P.A.: CONCORSI ADDIO prima occorre ricollocare tutti i dipendenti di tutte le province

La legge di stabilità ha imposto ai comuni di destinare tutte le risorse per le assunzioni agli esuberi delle province, oltre che ai vincitori dei propri concorsi, ma la Corte dei Conti chiarisce che il vincolo va letto in chiave nazionale e non territoriale.

In altre parole, prima che un comune possa bandire nuovi concorsi o di “pescare” dalle graduatorie di un ente vicino, occorre che tutti gli esuberi delle province italiane siano stati ricollocati, e non basta esaurire il bacino della provincia in cui il comune si trova.

La Corte dei Conti (sezione autonomie, deliberazione 19/2015), insomma, sceglie la via più rigorosa nell’applicazione della corsia preferenziale per gli ex provinciali aperta dal comma 424 legge 190/2014; una scelta coerente con l’obiettivo della norma – nata per evitare che il personale “di troppo” negli enti di area vasta resti senza posto mentre gli enti locali bandiscono nuovi concorsi – ma che determina più di un problema applicativo.

Per due ragioni. La prima è legata al fatto che l’elenco degli “esuberi” provinciali è ancora di là da venire, dal momento che molte regioni continuano a essere in ritardo nella redistribuzione delle funzioni, e quindi degli organici. In secondo luogo, per un comune ad esempio piemontese o lombardo è molto più semplice indirizzare la lettera di assunzione al vincitore del concorso di un ente confinante, piuttosto che a un «soprannumerario» di una provincia lontana.

Di conseguenza, il principio fissato dalla legge di stabilità rischia di tradursi per molti enti in un blocco sostanziale delle assunzioni.

L’unica deroga è prevista per i profili «infungibili», cioè per quelle professionalità che sono necessarie al comune ma che in provincia non si trovano perché estranee alle funzioni dell’ente di area vasta. Anche in questo caso, l’eccezione prevista dalla stessa legge di stabilità è interpretata in modo rigido dalla magistratura contabile: la deroga scatta solo per le professionalità «specifiche e legalmente qualificate», attestate da titoli di studio quando lo prevede la legge.

In questi casi, l’ente può effettuare assunzioni “libere” dopo aver constatato l’inesistenza di una professionalità analoga fra il personale


Cons. Stato, Sez. VI, Sent., (data ud. 23/06/2015) 24/06/2015, n. 3202

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4843 del 2015, proposto da:

Istituto di Istruzione Superiore “N.D.F.” – “G.Prestia”Di Vibo Valentia – Ipsia “G.Prestia”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12;

contro

T. e Costruzioni Servizi-Società Cooperativa, C. Srl, Consorzio I. e Servizi-Società Cooperativa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Battista Conte, con domicilio eletto presso Giovanni Battista Conte in Roma, Via E.Q. Visconti 99;

nei confronti di

Provincia di Vibo Valentia – Stazione Unica Appaltante, Provincia di Vibo Valentia, Cpl Polistena, E.F.C. Srl;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO :SEZIONE I n. 00554/2015, resa tra le parti, concernente

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di T. e Costruzioni Servizi-Società Cooperativa, di C. Srl, di Consorzio I., di Servizi-Società Cooperativa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2015 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato Conte e l’avvocato dello Stato Basilica;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Considerato che sussistono i presupposti per pronunciare sentenza in forma semplificata atteso che il contraddittorio è integro, l’istruttoria è completa, le parti sono state avvertite ai sensi dell’art. 60 c.p.a. e la definizione del giudizio dipende dalla risoluzione di una pregiudiziale questione di diritto;

Ritenuto che è fondato il primo motivo di appello con cui si lamenta la nullità della notifica del ricorso di primo grado perché avvenuta direttamente presso l’Istituto scolastico e non presso l’Avvocatura dello Stato (che nel relativo giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale non si è costituito);

Ritenuto, in particolare, che:

– gli istituti scolastici, sebbene forniti della personalità giuridica, rimangono Amministrazioni dello Stato, come tali soggetti al patrocinio obbligatorio ed esclusivo dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art.1 t.u. 30 ottobre 1933 n.1611;

