atti necessari per iniziarlo, non che nel termine l’obbligato lo venga a sapere; se è stato iniziato ed è stato fatto quanto necessario perché sulla sua base prosegua, il convenuto sarà posto in grado di difendersi a proposito della tempestività dell’atto di inizio. Ciò vuol dire che, per impedire il maturarsi della prescrizione, è necessario che il diritto sia stato esercitato nel termine. E questo è un fatto oggettivo, che non dipende dalla conoscenza che l’obbligato ne abbia; il completamento del procedimento di notificazione, necessario perché la prescrizione non si perfezioni, mette il convenuto nella condizione di verificare se la prescrizione si è o no maturata. La soluzione accolta, che applica la tecnica interpretativa del bilanciamento, è del tutto ragionevole.

Invero: – il notificante non ha colpe; – il notificato lucra sul ritardo dell’ufficiale giudiziario; Dunque, il notificante subisce un danno senza colpa (quello che doveva fare l’ha fatto nei termini) il notificato gode di un vantaggio senza merito: è il puro caso che gli attribuisce il guadagno. Si tratta di scegliere se allocare la perdita sulla parte incolpevole e allocare il guadagno sulla parte immeritevole.

La giurisprudenza qui criticata, in sostanza, fa decidere al caso il torto e la ragione. Ma è proprio applicando la tecnica del bilanciamento che si trova la soluzione. Non si può allocare sul notificante incolpevole la perdita definitiva del diritto quando basterebbe imporre al notificato il lieve peso di un onere di attesa, dettato dal principio di precauzione. Entrambe le parti sono incolpevoli. Ma nel bilanciamento tra la perdita definitiva del diritto per una parte e un lucro indebito per l’altra parte, la soluzione più razionale è quella di salvaguardare il diritto di una parte incolpevole ponendo a carico dell’altra parte – parimenti incolpevole – un pati, cioè una situazione di attesa che non pregiudica, comunque, la sua sfera giuridica.

Da ultimo, si potrebbe obiettare: la tecnica del bilanciamento porta a soluzioni opposte per gli atti sostanziali e per quelli processuali: nel primo caso il bilanciamento operato dal legislatore (art. 1334 c.c.) privilegia il notificato, nel secondo caso (bilanciamento operato dalla giurisprudenza mediante interpretazione) si privilegia il notificante. In realtà, si tratta di conflitto apparente: si è premesso e più volte ripetuto che è proprio nella logica del bilanciamento che non può esservi una soluzione valida per tutti i casi. Nel nostro caso, gli opposti esiti del bilanciamento derivano dalla opposta natura degli atti che vengono in rilievo: atti sostanziali e atti processuali.

Per gli atti negoziali unilaterali un diritto non può dirsi esercitato se l’atto non perviene a conoscenza del destinatario. Per gli atti processuali il diritto (processuale) è esercitato con la consegna dell’atto all’ufficio notificante. La ratio posta a base di queste opposte soluzioni (atti negoziali unilaterali e atti processuali) implica una fondamentale actio finium regundorum: la soluzione a favore del notificante vale nel solo caso in cui l’esercizio del diritto può essere fatto valere solo mediante atti processuali. In ogni altro caso – e indipendentemente dalle scelte del soggetto che intende interrompere la prescrizione (l’ordinamento non può consentire che il pregiudizio per la parte destinataria, incolpevole, derivi dalle scelte arbitrarie e ad libitum della controparte) – opera la soluzione opposta. In conclusione, quando il diritto non si può far valere se non con un atto processuale, non si può sfuggire alla conseguenza che la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica. 7. L’esame del ricorso. Alla luce dei principi enunciati va ora esaminato il ricorso.

I ricorrenti hanno proposto due motivi:

1) violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2903 e 2943 c.c., e art. 149 c.p.c., per aver erroneamente ritenuto che la consegna all’Ufficiale Giudiziario, dell’atto di citazione da notificare, non sia idoneo ad interrompere il decorso del termine prescrizionale previsto dall’art. 2903 c.c..

2) violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1953 e 1950 c.c., per aver erroneamente ritenuto che dopo l’avvenuto pagamento – sia pure ad opera di altro coobbligato come nella specie – c’è solo la surrogazione o il regresso.

