Cass. civ., Sez. VI – 2, Ord., (data ud. 21/05/2015) 30/09/2015, n. 19387

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19628/2012 proposto da:

C.D. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA, VIA M. BRAGADIN, 95, presso lo studio dell’avvocato MATTEO CARLO PARROTTA, rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

PUBBLICO MINISTERO presso la PROCURA GENERALE di CATANZARO;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 277/11 R.C.C. della CORTE D’APPELLO di CATANZARO dell’8/06/2012, depositata il 20/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Svolgimento del processo
Con ordinanza del 20 luglio 2012, la Corte di appello di Catanzaro, chiamata a pronunciarsi sull’opposizione proposta da C. D., con separati ricorsi, poi riuniti, avverso i decreti di liquidazione dei compensi ad esso spettanti per l’attività defensionale svolta nell’interesse dei propri assistiti, entrambi ammessi al gratuito patrocinio nell’ambito di un procedimento per i reati di cui della L. 685 del 1975, artt. 71, 74 e 75, e definito con sentenza in data 5/10/2012, in riforma del provvedimento impugnato, ha accolto le censure mosse ai provvedimenti impugnati e provveduto alla rideterminazione dell’ammontare dei compensi spettanti al difensore con l’aggiunta del rimborso delle spese di viaggio e dell’indennità di trasferta.

Avverso tale provvedimento definitivo della Corte di appello di Catanzaro ha presentato ricorso a questa Corte, il medesimo C., deducendo due diversi motivi.

Con la prima articolata censura ha denunciato, in primis, la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e all’art. 111 Cost., in secondo luogo, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, in relazione alle norme determinative della tariffa professionale penale di cui al D.M. n. 127 del 2004, nonchè violazione del principio del divieto di reformatio in peius anche per vizio di motivazione.

Con il secondo mezzo ha dedotto la violazione dell’art. 606 c.p.c., comma 1, lett. b); violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170, in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c., oltre ad omessa motivazione sul medesimo punto relativo alle spese del giudizio.

L’intimato Pubblico Ministero presso la Procura Generale di Catanzaro non ha svolto difese in questa fase del giudizio.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., proponendo l’accoglimento del ricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria illustrativa di adesione alla relazione.

Motivi della decisione
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c., che di seguito si riporta:

“Con il primo motivo viene denunciata la inosservanza o erronea applicazione delle disposizioni in tema di liquidazione degli onorati del difensore, in particolare dell’art. 82 T.U. materia di spese di giustizia e delle norme che ineriscono la tariffa professionale penale contenuti nel D.M. n. 127 del 2004, per avere la Corte di appello di Catanzaro, nonostante il riconoscimento della fondatezza delle censure sollevate dall’odierno ricorrente, proceduto ad una liquidazione dei compensi e degli onorari ad esso spettanti in misura inferiore rispetto ai decreti impugnati e per aver arbitrariamente disatteso quanto attestato dalle note difensive e dalle produzioni documentali della parte.

Con il secondo motivo il ricorrente censura l’ordinanza impugnata per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ed omessa motivazione, limitatamente alla mancata statuizione in ordine alla liquidazione delle spese del procedimento di opposizione.

Per poter procedere all’esame delle suddette doglianze occorre dare atto della imprescindibilità di un adempimento preliminare consistente nella previa integrazione del contraddittorio, non essendo stata evocata in giudizio la necessaria controparte dello stesso.

Al riguardo si sono pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte che, superando il contrasto esistente circa la legittimazione passiva nel giudizio di opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, hanno statuito che litisconsorte necessario è il Ministero della Giustizia. Nel dettaglio, la Suprema corte, ha chiarito come non possa considerarsi titolare passivo del rapporto nè l’agenzia dell’entrate, sovente intimata in tali giudizi, nè il Pubblico Ministero, come è accaduto nel caso di specie, bensì un terzo e diverso soggetto, ciò in quanto tale giudizio, anche se riferito a liquidazioni inerenti ad attività espletate ai fini di giudizio penale, presenta carattere di autonomo giudizio contenzioso avente ad oggetto controversia di natura civile incidente su situazione soggettiva dotata della consistenza di diritto soggettivo patrimoniale, per cui, parte necessaria dei procedimenti suddetti deve considerarsi ogni titolare passivo del rapporto di debito oggetto del procedimento, con la conseguenza che nei giudizi di opposizione a liquidazione inerenti a giudici civili e penali suscettibili di restare a carico dell’erario”, quest’ultimo va identificato nel Ministero della Giustizia, che pertanto è parte necessaria (Cass. S.U. 29 maggio 2012 n. 8516). Trattasi di principi consolidati e ribaditi dalle più recenti pronunce di questa Corte (Cass. 29 gennaio 2015 n. 1687; Cass. 21 ottobre 2014 n. 22316; Cass. 13 febbraio 2014 n. 3312; Cass. 14 febbraio 2013 n. 3622).

In definitiva si conferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., data la necessità di procedere all’integrazione del contradditorio ex art. 331 c.p.c.”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, e alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio, ragione per la quale l’ordinanza impugnata va cassata e, in applicazione dell’art. 383 c.p.c., comma 3, deve essere disposta la rimessione della causa al primo giudice, individuato come in dispositivo, il quale, previa integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero della giustizia, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte, pronunciando sul ricorso, dichiara la nullità del giudizio di merito e ne ordina la rinnovazione davanti al Presidente della Corte di appello di Catanzaro, previa integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero della giustizia, il quale provvederà anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte di Cassazione, il 21 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2015


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2015) 25-09-2015, n. 19060

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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19693-2010 proposto da:

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

A.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 525/2009 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di BOLOGNA, depositata il 10/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/05/2015 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA;

udito per il ricorrente l’Avvocato MADDALO che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
L’Amministrazione Finanziaria ha notificato ad A.F. nei novembre 1982 avvisi di accertamento per IRPEF ed ILOR relativi agli anni 1975/1980; in data 14-3-1983 il contribuente ha presentato dichiarazione integrativa ex L. n. 516 del 1982, determinando i nuovi imponibili con riferimento non alle dichiarazioni originariamente presentate ma a quanto accertato nei detti avvisi; l’Ufficio, previo controllo, ha proceduto quindi alla liquidazione della detta dichiarazione integrativa ed alla conseguente formazione dei ruoli, con notifica al contribuente della relativa cartella nel settembre 1988, quando però era stata già emessa la sentenza della Corte Costituzionale 175/1986, che aveva sancito l’illegittimità di tutti gli avvisi di accertamento notificati, come quelli in questione, tra il 14/7/1986 ed il 15/3/1983.

Avverso detta cartella il contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributarla di primo grado di Parma, sostenendo che la su riferita declaratoria di illegittimità costituzionale non poteva che travolgere anche la dichiarazione integrativa, essendo infatti quest’ultima parametrata su avvisi dichiarati illegittimi.

L’adita Commissione, in parziale accoglimento del ricorso, ha ritenuto che l’Ufficio avrebbe dovuto procedere ad una riliquidazione della dichiarazione integrativa procedendo D.L. n. 429 del 1982, ex art. 19, e cioè considerandola come presentata “in assenza di accertamento”.

La Commissione di secondo grado ha rigettato l’appello dell’Ufficio.

Con sentenza depositata il 10 giugno 2009 la CTC, sez. di Bologna, ha rigettato il ricorso dell’Ufficio; in particolare la CTC ha evidenziato che la dichiarazione integrativa era strettamente connessa e subordinata all’avviso di accertamento; di conseguenza la nullità di quest’ultimo, da ritenersi atto presupposto, non poteva che travolgere tutto il rapporto tributario dallo stesso generato.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione il Ministero dell’Economia e della Finanze e l’Agenzia delle Entrate, affidato ad un motivo; il contribuente non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione
Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto proposto oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, ratione temporis vigente (un anno e 46 gg dalla pubblicazione della sentenza impugnata, avvenuta in data 10-6-2009).

Il ricorso, invero, è stato notificato, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., tramite ufficiale giudiziario, mediante deposito di copia nella casa comunale, per irreperibilità del contribuente presso l’indirizzo nel quale quest’ultimo aveva la sua residenza anagrafica (via (OMISSIS)), in data 24-9-2010, e quindi oltre il su menzionato termine.

Irrilevante è, invece, al riguardo, la precedente procedura notificatoria per posta, la cui conclusione, attesa la mancanza della relativa cartolina di ritorno, non può ritenersi provata.

E’ vero, infatti, che “In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie” (Cass. Sez. unite 17352 e ssg.).

Nel caso di specie, tuttavia, risulta che il ricorso è stato consegnato all’Ufficio postale per la notifica in data 21-7-2010, ma, in mancanza (come detto) della relativa cartolina di ritorno, non vi è prova che il mancato perfezionamento dell’intrapresa procedura non sia addebitabile a colpa del notificante; siffatta circostanza configura una interruzione nella continuità della procedura notificatoria, sicché non può ritenersi avvenuta una ripresa del procedimento notificatorio e gli effetti della seconda notifica (avvenuta ex art. 143 c.p.c.) non possono essere ricollegati ad atti della prima, e, in particolare, alla consegna all’ufficio postale del ricorso da notificare.

In conclusione, quindi, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, non avendo il contribuente svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2015


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 25/05/2015) 24/09/2015, n. 18936

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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11870-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MALESCI ISTITUTO FARMACOBIOLOGICO SPA in persona del legale rappresentante pro tempore e del Consigliere di Amministrazione, elettivamente domiciliato in ROMA VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato FIORILLI PAOLO, rappresentato e difeso dagli avvocati PISTOLESI FRANCESCO, MICCINESI MARCO giusta delega a margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 13/2008 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE, depositata il 28/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/05/2015 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIORENTINO che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato PISTOLESI che ha chiesto il rigetto del ricorso e la inammissibilità e l’accoglimento del ricorso principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine il rigetto del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo
In relazione alla contestata indetraibilità dell’IVA su fatture passive aventi ad oggetto corrispettivi versati da Malesci Istituto Farmacobiologico s.p.a. per la organizzazione e lo svolgimento di congressi e convegni scientifici autorizzati dal Ministero della Salute negli anni 1998 e 1999, in quanto qualificate come “spese di rappresentanzà negli avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio di Firenze della Agenzia delle Entrate, in quanto tali non detraibili ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 bis.1, comma 1, lett. h) e dell’art. 74 TUIR (entrambe le norme nel testo vigente ratione temporis), la Commissione tributaria della regione Toscana, con sentenza 28.3.2008 n. 13 ed in parziale riforma della decisione di prime cure, dichiarava infondata la pretesa fiscale, interpretando il complesso normativo, anche in combinato disposto dalla L. n. 67 del 1988, art. 19, comma 14 (come modificato dalla L. n. 449 del 1997, art. 36, comma 13), ritenendo che la speciale disciplina normativa riservata, in materia di imposte sui redditi, alle spese per convegni e congressi sostenute dalle imprese farmaceutiche, sottraeva tali spese alla categoria delle “spese di rappresentanza” disciplinate dall’art. 74, comma 2 vecchio TUIR cui rinviava la norma sulla indetraibilità dell’IVA, e pertanto non andavano incontro al divieto di detrazione d’imposta dovendo essere considerate, anche al tempo dei fatti, assoggettate all’ordinario regime IVA previsto per le “spese di pubblicità”, come peraltro deponevano le successive modifiche della L. n. 449 del 1997, art. 36, comma 13 (che consentivano la deduzione, ai fini delle II.DD. delle spese di pubblicità farmaceutica effettuata attraverso convegni e congressi) e la giurisprudenza di legittimità.