– a tale conclusione non osta il riconoscimento della personalità giuridica, in quanto, come la giurisprudenza ha avuto modo di precisare (cfr. Cass. 10982/96), la personalità giuridica è rilevante nei confronti dei terzi, finalizzata all’imputazione alla scuola delle attività negoziali e della responsabilità civile, e quindi ad una maggiore agilità di operazioni, ma nei confronti dello Stato, l’istituto dotato di personalità giuridica permane nella sua qualità di organo, sia pure con l’autonomia riconosciuta (cfr. anche Cass., sez. III 2605/1997);

– in senso contrario non può richiamarsi l’indirizzo giurisprudenziale che, invece, con riferimento alle Università, ha ritenuto facoltativo e non obbligatorio il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato: le Università, a differenze degli istituti scolastici, sono, infatti, enti pubblici non statali e soltanto tale qualifica giustifica la conclusione che qualifica come “facoltativo” il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato;

– non rileva neanche la previsione normativa contenuta nell’articolo unico del D.P.R. 26 novembre n. 1027 che, non senza ambiguità, prevede che l’Avvocatura dello Stato “può assumere” la rappresentanza e la difesa degli istituti professionali per l’industria e l’artigianato. Tale disposizione, che ha rango regolamentare, non può, infatti, prevalere sulle norme di rango primario (art. 1 R.D. n. 1611 del 1933) che per tutte le Amministrazioni dello Stato prevedono l’obbligatorietà e l’esclusività del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato;

Considerato, quindi, che la nullità della notifica determina l’inammissibilità del ricorso di primo grado, per non essere lo stesso stato notificato, nel termine di decadenza, all’Amministrazione resistente;

Ritenuto, infine, che la peculiarità e la parziale novità della questione di diritto giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio;

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

 


Incostituzionalità della sanzione per i compensi ai pubblici dipendenti

La Corte Costituzionale con la recente Sentenza n. 98 del 5 giugno 2015, nel risolvere la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale Ordinario di Ancona, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 53, comma 15, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede che “I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9”.

Nello specifico, è stata dichiarata incostituzionale la sanzione comminata agli enti pubblici ed ai soggetti privati che, avendo conferito un incarico professionale ad un dipendente pubblico, non comunicano, nei termini di legge (ovvero entro il 30 aprile di ciascun anno), i compensi erogati nell’anno precedente.

Riguardo a tale sanzione ponendo l’accento su di un’attività di verifica che era stata intrapresa dalla Guardia di Finanza, volta a sanzionare coloro che, avendo affidato un incarico professionale retribuito ad un professionista che ricopriva il ruolo di docente universitario a tempo pieno, avevano aggiudicato il suddetto incarico senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza del pubblico dipendente, contrariamente a quanto previsto dalla normativa vigente, nonché omettevano la comunicazione dei compensi.

A seguito di tale attività ispettiva, gli “sfortunati” clienti del professionista-docente universitario si erano così visti notificare un verbale di contestazione con l’irrogazione di una sanzione pari al doppio del compenso corrisposto al professionista, con la possibilità di presentare entro 30 giorni scritti difensivi e documenti o di pagare entro 60 giorni un terzo della sanzione prevista per la violazione.

Si era, pertanto, avuto modo di sottolineare come, proprio in considerazione dell’effettiva violazione commessa e, in particolare, in considerazione dell’esimente dell’incolpevole errore sul fatto, nel caso in cui il soggetto non era al corrente della qualifica di dipendente pubblico della persona al quale era stato aggiudicato l’incarico ed erogato il compenso, si trattava di una sanzione quanto mai ingiusta e del tutto esorbitante.

Ora la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la norma che prevedeva l’applicazione della sanzione per la mancata comunicazione dei compensi, sulla base di una serie di motivazioni.

Innanzitutto, la Corte Costituzionale ha posto in evidenza come la legge delega, sulla cui base è stata adottata la disciplina di cui alla disposizione denunciata, non conteneva alcuna indicazione relativa alla possibilità di introdurre sanzioni amministrative pecuniarie in caso di omissione della comunicazione dei compensi.

Ciò nonostante, l’articolo 26 del Decreto Legislativo n. 80 del 1998, nell’introdurre rilevanti modificazioni all’articolo 58 del Decreto Legislativo n. 29 del 1983, accanto alla previsione della sanzione per mancata richiesta di autorizzazione da parte del dipendente a svolgere l’opera professionale, ha previsto, altresì, la sanzione per omessa comunicazione dei compensi all’amministrazione di appartenenza, entro il 30 aprile di ciascun anno.