Il primo motivo è fondato in conseguenza delle conclusioni raggiunte sul tema dei tempi e dei modi di interruzione della prescrizione dell’azione revocatoria, oggetto del giudizio di merito. La consegna dell’atto di citazione introduttivo del giudizio in data 17.11.2004, quando ancora non era scaduto il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2903 c.c., rende tempestivo l’esercizio dell’azione revocatoria. Conseguente è il suo esame nel merito.

Il secondo motivo non è fondato. E’ fuor di discussione che prima del pagamento il fideiussore possa esercitare, a sua scelta, contro il debitore principale, o l’azione di rilievo c.d. per liberazione, o l’azione di rilievo c.d. per cauzione. Questo, però, solo nei cinque casi previsti dall’art. 1953 c.c. e soltanto, prima del pagamento, poiché, dopo, può essere esercitata solo la surrogazione ed il regresso (v. anche Cass. 13.5.2002 n. 6808 indipendentemente dalla circostanza che si tratti di confideiussione o di fideiussione alla fideiussione). La conclusione non cambia se, in luogo del debitore principale, il pagamento interviene ad opera di uno dei confideiussori (nel caso in esame il B.), che si surroga poi nelle ragioni creditorie nei confronti degli altri fideiussori. Ciò che conta è la funzione della norma dell’art. 1953 c.c., che ha carattere preventivo e cautelare e che, quindi, non può più trovare applicazione quando i presupposti per il suo esercizio sono venuti meno (a seguito del pagamento).

Conclusivamente, è rigettato il secondo motivo ed è accolto il primo. La sentenza è cassata in relazione e la causa è rinviata alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione. Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, rigetta il secondo. Cassa in relazione e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 7 luglio 2015. Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2015


Buone Feste 2016

Buone feste 2016

“Alla serenità nulla contribuisce meno della ricchezza e nulla più della salute”

Giornata di Studio Montegrotto Terme (PD) – 04.02.2015

Locandina Montegrotto 2016LA NOTIFICA ON LINE

Giovedì 4 febbraio 2016

Comune di Montegrotto Terme (PD)

presso I.A.T.
Viale Stazione 62
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Montegrotto Terme (PD)

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2015 con rinnovo anno 2016 già pagato al 31.12.2015. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2016 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


 Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2016 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte.


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Montegrotto 2016 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), né è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Asirelli Corrado 6Asirelli Corrado

Resp. Messi Comunali del Comune di Cesena (FC)

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2016

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Montegrotto Terme 2016W

Vedi: Album fotografico

Vedi: Video della Giornata di Studio

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura

Scarica: Documentazione fiscale 2016

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

 


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 11/11/2015) 02/12/2015, n. 24492

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CICALA Mario – Presidente –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso iscritto al n. 26937/2009 R.G. proposto da:
G.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Napolitano Francesco ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Po n. 9, presso lo studio dello stesso, per procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 108/24/2008, depositata il 19/12/2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11 novembre 2015 dal Relatore Cons. Dott. Emilio Iannello;
udito per il ricorrente l’Avv. Francesco Napolitano;
udito l’Avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CUOMO Luigi, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate notificava ad G.A., titolare della impresa individuale “La mia seconda pelle di G.A.”, due avvisi di accertamento per il recupero a tassazione, per gli anni d’imposta 2002 e 2003, a fini Iva, Irpef e Irap, di ricavi non contabilizzati e costi riferiti ad operazioni ritenute inesistenti, quali risultanti da p.v.c. redatto dalla G.d.F., che aveva anche riscontrato la mancanza di libri contabili obbligatori e l’omessa presentazione della dichiarazione relativa al 2002.
Il ricorso proposto dal contribuente – che lamentava l’utilizzo di dati, documenti ed elementi istruttori acquisiti dai verificatori in violazione di legge; l’illegittimo ricorso all’accertamento di tipo parziale di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41-bis;
l’illegittimità degli avvisi di accertamento perchè non sottoscritti dal capo dell’ufficio o da un sostituto di grado dirigenziale validamente delegato;
l’errata, arbitraria e illegittima determinazione delle basi imponibili e il vizio di motivazione; l’illegittima applicazione delle sanzioni pecuniarie – veniva respinto dalla C.T.P. di Milano e lo stesso esito aveva l’appello proposto avanti la C.T.R. della Lombardia (sent. n. 180/24/2008 depositata il 19/12/2008), con il quale il contribuente aveva riproposto le medesime eccezioni, lamentando anche l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su alcune di esse.
2. Avverso tale sentenza G.A. propone ricorso per cassazione sulla base di otto motivi.
Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