I Giudici di appello ritenevano, invece, fondata la pretesa fiscale concernente la indetraibilità dell’IVA sulle spese sostenute dalla società per “servizi connessi” all’acquisto di “beni da destinare ad omaggio” (fonendoscopi), non essendo stata dimostrata la “inerenza” di tali spese con l’esercizio della impresa farmaceutica.

Annullavano inoltre gli avvisi limitatamente alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie, ravvisando, da un lato, la ricorrenza di difficoltà interpretative idonee ad integrare le cause di non punibilità D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 8 ed D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, e dall’altro, la carenza di una autonoma motivazione in ordine all’illecito contestato.

La sentenza di appello, notificata in data 18.7.2008, è stata impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate, con ricorso notificato alla contribuente il 18.5.2009 ed affidato a tre motivi con i quali si deducono vizi di violazione di norme di diritto e vizi di motivazione.

Resiste con controricorso la società, eccependo la inammissibilità del ricorso per violazione del termine breve di impugnazione e proponendo contestuale ricorso incidentale, affidato a tre motivi, con i quali vengono dedotti vizi per “errores in judicando” ed “errores in procedendo” e vizio di motivazione. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione
1. Il ricorso principale è inammissibile.

La parte resistente ha eccepito che il ricorso per cassazione era stato notificato oltre il termine breve di impugnazione previsto dall’art. 325 c.p.c. e dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 1, e art. 62, comma 2, essendo stata notificata la sentenza di appello, ad istanza di parte, in data 18.7.2008 a “mani proprie”, alla “Agenzia delle Entrate – Ufficio di Firenze (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, in via (OMISSIS)” (come emerge dalla relata di notifica), ed essendo stato invece proposto il ricorso per cassazione con atto consegnato all’Ufficiale giudiziario in data 13.5.2009 e notificato alla società contribuente in data 18.5.2009.

La Agenzia fiscale ricorrente contesta la eccezione pregiudziale ritenendo tempestiva la proposizione del ricorso, dovendo ritenersi inefficace, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, la notifica della sentenza di appello D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 38 in quanto eseguita presso la sede dell’ufficio finanziario che aveva emanato l’avviso di accertamento opposto, anzichè presso la sede della Direzione regionale delle entrate che aveva partecipato al giudizio di appello.

1.1 Risulta dagli atti (intestazione della sentenza di appello) che nel giudizio di secondo grado l’ufficio della Agenzia delle Entrate, che aveva emanato l’atto impugnato (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, comma 1), e nei cui confronti era stato proposto il ricorso (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. c), art. 20, comma 1, art. 23, comma 1), era stato in giudizio “mediante” l’”Ufficio del contenzioso” della Direzione regionale della Toscana (DRE), giusto il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, per cui “l’ufficio…..nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso della direzione regionale o compartimentale ad esso sovraordinata”.

In proposito occorre osservare che, se parte del processo tributario, introdotto dal contribuente, deve intendersi “l’ufficio……che ha emanato l’atto impugnato…” (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, comma 1), l’art. 11 comma 2, introduce un sistema di legittimazione processuale alternativa, funzionale al modello organizzativo delle Agenzia fiscali.

La norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, deve, infatti, essere interpretata alla stregua del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 62, comma 2, che ha attribuito alla Agenzia delle Entrate (ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico con autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria: D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 61, commi 1 e 2; art. 1, comma 1, e art. 13, comma 1, Statuto, approvato con delibera CD in data 13.12.2000 n. 6) tutte le competenze già esercitate dal Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze, con “facoltà” di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72).

L’Agenzia fiscale è, infatti, articolata in uffici “centrali e periferici”, “regionali e provinciale (a loro volta articolati in strutture di vertice ed uffici dipendenti), in base alle disposizioni del regolamento di amministrazione adottato con delibera CD del 30.11.2000 n. 4 (art. 2, comma 2; art. 4, comma 1; art. 5), secondo criteri organizzativi che combinano l’applicazione del “principio di competenza” (territoriale e per valore) con i principi “gerarchico” (fondato su rapporti di sovra e sottordinazione: art. 11, comma 1, lett. c), Statuto) e di “sussidiarietà” (art. 1, comma 1, lett. d) reg. amm.).

Per quanto qui interessa, la gestione del contenzioso risulta attribuita a tutte le strutture periferiche, sia di “vertice” che “meramente operative”:

– le Direzioni regionali e le Direzioni provinciali delle Province autonome di Trento e Bolzano, che sono “strutture di vertice”, infatti, oltre a funzioni di direzione e di coordinamento svolgono anche “attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento, della riscossione, e del contenzioso” (art. 4, comma 3, reg. amm.);

– presso le altre Direzioni provinciali (articolate a loro volta negli “uffici territoriali”, nell’”ufficio controlli” e nell’”ufficio legale”) “l’ufficio legale tratta il contenzioso di tutta la direzione provinciale” (art. 5, comma 3 del reg. amm.) – il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate in data 23.2.2001 n. 36122, pubblicato in GU n. 151/2001 (da ricomprendersi tra le “disposizioni interne” di cui al D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, comma 3), adottato in esecuzione delle norme di legge, regolamentari e statutarie, prevede che le Direzioni regionali esercitano funzioni anche “nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento e del contenzioso”, istituendo presso tali organi anche rufficio del “Contenzioso tributario” cui è affidata tra l’altro la “rappresentanza dinanzi alle Commissioni tributarie regionali”.

1.2 Tanto premesso, ferma la esclusiva riconducibilità dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio (pretesa fiscale) all’Erario, e per esso alla Agenzia delle Entrate alla quale sono stati attribuiti ex lege i poteri di gestione del rapporto tributario con il contribuente, osserva il Collegio che indipendentemente dal rapporto organizzativo, interno all’ente di diritto pubblico, che viene ad essere instaurato tra l’organo sovraordinato (DRE) e l’ufficio che ha emanato l’atto impugnato (avocazione gerarchica della trattazione del contenzioso; accentramento in via generale, presso l’ufficio contenzioso della DRE, della rappresentanza in giudizio dei singoli uffici locali; valutazione caso per caso da parte dell’organo sovraordinato della opportunità di sostituire l’ufficio che ha emanato l’atto nella assunzione della posizione di parte processuale), non pare dubbio che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, attribuisca all’”ufficio del contenzioso” della DRE (nella specie la Direzione regionale della Toscana) una legittimazione processuale concorrente con quella dell’”ufficio provinciale periferico” che ha emanato l’atto opposto (nella specie l’Ufficio di Firenze (OMISSIS)), consentendo all’”ufficio del contenzioso” della DRE di costituirsi in giudizio, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 23, comma 1, in sostituzione del predetto “ufficio periferico” al quale è stato notificato il ricorso introduttivo ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 20 (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 20911 del 03/10/2014).

La individuazione dell’ufficio della Agenzia delle Entrate, ritenuto maggiormente idoneo a sostenere la difesa dell’ente pubblico in giudizio, è espressione di scelte discrezionali proprie dell’ente, che riflettono la specifica organizzazione ed articolazione interna degli uffici, che si inscrivono tutte nella definizione legale di “parte nel processo tributario” compiuta dalla legge che, al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 (nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 28 conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122, applicabile al caso di specie) disponeva, infatti, che “Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l’ufficio del Ministero delle finanze o l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto ovvero, se l’ufficio è un centro di servizio, l’ufficio delle entrate del Ministero delle finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso”, norma che deve essere coordinata, ai fini della individuazione della parte processuale pubblica, con le disposizioni dell’art. 18, comma 2, lett. c) – secondo cui il contribuente deve indicare nel ricorso introduttivo l’ufficio nei cui confronti la impugnazione è proposta -, e dell’art. 23, comma 1 -per cui “l’ufficio….nei cui confronti è stato proposto il ricorso” si costituisce in giudizio entro sessanta giorni dal perfezionamento della notifica-, dovendo in conseguenza ritenersi, in base al combinato disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, comma 1 e art. 23, comma 1, che la qualità di “parte nel processo” debba comunque essere riconosciuta -anche in ipotesi di una eventuale “sostituzione” da parte dell’organo gerarchicamente sovraordinato ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2 -, all’”ufficio provinciale periferico” della Agenzia fiscale “che ha emanato” l’avviso di rettifica o di accertamento ed al quale il ricorso introduttivo è stato notificato dal contribuente.

Orbene il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 2, che disciplina la notificazione delle sentenze di merito dei Giudici tributali (ai fini della decorrenza del termine breve anche per la proposizione del ricorso per cassazione: Corte cass. Set. 5, Sentenza n. 5871 del 13/04/2012 secondo cui “l’applicazione di tali disposizioni alle decisioni delle Commissioni tributarie regionali, in forza del generale richiamo fatto per il processo tributario di secondo grado alle norme dettate per il primo grado, trova ostacolo nella disciplina del ricorso per cassazione, interamente regolato dal codice di procedura civile, poichè la notifica delle sentenze di appello resta fuori del giudizio di legittimità, mirando solo alla più celere formazione del giudicato formale”), prescrive in modo inequivoco che la notificazione della sentenza deve essere eseguita “alle altre parti” (“a norma dell’art. 137 c.p.c.” e ss. ed ora, dopo le modifiche introdotte dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 1, lett. a), “a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16”) e dunque, alla stregua delle considerazioni che precedono, all’ufficio che ha emanato l’avviso di accertamento/rettifica opposto, in quanto individuato ex lege come parte del processo tributario e, pertanto, legittimato a ricevere la notifica della sentenza di merito agli effetti della decorrenza, nei confronti dell’Agenzia fiscale titolare del diritto controverso (ente con personalità giuridica di diritto pubblico, nel quale è inserito l’ufficio periferico dotato di pari capacità di stare in giudizio ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 11, secondo un modello assimilabile alla preposizione istruttoria di cui agli artt. 2203 e 2204 cod. civ.), del termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione.

Tanto alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte – cui il Collegio intende aderire- secondo cui per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle finanze, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, la nuova realtà ordinamentale – caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell’Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore- consente infine di ritenere che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato (cfr.

Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 3118 del 14/02/2006; Sez. U, Sentenza n. 3116 del 14/02/2006), non comportando tale soluzione un aggravio nell’esercizio del diritto di difesa nella fase di legittimità, poichè l’Ufficio centrale e quelli periferici -che emettono l’atto impugnato e curano il contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie- debbono comunque cooperare nell’attività di predisposizione della difesa tecnica dell’Agenzia nel giudizio di cassazione (cfr. Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 22889 del 25/10/2006; id. Sez, 5, Sentenza n. 441 del 14/01/2015).