Al riguardo, la Corte Costituzionale ha così correttamente osservato come “Non può, infatti, presupporsi che, in una direttiva intesa a conferire al legislatore delegato il compito di prevedere come obbligatoria una determinata condotta, sia necessariamente ricompresa – sempre e comunque – anche la facoltà di stabilire eventuali correlative sanzioni per l’inosservanza di quest’obbligo, posto che, in linea di principio, la sanzione non rappresenta affatto l’indispensabile corollario di una prescrizione e che quest’ultima può naturalmente svolgere, di per sé, una propria autosufficiente funzione, richiedendo e ottenendo un’esauriente ed efficace osservanza”.

Ed ancora, è stato rilevato come la sanzione per omessa comunicazione dei compensi finisce per risultare particolarmente vessatoria, in considerazione che la stessa sarebbe un inutile doppione di quella già prevista per la mancata previa autorizzazione dell’incarico, riguardando entrambe inadempimenti di carattere puramente formale.

Allo stesso modo, tale sanzione si pone in contrasto con i principi di proporzionalità ed adeguatezza che devono, in linea generale, essere osservati anche nella disciplina delle sanzioni amministrative.

La norma è stata, pertanto, dichiarata incostituzionale perché in contrasto con gli articoli 3 e 76 della Costituzione.

Corte costituzionale

Sentenza 5 giugno 2015, n. 98

Presidente: Criscuolo – Redattore: Grossi

[…] nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 15, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), promosso dal Tribunale ordinario di Ancona nel procedimento vertente tra R.G. ed altre e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Ancona, con ordinanza del 20 febbraio 2014, iscritta al n. 152 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione di R.G. ed altre, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 28 aprile 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi l’avvocato Giovanni Paolo Businello per R.G. ed altre e l’avvocato dello Stato Barbara Tidore per il Presidente del Consiglio dei ministri.

RITENUTO IN FATTO

1.- Il Tribunale ordinario di Ancona, in funzione di giudice del lavoro, solleva – in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 della Costituzione, e in relazione alla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) nonché alla legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) – questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 15, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), «nella versione introdotta» dall’art. 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), nella parte in cui dispone che «I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9».

Premette il Tribunale di essere chiamato a decidere sull’opposizione proposta da alcuni soggetti privati avverso una serie di ordinanze-ingiunzione emesse dall’Agenzia delle entrate per sanzioni amministrative pecuniarie irrogate, a norma dell’art. 6 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, per avere conferito a due dipendenti della Marina militare incarico di attività professionale senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, negli anni 2008 e 2009, e per non aver comunicato alla stessa amministrazione i compensi erogati nei medesimi anni.

Risulta pacifico – sottolinea il giudice a quo – che i ricorrenti non abbiano adempiuto agli obblighi di comunicazione prescritti per chi conferisca incarichi a pubblici dipendenti, a norma dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001; così come risulta pacifico che essa medesima fosse a conoscenza del fatto che i propri collaboratori erano dipendenti pubblici militari.

Dopo aver riprodotto il testo di diversi commi dell’art. 53 in discorso e in contrasto alla tesi degli opponenti (secondo cui «non dovrebbe ricevere sanzione, per i militari, l’omessa comunicazione all’amministrazione di appartenenza dei compensi erogati imposta dal comma 11 del citato art. 53, in quanto il comma 6, che regola l’ambito di applicazione della norma, fa riferimento ai commi da 7 a 13, escludendo, dunque, il comma 15, contenente l’apparato sanzionatorio, differentemente da quanto disposto nella versione precedente del predetto comma 6 che richiamava, al contrario, anche i commi fino al 16»), il Tribunale reputa che l’eliminazione, dal comma 6 dell’articolo impugnato, del riferimento al comma 15 si giustifichi per il fatto che la sanzione per l’omessa comunicazione «non viene irrogata ai dipendenti pubblici, ma soltanto ai soggetti che si avvalgono della loro opera»; con la conseguente piena applicabilità nei confronti di questi ultimi delle sanzioni previste – in caso di omessa comunicazione, da parte dell’ente conferente, dei compensi erogati ogni anno – dall’art. 6 del d.l. n. 79 del 1997 in relazione ai dipendenti destinatari di incarichi retribuiti. Troverebbe, quindi, applicazione, nel caso di specie, la normativa di cui al comma 15 dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001.