3. Con il primo motivo – rubricato “violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.p., comma 1, n. 3” – il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata perchè priva di motivazione.
Afferma che la C.T.R. si è limitata a respingere il gravame attraverso un mero rinvio al contenuto della sentenza di primo grado, senza esprimere, con autonoma valutazione, le ragioni della conferma, in relazione ai motivi di impugnazione proposti dal contribuente.
Formula quesito di diritto.
4. Con il secondo motivo, corredato anch’esso da quesito di diritto, deduce vizio di omessa pronuncia (sotto la rubrica “violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”) sulla questione della legittimità – contestata con il secondo motivo d’appello – del ricorso da parte dell’ufficio all’accertamento parziale previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41-bis, e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 5, per essersi la C.T.R. al riguardo limitata a rilevare che la censura è stata “compiutamente affrontata” dai giudici di primo grado, “soprattutto se si tiene conto che è stato l’ufficio, secondo le sue prerogative, a determinare l’imponibile”.
5. Con il terzo motivo, pure esso corredato dalla formulazione di quesito di diritto, deduce ancora vizio di omessa pronuncia sulla eccepita illegittimità degli avvisi di accertamento, per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, perchè non sottoscritti dal capo dell’ufficio o da un sostituto di grado dirigenziale validamente delegato.
Anche in tal caso, secondo il ricorrente, i giudici di secondo grado, limitandosi a osservare che i giudici di primo grado “con l’ampio rinvio ad una giurisprudenza del Consiglio di Stato, hanno dato conto della pretestuosità della eccezione, avente carattere puramente formale”, hanno di fatto omesso di pronunciarsi sulla questione.
6. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ancora vizio di omessa pronuncia con riferimento al quarto motivo di gravame con il quale si era dedotta la violazione del D.P.R. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, 55 e 56 per errata, arbitraria ed illegittima determinazione delle basi imponibili, nonchè la violazione del L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7.
Lamenta che sul punto la sentenza impugnata si è limitata a rilevare che i primi giudici, affermando l’esistenza di “una situazione di totale inattendibilità della contabilità a cagione del ricorso alla pratica dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti da parte del contribuente”, avrebbero “diffusamente motivato sulla adeguatezza della sanzione amministrativa, applicata con modalità meno afflittive”. Negli stessi termini è formulato anche in tal caso quesito di diritto.
7. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, in subordine, insufficiente motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – con riferimento alle medesime questioni per le quali, con i motivi secondo, terzo e quarto, ha in via principale dedotto vizio di omessa pronuncia – per avere la Corte territoriale respinto i motivi di gravame sulla base di un mero rinvio alla sentenza di primo grado, senza procedere ad una autonoma valutazione delle argomentazioni addotte dal contribuente.
8. Con il sesto motivo G.A. deduce, in via subordinata, per il caso di mancato accoglimento del terzo motivo di ricorso, violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver omesso la C.T.R. di rilevare l’illegittimità degli avvisi di accertamento impugnati in quanto sottoscritti da soggetto diverso dal capo dell’ufficio in assenza di indicazione alcuna in ordine alla qualifica e ai poteri ad esso conferiti e in mancanza di prova dell’esistenza di un provvedimento di delega da parte del capo dell’ufficio: prova che, rimarca il ricorrente, nonostante la tempestiva eccezione sollevata in ricorso, non è stata fornita dall’ufficio neppure nel corso del giudizio di merito. Formula al riguardo quesito di diritto.
9. Con il settimo motivo il ricorrente deduce ancora violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere gli avvisi di accertamento frutto dell’accesso in locali di pertinenza dell’attività commerciale, eseguito dai verificatori in mancanza della previa autorizzazione del comandante del gruppo territoriale di appartenenza.