1.3 La soluzione indicata non trova ostacolo nella disposizione dell’art. 16, comma 2 che, ai fini delle notificazioni e comunicazioni alle parti del processo, richiama anche il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1 secondo cui “salva la consegna a mani proprie”, “le notificazioni sono fatte……nel domicilio eletto o in mancanza, nella residenza, o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio”, indicazione che ha effetto anche per i successivi gradi di giudizio (art. 17, comma 2).

Se, infatti, non può essere logicamente negata alla Amministrazione finanziaria la facoltà di eleggere domicilio, al pari della parte contribuente, deve altresì rilevarsi come la norma del processo tributario, da ultimo richiamata, venga a derogare all’art. 170 c.p.c. (alla norma processualtributaria è stata riconosciuta sì efficacia “endoprocessuale” ma del tutto peculiare, atteso che la indicazione mantiene efficacia, ove non revocata o modificata, anche nel successivo grado di merito, pertanto, venendo a disporre il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, in deroga all’art. 170 c.p.c., ma non anche in deroga alla norma del processo civile che disciplina la “notifica degli atti di impugnazione” – art. 330 c.p.c. – da ritenersi non incompatibile con quella speciale del processo tributario: Corte cass. Sez, U, Sentenza n. 29290 del 15/12/2008; id.

Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 460 del 13/01/2014), e venga, quindi, ad incidere anche sulla disciplina della notifica della sentenza di merito, tenuto conto che, il previgente testo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 in vigore alla data della notifica (la modifica normativa successiva della L. n. 73 del 2010, che ha sostituito il rinvio agli artt. 137 c.p.c. e ss. con quello al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, ha ampliato “le forme” della notificazione della sentenza, ritenendo valide anche la spedizione diretta a mezzo posta in plico senza busta con raccomandata AR, ovvero la consegna della sentenza all’addetto all’ufficio – art. 16, comma 3 -, mentre non ha apportato modifiche alla disciplina del luogo e della parte destinataria della notifica che doveva, essere rinvenuta, pertanto, nella disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, commi 2, 4 e 5, e dall’art. 17), non escludeva l’applicazione – alla notifica delle sentenze tributarie- dell’art. 285 c.p.c. (secondo cui la sentenza deve essere notificata al procuratore costituito, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., ovvero alla parte costituita personalmente in giudizio, presso la residenza dichiarata od il domicilio eletto), norma che doveva pertanto intendersi derogata – relativamente alla disposizione che consente la notifica della sentenza di merito ai sensi dell’art. 170 c.p.c.- dalla disposizione speciale del processo tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17, comma 1, che fa salva in ogni caso la notifica “a mani proprie” (“le comunicazione e le notificazioni sono fatte, salva la consegna a mani proprie,…”), e che è stata costantemente interpretata da questa Corte nel senso che gli atti processuali e “la sentenza di merito” possono sempre essere notificati direttamente alla parte personalmente, anche nel caso in cui vi sia stata elezione di domicilio (cfr. Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 10474 del 03/07/2003 secondo cui debbono ritenersi ricomprese “tutte le forme di notifica previste dagli artt. 138, 140 cod. proc. civ. e la notifica a mezzo del servizio postale, a seguito delle quali l’atto venga comunque consegnato a mani proprie del destinatario”; id. Sez. 5, Sentenza n. 9381 del 20/04/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 5504 del 09/03/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 10961 del 13/05/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 16234 del 09/07/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 7059 del 26/03/2014, con riferimento alla notifica della sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale).

La applicazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1 indifferentemente ad entrambe le parti del processo tributario, esclude alla radice il dubbio di incompatibilità comunitaria prospettato nella memoria illustrativa dalla Agenzia delle Entrate (secondo cui la notifica eseguita in via alternativa all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato ovvero all’ufficio del contenzioso della DRE, costituitosi in giudizio, sarebbe lesiva dei “principi di origine comunitaria di equivalenza ed effettività della difesa”), peraltro in modo assolutamente carente, essendo stata omessa la indicazione delle norme dell’ordinamento comunitario che si assumono in ipotesi in conflitto con quelle processuali, e tenuto altresì conto, da un lato, che la materia della disciplina processuale è estranea alle materie riservate alla Comunità Europea dal Trattato (art. 6 TUE), e dall’altro che, anche nel caso in cui la ricorrente abbia inteso fare generico riferimento alla violazione dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proprio la mancata individuazione della norma comunitaria in conflitto con la disposizione processuale, impedirebbe comunque la verifica dell’asserita violazione, atteso che, per espressa previsione dell’art. 51, n. 1 della Carta, le disposizioni della medesima si applicano agli Stati membri esclusivamente “nell’attuazione del diritto dell’Unione” (e cioè soltanto ove debba applicarsi una norma comunitaria diversa dalla Carta). E’ stato, infatti, ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia che, quando un regolamento comunitario (od una direttiva comunitaria) conferisce un potere discrezionale ad uno Stato membro, quest’ultimo deve esercitare tale potere nel rispetto del diritto – e dei principi della Carta – dell’Unione (cfr. Corte di giustizia CE, sentenze 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf, Racc. pag. 2609; 4 marzo 2010, causa C-578/08, Chakroun, Racc. pag. 1-1839, e 5 ottobre 2010, causa C-400/10 PPU, McB., Racc. pag. 1-8965), ma nel caso di specie la ricorrente neppure allega -e non è dato altrimenti individuare- il regolamento o la direttiva comunitaria dai quali deriverebbe il potere discrezionale attribuito allo Stato membro nel disporre la disciplina legislativa del processo tributario, che non può, pertanto, essere considerata una normativa di attuazione di un diritto derivante dall’ordinamento comunitario.

Nè è dato ravvisare neppure un “vulnus” al principio di eguaglianza e di effettitività dell’esercizo del diritto di difesa ex artt. 3 e 24 Cost., tenuto conto che la notifica della sentenza tributaria eseguita, in via alternativa, all’ufficio periferico che ha emanato l’atto (parte processuale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 10, comma 1), ovvero -presso il domicilio eletto- nei confronti dell’ufficio del contenzioso della DRE (costituitosi in giudizio “in sostituzione” del primo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2), od ancora direttamente all’ente pubblico presso la sede legale (quale soggetto di diritto pubblico, parte sostanziale del rapporto tributario controverso, nella organizzazione del quale sono organicamente inseriti i predetti uffici), sono forme tutte egualmente funzionali, secondo un canone di ragionevolezza, ad assicurare all’Amministrazione finanziaria la effettiva conoscenza della sentenza pronunciata all’esito del giudizio, ai fini del tempestivo apprestamento dell’atto di impugnazione, non potendo essere addotti in contrario, dall’Agenzia fiscale, eventuali ostacoli di mero fatto dovuti a ritardi od inefficienze della organizzazione degli uffici dell’ente di diritto pubblico.

1.4 La menzionata norma del processo tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1), come interpretata da questa Corte, legittima, pertanto, la parte interessata (pubblica o privata) a notificare la sentenza tributaria di merito, tanto al procuratore domiciliatario, quanto alla “parte personalmente” (“a mani proprie”), dovendo applicarsi tale disposizione anche alla ipotesi, che ricorre nel caso di specie, in cui l’”ufficio che ha emesso l’atto impositivo” Opposto – al quale è stato notificato il ricorso introduttivo e che viene indicato dalla legge come “parte nel processo”- stia in giudizio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, “mediante” l’”ufficio del contenzioso” della DRE e questo abbia eletto domicilio presso la Direzione regionale (come nel caso di specie in cui -come emerge anche dalla intestazione della sentenza della CTR – l’ufficio del contenzioso della DRE della Toscana aveva indicato, costituendosi in grado di appello, il domicilio in Firenze via della Fortezza n. 8: cfr.anche memoria illustrativa depositata dalla Agenzia, pag. 7), essendo irrilevante al proposito che non sia configurabile un rapporto di rappresentanza negoziale tra gli uffici dell’ente pubblico, trovando genesi la partecipazione al giudizio dell’ufficio della DRE in una scelta di tipo organizzativo, riservata all’organo competente del soggetto di diritto titolare della pretesa tributaria contestata (l’Agenzia fiscale dotata di personalità giuridica di diritto pubblico), atteso che la alternativa, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, tra la modalità di notifica “a mani proprie” della parte e la notifica presso il luogo indicato con la elezione di domicilio (anche in assenza di procuratore ad litem o di altro soggetto indicato come domiciliatario) opera in via generale e nei confronti di tutte le parti del processo, dovendo quindi ritenersi equipollenti la notifica della sentenza di merito eseguita alla parte costituitasi personalmente “a mani proprie”, anche se in luogo diverso dal domicilio eletto, e la notifica della sentenza di merito eseguita, presso il domicilio eletto, alla parte ovvero al procuratore ad litem costituito in giudizio o ancora al soggetto indicato come domiciliatario.

1.5 La questione pregiudiziale posta all’esame di questa Corte può dunque essere risolta alla stregua del seguente principio di diritto:

– la scelta riservata alla Agenzia fiscale -ente al quale è conferita personalità giuridica di diritto pubblico e che riveste la posizione di parte sostanziale, ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, nel rapporto tributario controverso- di assumere la lite, introdotta dal contribuente, mediante costituzione in giudizio dell’ufficio periferico che ha emanato l’atto impositivo opposto ovvero dell’ufficio del contenzioso della DRE a quello gerarchicamente sovraordinato, ovvero direttamente con la costituzione in giudizio del Direttore generale dell’ente (in quanto organi tutti dotati di legittimazione processuale concorrente), e così del pari la analoga scelta dell’Agenzia fiscale di avvalersi o meno del patrocinio di un avvocato del foro privato, con il conferimento di apposita “procura ad litem”, hanno carattere eminentemente organizzativo, rispondendo alle esigenze di funzionalità ed efficienza dell’ente pubblico, in considerazione della sua specifica articolazione sul territorio e della distribuzione delle competenze tra i vari organi ed uffici centrali e periferici, e non immutano, pertanto, all’assetto legislativo del processo tributario che, individua “ex ante”, nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, come “parte nel processo”, l’ufficio della Agenzia fiscale “che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto” (ovvero l’ufficio con competenza su tutto o parte del territorio nazionale al quale spettano -in base ai regolamenti organizzativi dell’ente- le attribuzioni in merito a) rapporto controverso). Ne segue che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, bene può essere validamente eseguita, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 nei confronti dell’”ufficio che ha emanato l’atto”, opposto dal contribuente, anche nel caso in cui quest’ultimo si sia costituito in giudizio “mediante” l’ufficio del contenzioso della DRE e questo abbia eletto domicilio presso di sè, in quanto se, da un lato, l’intervento sostitutivo dell’ufficio della DRE non comporta il venire meno della qualifica legale di parte processuale dell’ufficio che ha emanato l’atto impositivo, dall’altro lato, il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16, 17 e 38 disciplinano un sistema compiuto delle modalità di notifica degli atti del processo tributario e delle sentenze emesse dai Giudici tributali, e l’art. 17, comma 1, in deroga all’art. 170 c.p.c., prevede che la notifica dell’atto possa essere eseguita direttamente alla parte mediante consegna “a mani proprie”, ovvero, in via alternativa, mediante notifica alla stessa parte nel domicilio eletto od in caso di conferimento del mandato ad litem al procuratore domiciliatario.