Ripercorsa la disciplina delle leggi-delega n. 59 del 1997 e n. 421 del 1992, dalla prima richiamata, il giudice rimettente osserva come l’art. 26 del d.lgs. n. 80 del 1998, nell’introdurre importanti modifiche all’art. 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), abbia, da un lato, sostituito «l’obbligo della mera comunicazione dell’incarico con l’obbligo di ottenere la previa autorizzazione» dell’amministrazione, prevedendo, correlativamente, che la sanzione amministrativa si applichi «all’inadempimento all’obbligo di autorizzazione»; dall’altro lato, introdotto «un’altra identica [sanzione] anche in caso di inottemperanza all’obbligo di comunicazione dei compensi erogati».

Dalla riportata normativa emergerebbe come «la legge delega non contenesse alcun riferimento alla possibilità di introduzione di sanzioni amministrative in caso di inottemperanza agli obblighi di pubblicità degli incarichi conferiti ai pubblici dipendenti», malgrado anche le sanzioni amministrative rispondano al principio di legalità e richiedano, perciò, se disposte in base a una legge di delega, l’enunciazione di precisi criteri direttivi. D’altra parte, pur ricorrendo «ad un apprezzamento in precedenza espresso dallo stesso legislatore», si ricaverebbe che l’ipotesi di un illecito amministrativo, già introdotta dal legislatore nella precipua materia, era stata limitata «espressamente alla condotta relativa alla mancata comunicazione dell’incarico, con esclusione, invece, della diversa ma conseguente condotta della mancata comunicazione di compensi».

D’altra parte, dovendo le disposizioni della delega essere interpretate secondo il criterio della ragionevolezza, questo non sarebbe stato, nella specie, rispettato: sia per la previsione di una doppia sanzione, «peraltro particolarmente afflittiva nel quantum», sia perché «le esigenze di buon andamento della p.a., di trasparenza e di compatibilità dell’incarico privato con l’impiego pubblico» sarebbero garantite già «dalla necessità di ottenere la previa autorizzazione», «ponendosi l’obbligo aggiuntivo della comunicazione dei compensi come un mero adempimento accessorio».

La doppia sanzione, d’altra parte, porrebbe «il soggetto che, per ignoranza o negligenza, non abbia chiesto la previa autorizzazione all’incarico nell’alternativa di perseguire nell’illecito, con rischio di comminazione della doppia sanzione, laddove scoperto, o di autodenunciarsi, provvedendo alla comunicazione del compenso», «con conseguente violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost.».

2.- Si sono costituiti in giudizio i soggetti ricorrenti nel giudizio principale, chiedendo una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata.

Dopo la rievocazione dei fatti di causa e delle difese ivi dispiegate, viene dedotto il vizio di difetto di delega, sottolineando come la giurisprudenza costituzionale non abbia mancato di puntualizzare che, anche per le sanzioni amministrative, i criteri della delega «devono essere precisi e vanno rigorosamente interpretati», dovendosi, nella specie, escludere che la valutazione della necessità di una sanzione possa trarsi da un apprezzamento in precedenza espresso dal legislatore, in ragione del principio della successione delle leggi nel tempo.

Richiamato il contenuto dell’ordinanza di rimessione, si chiede l’accoglimento della questione anche in riferimento al dedotto profilo di violazione del criterio di ragionevolezza.

3.- È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare inammissibile e comunque di respingere la proposta questione.

Osserva l’Avvocatura generale che l’introduzione di una fattispecie di illecito è un ordinario strumento di normazione per rafforzare la tutela dei beni protetti, sicché tali fattispecie rappresenterebbero un coerente sviluppo delle indicazioni fornite dal legislatore delegante.

Quanto alla pretesa violazione del principio di ragionevolezza, il giudice rimettente avrebbe trascurato di considerare la distinta offensività delle due condotte sanzionate: mentre, infatti, l’acquisizione del preventivo consenso mirerebbe ad evitare possibili conflitti di interesse, l’obbligo della comunicazione dei compensi risponderebbe alla finalità «di aggiornamento costante della banca dati presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, utilizzata per il monitoraggio degli incarichi extraistituzionali».

Gli aspetti relativi all’esercizio del diritto di difesa, infine, sarebbero irrilevanti – la società opponente era a conoscenza della qualità di dipendenti pubblici delle persone occupate – e comunque infondati, posto che, se l’ignoranza inescusabile della norma regolativa dell’illecito non è esimente, a maggior ragione non potrebbe parlarsi di una violazione del diritto di difesa.