Rileva che sul punto l’affermazione della C.T.R. secondo cui “elementi fiscali acquisiti anche irritualmente sono comunque utilizzabili ai fini dell’accertamento”, atteso che “la negligenza dell’operatore nell’attività istituzionale non può andare a detrimento della legittima aspettativa alla prova da parte di chi non ha colpa” contrasta con il principio consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale gli elementi probatori irritualmente acquisiti e utilizzati ai fini del procedimento di accertamento tributario determina la nullità dell’atto finale, poichè frutto di un potere illegittimamente esercitato.
Viene anche in tal caso formulato quesito di diritto.
10. Con l’ottavo motivo il ricorrente, infine, denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 3, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere l’accertamento basato su elementi acquisiti in sede di indagine penale, in assenza della previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, autorizzazione nemmeno richiesta dagli organi accertatori.
Rileva che la regula iuris al riguardo applicata nella sentenza impugnata, secondo cui “l’eventuale mancanza di autorizzazione all’uso amministrativo di atti acquisiti in un procedimento penale non determina inutilizzabilità degli atti nel procedimento amministrativo, essendo la limitazione posta a presidio delle specifiche esigenze del procedimento penale e non dei soggetti coinvolti in tale procedimento”, sebbene conforme a più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, meriti di essere rivisitata, alla luce della lettera della norma la quale, secondo il ricorrente, interpretata anche alla luce degli artt. 97 e 109 Cost., impone di considerare la previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria elemento necessario del procedimento amministrativo.
Viene anche al riguardo formulato quesito di diritto.
11. Nel proposto controricorso l’Agenzia eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso poichè privo di una esposizione sommaria dei fatti autosufficiente e idonea allo scopo. Contesta nel merito la fondatezza dei motivi dedotti, rilevando in particolare, quanto al terzo e al sesto motivo di ricorso che nel giudizio d’appello, in allegato alla memoria depositata in data 27/10/2008, l’ufficio ha depositato il mandato dirigenziale del firmatario.
12. E’ fondato il sesto motivo, di rilievo preliminare e assorbente.
Da tempo, nella giurisprudenza di legittimità si è affermato l’orientamento secondo cui, in tema di imposte sui redditi, deve ritenersi, in base al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, commi 1 e 3, che gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono nulli tutte le volte che gli avvisi nei quali si concretizzano non risultino sottoscritti dal capo dell’ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva (addetto a detto ufficio) validamente delegato dal reggente di questo. Ne consegue che la sottoscrizione dell’avviso di accertamento – atto della p.a. a rilevanza esterna – da parte di funzionario diverso da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo, ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente delegato, non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità, dall’art. 42, commi 1 e 3, dinanzi citato (Cass. 27 ottobre 2000, n. 14195).
Analogamente, altra decisione di poco posteriore ha affermato che l’avviso di accertamento è nullo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario della carriera direttiva incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio. Fermi, infatti, i casi di sostituzione e reggenza di cui al D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, art. 20, comma 1, lett. a) e b), è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere: il solo possesso della qualifica non abilita il funzionario, ancorchè della carriera direttiva, alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (Cass. 10 novembre 2000, n. 14626).
Più di recente questa Corte ha confermato tali principi ribadendo che l’avviso di accertamento è nullo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario della carriera direttiva incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio, poichè il solo possesso della qualifica non abilita il funzionario della carriera direttiva alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (Cass. 11 ottobre 2012, n. 17400).
A tale oramai consolidato orientamento ha dato ulteriore continuità la sentenza n. 14942 del 14 giugno 2013 ribadendo che, nella individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’avviso di accertamento, in forza del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, incombe all’Agenzia delle entrate l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e la presenza di eventuale delega.
In tale occasione la S.C. ha evidenziato che tale conclusione è effetto diretto dell’espressa previsione della tassativa sanzione legale della nullità dell’avviso di accertamento (cfr. in materia d’imposte dirette Cass. 17400/12, 14626/00, 14195/00).