Sembra opportuno al Collegio evidenziare come l’enunciato principio, che si pone in linea con i richiamati precedenti delle sentenze SS.UU. n. 3116 n. 3118 del 14.2.2006, non contrasta con l’affermazione riportata nella massima CED della SC tratta dal precedente di questa Corte 5 sez. 3.10.2014 n. 20911, secondo cui “agli uffici periferici va riconosciuta la posizione processuale di parte e l’accesso della difesa avanti alle commissioni tributarie, permanemdo la vigenza del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 11” atteso che in quella causa veniva in questione la distribuzione tra i vari uffici centrali e periferici dell’Agenzia fiscale, secondo le norme attributive della competenza, della legittimazione a resistere in giudizio, mentre nella presente causa viene in questione la individuazione dell’ufficio dell’Agenzia fiscale che riveste la qualità di “parte nel processo” ed al quale, pertanto, può essere validamente notificata la sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, secondo le modalità alternative di notifica sopra indicate.

1.6 La notifica della sentenza della CTR effettuata ad istanza della società contribuente presso la sede dell’Ufficio di Firenze (OMISSIS) (in Firenze via S. Caterina D’Alessandria n. 23) che aveva emesso gli avvisi di accertamento IVA impugnati, anzichè alla Direzione regionale della Toscana (con sede in Firenze via della Fortezza n. 8) costituitasi in giudizio in sostituzione del primo, deve, in conseguenza, ritenersi idonea a far decorrere, nei confronti della Agenzia Entrate, il termine breve ex art. 325 c.p.c. per la proposizione del ricorso per cassazione, dovendo essere considerata inammissibile la impugnazione in quanto proposta oltre il termine di decadenza stabilito dall’art. 62 c.p.c., comma 2 e art. 325 c.p.c., comma 2.

2. Venendo a trattare del ricorso incidentale autonomo, proposto dalla società contribuente osserva il Collegio quanto segue.

2.1 Il primo motivo con il quale si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1 e dell’art. 19 bis.1, comma 1, lett. h), in combinato disposto con l’art. 74, comma 2 TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed il secondo motivo con il quale si deduce il vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono entrambi inammissibili, il primo, per inosservanza dell’onere di esposizione sommaria dei fatti di causa del requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), entrambi per difetto di autosufficienza ed altresì per difetto di interesse alla impugnazione.

2.2 La ricorrente incidentale, premesso di aver offerto in dono ai partecipanti ai convegni dei “fonendoscopi” di valore inferiore al limite di lit. 50.000 (previsto per la deducibilità dal reddito d’impresa delle spese di rappresentanza, dall’art. 74, comma 2 TUIR), si duole che la CTR abbia assoggettato alla medesima disciplina normativa anche altri “oneri soltanto indirettamente correlati ai medesimi donativi e/o aventi natura di costi generali inerenti all’impresa” (cfr. quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.).

2.3 La descrizione della fattispecie controversa è assolutamente carente, non essendo dato individuare la natura ed il contenuto delle prestazioni di servizi di cui si sarebbe avvalsa la società, nè tanto meno l’asserita “accessorietà” delle stesse ai beni consegnati in omaggio: è la stessa società ricorrente incidentale, peraltro, ad introdurre un ulteriore elemento di incertezza laddove ipotizza che le spese in questione possano alternativamente costituire “oneri indirettamente correlati” agli omaggio, ovvero “spese di carattere generale” (nozione in alcun modo esplicitata).

2.4 La sentenza della CTR, peraltro, ha deciso sulla questione controversa alla stregua di due distinte “rationes decidendi”: a) ha negato la detrazione IVA per omessa prova da parte della contribuente del requisito di “inerenza” delle predette spese “generali” all’esercizio dell’attività economica della impresa farmaceutica; b) ha ritenuto non condivisibile “la scissione del costo unitario da quello direttamente afferente (quale il costo della confezione) all’omaggio”.

Entrambi i motivi in esame investono esclusivamente la statuizione sub lett. b), lasciando impregiudicata la statuizione sub lett. a), da sola idonea a giustificare il decisum. In ogni caso qualora si volessero ravvisare due differenti questioni oggetto di decisione (rispettivamente concernenti, le spese generali ritenute non inerenti, e le spese afferenti agli omaggi ritenute superiori al limite di valore indicato), entrambi i motivi sarebbero egualmente da ritenere inammissibili in quanto:

– alcuna prova “decisiva”, ritualmente prodotta nel giudizio di merito, e neppure alcuna descrizione della natura e della entità delle spese sostenute per tali servizi “accessori” è stata fornita dalla ricorrente incidentale, difettando pertanto il necessario requisito di autosufficienza previsto per l’ammissibilità del motivo:

– la statuizione sub lett. b) della sentenza di appello, è errata in diritto, ma corretta nella soluzione giuridica adottata, atteso che la espressa riconducibilità della elargizione di omaggi tra le “spese di rappresentanza” (e non tra le “spese di pubblicità”: art. 74, comma 2 TUIR) deducibili dal reddito d’impresa ai fini delle imposte dirette, non può trovare alcuna corrispondenza in ambito IVA in cui è, invece, espressamente preclusa la detrazione d’imposta delle “spese di rappresentanza” D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19 bis.1, comma 1, lett. h) (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24932 del 06/11/2013, in motivazione, paragr. 10.2). Nella specie non è stato, peraltro, neppure indicato dalla società se i beni consegnati in omaggio contenessero elementi pubblicitari relativi a prodotti farmaceutici o medicinali fabbricati o commercializzati dalla società e se dunque potessero essere valutate come costi di pubblicità, per i quali è consentita senza limitazioni la detrazione IVA sulle fatture passive.

3. Il terzo motivo con il quale si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia su uno specifico motivo di appello, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 è inammissibile per omessa formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

La società lamenta che la CTR non avrebbe pronunciato in ordine al motivo di gravame con il quale si impugnava la decisione di prime cure che aveva ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento che aveva negato la detrazione dell’IVA su fatture emesse in acconto per l’anno 1997 e relative ad acquisti di beni (destinati ad omaggi) perfezionati nel successivo anno 1998.

3.1 La censura è inammissibile atteso che il motivo di ricorso per cassazione, soggetto al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve in ogni caso concludersi con la formulazione di un quesito di diritto idoneo, cioè tale da integrare il punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso specifico, anche quando un “error in procedendo” sia dedotto in rapporto alla affermata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non essendovi spazio, in base al testo dell’art. 366-bis cod. proc. civ., per ipotizzare una distinzione tra i motivi d’impugnazione associati a vizi di attività a seconda che comportino, o no, la soluzione di questioni interpretative di norme processuali (cfr. Corte cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4329 del 23/02/2009; id. Sez. L, Sentenza n. 4146 del 21/02/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 10758 del 08/05/2013).

4. In conclusione il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile e quello incidentale deve essere rigettato, sussistendo le condizioni per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso principale proposto dalla Agenzia delle Entrate e rigetta il ricorso incidentale proposto dalla società contribuente, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2015


Nuove condizioni dei servizi postali universali dal 1° ottobre 2015

Significative novità, introdotte nei recenti provvedimenti della normativa di settore, hanno determinato la rimodulazione dell’offerta dei servizi postali universali di Poste Italiane, con decorrenza dal 1° ottobre 2015 così come di seguito indicato:

  • a) sarà rilasciata una nuova gamma di servizi di base di posta ordinaria, “Posta4” / “Posta4pro” per l’Italia e “Postamail Internazionale” per l’estero. Sono previste tariffe a partire da euro 0,95 per la Posta4, euro 0,85 per la Posta4pro ed euro 1,00 per la Postamail Internazionale;
  • b) saranno ridefiniti i servizi di posta prioritaria, “Posta1” / “Posta1pro” per l’Italia e “Postapriority Internazionale” per l’estero, arricchiti con una funzionalità che – previa apposizione dell’apposita etichetta che contiene un codice – permette di ricevere nel caso della “Posta1” e “Posta1pro” per l’Italia l’informazione sull’esito di consegna e, nel caso della Postapriority Internazionale, l’informazione sull’arrivo al centro di scambio internazionale di Poste Italiane. Sono previste tariffe a partire da euro 2,80 per Posta1, euro 2,10  per Posta1pro ed euro 3,50  per Postapriority Internazionale (per l’estero Zona 1);
  • c) relativamente ai servizi online, saranno disponibili i servizi di Posta4online (per l’interno) e Postamail Internazionale online (per l’estero). Per invii fino 20 grammi (da 1 a 3 fogli), limitatamente all’attività di recapito, sono previste tariffe di euro 0,85  (per l’interno) ed euro 1,00 (per l’estero, Zona 1). Previa conferma della relativa disponibilità sulla pagina web dedicata a ciascun canale di accesso, saranno erogati anche i corrispondenti servizi di Posta1 Online e Postapriority Internazionale online;
  • d) Le tariffe dell’Avviso di Ricevimento (A.R.) dei seguenti servizi saranno:
    – singolo per l’interno – per Posta Raccomandata Retail (ivi comprese le comunicazioni connesse alla notifica degli Atti Giudiziari), nonché, ove accettati presso gli uffici postali, Posta Assicurata Retail, Pacco Ordinario Nazionale e pieghi di libri – euro 0,95
    – multiplo per l’interno – Posta Raccomandata Pro, Posta Raccomandata Smart, Posta Raccomandata online, Posta Assicurata Smart e, laddove accettati presso i centri abilitati, Posta Assicurata Retail, Pacco Ordinario Nazionale e pieghi di libri – euro 0,70
    – per l’estero – Posta Raccomandata Internazionale, Posta Assicurata Internazionale, M-Bags Economy raccomandato, Pacco Ordinario Internazionale – euro 1,00.
  • e) gli invii di posta Ordinaria, Raccomandata, Assicurata e del Pacco Ordinario Nazionale saranno consegnati secondo il nuovo obiettivo di recapito J+4 (4 giorni lavorativi oltre quello di accettazione) nelle percentuali riportate, in dettaglio, nella Carta della Qualità dei servizi postali;
  • f) in alcune località, la consegna degli invii e la vuotatura delle cassette saranno effettuate a giorni alterni su base bi-settimanale. Di conseguenza, per la sola Posta1 gli obiettivi di velocità variano, da 1 giorno (J+1) a 3 giorni lavorativi (J+3) oltre a quello di accettazione, a seconda della zona di raccolta / destinazione, secondo quanto riportato sulla Carta dei servizi postali universali.
 Le informazioni di dettaglio relative alle variazioni introdotte sono disponibili negli allegati di seguito riportati nonché presso gli Uffici Postali e negli altri centri di accettazione.