4.- In prossimità dell’udienza, le parti private costituite hanno depositato una “memoria illustrativa” per contrastare gli argomenti svolti dall’Avvocatura generale, ribadendo richieste e conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Il Tribunale ordinario di Ancona, in funzione di giudice del lavoro, solleva, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 della Costituzione, e in relazione alla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) nonché alla legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 15, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), «nella versione introdotta» dall’art. 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Secondo il giudice rimettente, la legge di delegazione, sulla cui base è stata adottata la disciplina di cui alla disposizione denunciata, non conteneva alcuna indicazione relativa alla possibilità di introdurre sanzioni amministrative pecuniarie per l’inosservanza dei previsti obblighi di pubblicità degli incarichi conferiti ai pubblici dipendenti e di comunicazione dei relativi compensi.

Le disposizioni della delega, d’altra parte, non sarebbero state interpretate secondo il criterio della ragionevolezza: sia per la previsione di una doppia sanzione, «peraltro particolarmente afflittiva nel quantum», sia perché «le esigenze di buon andamento della p.a., di trasparenza e di compatibilità dell’incarico privato con l’impiego pubblico» sarebbero garantite già «dalla necessità di ottenere la previa autorizzazione», «ponendosi l’obbligo aggiuntivo della comunicazione dei compensi come un mero adempimento accessorio».

Costituendosi in giudizio, i soggetti ricorrenti nel giudizio principale hanno chiesto una declaratoria di illegittimità costituzionale.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto, invece, di dichiarare inammissibile e comunque di respingere la proposta questione.

2.- La questione è fondata.

2.1.- Come si è accennato in parte narrativa, il Tribunale rimettente censura la previsione di cui all’art. 53, comma 15, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui è stabilito che i soggetti di cui al comma 9 – vale a dire gli enti pubblici economici e i privati che conferiscono incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione della amministrazione di appartenenza, e che omettano le comunicazioni di cui al comma 11 (a norma del quale «entro quindici giorni dalla erogazione del compenso per gli incarichi di cui al comma 6, i soggetti pubblici o privati comunicano all’amministrazione di appartenenza l’ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici») – sono assoggettati alle sanzioni di cui allo stesso comma 9; il quale, a sua volta, prevede l’applicazione dell’art. 6, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 e successive modificazioni ed integrazioni, che stabilisce una «sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma a dipendenti pubblici».

Nella prospettazione del giudice rimettente, le censure fanno essenzialmente leva sulla circostanza che, nei confronti degli enti o dei privati che conferiscano incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione, si applicherebbe una doppia sanzione, di eguale ammontare: una prima sanzione per il conferimento dell’incarico senza autorizzazione ed una seconda sanzione per l’omessa tempestiva comunicazione dell’ammontare dei compensi, per la quale ultima si profilerebbe, fra l’altro, una sorta di obbligo di “autodenuncia” da parte del terzo datore di lavoro, non sintonica con il diritto di difesa.

Il nucleo della doglianza ruota intorno al dedotto vizio di carenza di “copertura” della disposizione impugnata rispetto alle direttive della legge di delega, la quale non conterrebbe indicazioni tali da legittimare la previsione del contestato meccanismo sanzionatorio – in sé, particolarmente afflittivo – specie se interpretate alla luce del principio di ragionevolezza, alla stregua del quale deve essere apprezzata la coerenza della normativa delegata rispetto ai corrispondenti criteri direttivi.

2.2.- Lo specifico quadro normativo di riferimento appare, peraltro, particolarmente complesso, data la significativa stratificazione delle varie disposizioni succedutesi nel tempo e l’innesto di discipline di varia fonte, definitivamente confluite in quella di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, destinato a svolgere una funzione, in parte, meramente ricognitiva e riepilogativa: a norma, infatti, dell’art. 1, comma 8, della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1999), richiamato nel preambolo del predetto decreto legislativo, il Governo era stato delegato «ad emanare un testo unico per il riordino delle norme, diverse da quelle del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, che regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, secondo quanto disposto dall’articolo 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, apportando le modifiche necessarie per il migliore coordinamento delle diverse disposizioni».