Previsione che trova giustificazione nel fatto che, come è stato osservato, gli avvisi di accertamento costituiscono la più complessa espressione de potere impositivo, ed incidono con particolare profondità nella realtà economica e sociale, discostandosi da e contestando le affermazioni del contribuente. Le qualità professionali di chi emana l’atto costituiscono quindi una essenziale garanzia per il contribuente (v. Cass. 5 settembre 2014, n. 1875 e, da ultimo, Cass. 9 novembre 2015, n. 22800).
Solo in diversi contesti fiscali – quali ad esempio la cartella esattoriale (Cass. 13461/12), il diniego di condono (Cass. 11458/12 e 220/14), l’avviso di mora (Cass. 4283/10), l’attribuzione di rendita (Cass. 8248/06) – e in mancanza di una sanzione espressa, opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato (cfr., in materia di lavoro e previdenza, Cass. 13375/09, ordinanza ingiunzione, e 4310/01, atto amministrativo); mentre, per i tributi locali, è valida anche la mera firma stampata, ex L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 87 (Cass. 9627/12).
Nella specifica materia dell’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, nel riferirsi, nel comma 1, ai modi stabiliti per le imposte dirette, richiama implicitamente il D.P.R. n. 600 del 1973 e, quindi, anche il ridetto art. 42 sulla nullità dell’avviso di accertamento, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato (cfr., in materia di IVA, Cass. 10513/08, 18514/10 e 19379/12, in motiv.).
L’orientamento in rassegna, che qui si conferma, non è contraddetto dalla citata sentenza n. 22800 del 9 novembre 2015 che, soffermandosi sulla diversa, anche se potenzialmente interferente, questione della interpretazione del concetto di “impiegato della carriera direttiva” cui può essere delegato, a mente della disposizione in esame il potere di sottoscrizione dell’atto (e giungendo al riguardo alla conclusione per cui per le agenzie fiscali la vecchia carriera direttiva deve oggi essere individuata nella terza area, che ha assorbito la vecchia nona qualifica funzionale, ritenuta idonea a determinare la validità dell’atto in numerose sentenze di questa Corte, che hanno respinto la tesi dei contribuenti secondo cui il delegato dovrebbe essere un dirigente vero e proprio: cfr. Cass. 5 settembre 2014, n. 18758) ha tuttavia certamente tenuto fermo il principio – che qui viene in rilievo – secondo cui ove venga contestato l’esistenza di uno specifico atto di delega da parte del capo dell’ufficio e/o l’appartenenza dell’impiegato delegato alla carriera direttiva come sopra definita, spetta alla Amministrazione fornire la prova della non sussistenza del vizio dell’atto. Ciò sia in base al principio di leale collaborazione che grava sulle parti processuali (e segnalatamente sulla parte pubblica), sia in base al principio della vicinanza della prova, in quanto si discute di circostanze che coinvolgono direttamente l’Amministrazione, che detiene la relativa documentazione, di difficile accesso per il contribuente (Cass. 5 settembre 2014, n. 18758; Cass. 10 luglio 2013, n. 1704; Cass. giugno 2013, n. 14942); non essendo, dunque, nemmeno consentito al giudice tributario attivare d’ufficio poteri istruttori.
La decisione impugnata non si conforma a tale consolidato principio, avendo ritenuto l’eccezione meramente pretestuosa e formale e superandola sulla base di non meglio precisata giurisprudenza del Consiglio di Stato evidentemente inconferente trattandosi di principio che ha specifica attinenza alla materia tributaria. Lungi dal potersi ritenere formale e irrilevante, l’eccezione svolta, dunque, alla stregua del principio di diritto richiamato, poneva un tema di indagine decisivo che richiedeva un esame nel merito: esame che certamente non è consentito condurre per la prima volta in questa sede, non potendosi pertanto dare ingresso alle contrapposte allegazioni circa l’intervenuta produzione in giudizio, in grado di appello, di documento idoneo a comprovare l’esistenza del mandato conferito al funzionario che nella specie ha sottoscritto l’atto.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla C.T.R. della Lombardia per nuovo esame ed anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Restano naturalmente assorbiti i restanti motivi.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, assorbiti gli altri;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione.
ConclusioneCosì deciso in Roma, il 11 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2015