Lettera di diniego di pubblicazione di avviso di deposito ex art. 26 del dpr 602/1973 (caso particolare)

Viste le segnalazioni provenienti da alcuni comuni in merito a richieste di pubblicazione all’albo on-line di avvisi di deposito ex art. 26 del DPR 602/1973, cioè gli avvisi di deposito inerenti la cartella di pagamento, analoghi a quelli che solitamente invia Equitalia, ma che nel caso specifico provengono da società concessionaria del servizio di recupero delle entrate tributarie ed extra-tributarie che operano per conto dei comuni, tuttavia effettuate presso comuni per i quali detta società non esercita la relativa attività e quindi al di fuori del proprio territorio di competenza alla notificazione è stata predisposta una lettera di diniego.

Considerato, inoltre, che gli avvisi in questione non citano l’avvenuto deposito dell’atto (deposito che infatti non viene effettuato) ma attestano che la matrice dello stesso è conservata presso gli uffici della società, la relativa richiesta di pubblicazione è carente sotto diversi profili (meglio esplicitati nella lettera).

Se poi consideriamo che il Garante  della Privacy ha disposto che la pubblicazione di atti che diffondono dati personali sia effettuata in stretta osservanza della norma che lo prevede, la relativa richiesta di pubblicazione degli avvisi di cui trattasi, non appare legittima neppure sotto il profilo del rispetto della privacy.

Per tale motivo la lettera che segue può essere un utile riferimento per la risposta di diniego.

 A seguire, è stato inserito un breve testo da utilizzare nel caso di reiterata richiesta di pubblicazione.

Scarica: Lettera da inviare alla società di gestione entrate e tributi 2015


Violazioni al Codice della Strada, aumentano le spese

Le spese di accertamento e notifica sui verbali di violazione al codice della strada, accertate dalla Polizia Stradale, passano a 15,23 euro. Somme che, a seguito di intervenute modifiche normative o sulla base di maggiori o minori costi di accertamento, potranno essere rideterminate con successivi provvedimenti. È quanto prevede il testo del dm Interno 8.7.2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 214 15.09.2015 con cui si determinano i nuovi importi a carico dei trasgressori di norme del Codice della strada, quando tali violazioni sono accertate dal personale della Polizia di Stato. Pertanto, a partire dal 16 settembre 2015, i verbali di accertamento conteranno, oltre all’importo della sanzione amministrativa, anche la somma di 15,23 euro quale spesa di notifica, i cui costi sono anticipati da Poste Italiane. Il dm specifica, altresì, che entro il 30 novembre e il 31 maggio di ogni anno il Servizio Polizia Stradale provvede a verificare le spese di accertamento e di notifica dei verbali di contestazione dovute a Poste, così da assicurare l’idonea copertura economica delle suddette attività. Con tali somme, si legge nel decreto, si rimborsa la società Poste Italiane per la fornitura degli adeguamenti dei software, già nella disponibilità della Polizia Stradale, nonché per i costi relativi all’hardware e al software di base necessari a supportare tali applicativi. Sotto questo profilo, il dm prevede, inoltre, che i vertici della Polstrada potranno segnalare una rideterminazione degli importi dovuti a titolo di spese di notifica, alla luce di intervenute modifiche normative, ovvero sulla base dei maggiori o minori costi di accertamento per il responsabile del pagamento, derivanti dalle innovazioni tecnologiche e dall’applicazione di nuove soluzioni informatiche ai servizi resi da Poste Italiane alla stessa Polizia Stradale.

MINISTERO DELL’INTERNO

DECRETO 8 luglio 2015

Determinazione delle spese di notifica e accertamento a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada. (15A06864)

(GU n.214 del 15-9-2015)

IL DIRETTORE CENTRALE

dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale

Visto l’art. 208, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 («codice della strada»), di seguito indicato come codice della strada, che devolve allo Stato i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada accertate da funzionari ed agenti dello Stato;

Visto l’art. 389 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, recante il Regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada, che disciplina la ricevibilità e gli effetti dei pagamenti delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada in misura inferiore a quella prevista per l’estinzione dell’obbligazione o fuori dal termine per il pagamento in misura ridotta, prima della formazione del ruolo;

Visto il decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 12 luglio 2010, con il quale è stato istituito un conto corrente postale nazionale intestato al Ministero dell’interno – Polizia Stradale;

Considerato che il Dipartimento della pubblica Sicurezza del Ministero dell’interno, in linea con le prescrizioni del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni, recante il codice per l’amministrazione digitale, ha attivato procedure esecutive per la notifica ed il pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada accertate da personale della Polizia di Stato, con l’affidamento di parte dei servizi alla Società «Poste Italiane S.p.A.», sulla base dell’avvenuta stipula del contratto in forma pubblica amministrativa n. 29414 di rep. del 23 dicembre 2013, con scadenza al 31 marzo 2016, regolarmente registrato alla Corte dei conti in data 11 marzo 2014;

Considerato che i costi per il servizio di notificazione degli atti amministrativi effettuato dalla Società «Poste Italiane S.p.A.» ai sensi dell’art. 8 della legge 20 novembre 1982, n. 890 e successive modificazioni, nonché’ per lo svolgimento di alcune attività materiali a supporto dell’attività di accertamento svolto da personale della Polizia di Stato, sono sostenuti dalla predetta Società e sono da ricomprendere tra le spese di notifica e spese di accertamento, che, ai sensi dell’art. 201, comma 4, del codice della strada, sono a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada;

Atteso che l’art. 3 del citato contratto fissa in Euro 12,23, I.VA compresa, il costo della gestione completa del servizio di notifica, di incasso e rendicontazione dei pagamenti, successivamente ridotto, a far data dal 1° dicembre 2014, ad Euro 11,86, I.V.A. compresa, ai sensi della delibera AGCOM 728/13/CONS del 19 dicembre 2013;

Richiamata la convenzione n. 29174 di rep. del 25 maggio 2011, stipulata sempre con la Società «Poste Italiane S.p.A.», con la quale è stata affidata alla stessa la gestione di talune attività complementari e necessarie alla gestione del processo sanzionatorio, ivi comprese quelle relative agli accertamenti, la fornitura degli adeguamenti dei software, già nella disponibilità della Polizia Stradale e necessari all’esecuzione delle parti di processo ad essa delegate, nonché la fornitura dell’hardware e del software di base necessari a supportare tali applicativi;

Viste le comunicazioni n. 300/A/7254/14/131/M/11/8/8/1 del 10 ottobre 2014 e n. 300/A/2014/15/131M/11/8/8/1 del 18 marzo 2015 con le quali il Direttore centrale per la polizia Stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato ritiene congruo rideterminare le spese di notifica ed accertamento da porre a carico pro quota di ciascun contravventore destinato al pagamento delle sanzioni amministrative in complessivi Euro 15,23, I.V.A. compresa, composti da Euro 11,86, I.V.A. compresa, per spese di notifica ed Euro 3,37, I.V.A. compresa, per spese di accertamento;

Visto l’art. 8 del citato decreto interministeriale 12 luglio 2010, che affida al Direttore Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale la determinazione con apposito decreto dell’importo delle spese di notifica e delle spese di accertamento da porre a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada accertate da personale della Polizia di Stato;

Richiamata la nota n. 600/A/INF/0005286/15 del 21 maggio 2015 con la quale l’Ufficio Tecnico e Analisi di Mercato della Direzione Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale ha confermato la determinazione del sopraindicato importo complessivo di Euro 15,23, I.V.A. compresa, in ossequio alla previsione di cui al sopramenzionato decreto interministeriale;

Decreta:

Art. 1

A decorrere dalla data di pubblicazione del presente decreto sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana le spese di accertamento e di notifica dei verbali di contestazione di violazioni al codice della strada, da porre a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada accertate da personale della Polizia di Stato, sono determinate in Euro 15,23, I.V.A. compresa, composti da Euro 11,86, I.V.A. compresa, e da Euro 3,37, I.V.A. compresa, quali spese di notifica e di accertamento.

Art. 2

Le somme pagate dai soggetti tenuti al pagamento a titolo di rimborso delle spese di notifica e delle spese di accertamento di cui al precedente art. 1, i cui costi sono sostenuti dalla Società «Poste Italiane S.p.A.», sono versate con operazione di postagiro ovvero di bonifico a favore della medesima Società dal funzionario responsabile della gestione del conto corrente postale nazionale intestato a Ministero dell’interno – Polizia Stradale, a seguito della presentazione di apposita fattura emessa dalla menzionata Società, intestata al Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica Sicurezza – Servizio Polizia Stradale come previsto dai menzionati contratti.

Art. 3

Entro il 30 novembre ed il 31 maggio di ogni anno il Servizio Polizia Stradale provvede a verificare le spese di accertamento e di notifica dei verbali di contestazione effettivamente dovute alla Società «Poste Italiane S.p.A.», per assicurare la idonea copertura economica delle suddette attività svolte dalla stessa Società «Poste Italiane S.p.A.».

Il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato provvede a segnalare alla Direzione Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale la necessità di rideterminare gli importi di cui all’art. 1 in ossequio alle previsioni di cui all’art. 8 del decreto interministeriale 12 luglio 2010, alla luce di intervenute modifiche normative, ovvero sulla base dei maggiori o minori costi di accertamento per il responsabile del pagamento, derivanti dalle innovazioni tecnologiche  e dall’applicazione di nuove soluzioni informatiche ai servizi resi dalla Società «Poste Italiane S.p.A.» alla Polizia Stradale.

Art. 4

Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello dell’avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Roma, 8 luglio 2015

Il direttore centrale: Franceschelli

Registrato alla Corte dei conti il 1° settembre 2015

Interno, foglio n. 1732


La PEC del Governo in “pensione” dal 18 settembre 2015

CEC-PACDa domani, 18 settembre, il servizio PostaCertific@, la PEC governativa che consentiva esclusivamente lo scambio di comunicazioni, aventi valore legale, paragonabile a quello di una raccomandata con ricevuta di ritorno, tra enti pubblici, cittadino e viceversa, non sarà più attiva.

Le caselle che fino a dicembre 2014 erano attivabili gratuitamente, dal singolo cittadino, erano infatti semplicemente CEC-PAC, acronimo di Comunicazione Elettronica Certificata fra Pubblica Amministrazione e Cittadino.

Fortissimamente voluta dall’On. Renato Brunetta, la CEC-PAC si è rivelata – all’atto pratico – un fallimento. Stando alle statistiche, infatti, ben l’82% delle caselle di PostaCertificat@ non avrebbe mai inviato alcun messaggio e qualcosa come 500.000 richieste di attivazione sarebbero rimaste inevase perché i cittadini non si sono mai presentati presso gli uffici postali per confermare la loro identità ed “autenticare” la casella.

Quindi, a partire dal 18 settembre la PEC governativa (PostaCertificat@) andrà definitivamente in pensione perché non sono stati sin qui raggiunti gli obiettivi fissati inizialmente.