Il medesimo preambolo fa poi riferimento all’art. 2 della legge n. 421 del 1992, con il quale il Governo aveva ottenuto (comma 1) la delega ad emanare, entro la data ivi fissata, «uno o più decreti legislativi, diretti al contenimento, alla razionalizzazione e al controllo della spesa per il settore del pubblico impiego, al miglioramento dell’efficienza e della produttività, nonché alla sua riorganizzazione», sulla base di una serie di criteri direttivi, fra i quali viene in questa sede in particolare evidenza quello sancito alla lettera p): che il Governo potesse «prevedere che qualunque tipo di incarico a dipendenti della pubblica amministrazione possa essere conferito in casi rigorosamente predeterminati» e che, tuttavia, «l’amministrazione, ente, società o persona fisica che hanno conferito al personale dipendente da una pubblica amministrazione incarichi previsti dall’articolo 24 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, entro sei mesi dall’emanazione dei decreti legislativi di cui al presente articolo, siano tenuti a comunicare alle amministrazioni di appartenenza del personale medesimo gli emolumenti corrisposti in relazione ai predetti incarichi, allo scopo di favorire la completa attuazione dell’anagrafe delle prestazioni prevista dallo stesso articolo 24».

In attuazione della richiamata delega legislativa era stato emanato il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), il quale sotto l’art. 58 – divenuto, poi, l’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 – prevedeva (comma 6) l’obbligo di comunicazione degli incarichi conferiti da privati o enti pubblici a dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in attuazione dell’anagrafe delle prestazioni, di cui al già richiamato art. 24 della legge n. 412 del 1991; nonché (comma 7) l’obbligo di comunicazione dei relativi compensi, senza, tuttavia, la previsione di alcun genere di sanzioni.

Veniva successivamente emanata la legge-delega n. 59 del 1997, anch’essa espressamente richiamata nel preambolo del d.lgs. n. 165 del 2001, la quale, peraltro, non conteneva alcun principio o criterio direttivo avente attinenza o interferenza specifica con il tema qui in discorso.

Subito dopo la promulgazione di quest’ultima legge di delega, veniva emanato il d.l. n. 79 del 1997, come convertito dalla legge n. 140 del 1997, il cui art. 6 introduceva nel sistema, per la prima volta, la previsione di una sanzione amministrativa nei confronti dei soggetti pubblici o privati che non avessero ottemperato all’obbligo di cui all’art. 58, comma 6, del già citato d.lgs. n. 29 del 1993: vale a dire l’obbligo di comunicazione alle amministrazioni di appartenenza degli incarichi conferiti, da privati o enti pubblici, ad appartenenti alle pubbliche amministrazioni.

Dunque, come esattamente messo in luce dal Tribunale rimettente, al momento della approvazione del decreto legislativo n. 80 del 1998, adottato in esercizio della delega di cui alla predetta legge n. 59 del 1997, il quadro normativo vigente prevedeva l’applicazione di sanzioni amministrative nei confronti di coloro che avessero omesso di comunicare alle amministrazioni di appartenenza gli incarichi conferiti a pubblici dipendenti, ma non sanzionava in alcun modo la mancata comunicazione dei compensi erogati.

L’art. 26 del predetto d.lgs. n. 80 del 1998, nell’introdurre rilevanti modificazioni all’art. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993, sostituiva l’obbligo della mera comunicazione dell’incarico con quello della previa autorizzazione da parte della amministrazione di appartenenza e, correlativamente, stabiliva l’applicazione della sanzione amministrativa per l’inadempimento di tale obbligo (comma 9).

Ma – ed è questo il dato qui di maggior interesse – con il medesimo art. 26 il legislatore delegato ha ritenuto di introdurre, per la prima volta, una identica sanzione anche per l’ipotesi in cui i soggetti conferenti incarichi non autorizzati avessero omesso di comunicare alle amministrazioni stesse, «entro il 30 aprile di ciascun anno», l’ammontare dei «compensi erogati nell’anno precedente» (commi 11 e 15).

Tale ultima disciplina – recepita, al pari dell’altra, nel nuovo decreto delegato e oggetto della attuale denuncia – risulta, dunque, non riconducibile a princìpi o criteri direttivi enunciati nelle leggi di delega succedutesi nel tempo: ciò in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte in tema di rapporti tra disciplina delegante, di competenza del Parlamento, e disciplina delegata, affidata alle scelte – a discrezionalità “circoscritta” – del Governo.

2.3.- Può, infatti, rammentarsi come si sia, in più occasioni, puntualizzato che i vincoli derivanti dall’art. 76 Cost., per l’esercizio della funzione legislativa da parte del Governo, non inibiscano a quest’ultimo l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo o un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal primo (tra le tante pronunce, più di recente, la sentenza n. 229 del 2014). Ove così non fosse, del resto, al legislatore delegato verrebbe riservata una funzione di rango quasi regolamentare, priva di autonomia precettiva, in aperto contrasto con il carattere, pur sempre primario, del provvedimento legislativo delegato.

La delega legislativa, in altri termini, non esclude qualsiasi discrezionalità del legislatore delegato, destinata a risultare più o meno ampia in relazione al grado di specificità dei criteri fissati dalla legge di delega: sicché la valutazione dell’eccesso, o del difetto, nell’esercizio della delega, va compiuta in rapporto proprio alla ratio della delega medesima, onde stabilire se la norma delegata sia coerente (sentenza n. 119 del 2013) o compatibile con quella delegante.

È, tuttavia, del pari evidente che, ove – come nella situazione di specie – si discuta della predisposizione, da parte del legislatore delegato, di un meccanismo di tipo sanzionatorio privo di espressa indicazione nell’ambito della delega, lo scrutinio di “conformità” tra le discipline appare particolarmente delicato. Non può, infatti, presupporsi che, in una direttiva intesa a conferire al legislatore delegato il còmpito di prevedere come obbligatoria una determinata condotta, sia necessariamente ricompresa – sempre e comunque – anche la facoltà di stabilire eventuali correlative sanzioni per l’inosservanza di quest’obbligo, posto che, in linea di principio, la sanzione non rappresenta affatto l’indispensabile corollario di una prescrizione e che quest’ultima può naturalmente svolgere, di per sé, una propria autosufficiente funzione, richiedendo e ottenendo un’esauriente ed efficace osservanza.

Né potranno risultare trascurabili, nella vicenda normativa in esame, alcuni ulteriori rilievi. La previsione della sanzione per l’omessa comunicazione dei compensi corrisposti a dipendenti delle pubbliche amministrazioni per incarichi non previamente autorizzati finisce per risultare particolarmente vessatoria, atteso che la sanzione si duplica rispetto a quella già prevista – nella stessa, grave misura – per il conferimento degli incarichi senza autorizzazione, con un effetto moltiplicativo raccordato ad un inadempimento di carattere formale.

La sanzione, in altri termini, per la violazione di un obbligo che appare del tutto “servente” rispetto a quello relativo alla comunicazione del conferimento di un incarico – previsto in funzione delle esigenze conoscitive della pubblica amministrazione, connesse, come si è più volte sottolineato, al funzionamento della anagrafe delle prestazioni, tenuto anche conto delle modifiche apportate all’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 ad opera dell’art. 1, comma 42, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione) – viene a sovrapporsi irragionevolmente – perequando fra loro situazioni del tutto differenziate, per gravità e natura – a quella prevista per la violazione di un obbligo di carattere sostanziale.

Il che, fra l’altro, conferisce alla sanzione “accessoria” di cui qui si discute – posta a carico, per di più, di un soggetto comunque terzo rispetto al rapporto di servizio tra pubblica amministrazione e dipendente – un carattere di automatismo e di non graduabilità non poco contrastante con i princìpi di proporzionalità ed adeguatezza che devono, in linea generale, essere osservati anche nella disciplina delle sanzioni amministrative.

In quanto adottata in contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost., la disposizione censurata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima, restando assorbiti i profili di censura relativi agli altri parametri evocati.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 15, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede che «I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9».


Percorso formativo in house – Latisana (UD) – 10.07.2015

Locandina Latisana 2015LA NOTIFICA ON LINE

Venerdì 10 luglio 2015

Comune di Latisana

Sala Consiliare
Piazza Indipendenza 74

Orario:  9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

con il patrocinio del Comune di Latisana

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Durì Francesco

  • Resp. Messi Comunali del Comune di Udine
  • Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

 Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy
  • Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Vedi: Attività di formazione anno 2015


La notifica a mezzo p.e.c. deve ritenersi esca fuori dal modello legale delle notificazioni

La notifica a mezzo p.e.c., se non espressamente prevista da una norma, deve ritenersi esca fuori dal modello legale delle notificazioni e nessuna norma autorizza possa avvenire la notifica di un accertamento e/o di una rettifica a mezzo p.e.c. Trattandosi di inesistenza della notifica e non di nullità non può trovare applicazione la sanatoria per avvenuta presentazione del ricorso.