L’Agenzia per l’Italia digitale (AGID) ha confermato che la chiusura del servizio (le caselle CEC-PAC dei cittadini non saranno più accessibili; potranno essere eventualmente richiesti solamente i log relativi all’attività delle stesse entro e non oltre il 17 marzo 2018) porterà ad un risparmio, per le casse dello Stato, quantificabile in circa 19 milioni di euro.

I “numeri complessivi” non sono stati comunque resi noti soprattutto considerando che soltanto per l’appalto iniziale Telecom Italia e Poste Italiane, si aggiudicarono un appalto per la fornitura del servizio del valore di 50 milioni di euro.

Nonostante sia un “unicum” tutto italiano (altri Paesi non hanno sentito il bisogno di dotarsi di una simile soluzione continuando a preferire standard riconosciuti a livello internazionale come S/MIME e OpenPGP), l’attivazione di un account di posta elettronica certificata (PEC) resta un adempimento a carico di professionisti ed imprese. Inoltre, la disponibilità di un indirizzo PEC resta un pressante obbligo, ad esempio, allorquando si debba partecipare a selezioni pubbliche o qualora si debba colloquiare con la pubblica amministrazione.


Cons. Stato Sez. III, Sent., (ud. 09-07-2015) 14-09-2015, n. 4270

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 540 del 2015, proposto da:

Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.12;

contro

E.S., rappresentato e difeso dagli avv. Guido Contestabile, Graziella Scionti, con domicilio eletto presso Giovanni Esposito in Roma, Vicolo Antoniniano, n.14;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00197/2014,

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di E.S.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2015 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Domenico Tropepi su delega di Guido Contestabile e di Graziella Scionti e l’avv. dello Stato Tito Varrone;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.Il sig. E.S. impugnava il decreto di divieto di detenzione d’armi emesso dal Prefetto di Reggio Calabria in data 18.11.2013.

Il provvedimento si fondava su due ordini di ragioni:

a) le frequentazioni dell’interessato con persone con pregiudizi penali;

b) il quadro di relazioni familiari che incideva negativamente sull’affidabilità richiesta, in particolare, la convivenza con due stretti familiari, che risultavano frequentare soggetti gravati da vari precedenti penali.

Si costituiva in giudizio la Prefettura di Reggio Calabria che depositava, oltre al controricorso, la nota della Questura di Reggio Calabria – Commissariato della P.S. di Gioia Tauro, del 30.10.2013, Div. III/cat.6F/PG/2013, dalla quale era scaturito il decreto prefettizio di diniego.

Il sig. S. affidava il ricorso ai seguenti motivi di diritto:

I) Illegittimità del provvedimento per violazione di legge, illogicità e carenza della motivazione – eccesso di potere;

II) Illegittimità del provvedimento per carenza di istruttoria, illogicità e/o carenza della motivazione – eccesso di potere;

III) Violazione di legge: mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

All’udienza cautelare il Tar tratteneva il ricorso per una decisione in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a..

Il Tar riteneva che la vicenda imponeva una particolare attenzione, da un lato, rispetto ai fatti posti a fondamento dell’impugnata informativa, dall’altro, rispetto alla personalità dell’odierno ricorrente in quanto:

– le frequentazioni personali contestate al ricorrente erano del tutto occasionali e irrilevanti (una risalente al 2004, la seconda, più recente, ma con soggetto con precedenti penali attinenti a delitti in ambito familiare);

-del pari irrilevante era la frequentazione contestata al padre del sig. S. con il proprio fratello, peraltro assolto dai reati contestati;

– risalenti nel tempo erano quelle contestate alla propria sorella, due nel 2004 una nel 2007, non più convivente con il sig. S. dal 5.5.2012, giorno in cui aveva contratto matrimonio.

Occorreva valutare anche la personalità del ricorrente così come emergeva dal suo percorso professionale e di vita in quanto:

– il sig. S.E. era stato arruolato nell’Esercito Italiano a far data dal 07.06.2011, con il grado di caporale VFP1 in rafferma annuale, assegnato alla Brigata F. ed aveva ottenuto un elogio per il servizio svolto in data 10.08.2012 (attestato in atti);

-nel corso del 2013 aveva presentato domanda di partecipazione al concorso per il reclutamento di 964 allievi agenti della P.S., riservato ai volontari in ferma di un anno partecipando alle relative prove selettive, dimostrando la volontà e il desiderio di entrare a far parte delle forze di polizia;

-attualmente lavorava alle dipendenze della F.lli S. snc, società dedita alla lavorazione del legno.

Per il Tar, dai dati fattuali sopra esposti emergeva non solo l’illogicità dell’impugnato provvedimento, poiché da nessun concreto elemento poteva evincersi il pericolo di abuso nell’uso delle armi, ma anche la sua intrinseca contraddittorietà in quanto alle sporadiche frequentazioni contestate aveva fatto seguito un periodo di servizio presso le Forze armate, servizio per il quale, l’odierno ricorrente, aveva ricevuto persino un elogio dal proprio comandante.

Conclusivamente per il Tar il provvedimento impugnato presentava evidenti vizi motivazionali laddove, in primo luogo, erano state considerate rilevanti, ai fini del diniego, frequentazioni meramente occasionali; in secondo luogo, per il fatto che non era stata compiuta una valutazione della complessiva personalità del soggetto, tale da fondare in concreto l’incidenza delle contestate frequentazioni sul giudizio prognostico di abuso delle armi.

Le spese del giudizio venivano poste a carico della Prefettura di Reggio Calabria.

2. – Nell’atto di appello il Ministero dell’Interno sostiene la erroneità della sentenza per travisamento dei fatti ed erronea applicazione della normativa di riferimento evidenziando che nel nostro ordinamento portare le armi è vietato e le eccezionali deroghe al divieto sono circondate da particolari cautele a tutela dell’ordine pubblico e della pacifica convivenza; inoltre l’Autorità preposta alla cura di tali beni gode di amplissima discrezionalità, nel caso in esame bene esercitata attesa la non completa affidabilità del ricorrente.

Si è costituito l’appellato signor E.S. evidenziando la inammissibilità/improcedibilità dell’appello per nullità della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio a mezzo PEC, decadenza del diritto di impugnativa, inammissibilità e/o nullità del gravame per mancata indicazione delle specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, violazione dell’art. 101 c.p.a.. e nel merito infondatezza dell’appello.

Sono state depositate ulteriori memorie difensive.

Alla pubblica udienza del 9 luglio 2015 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

3. – La Sezione deve esaminare in via prioritaria la eccezione avanzata dall’appellato di nullità della notifica dell’Avvocatura dello Stato in quanto effettuata per mezzo della posta elettronica certificata (PEC) inviata al procuratore costituito nel giudizio di prime cure.

Deduce l’appellato, richiamando la sentenza del Tar Lazio, sede di Roma della Sez. III ter del 13 gennaio 2015 n.396 che nel processo amministrativo non è ancora consentito agli avvocati notificare l’atto introduttivo del giudizio con modalità telematiche in mancanza di espressa autorizzazione presidenziale ai sensi dell’art. 52 co.2 c.p.c. .

L’assunto non può essere condiviso.

Al riguardo il Collegio ritiene di aderire per relationem al recentissimo precedente di questo Consiglio di Stato, Sez. VI n.2682 del 28 maggio 2015 secondo il quale: “La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, c o. 2, del c.p.a. non può considerarsi ostativa alla validità ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la L. n. 53 del 1994 (ed in particolare… gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dall’art. 25 co. 3, lett. a) della L. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale… a mezzo della posta elettronica certificata”.

“Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a. , disposizione che si riferisce a “forme speciali” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile.”

“Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico -operative resta il DPCM al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato al c.p.a. , ciò non esclude però l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC”.

Sulla base di tale precedente l’eccezione proposta dall’appellato deve essere respinta.

4. – Anche la seconda eccezione dedotta dall’appellato di nullità dell’appello del Ministero per mancata specificazione dei motivi è infondata.

Il Ministero non si è limitato a riproporre le difese formulate in primo grado ma ha sostenuto la erroneità della sentenza del primo giudice evidenziando con specificità il travisamento dei fatti e l’erronea applicazione della normativa di riferimento e dunque l’errore in cui sarebbe incorso il primo giudice che in primo luogo non si sarebbe avveduto della rilevanza e pericolosità delle frequentazioni dell’interessato e dei suoi familiari, in secondo luogo, non avrebbe rilevato che il sindacato del giudice amministrativo “si arresta al limite della ragionevolezza”.

Non si è trattato quindi di una mera riproposizione di difese svolte in primo grado ma specifiche critiche allo iussum del giudice di primo grado.

5. – L’appello nel merito è fondato.

La Sezione richiama le conclusioni della giurisprudenza amministrativa che ha osservato che ai sensi degli artt. 39 e 43 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 l’amministrazione è titolare di un potere discrezionale molto esteso in materia di rilascio e ritiro di licenze abilitanti il possesso di armi e munizioni. Tale ampia discrezionalità si evince nella previsione contenuta nel citato art. 43 ove si prevede che la licenza può essere ricusata, oltre che in confronto dei soggetti che hanno riportato condanne penali, anche nei riguardi di chi non dà affidamento di non abusare delle armi. Il fine perseguito è, infatti, la tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, non solo in caso di accertata lesione, ma anche in caso di pericolo di lesione, sicché si tratta di un potere attribuito anche con finalità di prevenzione rispetto alla commissione di illeciti.

Ne consegue che il divieto di detenzione di armi, munizioni, esplosivi, così come il diniego di licenza o la revoca della licenza di porto d’armi, non richiedono un oggettivo ed accertato abuso nell’uso delle armi, essendo sufficiente che, secondo una valutazione non inattendibile, il soggetto non dia affidamento di non abusarne.

La valutazione di inaffidabilità del soggetto è attribuita all’autorità amministrativa la quale è chiamata ad un accertamento incensurabile in sede di legittimità nel momento in cui risulta congruamente motivato avuto riguardo a circostanze di fatto specifiche.

Né può risultare indifferente, nel giudizio di valutazione complessiva, la sproporzione significativa, tra l’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza dei cittadini rispetto all’interesse privato di portare armi o comunque di detenerle.

Per cui, salvo il limite dell’onere motivazionale, la valutazione cui è chiamata la Amministrazione, titolare del potere in materia di pubblica sicurezza, può essere contestata nel merito solo per illogicità e travisamento dei fatti sfuggendo invece al sindacato di legittimità l’apprezzamento amministrativo relativo alla prognosi di non abuso delle armi da parte del soggetto che ne sia possessore.

Nel caso in esame la amministrazione ha indicato espressamente le ragioni che hanno indotto ad adottare il gravato provvedimento negativo nei confronti del ricorrente.

Il provvedimento si fondava, come rilevato in fatto, sia sulle frequentazioni dell’interessato con persone con pregiudizi penali, sia sul quadro di relazioni familiari che incideva negativamente sull’affidabilità richiesta, in particolare, la convivenza con due stretti familiari, che risultavano frequentare soggetti gravati da vari precedenti penali.

Quanto alla ricorrenza nel tempo di tali frequentazioni occorre considerare che le stesse hanno coperto un arco di tempo significativo, dal 2004 al 2007, con persone interessate da ipotesi di reato o comportamenti affatto marginali riguardanti gravi reati contro il patrimonio o contro la persona o in ambito familiare; tale ultimo tipo di reati (tra le mura domestiche) non rappresentava certo una attenuante della pericolosità delle frequentazioni, come ritenuto dal Tar, rientrando invece tra le ipotesi di reato più pericolose ed odiose.

Il fatto che il ricorrente abbia svolto per un periodo di tempo con diligenza il servizio nelle forze armate presentando anche domanda come allievo nelle forze di polizia non assume significatività tale da ribaltare la prognosi di non affidabilità circa la detenzione delle armi in relazione al tipo di frequentazioni intrattenute.

Si tenga comunque conto che la esperienza nell’esercito si era oramai conclusa e quella nelle forze di polizia, cui pure accennava il primo giudice, non era mai iniziata tanto che l’appellante oggi lavora in tutt’altro campo.

D’altro canto non può trascurarsi il contesto ambientale, noto per fatti di criminalità organizzata, in cui si inquadrava la vicenda ed il fatto che le frequentazioni dimostravano che il ricorrente, se certo è esente direttamente da dinamiche criminali, comunque non era del tutto lontano da ambienti criminali, cosa, occorre sottolinearlo, diversa dall’affermare che il soggetto sia un criminale.

6. – Conclusivamente le motivazioni del provvedimento impugnato sono idonee a supportare il giudizio ampiamente discrezionale di possibile rischio di abuso del titolo che la legge affida alla autorità prefettizia nella attività di emissione delle autorizzazioni aventi ad oggetto armi, giudizio fondato, nel caso in esame, prevalentemente nell’ambiente sociale e familiare in cui concretamente si esplicava la vita di relazione dell’interessato che evidenziava la possibilità di incidenza di detto ambiente sul modus agendi del medesimo.

Con l’effetto che, del tutto ragionevolmente, il provvedimento impugnato ha valutato sussistente un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica sulla base di un giudizio prognostico ex ante circa la possibilità di abuso delle armi .

7. – L’appello quindi merita accoglimento.

8. – La sentenza appellata deve essere riformata, il ricorso di primo grado respinto.

Tuttavia per l’andamento e la peculiarità dei due gradi di giudizio le spese e gli onorari possono essere compensati.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo accoglie, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Angelica Dell’Utri, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere


Circolare 01/2015 – Avvisi di Addebito INPS

Con l’entrata in vigore dell’art. 30 D.L. 78/2010, convertito nella L. 122/2010, è stata soppressa la fase della iscrizione a ruolo del credito contributivo, e la consegna del ruolo all’agente della riscossione, cui competeva la notifica della cartella di pagamento ed è stato introdotto per il solo Inps l’avviso di addebito, contenente la intimazione al debitore di adempiere entro 60 gg. dalla notifica dell’avviso, con l’avvertimento che in mancanza del pagamento l’agente di riscossione, indicato nell’avviso, procederà ad espropriazione forzata, secondo i poteri e le modalità che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.

La circostanza che nell’avviso di addebito difetti la indicazione dell’ente creditore (a differenza della cartella di pagamento) è da imputarsi al fatto che l’avviso non può che provenire dall’Inps, cui solo è consentita tale modalità di recupero coattivo del credito, cui va ad aggiungersi la mancata indicazione del ruolo e della data di esecutività dello stesso, essendo venuta meno la emissione del ruolo.

Riscossione Inps: nella legge di conversione del Dl 78/2010 più leggera la riforma dal 2011

La riscossione Inps

L’art. 30 del D. L. 78/2010 (recante “Potenziamento dei processi di riscossione dell’INPS”), in sede di conversione in legge, ha subito, come sopra accennato, sostanziali modifiche cambiando di fatto l’obiettivo originario del decreto, i cui effetti avranno decorrenza dal 2011.

Con la legge di conversione sono stati modificati i commi 2, 5 e 15 e sono stati soppressi i commi 3 e 12, riguardanti l’espropriazione forzata (agente della riscossione) trascorsi 30 giorni dal mancato pagamento dell’avviso di addebito dell’INPS emesso per effetto di contributi non versati alle scadenze periodiche, i commi 7, 8 e 11 riguardanti i ricorsi amministrativi relativi ai debiti accertati dagli uffici INPS e il comma 9 in base al quale l’avviso di addebito cessava di avere validità in caso di revisione in autotutela dell’atto di accertamento, ferma restando la possibilità dell’INPS di notificare un nuovo avviso di addebito, in relazione all’eventuale somma ancora dovuta.

Finalità delle nuove norme – A decorrere dal 1° gennaio 2011, la disciplina della riscossione dei crediti da parte dell’INPS (non interessa quindi gli altri enti previdenziali) sarà fondata, come precisa la relazione parlamentare, sullo strumento dell’avviso di addebito, notificato al debitore, avente valore di titolo esecutivo.

La nuova disposizione interesserà il recupero di tutte le somme dovute all’INPS, ivi comprese quelle risultanti dagli accertamenti e quelle derivanti a titolo di sanzioni, somme aggiuntive e interessi.

La  relazione illustrativa del disegno di legge di conversione precisa altresì che le nuove norme sono finalizzate a ridurre fortemente, anche con riferimento agli omessi versamenti periodici (da parte delle aziende e lavoratori autonomi), i tempi intercorrenti tra l’insorgenza del credito rilevato dell’Istituto e il momento in cui l’agente della riscossione possa avviare, secondo la disciplina della riscossione mediante ruoli, l’attività di recupero.

Così la nuova riscossione – Le nuove regole, fissate dalla legge di conversione, possono essere così sintetizzate:

– L’attività di recupero di tutte le somme dovute all’INPS (omessi versamenti periodici e accertamenti d’ufficio) dal 1° gennaio 2011, sarà effettuata mediante notifica  di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo (il titolo esecutivo, per i soli crediti INPS, non sarà più la cartella di pagamento emessa dall’agente della riscossione)

– Detto avviso sarà notificato, in via prioritaria, tramite posta elettronica certificata, ovvero, previa convenzione tra comune e INPS, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale, ovvero a mezzo di raccomandata A.R.;

– L’avviso di addebito che invierà l’INPS dovrà obbligatoriamente contenere (a pena di nullità): codice fiscale del debitore; periodo di riferimento del credito; la causale; l’ammontare del debito ripartito tra quota capitale, interessi (ove dovuti); l’agente della riscossione competente; l’intimidazione ad adempiere al pagamento entro 60 giorni;  l’indicazione che, in mancanza del pagamento,  l’agente della riscossione avvierà la procedura di espropriazione forzata (l’avviso di addebito è già il titolo esecutivo, conseguentemente non verrà più emesso un ruolo con titolo esecutivo), con i poteri, le facoltà e le modalità che disciplinano la riscossione mediante ruolo (la legge di conversione, fatta eccezione per la soppressione dell’esecutività del ruolo, ripristina, rispetto al testo originario del decreto, integralmente la procedura dei ruoli); la sottoscrizione del responsabile dell’ufficio;

– L’avviso di addebito (titolo esecutivo) sarà  consegnato, in deroga alla disciplina sui ruoli (D.Lgs. 46/1999),  all’agente della riscossione con modalità e termini che verranno stabiliti dall’INPS (all’agente della riscossione spettano l’aggio, interamente – non più parzialmente – a carico del debitore e il rimborso delle spese relative alla procedure esecutive di cui all’art. 17, del D. Lgs. 112/2009);

– Il mancato o il tardato pagamento delle somme richieste mediante avviso di addebito, le sanzioni e le somme aggiuntive saranno dovute fino alla data dell’effettivo pagamento;

– Per effetto dell’esecutività data dal legislatore all’avviso di addebito, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati, ai fini del recupero delle somme dovute a qualsiasi titolo all’INPS, al titolo esecutivo emesso dallo stesso istituto (avviso di addebito).

Non è stata quindi modificata la disciplina dei ricorsi che le aziende interessate all’avviso di addebito possono inoltrare al competente comitato, in particolare:

– al comitato amministratore centrale dell’INPS per il mancato o incompleto pagamento dei contributi (sia di lavoro dipendente sia di lavoro autonomo);

– al comitato regionale per i rapporti di lavoro presso la Direzione regione del lavoro per la diversa qualificazione del rapporto di lavoro.

Rimane altresì valida la possibilità da parte dell’azienda di sanare il debito INPS mediante la richiesta di rateazione.

Particolare attenzione occorre dare alla procedura riferita alla sospensione del titolo esecutivo.

La vigente disciplina sui ruoli prevede: la possibilità da parte dell’azienda di ricorrere contro l’iscrizione a ruolo entro 40 giorni dalla notifica della cartella di pagamento; che il giudizio di apposizione contro il ruolo per i motivi inerenti il merito della pretesa contributiva è regolato dagli artt. 442 e seguenti del codice di procedura civile; che nel corso del giudizio di primo grado il giudice del lavoro può sospendere l’esecuzione del ruolo per gravi motivi.

Dette disposizioni, a norma di quanto disposto dall’art. 30 in commento (Per effetto dell’esecutività data dal legislatore all’avviso di addebito, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati, ai fini del recupero delle somme dovute a qualsiasi titolo all’Inps, al titolo esecutivo emesso dallo stesso Istituto), dovranno,  dal 2011, essere lette con riferimento al titolo esecutivo dell’avviso di addebito e dovranno essere coordinate, a nostro avviso, con quelle nuove che prevedono che l’avviso di addebito dovrà essere  consegnato, in deroga alla disciplina sui ruoli (Dlgs n. 46/1999),  all’agente della riscossione con modalità e termini che verranno stabiliti dall’INPS.

La legge di conversione conferma, invece, l’abrogazione immediata (dal 31.5.2010) dell’art. 25, c. 2, del Dlgs n. 46/1999. Detta norma prevedeva: “Dopo l’iscrizione a ruolo l’ente, in pendenza di gravame amministrativo, può sospendere la riscossione con provvedimento motivato notificato al concessionario ed al contribuente. Il provvedimento può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione.” Tale abrogazione, la cui decorrenza non coincide con l’entrata in vigore delle nuove norme in materia di riscossione, può creare, almeno fino al 31.12.2010, seri problemi alle aziende, in quanto non potranno più avvalersi della possibilità di chiedere all’Inps di sospendere l’esecutività del ruolo anche quando il medesimo risulta palesemente errato.

Va altresì ricordato che il comma 12 dell’art. 38 della medesima manovra correttiva ha modificato, in via transitoria, la disciplina dei termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo dei debiti contributivi di cui al sopra citato art. 25 del Dlgs n. 46/1999. I termini del predetto articolo non trovano applicazione, limitatamente al periodo 1/1/2010 – 31/12/2012, per i contributi non versati e gli accertamenti notificati successivamente all’1.1.2004. La nota di accompagnamento del citato articolo 38  precisa che la non applicazione di detta decadenza riguarda solo i contributi  e non anche i premi concernenti l’assicurazione infortuni.

Riscossione debiti tributari

La legge di conversione ha apportato importanti modifiche anche all’art. 29 del decreto 78 (recante concentrazione della riscossione nell’accertamento). Il provvedimento, come modificato dalla legge di conversione, stabilisce che a partire dagli atti notificati dal 1’ luglio 2011 (periodi d’imposta in corso alla data del 31.12.2007 e successivi), gli avvisi di accertamento per le imposte dirette e per l’Iva (e connesse sanzioni) dovranno contenere anche l’intimazione al pagamento entro il termine della presentazione del ricorso, l’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, gli importi stabiliti dall’art. 15 del DPR 602/1973 (detta norma prevede: “Le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati”. Detta disposizione è applicabile anche ai sostituti d’imposta).

L’intimazione ad adempiere al pagamento deve essere contenuta anche nei successivi atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata A.R., nei quali si proceda alla rideterminazione degli importi dovuti (si applica anche al mancato pagamento di una sola rata nei procedimenti di accertamento con adesione, al pagamento frazionato del tributi e dei relativi interessi in presenza di processo e alla riscossione delle sanzioni). I predetti atti divengono esecutivi decorsi 60 giorni dalla notifica (e non più all’atto della notifica) e devono espressamente recare che, trascorsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione, in deroga alle disposizioni di iscrizione a ruolo, è affidata all’agente della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata dei beni del debitore (l’espropriazione forzata deve in ogni caso essere avviata, a pena di decadenza, entro il 31.12 del secondo anno successivo a quello cui l’accertamento è divenuto definitivo), senza più provvedere alla notifica della cartella di pagamento. In pratica l’avviso di accertamento e il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni costituiranno, dal 1°.7.2011, titolo esecutivo.

Qualora sia ravvisi fondato pericolo per l’esito della riscossione, la riscossione integrale può essere affidata all’agente della riscossione anche prima del termine previsto per il ricorso, ovvero prima dei 60 giorni decorrenti dalla ricezione della raccomandata ovvero prima dei 30 giorni decorrenti dal termine ultimo per il pagamento.

Il ricorso, avverso gli atti notificati, non sospende la riscossione, tuttavia l’ufficio delle entrate o il centro di servizio ha facoltà di disporre la sospensione della riscossione in tutto o in parte, fino alla data di pubblicazione della sentenza della commissione tributaria provinciale, con provvedimento motivato, notificato al concessionario e al contribuente. Il provvedimento può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione.

Come per le norme relative alla riscossione INPS, il provvedimento prevede che i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati agli atti di accertamento, di irrogazione delle sanzioni ed ai successivi atti di rideterminazione degli importi come disciplinati dalla norma in commento.

Il legislatore ha altresì previsto che, con uno o più regolamenti, verranno introdotte nuove diposizioni per la razionalizzazione delle procedure di riscossione coattiva.

Compensazioni

Anche l’art. 31 (recante preclusione alla autocompensazione in presenza di debito su ruoli definitivi) è stato significativamente modificato dalla legge di conversione. In particolare, il testo modificato prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2011, la compensazione dei crediti attraverso il Mod. F24, relativi alle imposte erariali, è vietata fino a concorrenza dell’importo dei debiti, di ammontare superiore a euro 1.500, iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, e per i quali è scaduto il termine di  pagamento.

In caso di inosservanza del predetto divieto, si applica la sanzione del 50% dell’importo dei citati debiti iscritti a ruolo e per i quali è scaduto il termine di pagamento, fino a concorrenza dell’ammontare indebitamente compensato (periodo così modificato dalla legge di conversione).

La sanzione non può essere applicata fino al momento in cui sull’iscrizione a ruolo penda contestazione giudiziale o amministrativa e non può essere comunque superiore al 50 per cento di quanto indebitamente compensato (periodo aggiunto dalla legge di conversione). È comunque ammesso il pagamento, anche parziale, delle somme iscritte a ruolo per imposte erariali e relativi accessori mediante la compensazione dei crediti relativi alle stesse imposte, con le modalità che verranno stabilite con apposito decreto ministeriale.

A decorrere dal 1° gennaio 2011, non opereranno più le disposizioni relative alla compensazione tra il credito d’imposta chiesto a rimborso ed il debito iscritto a ruolo (art. 28-ter del D.P.R. n. 602 del 1973), per i ruoli di ammontare non superiore a 1.500 euro.

La legge di conversione ha altresì introdotto due nuovi commi (1-bis e 1-ter) che modificano, rispettivamente, il DPR 602/1973 sulle riscossioni delle imposte sul reddito, in materia di compensazioni di crediti vantati da soggetti nei confronti di enti territoriali ed enti del Servizio sanitario nazionale con somme iscritte a ruolo, e il comma 3-bis, dell’articolo 9, del DL. 185/2008 (L. 2/2009), che prevede la certificazione da parte di regioni ed enti locali dell’esigibilità dei crediti dichiarati certi, liquidi ed esigibili, finalizzata a consentire la cessione pro soluto a favore di banche o di intermediari finanziari.

Leggi: Circolare A.N.N.A. 2015-001 Avviso di Addebito – Notifica tramite Messi Comunali 2015

Leggi: Circolare del 27 01 2000 n. 16 – Min. Finanze – Dip. Entrate

Leggi: Convenzione tra l’INPS e Roma Capitale per l’espletamento dell’attività di notifica degli Avvisi di Addebito (2017)

 


Giornata di studio L’Aquila – 27.10.2015

Locandina L'Aquila 2015Martedì 27 ottobre 2015

Comune di L’Aquila

Palazzetto dei Nobili

Vicino a Piazza Palazzo

Piazza Santa Margherita 2

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di L’Aquila (AQ)

Quote di partecipazione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2014 con rinnovo anno 2015 già pagato al 31.12.2014. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2016 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).

Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2016 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Aquila 2015 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Fontana LazzaroFontana Lazzaro

Resp. Servizio di Notificazione del Comune di Monterosso al Mare (SP)

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2015

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE L’Aquila 2015

Scarica: Documentazione fiscale 2015

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

Cartelle esattoriali notificate via Pec dal 1° giugno 2016

Equitalia potrà decidere, per i privati cittadini, se continuare a usare il canale tradizionale o quello telematico, ma per imprenditori individuali, società e professionisti la posta elettronica certificata sarà obbligatoria.

Si ampliano, così, i termini del «lieve inadempimento»: i contribuenti non decadranno dal beneficio della rateazione se la prima rata viene versata con un ritardo non superiore a sette giorni (e non più cinque). Mentre cambia nuovamente il meccanismo di remunerazione degli agenti della riscossione: dall’attuale aggio dell’8%, che resterà in vigore fino a tutto il 2015, si passerà a un sistema modulare, con pagamenti dall’1% al 6% a carico dei debitori, una compartecipazione degli enti creditori (3% delle somme riscosse entro i 60 giorni) e anche un contributo dell’Agenzia delle entrate da 125 milioni di euro totali fino al 2018.

È quanto prevede la nuova bozza del dlgs di riforma della riscossione, attuativo della delega fiscale, esaminato dal pre consiglio dei ministri alla luce dei rilievi formulati dal parlamento.

Notifiche online

La novità più rilevante inserita nel decreto è l’estensione generalizzata della notifica via Pec delle cartelle esattoriali. L’articolo 26, comma 2 del dpr n. 602/1973 viene rafforzato al punto che per ditte individuali, società e professionisti iscritti in albi o elenchi «la notifica avviene esclusivamente con tali modalità, all’indirizzo risultante dall’indice nazionale Ini-Pec». Nella realtà Equitalia, che gestisce la riscossione, ha già avviato da oltre un anno in via sperimentale le notifiche via Pec, dal momento che l’articolo 26 finora vigente lo consentiva, senza però che queste divenissero obbligatorie.

Il dlgs fornisce regole di maggior dettaglio sul corretto perfezionamento della notifica qualora l’indirizzo Pec risultasse non valido o disattivato: in questi casi la notifica dovrà eseguirsi tramite deposito dell’atto presso gli uffici della camera di commercio competente per territorio, con contestuale pubblicazione del relativo avviso sul sito web della Cciaa, dandone notizia al destinatario tramite raccomandata a/r.

Qualora invece la casella certificata risultasse piena, Equitalia dovrà effettuare un secondo tentativo di invio dopo almeno 15 giorni: laddove l’esito fosse ancora negativo, si procederà come sopra. Per consentire al sistema camerale di adeguare le proprie infrastrutture, le nuove norme avranno efficacia per le notifiche effettuate a partire dal 1° giugno 2016. I privati titolari di un indirizzo Pec potranno comunque chiedere a Equitalia di ricevere gli atti esclusivamente per via telematica.

Aggio

L’altra tematica di maggiore impatto riguarda gli oneri di funzionamento del sistema nazionale di riscossione. Accogliendo i suggerimenti avanzati nei pareri espressi dalle commissioni finanze di Camera e Senato, il governo ha deciso di riscrivere interamente l’articolo 9 del decreto. In primo luogo è previsto che l’attuale meccanismo di remunerazione, con aggio all’8%, resterà operativo fino al 31 dicembre 2015. Dal 2016 l’onere gravante sui debitori iscritti a ruolo si ridurrà: se il contribuente riceve la cartella di pagamento e versa le somme pretese entro 60 giorni dalla data di ricezione dovrà sopportare un onere pari all’1% per la riscossione spontanea ex art. 32 del dlgs n. 46/1999 o al 3% in tutti gli altri casi. Per i pagamenti dal 61° giorno in avanti, si pagherà il 6%. Anche gli enti creditori saranno chiamati a contribuire alla remunerazione di Equitalia, con una quota percentuale del riscosso di competenza.

Ma a comporre il compenso degli agenti ci saranno pure le spese correlate all’attivazione di procedure esecutive e cautelari, fissate annualmente con decreto Mef. Fermo restando il rimborso delle spese di notifica della cartella e degli altri atti della riscossione, anche queste determinate con lo stesso dm. Ma non è tutto: tale decreto dovrà indicare anche la somma che dovrà essere pagata dagli enti creditori per tutti i casi di inesigibilità o sgravio del ruolo per cause non imputabili all’agente. Il primo decreto Mef dovrà essere emanato entro il 30 ottobre 2015.

Da ultimo, per preservare l’equilibrio di bilancio del gruppo di riscossione nel passaggio tra vecchio e nuovo regime, viene previsto che l’Agenzia delle entrate provveda a erogare a Equitalia una quota di salvaguardia per il triennio 2016-2018: tale somma viene definita nel suo importo massimo pari a 40 milioni di euro per il primo anno, 45 milioni per il secondo e 40 milioni per il terzo. Questi importi, «saranno corrisposti previa individuazione delle effettive necessità conseguenti all’accertamento di una contrazione dei ricavi, connessa alla riduzione dell’aggio alla luce delle evidenze del bilancio annuale certificato».