Commiss. Trib. Prov. Lombardia Milano Sez. XXI, 24/06/2014, n. 6087


Garante Privacy: attenzione ad inviare le email senza eliminare i dati sensibili

Il Garante per la protezione dei dati personali, in un provvedimento del 23 aprile, ha stabilito che è illecito inoltrare una mail con informazioni sulla salute e il numero di cellulare della persona che l’ha inviata senza averla prima informata e avere avuto il suo consenso.

Nel caso in esame, una donna, collaboratrice di una società di consulenza e assistenza informatica, si è rivolta al Garante Privacy lamentando l’illecito trattamento dei dati personali contenuti in una email inviata ad un conoscente di una agenzia immobiliare, per promuovere la sua attività di consulenza.

La email, contenente sia informazioni di natura promozionale oltre che il numero di cellulare della reclamante e informazioni relative ad una operazione che avrebbe dovuto affrontare, dopo esser stata parzialmente modificata dai collaboratori di due società, era stata inoltrata ad oltre 200 affiliati commerciali, senza cancellare le informazioni personali che la donna aveva inserito.

Tale condotta, avvenuta in assenza di informativa e di adeguati presupposti giustificativi, avrebbe integrato, a detta dell’interessata, un’indebita divulgazione dei propri dati personali e sensibili, aggravata dal disagio provocatole dalle numerose telefonate ricevute nei giorni successivi all’intervento ad opera di alcuni franchisee, ormai al corrente delle sue condizioni di salute, oltre che del relativo numero di cellulare, anch’esso riportato nell’email allegata.

Inoltre, sottolinea l’Autorità, la documentazione acquisita ha confermato, per espressa ammissione delle società, che la trasmissione della email è avvenuta senza informare l’interessata e, quindi, senza acquisire il relativo consenso.

In considerazione della ritenuta violazione degli articoli 13, 23 e 26 del Codice della Privacy, la reclamante ha chiesto al Garante di inibire alle due società l’ulteriore trattamento dei suoi dati personali e sensibili, disponendo altresì la relativa cancellazione.

Pertanto, l’Autorità ha dichiarato illecito il trattamento effettuato dalle due società relativamente ai dati personali e sensibili dell’interessata ed ha stabilito che la responsabilità fosse addebitabile alle società, in capo alle quali rimane il compito ed il potere di vigilare sui propri collaboratori.

Nel disporre il divieto, il Garante ha dunque prescritto alle società di adottare idonee misure atte a garantire una scrupolosa vigilanza sull’operato del personale, sensibilizzandolo al rispetto delle istruzioni ricevute sulla protezione dei dati personali.

(Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento 23 aprile 2015, n. 242)


Giornata di studio Ancona – 8.10.2015

Locandina Ancona 2015LA NOTIFICA ON LINE

Giovedì 8 ottobre 2015

Comune di Ancona

Aula Didattica

c/o Mole Vanvitelliana

Banchina Giovanni da Chio 28
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Ancona

Quote di partecipazione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2014 con rinnovo anno 2015 già pagato al 31.12.2014. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2015 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).

Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante
  • Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2015 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Ancona 2015 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Asirelli Corrado 4Asirelli Corrado

  • Resp. Messi Comunali del Comune di Cesena (FC)
  • Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2015

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE ANCONA 2015

Scarica: Documentazione fiscale 2015

Vedi: Immagini della giornata di studio

Vedi: Video della giornata di studio

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

 


Giornata di studio Andria (BT) – 2.10.2015

Locandina Corso aggiornamento Andria 2015LA NOTIFICA ON LINE

Giovedì 2 ottobre 2015

Comune di Andria (BT)

Chiostro di San Francesco
Via San Francesco 14
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Andria

Quote di partecipazione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2014 con rinnovo anno 2015 già pagato al 31.12.2014. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2016 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).

Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante
  • Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2015 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Andria 2015 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Asirelli Corrado 4Asirelli Corrado

Resp. Messi Comunali del Comune di Cesena (FC)

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2015

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Andria 2015

Scarica: Documentazione fiscale 2015

Vedi: Immagini della giornata di studio

Vedi: Video della giornata di studio

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza